DAL MILLE AD OGGI: per una filosofia della storia

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DAL MILLE AD OGGI
per una filosofia della storia

I - II

I

Potremmo chiederci il motivo per cui lo sviluppo di una borghesia di tipo industriale-capitalistico (e non semplicemente di tipo mercantile-commerciale) abbia richiesto così tanto tempo in Europa occidentale e non abbia trovato un proprio equivalente nel resto del mondo, se non dopo la nascita del colonialismo europeo.

La nascita della borghesia commerciale, in Europa, viene fatta risalire intorno al Mille. Ma in quel periodo esisteva una borghesia commerciale anche in altre parti del pianeta: p.es. nell'impero bizantino, in Cina, in India, nel Medio oriente islamico, per non parlare del fatto che quando nacquero le prime civiltà commerciali in Mesopotamia, noi in Europa eravamo ancora all'età della pietra.

Dunque perché solo la borghesia commerciale del Medioevo europeo è riuscita a diventare industriale, condizionando il mondo intero? Cioè per quale ragione è riuscita a compiere un passaggio del genere una borghesia che sul piano commerciale non era più evoluta di altre borghesie del pianeta?

La risposta non sta ovviamente in qualcosa di genotipico e neppure in alcuna condizione ambientale o materiale, ma sta soltanto nella cultura di riferimento, che nel caso della borghesia euroccidentale è stata prima cattolica e poi protestantica.

Che particolarità aveva la cultura cattolico-romana per permettere lo sviluppo di una borghesia diversa da tutte le altre? Essa aveva la particolarità di permettere alla persona di sdoppiarsi in credente davanti alla chiesa e in mercante davanti alla società.

Per quale motivo la chiesa permetteva al borghese di scindersi in due persone così diverse? La risposta è semplice: essa stessa, al suo interno, era divisa tra una base contadina credente e un vertice ecclesiastico corrotto.

Quando all'interno di un'organizzazione collettiva di potere (quale appunto era la chiesa romana feudale), il vertice ecclesiastico afferma determinati valori (etico-religiosi) e ne pratica altri di natura opposta, riuscendo a ingannare la propria base, se anche tra quest'ultima emerge qualcuno che s'accorge dell'abuso e vuol cercare di approfittarne per ritagliarsi uno spazio di manovra in cui poter esercitare la medesima doppiezza, i vertici di quella organizzazione avranno pochi motivi per impedirglielo, soprattutto se questa imitazione della corruzione non ha come fine immediato quello di rovesciare il potere costituito.

La borghesia non va considerata come un figlio bastardo della chiesa romana, ma come un figlio legittimo, benché cadetto, in quanto il primogenito restava il contadino ubbidiente, disposto ad accettare il servaggio senza reagire. Nei confronti della borghesia la chiesa romana sperava di poter esercitare una funzione di controllo, approfittando nel contempo di tutti i benefici economici che poteva ricavare da un rapporto particolare con tale classe; la quale sicuramente, coi propri traffici, era in grado di far diventare la chiesa ancora più ricca e potente.

La chiesa infatti poté politicamente opporsi agli imperatori e ai grandi feudatari grazie all'appoggio economico della borghesia (comunale e signorile). Nessun'altra ideologia del mondo riuscì a compiere lo stesso percorso di quella cattolico-romana, proprio perché in quest'ultima, nei suoi ranghi di livello elevato, l'ipocrisia non era l'eccezione ma la regola. In ogni altra parte del mondo l'attività borghese restava strettamente controllata dallo Stato, oppure era disprezzata in quanto contraria alla pratica dei valori religiosi.

Certo, la borghesia - come già detto - è esistita anche prima del cristianesimo, ma non poteva avere la stessa falsità. Quando una persona viene considerata schiava dalla nascita o può finire in una condizione schiavile semplicemente per una sconfitta militare o per un debito non pagato, non è indispensabile sforzarsi di cercare mille ragioni per dimostrare a questa persona che le cose non stanno così.

