IL NEOCRITICISMO TEDESCO

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IL NEOCRITICISMO TEDESCO

Il pensiero filosofico tra Ottocento e Novecento è caratterizzato (soprattutto in Germania, ma anche in Francia) da una serrata polemica antipositivistica, portata avanti soprattutto da due correnti filosofiche abbastanza diverse tra loro: lo spiritualismo di R. Lotze, R. Eucken, A. Spir, E. von Hartmann, che adotta il metodo della riflessione interiore e non quello della costruzione dialettica, approdando verso forme di misticismo religioso, pessimismo cosmico, irrazionalismo inconscio; l'altra corrente è il neo-criticismo delle due scuole di Marburgo (H. Cohen, P. Natorp e soprattutto E. Cassirer) e del Baden, nelle due Università di Heidelberg e Friburgo (W. Windelband e H. Rickert).

In entrambe le correnti il tentativo era quello di recuperare quei valori spirituali trascurati dal positivismo e di ribadire l'esigenza di attribuire alla filosofia un compito diverso da quello di una semplice coordinazione unitaria del sapere scientifico ammessa dal positivismo. Ma delle due correnti quella che diede i risultati più fecondi fu la seconda.

Il neo-criticismo rappresenta la sistematica ripresa della filosofia kantiana, nel senso di una riflessione sui fondamenti, metodi e limiti della scienza (in seguito gli ambiti si amplieranno a storia, morale, arte, religione, linguaggio). Mentre per i positivisti l'oggettivo sono i fatti e l'apriori è sinonimo di soggettività/arbitrarietà, per i neo-criticisti l'apriori è il fondamento dell'oggettività scientifica. La scienza cioè non sarebbe progredita tramite l'accumulazione pura e semplice dei fatti, ma piuttosto con l'unificazione di questi fatti in ipotesi, leggi, teorie (gli elementi apriori). Compito della filosofia è appunto quello di studiare criticamente gli elementi apriori (filosofia=logica/metodologia scientifica).

Il neo-criticismo non è solo contrario all'affermazione del carattere assoluto o metafisico della verità scientifica, ma è anche contrario a ogni tipo di metafisica o di integrazione metafisico-religiosa del sapere scientifico, secondo l'indirizzo dell'idealismo e dello spiritualismo. Il neo-criticismo contesta sia la metafisica della materia (positivismo e naturalismo) sia quello dello spirito (idealismo e spiritualismo).

Per i neo-criticisti, Kant si è proposto anzitutto di criticare il sistema scientifico newtoniano (questo viene detto per superare l'interpretazione psicologistica allora dominante del pensiero kantiano). La filosofia critica vuole diventare la scienza delle determinazioni necessarie e universali di valore (della verità, del bene, del bello). La preoccupazione di questi neo-kantiani è quella di ridimensionare l'assoluta oggettività di ogni scienza o filosofia, valorizzando l'apporto dell'individuo concreto (storicamente determinato) alla conoscenza complessiva delle cose (della cui validità teoretica vanno poste le fondamenta gnoseologiche).

In due punti il neo-criticismo di Marburgo ha corretto l'impostazione kantiana: ha eliminato il riferimento al noumeno (che lo sviluppo delle scienze esatte aveva reso obsoleto) e ha eliminato la distinzione tra sensibilità (facoltà passiva) e intelletto (facoltà attiva). L'oggetto dell'attività scientifica è frutto dell'attività produttiva del pensiero (ad es. nel calcolo infinitesimale si fa nascere un ente geometrico senza alcun riferimento a dati intuitivi, ma solo attraverso operazioni logiche). Tuttavia, l'oggetto di studio della filosofia (il pensiero) non è l'attività pensante soggettiva, ma il pensato (non è possibile cogliere l'attività della coscienza, tanto è vero che i marburghesi metteranno la psicologia tra le scienze "generalizzanti", al pari della fisica, chimica, biologia...). Il processo conoscitivo non è più l'analisi di un dato iniziale, ma l'analisi del passaggio da un oggetto indeterminato (p.es. un colore) a uno più determinato (p.es. l'onda luminosa di cui parla la fisica), attraverso un processo di sintesi che non giunge mai a compimento. Il processo/metodo è tutto, mentre l'oggetto/fatto è solo in fieri. In pratica il neo-criticismo accetta le esigenze del positivismo di eliminare un noumeno pensabile ma non conoscibile, rifiutandone nel contempo la pretesa di determinare l'essenza delle cose mediante la scienza: l'essenza sta nel rapporto che le collega.

