CREAZIONISTI OVVERO PASTAFARIANI

RELIGIONE E NO
Letture sul tema della religione e della laicità


2 - CREAZIONISTI OVVERO PASTAFARIANI

Nel libro di Telmo Pievani, Creazione senza Dio (12) si tenta di arginare questa pericolosa deriva creazionista (come del resto in altre opere di questo filosofo della scienza) e si giudica l'ormai più che secolare tentativo di respingere la teoria evolutiva come il frutto del timore "che il giorno in cui sarà possibile accettare davvero le origini completamente materiali del nostro corpo e della nostra mente cadranno i fondamenti non solo della fede, ma anche della morale e della convivenza civile". Dove non ci sono molti dubbi sulla caduta della fede, ma dove rappresenta una grande mistificazione, se non un vero e proprio imbroglio, la minaccia di una caduta della moralità e della convivenza umana. Anzi, vedremo verso la fine di queste letture che c'è chi rivendica una superiorità dell'etica laica su quella religiosa.

Pievani inizia il suo saggio dalla storia del reverendo inglese William Paley, il quale nel 1785 aveva messo a punto una specie di ragionamento che rappresenta l'immediato antecedente della versione contemporanea dell'Intelligent Design: la "deduzione dell'esistenza di Dio dall'evidenza di un progetto insito nel mondo". (13) Senza entrare nel dettaglio, in buona sostanza Paley svolgeva una dimostrazione inconsistente, basata su una figura retorica e su un'inferenza mentale, priva del necessario sostegno scientifico. Si trattava perciò di letteratura, che sarebbe stata persino divertente se non avesse preteso di essere teologia e scienza. Naturalmente, le versioni attuali dell'Intelligent Design debbono tenere conto di Darwin e di tutte le scoperte successive della scienza, ma l'impianto concettuale di fondo rimane quello immaginato da Paley. E pensare che Darwin stesso ci fa rivivere nelle sue opere i passaggi logici e l'accumulo di dati che non trovano altra spiegazione che in una teoria dell'evoluzione. Proprio Darwin, dapprima credente, che entra in crisi religiosa perché non riuscirebbe altrimenti a spiegare quei dati, certo influenzato anche da tragedie familiari. Darwin che annota nel 1838 in suo taccuino che "colui che comprende il babbuino contribuirà alla metafisica più di Locke".

Il nucleo essenziale del pensiero di Darwin è che "lentamente la selezione naturale, integrata dal meccanismo complementare della selezione sessuale [...] favorisce i ceppi più adatti alle circostanze ambientali e trasforma incessantemente le specie”. Come e attraverso quali meccanismi biologici ciò possa avvenire era al di fuori delle conoscenze del tempo, ma lo sviluppo successivo della biologia molecolare e della genetica ha dato non solo ragione a Darwin ma ha spiegato anche sperimentalmente gran parte di quei meccanismi.
Oggi, il punto cruciale e accertato della teoria evoluzionistica dice che non è la vita ad adattarsi alle mutate condizioni ambientali, o meglio, che un tale modo di esprimersi non è troppo preciso, perché le mutazioni, nei tempi biologici, sono continue e non finalizzate a conferire adattamenti nei confronti dei mutamenti ambientali. Sono le condizioni ambientali che, per così dire, condizionano i processi selettivi naturali nella loro scelta tra le innumerevoli varianti che casualmente si producono nel genoma. Tutto ciò avviene entro il quadro concettuale fissato da Darwin e dalla sintesi moderna, che ha ulteriormente tolto terreno alle credenze degli spiritualisti: altro che fallacia della teoria evolutiva originaria!