La retorica del cristianesimo primitivo sotto questo aspetto fu incredibile: il Cristo s'era fatto "servo di dio" ed era morto per i peccati di tutto il genere umano, rendendo irrilevante essere liberi o schiavi di fronte a dio, chi si abbassa sarà esaltato, gli ultimi saranno i primi, se uno ti percuote porgi l'altra guancia, e così via.

La cultura pagana non era mai arrivata a principi del genere, che, come minimo, sarebbero stati equiparati a una forma di pusillanimità: una sofferenza ingiusta andava sempre punita e la vendetta era una forma di giustizia. L'ipocrisia del paganesimo raggiunse il vertice quando si volle dimostrare che il passaggio alla civiltà commerciale era giustificato dal fatto (puramente inventato) che in quella agricolo-pastorale gli uomini erano simili agli animali (l'esempio eclatante era Polifemo).

E' ben noto tuttavia che lo schiavismo si ripropose anche dopo lo sviluppo del cristianesimo, nei confronti di chi non era mai stato "cristiano", verso cui quindi non era necessario usare l'arma della doppiezza. Ma, anche a prescindere dal fatto che a questa pratica schiavile si opposero alcuni esponenti di rilievo dello stesso cattolicesimo, ciò che più conta dire è che il capitalismo non si sviluppò affatto all'interno di questo rapporto schiavile. Il capitalismo si sviluppa soltanto - Marx lo disse migliaia di volte - quando sul mercato si trovano, l'una di fronte all'altra, due persone giuridicamente libere, di cui una può vendere soltanto la propria forza-lavoro.

II

La nascita dell'individualismo borghese post-schiavistico è strettamente correlata allo sviluppo dell'individualismo dei vertici ecclesiastici nell'ambito del collettivismo cattolico. Quest'ultimo infatti riguardava più che altro il mondo contadino, ma le sue leggi erano in contraddizione con quelle del potere autoritario, assolutistico, che s'andavano affermando attorno alla figura del pontefice e dei suoi vescovi.

Dunque la prima borghesia commerciale e imprenditoriale nasce, in epoca feudale, sotto il patrocinio delle autorità ecclesiastiche, le quali però, quando videro che la borghesia era intenzionata a compiere rivendicazioni anche sul terreno politico, si spaventarono e fecero marcia indietro. Permettendo alla borghesia di svilupparsi economicamente, in funzione antifeudale, la chiesa pensava di farsela alleata, invece ad un certo punto dovette prendere atto ch'essa non sopportava più i condizionamenti di nessun potere politico e che anzi aveva intenzione di diventare "protestante".

Di fronte al rifiuto che la chiesa romana diminuisse il proprio potere, la borghesia prese a usare la forza: dapprima quella intenzionata a modificare l'ideologia stessa della chiesa, affinché l'attività del borghese avesse più facilità etica di manovra; in seguito si usarono le pressioni di tipo politico-militare, al fine di rovesciare lo stesso temporalismo ecclesiastico. In Italia, prima ancora della riforma protestante, s'imposero, per un certo tempo, le signorie e i principati, che non misero in discussione i principi religiosi della fede, ma solo il loro uso politico. Poi s'affermarono culture umanistiche che, invece di mettere in discussione i principi della fede (come invece fecero i movimenti pauperistici ereticali), si limitarono a porre le basi del moderno agnosticismo ed ateismo.

La riforma protestante e le rivoluzioni borghesi servirono appunto per togliere alla chiesa romana i poteri ideologico e politico. Col calvinismo la borghesia poteva avere finalmente ampie giustificazioni per agire senza alcuno scrupolo religioso, e nel contempo poteva riconoscersi in uno Stato che, sebbene religioso, agiva in maniera indipendente dalla chiesa.