L'esponente più significativo della scuola di Marburgo è Ernst Cassirer (1874-1945). Nella sua opera Concetto di sostanza e concetto di funzione (1910), egli effettua un'indagine sulla conoscenza matematica, geometrica, fisica e chimica (la matematica era il principale modello di riferimento della scuola di Marburgo), al fine di mostrare che queste conoscenze non cercano la "sostanza" delle cose ma solo la "funzione", cioè le relazioni/leggi/teorie che legano le cose tra loro (ad es. nel caso degli enti matematici, come i numeri negativi o immaginari, l'oggettività sta unicamente nell'insieme delle regole con cui sono pensati). La metafisica di Aristotele -dice C.- parlava di un mondo di cose dalle quali bisognava astrarre i caratteri comuni, l'essenza, ma i risultati scientifici sono stati scarsi, per non parlare del fatto che non c'è mai garanzia che il "comune" sia anche l'"essenziale". Le scienze invece sono progredite quando si sono rivolte alla ricerca di "relazioni funzionali" fra gli oggetti (l'essenza sta nella funzionalità). Le teorie o relazioni funzionali sono prodotti del pensiero che rendono "possibile a priori" la conoscenza stabilendone le condizioni di possibilità. La realtà cioè non può essere conosciuta quale essa è veramente, ma quale ci appare nelle relazioni/leggi che noi le abbiamo preventivamente applicato. La conoscenza dipende dalle regole che il soggetto si è dato (regole che limitano e delimitano, che rendono il possibile e l'impossibile). L'uomo non è né un ente naturale (un prodotto della natura), né un ente razionale (che comprende la natura), ma un ente "simbolico" (che si costruisce la natura).

In Filosofia delle forme simboliche (1923-29), Cassirer estende questa considerazione dal mondo della scienza all'intero mondo dell'uomo. In essa la critica della ragione scientifica (positivista) diventa un'indagine sulle forme specifiche della civiltà umana: mito/religione, arte, scienza e soprattutto linguaggio. Il linguaggio non è solo strumento di comunicazione, ma l'attività che organizza l'esperienza in modo tale che sia oggetto di conoscenza razionale. Cohen e Natorp continuvano a riferirsi alle categorie kantiane, Cassirer ricorre all'espressione simbolica: il linguaggio è il "simbolo", cioè lo strumento in virtù del quale un contenuto concettuale si costituisce ed acquista la sua compiuta determinatezza. Nel simbolo abbiamo un contenuto sensibile e singolare che rimanda ad un significato spirituale universale. Tale significato non è che un insieme di relazioni, per cui il simbolo non è che il mezzo con cui un singolo elemento si mette in relazione con altri. Il simbolo quindi fa parte di un processo indefinito di organizzazione del mondo (dal simbolo non si può giungere alla cosa in sé).

[Rilievo critico]

