CRISTIANESIMO E DINTORNI

RELIGIONE E NO
Letture sul tema della religione e della laicità


11 - CRISTIANESIMO E DINTORNI

Vorrei ora riprendere in modo più ravvicinato (ma non esclusivo) il tema del cristianesimo, per parlare di alcuni libri che recentemente hanno segnalato una volontà da parte dei laici di opporsi alla sempre più preoccupante invadenza della religione nella sfera politica e statuale. Lascio in primo luogo da parte le distinzioni tra laici e laicisti che, riprese da uno studioso laico come Norberto Bobbio, sono state di recente elevate a pulpito giudicante da parte della gerarchia religiosa e dei laici dotati da una scarsa voglia di difendere le proprie idee e di contrastare le incursioni religiose nella vita politica, cercando di distinguere tra laici sani e altri laici (insani=laicisti?). (137) Una distinzione che ha un qualche senso solo se si vuole descrivere, per converso, la posizione di un laico cattolico, mentre il laicista sarebbe allora qualcuno dedito alla difesa delle proprie idee laiche anche contro i poteri vaticani.

Un libro che esamina la religione da un punto di vista ateo e tuttavia confinante nelle sue conclusioni con certi temi New Age, e che naturalmente ha subito attacchi pesanti da parte dei religiosi è quello di Sam Harris, La fine della fede. (138) Un testo che spazia dalla ricognizione della psicologia dei credenti, alle questioni della politica attualmente sul tappeto internazionale, ai problemi della scienza, all'analisi di costume. Un libro molto ambizioso, a tutto campo, e discretamente polemico.

Ma le critiche di Harris, che spesso raggiungono il bersaglio, sono a mio avviso indebolite dal tentativo di dimostrare che si può essere religiosi e spirituali senza religione ricorrendo, nel finale del libro, ad allusioni orientaleggianti, piuttosto che alla robustezza di un'etica laica nella versione più matura. Certo, non sembrano ormai esserci dubbi sull'efficacia terapeutica della meditazione, quale che sia la religione in cui si crede e anche se non si crede in nessuna religione. Ma qui parlo di orientamento civile dell'impianto dell'autore; il quale, tra l'altro, effettua una strana piegatura verso l'intolleranza, quando scrive che "l'ideale stesso della tolleranza religiosa – sorto dal concetto che ogni essere umano deve essere libero di credere ciò che vuole riguardo a Dio – è una delle forze principali che ci sta spingendo verso l'abisso". Messa così, l'affermazione risulta parallela e inversa all'altra osservazione critica, questa volta giusta, riferita ai credenti, i quali concorderebbero sul fatto che un'altra fede o un punto di vista diverso "non è un atteggiamento approvato da Dio". Il fatto è che l'autore non adotta il principio unico e auto consistente della intolleranza solo verso l'intolleranza.

Ma i credenti, sono capaci di tolleranza? L'esperienza quotidiana dice di sì, tuttavia esiste il problema che forze religiose di notevole potenza, come abbiamo fin qui visto, spingono in direzione contraria. Harris, invece, sembra avercela in particolare modo con i religiosi moderati perché pensano che tutto quello di cui abbiamo bisogno consista in "un semplice annacquamento dell'età del ferro". Li reputa anzi in larga parte responsabili dei conflitti religiosi attuali perché con le loro credenze costruiscono il contesto entro il quale integralismo e violenza religiosa "non possono mai essere adeguatamente contrastati".

C'è poi, al di là delle affermazioni di Harris, una considerazione poco conosciuta nel giudicare negativamente un atteggiamento moderato nei confronti della religione. In generale, viene fatta una rappresentazione corrente dell'ateo o del non credente come una persona infelice, triste e tormentata che paga un prezzo assai caro alla propria incredulità, già durante la propria vita. Una ricerca empirica non viziata da manipolazioni, condotta più di una decina di anni fa in Germania, ha mostrato che le persone strettamente osservanti vanno incontro a fenomeni di depressione più degli atei decisi, mentre l'essere semplicemente meno religiosi o aver conservato sensi di colpa nei confronti della religione abbandonata o non essersi resi del tutto indipendenti dalle chiese, induce una maggiore depressione. (139) Come dire? rimanere a metà del guado fa male alla salute. Interessante il fatto che la stragrande maggioranza (92%) degli intervistati abbia dichiarato che il proprio processo di separazione dalla religione è stato sostenuto da un aumento della conoscenza scientifica e che per una robusta maggioranza (66%) la ribellione alla "repressione dell'autodeterminazione sessuale" di stampo religioso abbia giocato un ruolo determinante. Insomma, sesso e scienza fanno male alla fede. Ma questo la religione lo sa da millenni e non è un caso che l'intervento della Chiesa su questi due temi sia continuo e martellante.

Naturalmente, Harris ritiene che non vi siano motivi perché la sfera emotiva della nostra mente non si sviluppi di pari passo con la tecnologia, la politica e la cultura. Il suo è un allarme simile a quello di Jervis perché scommette sul fatto che una tale evoluzione debba accadere "se vogliamo avere qualche speranza per il futuro". Spera nello sviluppo della scienza che, già oggi, comincia a occuparsi delle questioni spirituali e dell'etica, e auspica un approccio razionale anche per esaminare l'esperienza mistica in un ambito non dogmatico ma scientifico. Anche per lui, comunque, la risposta ai dilemmi etici risiede nella biologia connaturata al nostro cervello, tanto da sostenere che invece di parlare di libero arbitrio, sia opportuno parlare di libero veto (nei confronti delle decisioni automatiche che il nostro cervello elabora continuamente), dimostrandosi piuttosto informato sui più recenti studi di neurobiologia.