Questo processo fu lunghissimo: partito intorno al Mille, dovette superare la Controriforma per affermarsi in maniera definitiva. Fu la sicura autonomia dal potere ecclesiastico che determinò il passaggio dalla fase commerciale a quella industriale della borghesia. Non ci sarebbe stata nessuna rivoluzione industriale se la borghesia non avesse appreso perfettamente come rendere schiavo un operaio dicendogli che giuridicamente era libero di non esserlo. Che l'aria di città rendesse liberi, i Comuni italiani iniziarono a dirlo almeno cinque secoli prima degli altri paesi europei.

Dopodiché tutto il mondo dovette subire le conseguenze di questo sviluppo anomalo dell'economia, profondamente ambiguo e, alla resa dei conti, disumano. La cosa stupefacente è stata che questo sviluppo, pur essendo partito da un'infima propaggine del continente asiatico (perché in fondo per gli asiatici l'Europa occidentale altro non è che questo), non solo non è riuscito a incontrare una valida resistenza da parte delle altre culture mondiali, ma da queste è stato addirittura adottato. Volente o nolente oggi tutto il mondo è dominato dal capitale.

Una certa resistenza la si è vista con la rivoluzione d'ottobre in Russia, con la nascita del cosiddetto "socialismo reale" nell'Europa orientale e in Cina, e con la decolonizzazione dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma dopo il crollo di quello che si rivelò essere un "socialismo da caserma", il capitalismo ha assunto proporzioni gigantesche, senza ostacoli di sorta sul suo cammino.

La contraddizione principale non è più quella tra due sistemi sociali che dicevano d'essere opposti, ma è tutta interna a un unico sistema, dove la gran massa dei lavoratori si trova schiacciata da un crescente monopolio produttivo e potere finanziario che sfuggono a ogni controllo. La concentrazione delle ricchezze è in mano a pochissime strutture economiche: le multinazionali e gli istituti di credito (che tendono, a loro volta, a trasformarsi in imprese). Una crescente globalizzazione dell'economia, priva di regole efficaci, soggetta a speculazioni finanziarie di ogni tipo, che minacciano continuamente paurosi crolli borsistici, sta caratterizzando il nostro tempo, in cui non si vedono elementi in controtendenza.

Nel passato, quando una civiltà voleva imporre i propri valori commerciali oltre misura, si scontrava con altre di tipo nomade, che con ferocia la spazzavano via. Ma oggi, se la resistenza non si formerà dall'interno, difficilmente verrà qualcuno a "salvarci".

LA FILOSOFIA DELLA STORIA DEGLI ULTIMI SEIMILA ANNI

Se una filosofia della storia ha senso, bisogna farla partire dagli ebrei, i quali furono i primi, tra i popoli a stretto contatto con lo schiavismo (mesopotamico ed egizio), a ribellarsi e a farlo in maniera intelligente. Le idee di popolo, giustizia sociale, leggi scritte, un dio irrappresentabile ecc. si devono a loro. Nella loro storia è ben chiara anche la differenza tra stanzialità e nomadismo, tra poteri costituiti e contestazione profetica, tra difesa popolare di un territorio (con le sue tradizioni) e collaborazionismo col nemico da parte delle autorità religiose.

La prova più dura però, quella contro lo schiavismo romano, non riuscirono a superarla. Avrebbero potuto farcela già con l'esperienza politicamente rivoluzionaria del movimento nazareno guidato dal Cristo, che voleva riportare il giudaismo allo stile di vita del comunismo primordiale, antecedente allo schiavismo, ma nel momento culminante dell'insurrezione si fecero prevalere le esigenze del potere collaborazionista e le divergenze interetniche (p.es. tra giudei, galilei e samaritani, ma anche tra ebrei e pagani). Quell'esperienza fu l'ultima significativa degli ebrei, perché poi si dispersero come popolo o rinunciarono a lottare contro lo schiavismo. Rifiutando la proposta politicamente eversiva del Cristo, rifiutarono anche l'idea di superare con l'umanesimo integrale, fondamentalmente ateo, la teocrazia giudaica, ovvero la religione in quanto tale, sia essa politicizzata o meno.