Per inciso, osservo che, dal punto di vista dell'efficienza, c'è uno spreco enorme di mutazioni, solo alcune delle quali superano la sfida della replicazione e della trasmissione per discendenza, trovandosi in sintonia con il mutamento ambientale avvenuto. Nel genoma c'è una stratificazione di sequenze, frutto di rimaneggiamenti adattativi e di riorganizzazioni, con parti dei geni che nel tempo hanno cambiato funzione o ne hanno acquisite altre in seguito. Insomma, si tratta più di un bricolage che di un progetto ingegneristico. Se in tutto questo meccanismo c'è una cosa che è assente, è proprio la mancanza di qualsiasi progetto, nel senso di un disegno preliminare al quale attenersi. Se c'è un'intelligenza, essa risiede in una tale ridondanza e molteplicità di mutazioni da rendere statisticamente più probabile che qualcuna di esse, in grado di conferire maggiori adattamenti a cambiamenti fisici esterni, possa dare luogo a progressivi aumenti di varietà, differenziazioni e trasformazioni. Ma i cambiamenti fisici esterni che condizionano il successo di una specie, a loro volta, hanno il loro fondamento in leggi e fenomeni naturali, a meno che non si vogliano rispolverare modelli del tipo diluvio universale o delle pestilenze come punizione divina. La qualcosa viene tuttora allegramente praticata dai fanatici e dagli ingenui di ogni religione.

Le linee guida della reattività della vita all'ambiente sono state stabilite milioni e milioni di anni fa al prezzo di innumerevoli tentativi e di massicce estinzioni di massa e di singole specie. L’idea di un disegno intelligente fa semplicemente a pugni con ciò che nella realtà è avvenuto, attraverso una specie di scommessa statistica. La vita, semplicemente, si fa, con una formidabile tenacia, attraverso una continua serie di prove ed errori, la cui arcaica molla è data dalla scoperta di alcune molecole dotate della capacità autoreplicativa e quindi in grado di avere una discendenza. In questo senso, la vita è una proprietà della materia.

Questa estromissione del sacro dall'orizzonte della nascita dell'umanità (e della sua amministrazione da parte di sacerdoti specializzati) è precisamente il punto fondamentale dell'attacco di tutte le religioni all'evoluzionismo e a una concezione naturalistica della vita. Insomma, per riprendere il testo di Pievani "con la teoria della selezione naturale qualsiasi "disegno" insito nella natura diventa per la prima volta un'ipotesi superflua sul piano strettamente scientifico, non soltanto filosofico".

L'autore ripercorre anche la storia più recente del creazionismo, a cominciare da quello promosso dai fondamentalisti cristiani del primo Novecento (per inciso, il fondamentalismo non è un'invenzione islamica, ma delle sette protestanti americane), il quale aveva una duplice base. Da un lato, un'interpretazione letterale della Bibbia (proprio nel senso della creazione del mondo in sei giorni da parte di un signore tradizionalmente barbuto e spesso iroso) e, dall'altro, il timore che senza religione sarebbero crollate le fondamenta morali della società. (14) Il primo aspetto è tuttora presente in alcuni agguerriti e vocianti ambienti antidarwinisti protestanti e nelle loro code europee (15), ma anche islamiche; il secondo è comune, oltre che a tutti gli antidarwinisti, anche ai cosiddetti laici devoti, a quelli cioè che vedono nella religione, pur non credendoci, un fattore di stabilizzazione del potere e della società. Tutti questi signori combattono, in buona sostanza, per una visione del mondo che non abbia molto a che fare con Darwin, con Einstein, con l'astrofisica e con la genetica, e soprattutto, in Italia, con una democrazia liberale e progressista.

In modo molto chiaro, l'autore esamina poi le strategie usate dagli antievoluzionisti e le "prove" che esibiscono circa la fallacia della teoria darwiniana.

La prima consiste nell'affermare che la selezione naturale non è mai stata provata empiricamente, per poi portare immediatamente la discussione sul terreno ideologico. Senza naturalmente tenere conto delle lista sterminata di fenomeni studiati in laboratorio e sul campo. Per disgrazia degli antidarwinisti di questo tipo, la lettura del codice genetico umano, l'osservazione della riproduzione dei batteri o del moscerino della frutta (16), nonché l'ingegneria genetica e persino l'emergere di nuovi ceppi virali hanno invece dato una base sperimentale definitiva alla teoria evolutiva. (17) Una variante di questo filone antidarwinista sostiene che la selezione naturale può al massimo agire come filtro negativo.