L'autore espone poi un esempio di ragionamento circolare che sarebbe alla base delle credenze, nel senso che "credere in Dio significa credere di avere qualche legame con la sua esistenza in modo che la sua stessa esistenza sia il motivo del mio credo". Un modo di pensare molto frequentato dalla teologia. L'autore sviluppa un esame discretamente efficace dei meccanismi mentali che presiedono e rafforzano l'esistenza delle credenze, i quali non interdicono un doppio comportamento: del tutto impermeabile a qualsiasi argomentazione sulla falsità di ciò in cui credono e viceversa attento ai dati di fatto e alla verifica della loro autenticità quando si tratta invece di prendere decisioni importanti riguardanti la vita quotidiana. Del resto, il fatto che "la fede abbia motivato molte persone a fare cose buone non implica che la fede di per sé sia una motivazione necessaria per giustificare la bontà".

Per fornire qualche assunto a sostegno di questa tesi, Harris fa alcuni esempi storici riguardanti le pesanti responsabilità della Chiesa cattolica a proposito di antiebraismo, di persecuzione in massa degli eretici, di pratica religiosa della tortura. Tutte cose ben conosciute da chi ha un minimo di cultura storica. Ma Harris non si limita al cristianesimo perché fa sue, in pratica, le tesi più radicali dei fondamentalisti cristiani contro l'islamismo, affermando, tra l'altro, che "Islam e liberalismo occidentale restano inconciliabili". Argomento di cui ho già parlato in precedenza.

Ora, non si può che convenire con Harris che "se vivete in una terra in cui non si possono esprimere giudizi sul re (o su chi detiene il potere), o su un essere immaginario, o su certi libri, in quanto tali esternazioni sono punite con la pena di morte, con la tortura o la detenzione, allora non vivete in un paese civile". Ma la sua ricetta per contrastare queste situazioni è la guerra permanente, ossia la stessa ricetta proposta e anche praticata dai teocon e dai cristiani rinati americani: l'isolamento economico, l'intervento militare (esplicito o segreto) o la combinazione di entrambi, seguiti da una fase di "dittatura illuminata". Harris non ha alcuna idea, o meglio, non crede nei processi di democracy building, che combinano invece l’azione e la fermezza politica, la costruzione di infrastrutture culturali, la rimozione delle strozzature economiche e sociali con il rispetto pieno dei principi della Carta dei diritti dell'uomo.

L'autore sarebbe d'accordo con la costruzione di una forza armata dell'ONU e con la costituzione di un Tribunale internazionale, che del resto c'è già, e a cui gli Stati Uniti non hanno aderito, ma ci crede molto poco. Osservo che, per fortuna, c'è anche chi, tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, come Barack Obama, dichiara che "non possiamo esportare la democrazia occupando militarmente un paese e piazzando un'urna elettorale".

Ma con una buona dose di contraddittorietà rispetto alle ricette di politica internazionale appena formulate, subito dopo l'autore attacca i teoconservatori al governo degli Stati Uniti denunciando, tra l'altro, le deliranti dichiarazioni dell'ex comandante delle truppe americane in Somalia, William G. Boykin, il quale ha sostenuto che la presenza americana ha incontrato il fallimento a causa di "un tale di nome Satana" e che certe ombre nelle immagini fotografiche scattate a Mogadiscio gli hanno rivelato la presenza "delle schiere delle tenebre... una presenza demoniaca in quella città che Dio mi ha rivelato essere nemica".

Ora, commenta Harris non è che Boykin, pericoloso a sé e agli altri, sia stato licenziato su due piedi; anzi, è stato cooptato nella compagine del Governo USA. Poi, l'autore attacca anche Antonin Scalia, giudice conservatore della Corte Suprema americana, il quale riallacciandosi alla convinzione che gli americani sono un popolo religioso "le cui istituzioni presuppongono l'esistenza di un Essere Supremo", ha aggiunto che tutto ciò "contribuisce a spiegare perché il nostro popolo sia il più propenso a capire, come fece San Paolo, che il governo impugna la spada in quanto ministro di Dio, per scagliare la sua ira contro i malfattori". Un governo ministro di Dio! Vorrei sapere dov'è la differenza culturale (se non politica) rispetto alle pretese teocratiche iraniane. La cultura della Bibbia può produrre conseguenze drammatiche, quando chi la possiede è la prima potenza mondiale con una tendenza egemonica piuttosto spiccata.