Al fallimento di quell'esperienza subentrò un nuovo tradimento, espresso sia come rinuncia alla lotta politica che come ritorno alla fede religiosa. Si cominciò infatti a dire che Cristo, dopo la sepoltura, era risorto per volontà divina e che sarebbe tornato quanto prima per trionfare sopra i propri nemici. Quando però si dovette constatare la mancata parusia, si posticipò quest'ultima al giorno di un fantomatico giudizio universale, in attesa del quale occorreva vivere come se ogni giorno fosse quello buono, cioè con distacco dai beni terreni e amandosi gli uni gli altri.

La confessione cristiana che meglio ha conservato questa forma originaria di tradimento è stata ed è ancora oggi è quella ortodossa. Ma poi venne un ulteriore tradimento: quello della chiesa cattolico-romana, la quale iniziò a dire che il papato era superiore politicamente a qualunque altra istituzione ecclesiastica, ivi inclusi i sinodi e i concili; dopo il Mille esso cominciò ad affermare una teocrazia in nome della quale persino i sovrani dovevano stare sottomessi.

Il tradimento nei confronti del Cristo, invece di diminuire, aumentò così tanto che quanti cercarono di opporvisi, non riuscirono più a recuperare le fondamenta della chiesa ortodossa. Il pensiero infatti cominciò ad essere espresso più in termini filosofici che teologici, più in termini razionalistici che mistici. Ragione e fede, a partire dal Mille, con la riscoperta dell'aristotelismo, cominciarono progressivamente a separarsi, fino al punto in cui (nel periodo dell'Umanesimo), con lo sviluppo sempre più forte della borghesia, si relegò il campo teologico alle scienze non dimostrabili.

La borghesia aveva laicizzato il proprio pensiero, anche se, sul piano pratico, essa non era in grado di costituire un'alternativa positiva al servaggio, in quanto si passava da uno sfruttamento (la rendita) a un altro (il profitto). Questa borghesia, là dove la fede aveva ancora una certa importanza, trovò in un nuovo tradimento religioso la propria giustificazione teorica: la riforma protestante, la quale favoriva un approccio razionalistico e laicistico alla religione, così come facevano i filosofi umanistici, ma questi però sul piano laico.

La chiesa romana volle prendersi, sugli uni e sugli altri, una propria rivincita con la controriforma, ma i tempi ormai erano diventati maturi perché trionfassero idee ateistiche e/o agnostiche, eventualmente dietro la maschera religiosa del luteranesimo e soprattutto del calvinismo o dietro quella del deismo o del panteismo, se si voleva fare "filosofia" e non "teologia". Ciò avvenne con le rivoluzioni olandese, inglese, americana e francese: tutte a favore del capitalismo industriale.

Questa forma un po' criptica di ateismo o di agnosticismo, essendo espressione di interessi particolari di classe e non di una vera democrazia sociale, era però costretta a cercare compromessi con la religione.

Fu così che si sviluppò l'ateismo scientifico e il socialismo rivoluzionario, i quali però compirono una forma di macroscopico tradimento quando pretesero di realizzare le loro idee attraverso lo strumento dello Stato. Vi fu una grave battuta d'arresto che fece arretrare le nuove idee verso quelle borghesi tradizionali, benché quelle religiose non ripresero vigore come in precedenza.

Di tradimento in tradimento, di tentativi di liberazione più o meno riusciti si è arrivati ad oggi, dove ancora annaspiamo nella ricerca della via che ci riporti all'uomo primitivo, modello di saggezza per tutti, dove ateismo e comunismo apparivano del tutto spontanei e naturali. Ci sarebbe bastato guardare le ultime popolazioni primitive rimaste sul nostro pianeta per capire la strada da percorrere, ma, evidentemente, siamo destinati a capire l'importanza di ciò che abbiamo perduto soltanto dopo aver distrutto tutto.

Bibliografia


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018