La seconda posizione antidarwinista cerca di portare degli argomenti contrari strumentalizzando le controversie interne al campo evoluzionistico. Se discutono tanto, dicono questi antievoluzionisti, allora la teoria non funziona e allora è bene che sia insegnata anche una spiegazione alternativa all'evoluzionismo. Ora, scambiare la discussione su alcuni punti specifici – pur sempre dentro il paradigma evoluzionistico – come una debolezza della teoria, sarebbe come se, essendoci ancora discussione sulla struttura iniziale e finale dell'Universo o sull'esistenza della materia oscura, allora sarebbe bene insegnare anche il sistema tolemaico come possibile alternativa.

Naturalmente, sul nostro variegato pianeta c'è anche chi sostiene quest'ultima posizione. Chissà perché chi afferma che la Terra è piatta viene deriso, mentre chi dice che le specie sono sempre uguali a se stesse fin dalla "creazione", dovrebbe godere dello statuto di "un'altra ipotesi possibile", talvolta persino sostenuta da decisioni istituzionali, come in alcuni noti casi avvenuti negli USA.

La terza posizione consiste nel prendere un aspetto della complessa teoria evolutiva, ingigantirlo e deformarlo – come di solito fanno alcuni esponenti della Chiesa cattolica. Per esempio, affermando che noi non "siamo tutti figli del caso e di una storia senza senso". Aggiungendo che l'evoluzionismo, come qualsiasi riferimento alla scienza, diventa "scientismo" se viene preso a base di riflessioni a più ampio raggio. Questa terza posizione si arricchisce di volta in volta di affermazioni peregrine che cercano di minare la teoria dell'evoluzione dall'interno del suo quadro concettuale. Su l'Avvenire del 22 gennaio 2004, è apparso un articolo secondo il quale "la scoperta del DNA è un forte ostacolo alle ipotesi del cambiamento evolutivo". Ricordo che l'Avvenire è il giornale dei vescovi italiani. Non fa nulla se l'effetto di ciò che è avvenuto nella scienza - la scoperta del DNA e la mappatura del genoma umano - ha prodotto esattamente il contrario, tanto da poter ricostruire proprio attraverso il DNA la storia evolutiva delle specie: intanto l'affermazione può essere ripetuta e circolare come una delle tante leggende metropolitane.

In buona sostanza, tutte le varianti dell'Intelligent Design non tengono in conto alcuno la biologia evolutiva e lo specifico modo di procedere della scienza. Tutti i tentativi di spiegazione non darwiniana della vita, anche quelli compiuti da rari studiosi di discipline scientifiche, sono miseramente crollati sotto il peso di contestazioni di merito. Gli antidarwinisti "non sono insomma riusciti a condurre a loro favore un solo esperimento scientifico, non hanno proposto alcune teoria scientifica, non hanno dedotto una sola formula o teorema, non hanno proposto alcuna teoria scientifica degna di questo nome in alcun campo affrontato. Non sono riusciti a escogitare una sola congettura o ipotesi alternativa per dirimere questioni ancora controverse". E poi, aggiunge Pievani, anche se tutte le ricostruzioni evoluzionistiche attualmente esistenti fossero per assurdo errate, perché mai dovremmo ricavare da ciò una dimostrazione di un qualche intervento divino?

Comunque, osservo che il problema del creazionismo non è un affare interno al mondo occidentale e alle varie tendenze della religione cristiana. Ha fatto recentemente scalpore l'inondazione delle università americane di un testo redatto da Adnan Oktar (pseudonimo di Harun Yahya), con il titolo Atlante della creazione. Si tratta di un voluminoso e lussuoso libro che parecchi scienziati si sono ritrovati nelle cassette postali, nel quale sembra che si sostenga che tutte le creature esistenti sono perfettamente uguali ai resti degli animali fossili fin qui rinvenuti [New York Times del 17 luglio 2007]. (18) Perciò, afferma Yahya, l'evoluzionismo sarebbe una teoria inconsistente, che è peraltro contraddetta dal Corano.