Quello che preoccupa è che, secondo un sondaggio Gallup, la grande maggioranza della popolazione americana considera l'intera Bibbia come un libro divino: il 35% ritiene che essa sia letteralmente la parola di Dio e il 48% che sia ispirata da Dio. Una convinzione che lascia più che perplessi se abbiamo presente certe efferatezze e crudeltà che sono alla base della fede nel Dio di Abramo, come nel caso del Deuteronomio (13, 1-19), di cui non sarà inutile riportare qualche passo, nella convinzione che gran parte dei cristiani (anche protestanti, nonostante tutto) la Bibbia non l'hanno nemmeno letta, almeno nella sua interezza:

"[...] Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio (3) e il segno e il prodigio annunciato succeda ed egli ti dica: Seguiamo dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, (4) tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore; perché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima. [...] (6) Quanto a quel profeta o a quel sognatore, egli dovrà essere messo a morte, perché ha proposto l'apostasia dal Signore, dal vostro Dio [...] Così estirperai il male da te. (7) Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l'amico che è come te stesso, t'istighi in segreto, dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, dèi che né tu né i tuoi padri avete conosciuti, (8) divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani da una estremità all'altra della terra, (9) tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. (10) Anzi devi ucciderlo: la tua mano sia la prima contro di lui per metterlo a morte; poi la mano di tutto il popolo; (11) lapidalo e muoia, perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. [...] (13) Qualora tu senta dire di una delle tue città che il Signore tuo Dio ti dà per abitare, (14) che uomini iniqui sono usciti in mezzo a te e hanno sedotto gli abitanti della loro città dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, che voi non avete mai conosciuti, (15) tu farai le indagini, investigherai, interrogherai con cura; se troverai che la cosa è vera, che il fatto sussiste e che un tale abominio è stato realmente commesso in mezzo a te, (16) allora dovrai passare a fil di spada gli abitanti di quella città, la voterai allo sterminio, con quanto contiene e passerai a fil di spada anche il suo bestiame. (17) Poi radunerai tutto il bottino in mezzo alla piazza e brucerai nel fuoco la città e l'intero suo bottino, sacrificio per il Signore tuo Dio; diventerà una rovina per sempre e non sarà più ricostruita. 18 Nulla di ciò che sarà votato allo sterminio si attaccherà alle tue mani, perché il Signore desista dalla sua ira ardente, ti conceda misericordia, abbia pietà di te e ti moltiplichi come ha giurato ai tuoi padri, [...].

Quello che è sicuro, leggendo questo passo della Bibbia, è che un integralista cristiano non può essere tanto scandalizzato dalle prescrizione coraniche, a proposito di apostasia. O, forse, ancora meglio, gli estremisti jihadisti possono fare delle facili chiamate di correità, storica, se non altro. La lettura della Bibbia è insomma come un virus e il suo vaccino: a leggerla e a crederci fa male alla salute, mentre si è premuniti contro la malattia leggendola e facendosene un'idea critica.

La Chiesa cattolica se la cava, con il Concilio Vaticano II (Costituzione DEI Verbum del 18 novembre 1965), riaffermando l'unità dei due Testamenti e con un gioco di parole lascia intendere che anche il Vecchio è da assumere integralmente alla luce di quello Nuovo: (140)

"16. Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo (29: il rinvio è ad Agostino di Ippona). Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1 Cor 11,25), tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica (30: il rinvio è ad alcuni Padri della Chiesa), acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano."

C'è da dire che il concetto è piuttosto contorto e interpretabile in vari modi, come sempre in teologia, specialmente nel campo cattolico, nel quale il doppio registro dell'assoluta continuità con il vecchio, che tuttavia viene svelato dal nuovo, rappresenta tuttavia quel tenue filo evolutivo che, come abbiamo visto, differenzia il cristianesimo dall'islam. Quel filo che i magisteri dei papi recenti e regnanti sembrano molto impegnati a recidere, anche attraverso retromarce attentamente studiate rispetto al Vaticano II. (141)

La critica di Harris nei confronti della religione e delle sue pretese di dominio sul comportamento di tutti gli esseri umani continua con una rassegna assai efficace, dosando il sarcasmo con la puntuale denuncia. Come nel caso della ricerca sulle cellule staminali, per cui "coloro che si oppongono alla ricerca terapeutica sulle staminali per motivi religiosi costituiscono l'equivalente biologico ed etico di una società che crede che la Terra sia piatta". In sostanza, l'autore attacca la vecchia idea riciclata dal tomismo della vita in potenza, per cui osserva sarcasticamente che "a voler considerare il potenziale di ogni cellula, dobbiamo riconoscere che ogni volta che il Presidente si gratta il naso è coinvolto in un diabolico massacro di anime". (142)

Ma Harris non si limita al sarcasmo. Affronta anche argomenti piuttosto complicati come l'esistenza di diverse comunità morali e i conflitti che ne discendono, concretamente e in via teorica. L'autore sviluppa, soprattutto in una lunga nota in fondo al libro - "per non far morire di noia il lettore medio", scrive - il confronto tra le tendenze relativistiche, pragmatiche e realistiche, per appoggiare, mi sembra di aver capito, una giustificazione empirica della morale, avendone scartato come irrilevanti anche le motivazioni evolutive. In sostanza, servendosi marginalmente del principio evoluzionistico e tagliandone fuori la componente culturale. Sicché, affrontando il tema della connessione tra amore e felicità (e dell'empatia come meccanismo neurobiologico: "in questo momento non ci interessa approfondire la questione"), il pacifismo gli appare come una falsa scelta.

Debbo dire che alcune delle sue argomentazioni e la denuncia delle contraddizioni etiche in cui si dibatte l'umanità sono molto acute. Così come non si può che essere d'accordo quando sostiene che non può essere la biologia a dettare l'etica, "perché siamo proprio noi a decidere".