Il neo-criticismo della Scuola di Marburgo cade nel limite del funzionalismo o relativismo nei nessi relazionali che collegano le cose. Qualunque organizzazione sociale o qualunque enunciato teorico può essere giustificato se se ne trovano i nessi logico-coerenti. Il neo-criticismo si preoccupa soltanto di fissare i criteri di legittimità di una teoria, ma l'unico vero criterio che pone è il rifiuto di considerare possibile la conoscenza vera, esatta, sostanziale della realtà in sé (naturalmente a livello di approssimazioni sempre più vicine alla verità assoluta). Esso ammette unicamente la conoscenza della realtà che ci appare, cioè di quella che in ultima istanza siamo noi stessi a costruire. In tal modo viene meno la possibilità di contraddire in modo assoluto una determinata teoria sulla base dei fatti. Le teorie per il neo-criticismo si contraddicono da sole quando assolutizzano i fatti, mentre restano coerenti quando mantengono i fatti nella loro relatività (rispetto ad altri fatti). La contraddizione non diventa mai per il neo-criticismo così oggettiva da determinare un ripensamento dei criteri generali di organizzazione della società o della conoscenza. Cassirer dice che "l'uomo non può sottrarsi alle condizioni di esistenza che lui stesso si è creato", cioè l'esistenza può solo essere accettata, non può essere trasformata. "I contrari non si escludono a vicenda ma dipendono l'uno dall'altro". L'uomo insomma, per il neo-criticismo, non può più tornare ad essere un ente di natura, che vive rapporti umani naturali, perché è costretto a pagare il prezzo della sua pretesa manipolativa del reale. L'uomo non può più comprendere la verità delle cose, perché ha di fronte a sé solo le proprie verità. "La" verità non esiste, esistono solo "le" molte verità che l'uomo si dà. Cassirer dice che l'uomo si è circondato di forme linguistiche, di immagini artistiche, di simboli mitici e di riti religiosi a tal punto da non poter vedere e conoscere più nulla se non per il tramite di questa artificiale mediazione. Il rapporto colla natura quindi si è irrimediabilmente perso in questa mediazione culturale artificiale creata dall'uomo. Cassirer esclude categoricamente che da una trasformazione della mediazione culturale si possa tornare a un rapporto più equilibrato dell'uomo con la natura.

Gli esponenti più significativi della Scuola del Baden sono Windelband e Rickert. Ciò che accomuna le due scuole è sia il rifiuto della concezione positivistica della conoscenza come "riproduzione della realtà", sia l'esigenza kantiana di considerare la validità della conoscenza indipendentemente dalle condizioni soggettive/psicologiche in cui la conoscenza si verifica. Tuttavia, diversamente dai marburghesi, l'attenzione di questi neo-kantiani non è volta all'indagine/formulazione di un "metodo" che spieghi l'origine del processo conoscitivo e la funzione logica del pensiero in ogni sua espressione, ma alla ricerca di una "norma/criterio" che determini la verità/falsità di un oggetto conoscitivo. Tale criterio è visto nel "valore" (donde "filosofia dei valori"), considerato indipendente dal soggetto che lo formula (Windelband p.es. è stato il primo a trattare la storia della filosofia per problemi, considerando i problemi stessi nel loro sviluppo come relativamente indipendenti dai filosofi che li pongono).

W. si pone come obiettivo quello di creare una "filosofia critica" che sia scienza delle determinazioni "necessarie e universali" del valore della "verità", del "bene" e del "bello". La filosofia cioè non ha per oggetto dei "giudizi di fatto" -come le scienze naturali- ma dei "giudizi di valore", che hanno validità normativa. Come la legge naturale non è mai un principio di valutazione, così la norma non è mai un principio di spiegazione.

W. parte da Kant, sottolineando di questi la scoperta che i principi a priori garantiscono la validità della conoscenza, il che ha distrutto definitivamente la concezione greca che credeva esterna all'uomo la realtà che permette di determinare la verità delle cose. Le categorie kantiane -dice W., chiamandole col termine "valori"- sono valori necessari e universali, aventi carattere normativo indipendente dalla loro effettiva realizzazione. A differenza però dai marburghesi, W. e Rickert cercano di applicare questa scoperta kantiana (Kant aveva parlato di valore solo nei confronti del "bene") non solo alla gnoseologia o al sapere fisico-matematico, ma anche all'estetica e all'etica, ovvero a tutto il mondo storico, senza contraddizione tra "scienze della natura" e "scienze dello spirito", che W. chiama, rispettivamente, "scienze generalizzanti" o "nomotetiche" (cioè legate alle leggi, e sono la biologia, la fisica, la chimica, la matematica, ecc.) e "scienze individualizzanti" o "idiografiche" (cioè legate alla singolarità, come la filosofia e la storia). W. e R. propongono una spiegazione della storia a partire dall'interpretazione del fatto singolo e individuale, che abbia naturalmente un valore universale.