Il problema non è solo come si possano scrivere e sostenere simili stupidaggini, ma è soprattutto il poderoso apparato finanziario che ha reso possibile la stampa e la spedizione mondiale gratuita di migliaia di copie di un testo che, secondo chi l'ha ricevuto, non può costare meno di 100 dollari. Mi sembra evidente che si tratti di un'offensiva creazionista islamica sostenuta da ambienti che dispongono di parecchio denaro, la cui provenienza è per ora un mistero. L'autore turco non si è limitato a questa iniziativa, perché attraverso numerosi altri scritti sembra avere un discreta influenza nell'area islamica. L'Atlante è peraltro scaricabile in formato .pdf e .word e nel suo sito Harun Yahya sostiene, senza alcun accenno di ilarità che "il darwinismo è da molto tempo defunto come punto di vista scientifico" e che "questo grande errore è basato sull'inadeguato livello che la scienza aveva nel secolo XIX".

È davvero stupefacente come si possa sostenere l'esatto contrario di fatti documentati, comprovati, noti ad un largo pubblico e interpretati in modo univoco dalla quasi totalità della comunità scientifica. Ma il punto forte a cui si appoggia il nostro ineffabile autore, come osserva il biologo Kenneth R. Miller, consiste nel descrivere "l'evoluzione come una parte integrante dell'influenza corruttrice dell'Occidente sulla cultura islamica".

Naturalmente, nella misura in cui Harun Yahya ha una certa influenza, ciò contribuisce a tenere fuori il mondo islamico dallo sviluppo della scienza. Però le sue scriteriate teorie non vanno sottovalutate, perché tentano di fare leva – con un certo successo - su un sentimento assai diffuso di rancore e di frustrazione esistente tra quelle popolazioni nei confronti dell'Occidente, come vedremo più avanti. Del resto, lo stupido integralismo religioso è una malattia assai diffusa, in particolare, negli Stati Uniti e, minacciosamente, anche in Europa.

Tornando a Pievani, visto che proprio grazie al vento americano e ai suoi fondamentalisti cristiani - che hanno peraltro ancora al potere un loro saldo alleato (Bush) - l'Intelligent Design ha trovato orecchie non distratte anche negli ambienti vaticani, l'autore ne esamina le diverse varianti.

La prima aggiorna gli argomenti del già citato reverendo Paley, affermando che le meraviglie della natura sono tali che non è possibile copiarne le prestazioni. La seconda afferma che l'Universo è il prodotto di esseri umani superiori o di un'intelligenza artificiale ultrapotente; per inciso, riprendendo un racconto di Isaac Asimov del 1956, L'ultima domanda. (19) La terza apporta alla precedente la variante che i creatori sarebbero intelligenze non umane. La quarta esce dalla fantascienza e vira decisamente verso la metafisica, per cui il mondo sarebbe il prodotto di una intelligenza divina, sospendendo così tutte le leggi della fisica.

Ma se proprio vogliamo insistere su una di tali soluzioni come base o conseguenza della scelta soggettiva di credere allora – aggiungo – che cosa impedisce di dichiararsi pastafariani, un'alternativa che ha la stessa dignità logica dell'Intelligent Design? Per protestare contro una decisione del Consiglio per l’istruzione dello Stato del Kansas di permettere l’insegnamento del creazionismo come teoria alternativa all’evoluzionismo, avente la stessa dignità scientifica, un gruppo di cittadini ha creato una parodia di religione con il nome di Chiesa del Mostro degli Spaghetti Volante (pastafariani, per l’appunto), che ha avuto una discreta diffusione su Internet e che pretende anch’essa lo stesso trattamento del creazionismo. (20) Il “profeta” dei pastafariani, il fisico Bobby Henderson, ha inviato al Consiglio del Kansas una lettera aperta chiedendo formalmente che sia ammessa all’insegnamento anche questa variante dell’Intelligent Design, informandolo tra l’altro (con tanto di grafico allegato) di avere scoperto l’esistenza di una correlazione statistica inversa, dal 1800 a oggi, tra la diminuzione del numero dei pirati e l’aumento del riscaldamento globale, nonché dei terremoti e degli uragani. Si tratta di una correlazione non più stravagante di tante altre contenute nella propaganda dei creazionisti. Come dire: creazionismo per creazionismo, allora perché non questo? Tanto più che la nuova religione ha già prodotto una setta dissidente. Del resto, di religioni nuove ne nascono di continuo o per scherzo o spesso prendendosi sul serio, come nel caso di Scientology e di altre.