Mirato maggiormente alle basi documentarie della religione cristiana e con un taglio non giornalistico è invece il libro di Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani, che ha avuto un notevole successo. (143) L'autore, come difesa preventiva agli attacchi che in effetti gli sono stati mossi all'uscita del libro, ha osservato che oggi l'anticlericalismo costituisce "più una difesa della laicità dello Stato che un attacco alla religione cristiana". Dichiarazione che condivido in pieno.

Del resto, l'anticlericalismo può esistere solo se esiste il clericalismo, il quale, in forme morbide o sfacciate, ritiene la Chiesa sovraordinata rispetto allo Stato e investita della tutela degli esseri umani, quindi, abilitata a dirigerne le scelte attraverso l'espressione del magistero ecclesiastico; nonché, attraverso lo Stato, a regolare la società civile come suprema custode dell'etica pubblica e privata. (144) Insomma a riesumare l'idea di uno Stato etico, che è una mostruosità antiliberale e liberticida, quale che sia la religione che lo persegue o tenta di favorirne l'esistenza.

Tra i tanti attacchi mossi al libro di Odifreddi, a parte i puntini sulle i messi talvolta a sproposito dagli esegeti cattolici su questa o quella interpretazione opinabile delle Scritture, quelli più curiosi e anche più volgari (un giro sul Web ne fa raccogliere a centinaia) riguardano il fatto che essendo Odifreddi un matematico, dovrebbe tornare a occuparsi della sua materia (riferisco in modo gentile gli improperi connessi). Come se esistesse una specializzazione e una competenza specifica in materia di "divinità" e ci fossero quelli autorizzati a parlarne e quelli che debbono solo ascoltare. Vecchio vizio del cattolicesimo. Come se su un tema del genere una fondata conoscenza fosse possibile.

Ma il cuore del libro di Odifreddi, dal Vecchio al Nuovo Testamento, per continuare con una parte dei dogmi, è nella critica testuale e nell'esame delle evidenti contraddizioni dei testi, spesso falsificati dalle traduzioni e adattati alle circostanze, come nel caso del Decalogo, che ha perso per strada un comandamento, nonostante l'ordine divino di non mutare di una virgola il testo. Oppure, la critica dell'autore si appunta sulle vicende pseudo storiche farcite di miracoli e di comportamenti divini non proprio consoni a un Creatore del mondo o, almeno, all'idea che se ne può fare una persona moderna e non un pastore di un'area semidesertica di millenni fa. Dalla ricostruzione delle contraddizioni e delle origini assai diverse dei primi libri della Bibbia, ai rimaneggiamenti sacerdotali successivi dei testi, l'implacabile ricognizione di Odifreddi è esposta in maniera serrata.

Comunque, per una buona rassegna delle contraddizioni e degli errori di storia in cui incorrono il Dio degli ebrei e i suoi angeli si può anche consultare sul sito Alaxemenos Il Libro che avete letto male. (145) Un'altra raccolta di testi sul Web, che tratta con molta competenza e in modo aggiornato la questione dei Vangeli, e in generale i problemi della religione, è in Homolaicus di Enrico Galavotti. (146) Un’ulteriore interpretazione laica del Vangelo, che affronta la questione di Gesù attraverso la combinazione di più discipline, è il libro di Brunella Antomarini, L’errore del maestro. (147)

La critica esegetica di Odifreddi, applicata al cristianesimo delle origini e fino agli anatemi lanciati a chi non crede all'infallibilità del Papa, e oltre, mette a nudo incongruenze imbarazzanti. Per esempio, i "dilemmi in cui ci si invischia quando si concepisce un vero Dio che si fa vero uomo e viene partorito da una vera donna, essendo per giunta già nato dal Padre prima di tutti i secoli". La quale donna, come si sa, è vergine e rimane vergine anche dopo il parto, nonostante i Vangeli (alterati dalle traduzioni) non parlassero dei fratelli di Gesù, e in senso non metaforico. Inoltre si scopre che è stata assunta fisicamente in cielo mille novecento anni dopo, secondo il dogma emanato nel 1950, anche se una tale tradizione inizia a partire dal IV secolo. Mi chiedo se il fatto che il suo catasterismo ossia la sua ascesa in cielo, a somiglianza di tanti personaggi mitici del mondo classico, sia monco della sua identificazione con un astro è perché nel frattempo c'è stato Copernico. Ma il termine di vergine usato per Maria (e questa non è di Piergiorgio Odifreddi, ma di Paula Fredriksen, affermata storica della religioni, ma ben nota anche tra i biblisti) in ebraico significa semplicemente giovane ragazza, tradotto poi nel greco vergine, appunto. Dunque un dogma fondato su un equivoco linguistico, a parte la credibilità dell'intera vicenda?

Del resto, lo stridente contrasto esistente tra la nostra morale e quella disegnata dalla Bibbia non è affatto ridotto dalla reinterpretazione che ne ha dato il Concilio Vaticano II (ancora la Costituzione DEI Verbum del 18 novembre 1965), secondo cui:

"[...] 15. L'economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1 Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1 Cor 10,11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l'uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso [corsivo mio] agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina (28: si riferisce a un'Enciclica di Pio XI). Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza". (148)

Quanto possa essere considerato giusto e misericordioso il Dio del Deuteronomio e di altri passi biblici, rimane un mistero. Certo, tenuto conto dei tempi... Insomma, la morale divina sarebbe una morale evolutiva che cambia con la storia, come è ovvio ma non ammesso ufficialmente. Poiché la Chiesa non può riconoscere un tale relativismo, è costretta ad assumere l'intera tradizione, mettendo la sordina a questo o a quell'aspetto non più presentabile, e consumando le intelligenze di schiere di commentatori nello sforzo di ridurre il potenziale eversivo (per la fede) delle contraddizioni accumulate.