Il valore quindi si configura come un a-priori, un "dover essere" (la rappresentazione "vera" come quella che deve essere pensata, l'azione "buona" come quella che deve essere compiuta, la cosa "bella" come quella che deve piacere), indipendente dall'oggetto, in relazione al soggetto, in grado di determinare la validità di qualsiasi tipo di giudizio e che la filosofia deve portare alla coscienza del soggetto.

In polemica con Dilthey, W. e R. affermano l'unità del sapere umano, ovvero il rifiuto di distinguere (se non a livello metodologico) le scienze della natura da quelle della cultura/spirito. La realtà indagabile è sempre la stessa, anche se cambia il punto di vista (scientifico o storico) dal quale viene considerata.

Rickert accentua però la differenza "oggettiva" dei due tipi di scienza, facendo del valore un'entità trascendente, come un essere per sé, trascendente l'attività umana.

[Rilievi critici]

In pratica questa scuola ha la pretesa di garantire al soggetto un'esperienza significativa (di valore) a prescindere dalla modalità con cui essa viene vissuta. L'esperienza infatti viene colta con le categorie a-priori, universali e necessarie, a prescindere dalle loro realizzazioni pratiche. Per il neo-criticismo il fallimento dell'idealismo hegeliano non poteva comportare il fallimento dell'uomo, né si poteva pensare di superare questo fallimento affidandosi alle certezze delle scienze naturali, che non possono soddisfare le esigenze trascendentali del soggetto. Ecco perché il neo-criticismo, pur entrando in polemica col positivismo, lo fa sino ad un certo punto, rendendosi conto che la filosofia idealistica non ha più gli strumenti per opporsi al successo delle scienze naturali, e temendo di dover rendere conto alle esigenze rivoluzionarie del socialismo. Di qui l'esigenza di conciliare a tutti i costi le scienze naturali con quelle storico-culturali. Il neo-criticismo ha avuto la pretesa di farsi carico di una riforma delle scienze storico-culturali al fine di reggere il confronto con la rivoluzione delle scienze naturali, ma non ha saputo dare alle stesse scienze storico-culturali quel carattere rivoluzionario che avevano assunto le scienze esatte indagando sui fenomeni della natura. Il neo-criticismo ha cercato di recuperare il valore della coscienza umana in un contesto che la negava, ma di fronte alla sfida del positivismo esso, non approdando all'esigenza di modificare la realtà sociale, è risultato perdente. Rickert, ancor più di W., tendeva proprio a negare la necessità di questo compito.

Il neo-criticismo è ostile anche al marxismo, ma alcuni neo-kantiani (ad es. Cohen, più tardi Bernstein) si fecero sostenitori di un socialismo fondato su quell'imperativo morale kantiano che comanda di trattare l'umanità come fine e mai come mezzo. A dir il vero, nell'ambito del marxismo, tutti i revisionisti (il revisionismo in Germania inizia negli anni '90 del secolo scorso) espressero l'esigenza di un "ritorno a Kant", collegando questi a Marx. Kant diventò così, per loro, il primo vero filosofo "socialista", il modello di una società borghese che dopo i grandi terremoti sociali del '48, ha ritrovato fiducia in se stessa, restando sì in polemica col marxismo ma continuando nel contempo ad avere i grandi ideali umanistici di libertà e uguaglianza, la cui realizzazione viene ora affidata a uno Stato considerato "neutrale", "interclassista". Questa borghesia rifiuta di accostarsi a Hegel perché ha visto che la dialettica hegeliana è diventata patrimonio del marxismo che l'ha utilizzata in chiave rivoluzionaria (accettare tale dialettica significherebbe infatti considerare la società borghese come destinata al superamento).

Il neo-criticismo si è diffuso in tutti i paesi, ma le manifestazioni più significative le ha trovate in Francia e soprattutto in Germania. In Italia l'esponente più importante è stato A. Banfi (1886-1957), che ha elaborato il "razionalismo critico".


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018