Come ho già accennato, ci sono studiosi che hanno cercato di dare un fondamento "scientifico" alle loro obiezioni al darwinismo e le cui tesi, nonostante successive smentite, continuano ad essere moneta corrente tra i ripetitori di terza e quarta mano. Per esempio, Michael J. Behe, biologo molto contestato dai colleghi, ha proposto l'idea di una complessità irriducibile del mondo. Come è possibile che una tale complessità sia il frutto di "meccanismi" naturali casuali e di piccole modificazioni successive? – si è chiesto Behe. Le sue tesi sono state riprese in Italia dal solito Avvenire del 29 settembre 2005 in una intervista, ripetuta il 7 luglio 2007. (21) Tutto ciò nonostante il biologo John McDonald avesse distrutto in un articolo di due anni prima l'argomento della complessità irriducibile.

Behe non vuole confondersi con i fondamentalisti creazionisti, ma afferma che alcune parti della Natura sono così complesse che sarebbe più razionale supporre un intervento intelligente. L'errore di Behe consiste nel credere che un evento molto improbabile non possa, in quanto tale, accadere per caso.

Ora, qualsiasi statistico potrebbe smentirlo. Infatti, "eventi estremamente improbabili si verificano per caso in qualsiasi momento". Peraltro, in Behe la complessità non viene mai definita se non associata alla improbabilità, contro tutta la teoria dell'informazione che dice esattamente il contrario. In questo modo egli si caccia in un vicolo cieco perché, se si vuole continuare con i giochetti logici di cui è ricca la sua esposizione, allora andrebbe anche detto che "se l'improbabilità della vita è segno di un disegno intenzionale, deve esserci stato un sommo progettista di qualche tipo; un'entità tanto potente dovrebbe essere massimamente complessa e, dunque, massimamente improbabile". Con ciò Behe avrebbe dimostrato l'impossibilità dell’esistenza di Dio! In effetti, nella teoria dell'informazione "un sistema irriducibilmente complesso è... un sistema caotico, privo di ordine e di regolarità, cioè qualcosa di diametralmente opposto al prodotto di un disegno intelligente." Oppure, anche, all’esistenza di un Ordinatore massimamente ordinato per definizione.

Un altro emulo di Behe è William A. Dembski, il quale ha inventato una quarta legge della termodinamica che sbocca alla fine negli arcinoti (in teologia) "processi causali non fisici", delineando peraltro una griglia matematica stravagante che possiede un'alta classe di fattori probabilistici. (22) "Volereste su un aereo progettato da Dembski"? – si chiede ironicamente Pievani, accusandolo di tentare di dimostrare matematicamente l'esistenza di Dio. Tentativo peraltro non nuovo nelle cronache filosofiche. In seguito Dembski ha cambiato idea sostenendo che forse "l'architetto della natura [...] è una civiltà avanzata extraterrestre che agisce nel bene e nel male". Ma le sue tesi originarie continuano naturalmente a circolare.

Per concludere questa parte della rassegna, l'autore osserva che "una spiegazione alternativa [all'evoluzionismo] deve non soltanto rendere conto dell'intera gamma dei fenomeni compresi nella teoria dominante (e possibilmente qualcuno in più), adottando meccanismi non riconducibili ai precedenti, ma deve anche assumersi l'onere della prova empirica e della coerenza logica". Requisiti che nessuna delle posizioni sostenitrici dell'Intelligent Design possiede.