Finché la Chiesa, pressata dall'avanzare della storia, non cambia l'approccio, avendo prodotto sofferenze, senza nemmeno riconoscere di aver sbagliato, se non secoli dopo e in modo molto ambiguo. Tecnicamente, questo errare si chiama “lo stare la Chiesa nella storia”. Sarebbe comunque interessante se islam e cristianità dichiarassero esplicitamente, senza troppi giri di parole, che respingono quei passi delle rispettive Scritture non più sopportabili dall'etica moderna.

Per non parlare di tutte le complicazioni successive all'avvento del cristianesimo, delle controversie anche sanguinose e, insomma, della storia della Chiesa. Impossibile ricapitolare efficacemente le argomentazioni di Odifreddi; la cosa migliore che posso fare è di rinviare alla lettura del libro come a un'esperienza da fare. Ma il punto specifico che interessa maggiormente qui è il capitolo finale, intitolato Laici e loici, perché alla fine e implicitamente si ripropone il tema delle domande iniziali di questo saggio e cioè: come mai le religioni? L'autore non pone problemi evoluzionistici, ma procede per così dire per via culturale, con l'ambizione di contribuire a colmare quel deficit di conoscenza di merito e di riflessione critica che connota, secondo tutte le ricerche sul campo, la maggior parte dei credenti. Nell'area cattolica media è assai difficile incontrare chi la Bibbia l'ha letta davvero (non le pillole ricevute dall'educazione religiosa) e che dei Vangeli, che il caso o una scelta incomprensibile ha deciso che siano quattro, abbia messo a fuoco le incongruenze. Forse l'autore eccede qua e là nel sarcasmo, il che viene immediatamente colto dai suoi critici per scantonare dalle obiezioni che muove al cristianesimo. Ma l'indignazione di Odifreddi si può capire, di questi tempi italiani di invasione massmediologica e politica delle gerarchie religiose nella vita pubblica.

Naturalmente, l'autore sa bene che non esiste argomentazione (razionale, linguistica, storica) in grado di smuovere chi ha deciso di credere e puntualmente, infatti, sono arrivate le accuse che l'autore non riesce a distinguere tra piano storico e piano della fede, la seconda – come abbiamo visto in precedenza – sottratta a qualsiasi esame di verificabilità. E poi, proprio sul piano storico, illustri esponenti religiosi e semplici credenti non fanno che chiedere: come mai il cristianesimo ha avuto successo per duemila anni? Con l'implicita risposta che solo una religione veritiera può durare tanto. Anzi, in un dibattito pubblico dello scorso anno. Fr. Raniero Cantalamessa, predicatore ufficiale della Casa pontificia, l'ha proprio messa in questo modo. Peccato che si tratti della stessa argomentazione che propongono i seguaci dell'islam. (149) Cosa dovrebbero dire poi i buddisti che vantano una maggiore anzianità?

Continuando nella nostra ricognizione dei recenti saggi contro la religione, un personaggio controverso come Christopher Hitchens ha scritto Dio non è grande. (150) Hitchens è un radicale che si schiera spesso con la destra politica, dopo essere stato un radicale di sinistra, anticlericale militante e, in particolare, avverso al cattolicesimo. Hitchens ha assunto una certa notorietà anche per il suo precedente libro La posizione della missionaria. Teoria e pratica di Madre Teresa, una documentata denuncia dei metodi e dell'uso disinvolto delle donazioni ricevute dalla suora. (151) Ma il Vaticano ha sostenuto che le accuse di Hitchens non erano basate su prove. L'autore non si è dato per vinto, sostenendo di aver ricevuto tanti e tali testimonianze a favore delle sue denunce da gente che ha conosciuto davvero i metodi e le attività di Teresa di Calcutta, da poter scrivere un altro libro, come ha ripetuto anche in una intervista, ora tradotta in italiano. (152)

Peraltro, Hitchens attacca frontalmente anche l'islamismo e i suoi esponenti, come abbiamo visto che ha fatto nei confronti di Tariq Ramadan al Festival della letteratura di Mantova. Un'analisi del fenomeno del radicalismo laico guerrafondaio - penso a Daniel Pipes (che peraltro l'autore non apprezza) e ad altri - ci porterebbe troppo lontano, ma Hitchens è un esponente di primo piano di quella linea che predica il pugno duro nei confronti dei paesi islamici, con un'dea piuttosto messianica di democrazia come bene esportabile sulla bocca dei cannoni. Del resto, è un polemista acceso, oggetto di duri attacchi anche personali, ma altrettanto sprezzante e feroce nelle sue risposte.