Il fatto è che il contesto nel quale fiorisce l'antidarwinismo dichiarato o subdolamente somministrato (ricordiamoci del tentativo di cancellare la teoria dell'evoluzione dai programmi scolastici da parte del Ministro della Pubblica istruzione Letizia Moratti), nasce anche dai reiterati tentativi di svalutazione della scienza per opera di molta filosofia postmoderna e dalla rivendicazione di una pluralità di scuole di pensiero. Un argomento, quest'ultimo, "di apparente democrazia che nasconde un sopruso, una violenza perpetrata nei confronti delle giovani generazioni". Per farla breve, se c'è una persona la quale sostiene che 3+2 fa 6, non per questo ha diritto a un trattamento paritario con chi non sbaglia le addizioni. La tesi che tutto è interpretazione, ossia soggettività, e che le soggettività si equivalgono è un'astratta elaborazione filosofica, tratta da una cattiva rimasticatura delle stranezze esplicative della fisica più recente e degli approdi nuovi a cui è giunta la neurobiologia, ma che diventa un'idiozia applicata al funzionamento ordinario del mondo da noi percepito. (23)

Il punto essenziale è che una teoria scientifica non ha alcun bisogno di essere sdoganata da vescovi, rabbini, ayatollah e dintorni laici. Nemmeno dalla pretesa dell’attuale Pontefice di frequentare una ragione più estesa di quella strettamente scientifica. Perché si può ragionare su tutto, anche su ciò che è indimostrabile, ma non per questo si frequenta un discorso di verità più consistente. Del resto, anche i programmi di ricerca non hanno alcun bisogno di essere approvati da teologi e bioteologi. La scienza procede con le sue regole di discussione, di sperimentazione, di verifica e se ha conseguenze filosofiche che non piacciono, "non per questo smette di essere valida". L'indifferenza della scienza agli aspetti filosofici e religiosi è tale, che vale anche il suo corollario di piena autonomia metodologica, oltre che di libertà. Casomai, la discussione si può spostare sulle relazioni tra scienza e società, ma la religione non ha nessun titolo preferenziale per discuterne. Se "da Darwin in poi non è più necessario ricorrere a alcuna trascendenza per spiegare la natura umana", ciò vuole semplicemente dire che egli ci ha offerto l'opportunità di poterne fare a meno non con elaborazioni filosofiche e narrazioni letterarie, ma con argomenti scientifici. Il che non vuole dire che abbia dimostrato l'inesistenza della trascendenza, ma che nel caso in specie essa è un'ipotesi del tutto superflua. Le ragioni della fede vanno insomma cercate altrove, se uno le vuole proprio cercare, ma non possono sostituirsi a ciò che la scienza ci va man mano dicendo.

Tutto questo è stato vero per la struttura del sistema solare, come per la medicina, come per gli altri campi indagati dalla scienza moderna. Sui quali magari, spesso e volentieri, i teologi si sono esercitati nel passato. Ora, è proprio questa necessità di retrocedere dalle spiegazioni fin lì indebitamente somministrate che non viene accettata dalle religioni, perché il metodo scientifico e i suoi risultati non solo mutano la visione del mondo, ma separano le questioni di fatto dalle questioni di valore. Queste ultime, in forza della precedenza ignoranza dell'umanità, sono state disgraziatamente connesse fortemente a un'interpretazioni dei fatti del tutto sbagliata. D’altra parte, se qualcuno crede che la Terra sia piatta "perché così la concepisce la Bibbia, il sapere con certezza che non è così, influisce o no sulla sua fede"? – si chiede l'autore.

Non c'è dubbio che la scienza eroda, con il suo stesso processo, le convinzioni religiose. Esse hanno due strade per sopravvivere: o negare la scienza oppure fornire una nuova interpretazione della loro tradizione e dei testi sacri. La seconda soluzione è stata quella più seguita con le interpretazioni allegoriche e simboliche delle affermazioni contenute nei testi religiosi, associata ad un'azione di resistenza alle novità scientifiche. Ma questo procedimento ha un limite nell'enorme espansione della scienza moderna che scandaglia ormai aspetti e modalità delle stesse credenze, come abbiamo visto parlando del libro di Dennett. Ma c'è una terza strada: quella di adottare una doppia verità. Essa, di fatto, è quella più praticata da molti credenti, i quali fanno convivere tranquillamente comportamenti e valutazioni del tutto opposte in ordine agli stessi fenomeni, e che porta gli individui a costruirsi una religione su misura; fenomeno definito dai commentatori come uno scisma silenzioso. Orientamento decisamente combattuto dalle chiese ufficiali e dai religiosi di qualsiasi credenza, ma che dal punto di vista del comportamento pratico può dare risultati migliori di una stretta osservanza religiosa. Del resto, quale religione costituita sopravviverebbe a un'impostazione che non assumesse “alcuna presa di posizione, dogmatica e aprioristica – circa la realtà del mondo naturale - e che a maggior ragione non trae[sse] conseguenze di ordine morale e sociale da tali assunzioni?”.

Rimane il fatto che c'è contrasto tra fede e scienza, se la prima pretende di parlare di cose che la scienza è in grado di spiegare seguendo i propri criteri. Il cardinale Camillo Ruini nel suo ultimo discorso come presidente della Conferenza episcopale italiana a proposito di Ragione, le scienze e il futuro della civiltà, commentando la teologia di Ratzinger, ha dichiarato: "Egli è però pienamente consapevole non solo che questo genere di considerazioni e argomentazioni vanno al di là dell'ambito della conoscenza scientifica e si pongono al livello dell'indagine filosofica, ma anche che sullo stesso piano filosofico il Lógos creatore non è l'oggetto di una dimostrazione apodittica, ma rimane "l'ipotesi migliore", un'ipotesi che esige da parte dell'uomo e della sua ragione "di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell'ascolto umile". (24)

Insomma, occorrerebbe rinunciare ad una posizione di dominio (che vuol dire, traducendo la semantica del cardinale, la rinuncia a far funzionare l'autonomia della ragione) per porsi ovviamente sotto il dominio di chi amministra quell'ascolto umile, ossia della gerarchia religiosa. Mi chiedo quanto sia umile pensare che l'intero universo (alcune centinaia di miliardi di galassie, nel solo universo osservabile con il telescopio Hubble) sia stato creato solo perché su un remoto pianeta potesse svolgersi la storia umana. Va bene che alcuni esponenti della specola vaticana hanno ammesso che potrebbero esserci altre forme di vita nell'Universo, le quali potrebbero avere avuto anche loro il messaggio divino, ma non mi pare che la questione sia entrata nel magistero ecclesiastico con le dovute conseguenze. E poi penso che una teologia spaziale sia piuttosto ardua da creare, in assenza di dati di fatto. Per quanto, come sappiamo, la fantasia umana non ha limiti, soprattutto a proposito di religioni.

Il punto critico di tutta la faccenda non sta nel rapporto astrattamente considerato tra scienza e fede, nel quale molti tentano di infilare l’idea che la scienza, tutto sommato, sia anch’essa una fede. Ma anche l’assurda affermazione, spesso ripetuta, che l’ateismo sarebbe una metafisica, anzi una forma di metafisica asseverativa, per la quale non può essere tirata in ballo la scienza. (25) Ora, è del tutto evidente che si può essere credenti e assumere nel contempo un punto di vista scientifico sull’universo. Già, ma credenti in cosa?

Perché un conto è ritenere che, alla fine o al principio di tutto, ci sia una qualche indicibile e inconoscibile divinità immanente, una specie di teoria del tutto, ma che – per il resto – l’universo sia regolato da leggi. (26) È la cosiddetta ipotesi Dio sulla quale la scienza non ha nulla da dimostrare o da non dimostrare, anche se Dawkins, come vedremo, sostiene che si tratta di un’ipotesi impraticabile dal punto di vista della complessità e della probabilità. Ma, secondo il mio parere, non ha nulla da dire tanto più la teologia. Per quale dannata ragione un cosa supposta inconoscibile dovrebbe essere conosciuta da qualcuno sulla base di argomentazioni prive di riscontro? E, infatti, quando si arriva al dunque si solleva immediatamente la cortina del mistero e la tautologia della fede.

Un altro conto, poi, è credere in una religione organizzata coi suoi enormi apparati di credenze, di riti, di miracoli e di miti che servirebbero a stabilire dei rapporti con divinità e sottodivinità personali, dedicate a interferire sul regolare funzionamento dell’universo e della vita. Una macchina immaginaria, insomma.