Ovviamente, il suo ultimo libro ha suscitato accese discussioni, anche se l'appena citato Raniero Cantalamessa, in un articolo pubblicato su l'Avvenire del 18 settembre 2007 lo ha criticato sostenendo che "della religione egli considera solo i frutti marci, mai i frutti buoni", ma che "non si può non ammirare la straordinaria cultura dell'autore e la pertinenza di certe sue critiche". Tanto da fargli aggiungere che "molti rimproveri che Hitchens rivolge ai credenti di tutte le religioni (l'Islam non riceve nel libro un trattamento migliore del cristianesimo, ciò che rivela una buona dose di coraggio da parte dell'autore) sono fondati e vanno presi in considerazione per non ripetere gli stessi errori del passato". Alla fine, però, il rimprovero risolutivo, per Cantalamessa, è che Hitchens non ha fede e che ha rinunciato a convincere per stravincere. Mi pare di capire che una critica dell'autore più in punta di piedi, più diplomatica, sarebbe stata bene accetta.

In fondo, tutta la posizione di Hitchens nei confronti della religione potrebbe essere riassumibile nella sua dichiarazione che "i critici della religione non vogliono in realtà negarne l'effetto balsamico", ossia che essa risponde ad un bisogno di consolazione e di sicurezza, ma "piuttosto intendono mettere in guardia contro la sua funzione di placebo e l'effetto bottiglia di acqua colorata". A questo proposito – oltre che Freud - cita Karl Marx e la sua famosa frase sulla religione come oppio del popolo; ma la cita integralmente, con tutto il contesto che non viene mai naturalmente riportato e che esprime un ben più articolato pensiero politico.

Tuttavia, il problema della religione - continua l'autore - si pone in modo radicale non per la sua funzione di effetto placebo, ma per il fatto che "la religione non si accontenta – e sul lungo periodo non può farlo - delle proprie straordinarie pretese e delle proprie sublimi certezze. Essa deve cercare di interferire con la vita dei non credenti, degli eretici o degli adepti di altre fedi". Per non parlare delle distorsioni che vengono generate dall’interpretazione dei fatti che accadono nel mondo attraverso il filtro religioso e che producono degli effetti tremendi sull’informazione e sulla formazione dell’opinione pubblica.

Per esempio, durante la recente mattanza nei Balcani, la stampa occidentale ha sempre parlato, a proposito di Sarajevo, di milizie serbe e croate opposte ai musulmani, per non tacere della popolazione ebraica della città. Perché mai in un caso si debba definire una popolazione in termini di identità religiosa e nell'altro tacere che gli assedianti massacratori e stupratori fossero cattolici e ortodossi, chiamandoli invece con il loro appellativo nazionale, rimane una mistero. Così come, venendo al noto caso di Salman Rushdie e della sua condanna a morte da parte dell'ayatollah Khomeini a causa di un libro, Hitchens se la prende con le autorità religiose occidentali, perché "con meditate dichiarazioni, il Vaticano, l'arcivescovo di Canterbury e il sommo rabbino sefardita di Israele assunsero tutti una posizione di simpatia verso l'ayatollah".

Il problema principale non sembrava essere la taglia messa sulla testa di un cittadino inglese dal capo di un paese straniero, ma la supposta blasfemia dei Versi satanici. (153) Oppure, si pensi al modo con cui hanno reagito all'11 settembre di New York, sul versante dell'integralismo cristiano, i predicatori Pat Robertson e Jerry Falwell, che negli Stati Uniti sono delle vere e proprie potenze, persino ascoltati dalla Casa Bianca. Tutti e due dichiararono immediatamente "che il sacrificio di tante creature era il giudizio divino su una società secolare e permissiva verso l'omosessualità e l'aborto". Insomma, siamo ai terroristi come strumento divino, mentre il nemico principale è tra noi. Del resto, l'idea di un ruolo esecutore di Satana non è affatto nuovo nella tradizione cristiana, specialmente protestante.

Il libro è ricco di informazioni puntuali sulle posizioni assunte dalle varie autorità religiose nelle vicende più orribili degli ultimi decenni e dell'odio interreligioso che a livello popolare circola abbondantemente. Hitchens sintetizza la situazione con una batteria di espressioni correnti nelle varie parti del mondo: "I cristiani e gli ebrei mangiano carne di maiale contaminata e tracannano alcol velenoso; [...] i musulmani si riproducono come conigli e si puliscono il sedere con la mano sbagliata. Gli ebrei hanno i pidocchi nella barba e bramano il sangue dei bambini cristiani per aromatizzare e insaporire il pane azzimo di Pasqua. E avanti così".

Le interferenze della religione nel caso della medicina e della salute umana sono note, ma vale la pena ricordare il caso della vaccinazione contro la poliomelite a Calcutta, dove musulmani intransigenti diffusero la favola che si trattava di un complotto occidentale per ridurre all'impotenza la popolazione; oppure la vicenda di una fatwa emessa in Nigeria secondo la quale "il vaccino antipolio era un complotto degli stati Uniti (e, sorprendentemente, delle Nazioni Unite) contro la fede musulmana"; o, ancora, il caso del cardinale Alfonso López Trujillo, presidente vaticano del Pontificio consiglio per la famiglia, il quale "avvisa con paterna sollecitudine il suo uditorio che tutti i preservativi vengono fabbricati con molti fori microscopici, attraverso i quali può passare il virus dell'Aids" (ripresa video esistente, dichiara l'autore). In questo caso il cardinale è in buona compagnia con altri vescovi africani. Del resto, non è stato forse l'allora cardinale e arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, a sostenere che l'Aids "è un castigo di Dio, evidentemente, perché prima non c'era"?. [Il Sabato del 23 marzo 1987] Un'occasione perduta, come al solito, per meditare sull'evoluzionismo e sulle continue mutazioni genetiche che avvengono sotto i nostri occhi (e talvolta sulla nostra pelle).

Per non parlare del concetto di naturalità, variamente tirato per un verso o per l'altro. Per il vescovo ausiliario di Rio de Janeiro, Rafael Llano Cifuentes "la Chiesa è contro l'uso del preservativo. I rapporti sessuali tra uomo e donna debbono essere naturali. Non ho mai visto un cane usare un preservativo in un rapporto sessuale con un altro cane". Mentre parecchi vescovi anglicani hanno sostenuto che l'omosessualità è innaturale "perché non la si riscontra in altre specie", affermazione che possono fare solo degli ignoranti totali di etologia. Per tacere del comportamento estremo delle sette di qualsiasi ambito religioso, dai fondamentalisti chassidici, ai seguaci della Christian Science, ai mormoni, ai Testimoni di Geova, a tutte le altre strane e talvolta barbariche usanze che pretenderebbero di essere rispettate in nome di non sa quale valore culturale.

Hitchens critica poi le pretese metafisiche della religione, ripercorrendo sinteticamente le vicende di un dibattito che parte dalla paradossale affermazione del padre della Chiesa, Tertulliano (e che ho sentito spesso ripetere nelle discussioni): "Credo perché è assurdo"; e arriva all'essenza della questione, al "paradosso fondamentale nel cuore della religione". "I tre grandi monoteismi – sottolinea l'autore – insegnano agli uomini a considerarsi spregevoli, quali miserabili e colpevoli peccatori prostrati di fronte a un dio irato e geloso, il quale, secondo racconti discrepanti, li avrebbe creati o dalla polvere o dal fango o da un grumo di sangue". Il tutto viene accompagnato dall'idea di essere fondamentali e centrali nel grande disegno dell'universo e dalla convinzione di avere a disposizione un dio personale. Naturalmente l'autore, a proposito di disegni, affronta anche la questione del disegno intelligente o del creazionismo, di cui ho gia parlato diffusamente, ma vale la pena rileggerne la critica in questo libro per il brio e la sagacia con cui l'autore affronta l'argomento.

Anche Hitchens, come gli autori precedenti, sottopone poi la Bibbia a un'analisi dettagliata, specialmente dei primi libri, e non c'è bisogno di sottolineare che "dobbiamo essere felici che nessun mito religioso esprima una verità", perché "la Bibbia può contenere, anzi contiene, giustificazioni per il traffico di esseri umani, per la pulizia etnica, per la schiavitù, per il prezzo della sposa, per il massacro indiscriminato, ma non siamo tenuti a nulla di ciò perché si tratta di pratiche di mammiferi rozzi e privi di cultura". Del tipo della prescrizione contenuta nei Numeri, dove il Signore si infuria perché i suoi generali hanno risparmiato troppi civili:

"Adesso, quindi, uccidete ogni maschio tra i piccoli, e uccidete ogni donna che ha conosciuto l'uomo giacendo con lui. Ma tutte le bambine che non hanno conosciuto l'uomo per aver giaciuto con lui, tenetele vive per voi". (154)

Tempo fa, c'è stata una polemica sul Corriere della Sera tra Sergio Romano e il gesuita Corrado Marucci. Il primo aveva scritto di non vedere sostanziali differenze tra la violenza presente nell'Antico Testamento e quella contenuta nel Corano. Il gesuita ha obiettato che la rivelazione divina è stata progressiva e che, in buona sostanza, quel che fa fede e che è vincolante è il Nuovo Testamento. È stato facilmente obbiettato che è piuttosto incredibile che una morale divina rivelata ammetta (anzi prescriva) prima che gli esseri umani "si sbranino a vicenda", e in seguito "dica loro che sbranarsi a vicenda è un male".

Ma anche il Nuovo Testamento è oggetto della severa critica di Hitchens, per le contraddizioni evidenti tra le varie versioni, per il fatto di essere stato scritto (assemblato) parecchio tempo dopo la morte di Cristo e da più mani; per il fatto che i primi testi sacri sono gli scritti di Paolo di Tarso e non quelli degli evangelisti; per il fatto che i Vangeli riconosciuti sono solo quattro perché... perché – così giustificò la cosa Ireneo, padre della Chiesa – "i punti cardinali del mondo sono quattro"... Del resto, qualsiasi studioso serio del Nuovo Testamento - anche quelli credenti: e magari si tratta di gesuiti o di francescani - riconosce ormai il bricolage che è stato fatto per assemblarlo e tira fuori tali ammissioni in merito che il credente comune o troppo distratto sui casi della sua religione lo riterrebbe senz'altro un eretico.

Poi tocca al Corano, che l'autore sottopone a una ricostruzione storica della sua compilazione e su cui conclude che "lungi dall'essere nato nella limpida luce della storia, come si espresse molto generosamente Renan, l'islam, nelle sue origini, è invece torbido e approssimativo come le religioni dai cui trasse i suoi prestiti [giudaismo e cristianesimo]. Ha immense pretese per sé, chiede ai suoi seguaci una sottomissione o una resa totali, ed esige per soprammercato deferenza e rispetto dai non credenti".

Ma lo stesso giudizio di costruzione attraverso un bricolage di citazioni da altri testi e di tradizioni antecedenti riguarda anche gli hadith (i detti del Profeta), che avendo raggiunto la bella cifra di circa trecentomila furono poi ridotti a diecimila da Bukhari vissuto più di duecento anni dopo il Profeta. "Siete liberi di credere – commenta Hitchens - che [...] "Bukhari [...] sia riuscito a selezionare solo quelli in grado di superare il vaglio della purezza e della genuinità".

La questione dei miracoli, il modo di formazione delle religioni (anche nei tempi recenti), fanno poi da premessa a una domanda fondamentale e cioè se la religione induce gli uomini a comportarsi meglio. La risposta dei credenti, dopo aver messo da parte la collezione delle storie del tutto improbabili che accompagnano la nascita delle religioni, sarebbe che senza la religione gli uomini "si abbandonerebbero a ogni genere di licenza ed egoismo". Facile dimostrare che così non è. Hitchens porta una serie di documentati casi contemporanei in cui la religione non è affatto servita a frenare massacri e altri delitti, senza parlare dell'intera storia umana. Per esempio, come si giustifica il fatto che "il 25% dei membri delle SS fossero cattolici praticanti e che nessun cattolico sia mai stato minacciato di scomunica per la sua partecipazione ai crimini di guerra"? Il caso Goebbels, spesso tirato in ballo, non conta, visto che la scomunica gli era stata comminata molto tempo prima. "Dopo tutto – aggiunge maliziosamente l'autore – se l'era cercata per aver commesso l'oltraggio di sposare una protestante".

Per non parlare di quanto accadde in Germania con la firma del concordato, grazie al quale la Chiesa impose al partito popolare del luogo di appoggiare il neo cancelliere Hitler. Ma riprenderò la questione dell'etica più avanti. Ovviamente, per Hitchens, nemmeno quella che lui chiama la soluzione orientale, ossia la tendenza a considerare l'Oriente come sorgente di una spiritualità più profonda e umana, è davvero frequentabile. In pagine precedenti aveva riportato l'esempio dei buddisti e dei musulmani dello Sri Lanka, che diedero ai festeggiamenti alcolici per il Natale 2004 la colpa dello tsunami dei giorni successivi.

La conclusione dell'autore è che sia del tutto corretto applicare alla religione o, almeno, alle tre grandi religioni monoteistiche, il termine di totalitarismo, definizione che condivido del tutto. Del resto fu Pio XI a sostenere che "se c'è un regime totalitario - totalitario di fatto e di diritto - è il regime della Chiesa, perché l'uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle". (155) Certo, all'epoca, il termine totalitario non era ancora carico delle tragedie umane che sappiamo, ma la pretesa di quel Papa si commenta da sola.

La resistenza della razionalità e la necessità di un nuovo Illuminismo concludono il libro di Hitchens. "Tuttavia – scrive – solo il più ingenuo utopista può credere che tale nuovo stadio di civiltà si svilupperà, come certi sogni di progresso, in maniera lineare. Dobbiamo prima andare oltre la nostra preistoria e sfuggire alle mani nocchiute che si allungano per trascinarci indietro alle catacombe, agli altari fumanti e ai colpevoli piaceri della soggezione e dell'abiezione".


137) Il termine laicista lo si incontra già nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, ma non con il significato che gli si dà attualmente.
138) S. Harris, La fine della fede. Religione, terrore e il futuro della ragione, San Lazzaro di Savena, Nuovi Mondi Media, 2006.
139) F. Buggle, K. Uhmann, D. Bister, G. Nohe, D. Pfister e W. Schneider, Risultati di un’inchiesta condotta su atei, in "UAAR".
140) Il testo integrale è sul sito del Vaticano.
141) Si veda l’articolo di Sandro Magister su chiesa.it, Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica.
142) Tommaso d'Aquino era peraltro molto più aperto e problematico dei rigoristi attuali sull’inizio della vita umana nel feto. Per lui prima del quarantesimo giorno di gravidanza non esiste ancora una forma umana, per cui nel feto non c’è né anima né umanità.
143) P. Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Milano, Longanesi, 2007.
144) P. Gobetti, La Rivoluzione Liberale, 2/26, 1923: “Da Federzoni a Mussolini l'idea di una Chiesa strumento dell'espansione italiana, custode delle tradizioni nazionali, sacra protettrice del popolo eletto é tornata ostinatamente con ingenue promesse; e sembra ricorrere con Pio XI, il Papa milanese, la nefasta illusione quarantottesca”.
145) Alexamenos.
146) E. Galavotti, Studi sul nuovo Testamento, in "Homolaicus".
147) B. Antomarini, L’errore del maestro. Per una lettura laica dei Vangeli, Roma, DeriveApprodi, 2006.
148) Op.cit.
149) Vedi in Guida all’islam.
150) C. Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, Torino, Einaudi, 2007.
151) C. Hitchens, La posizione della missionaria. Teoria e pratica di Madre Teresa, Roma, Minimum Fax, seconda edizione, 2003.
152) Matt Cherry, Intervista a Christopher Hitchens, in "Brights Italia".
153) S. Rushdie, Versi satanici, Milano. Mondadori, 1994.
154) In "La Parola".
155) Riportato in La Chiesa cattolica e il totalitarismo, Atti del Convegno: Torino, 25-26 ottobre 2001, a cura di Vincenzo Ferrone, Firenze, Olschki, 2004.


Web Homolaicus

Autore di questo testo PierLuigi Albini

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 06/09/2013