In altre parole, mentre l’ateismo non è in contrasto con la scienza, anzi tende ad utilizzarne i risultati (talvolta forzandone il senso), questa macchina immaginaria lo è. Perciò, classificare un pensiero naturalistico come avente lo stesso fondamento della teologia significa semplicemente proporre l’equivalenza di due opposti modi di pensare il mondo, di cui uno è indimostrabile mentre l’altro, nel peggiore dei casi, è almeno probabile e, comunque, aperto verso l’ampliamento delle conoscenze umane. Anzi, questa posizione di equidistanza rappresenta la forma più inconsistente e inaccettabile di relativismo. Peraltro, questo tentativo di equiparazione tra due approcci di pensiero è esattamente ciò per cui si battono i credenti nell’Intelligent Design e i fondamentalisti in genere. Più intelligente, la Chiesa ufficiale pretende almeno che le sue verità appartengano ad una sfera diversa; lasciamo stare che dica anche trattarsi di una sfera superiore.

Lo scontro tra scienza e fede è insomma destinato a durare: si tratta di uno scontro "tra una ragione critica e fallibile, che non smette mai di cercare e di porsi nuove domande, e una ragione dogmatica che trova nell'autorità ogni risposta"; o la risposta ultima.

Che cosa si intende per ragione critica è bene illustrato da un libro del filosofo e biologo Francisco J. Ayala, Le ragioni dell’evoluzione, nel quale l’autore dà qualche ragguaglio su come e perché iniziò la carriera scientifica, su quali sono i problemi aperti dell’evoluzionismo (e quelli risolti, nonostante il vociare dei creazionisti) e, infine, che cosa si intende per metodo scientifico. Una rara combinazione di riflessioni e spiegazioni che è difficile incontrare in un libro così accessibile dal punto di vista della lettura. (27) L’autore, da giovane, era rimasto talmente affascinato dai libri del gesuita paleontologo Theilard de Chardin che decise di studiare l’evoluzione. Arrivato a New York per fare il dottorato (Ayala è spagnolo) ebbe la fortuna di avere per maestro Theodosius Dobzhansky, il primo a assegnare (nel 1937) “alla genetica un ruolo fondamentale nella comprensione dell’evoluzione”, fino ad allora appannaggio dei naturalisti. Ayala venne attratto soprattutto da quello che definisce il mistero della diversità e, contrariamente a quanto si pensava all’epoca (siamo negli anni sessanta), dimostrò che “la presenza di maggiore variabilità genetica in una popolazione permette a questa di evolvere più rapidamente”. Tutto il contrario delle sballate teorie razziste e degli autolesionisti allarmi sul mescolamento delle popolazioni umane.

I suoi successivi studi di parassitologia, in particolare della malaria, lo portarono a confermare la tesi di un medico italiano secondo il quale il parassita della malaria era stato da sempre presente negli esseri umani ma che solo da cinque o seimila anni una mutazione genetica in una specie di zanzara anofele l’avevo reso maligno. Insomma, come nel caso dell’Aids, si trattava di un evidente caso di mutamento evolutivo avvenuto sotto i nostri occhi (e sulla nostra pelle). È a questo punto che l’autore entra nel merito dell’evoluzionismo chiarendone il significato e le conseguenze, servendosi anche dei risultati di ricerche di laboratorio effettuate su vari organismi. La sua definizione è netta: “la documentazione fossile dimostra che la vita è evoluta a casaccio”. E questo per la precisa ragione che “le radiazioni, le espansioni, le staffette di una forma con un’altra, le tendenze sporadiche ma irregolari e le estinzioni onnipresenti sono spiegabili tramite la selezione naturale di organismi soggetti ai capricci delle mutazioni genetiche e alle sfide ambientali”. Insomma, “il caso è […] parte integrante del processo evolutivo”. Precisamente quel caso che scandalizza tanto gli ambienti ecclesiastici. Naturalmente, non si tratta solo di caso ma di un intreccio in cui il “caso e la necessità [sono] congiuntamente implicati nella materia della vita”; [sono] la casualità e il determinismo intrecciati in un processo naturale cha hanno elaborato le più complesse, diverse e belle identità dell’universo”.

Ma se il caso entra nel processo evolutivo non si può tuttavia pensare a un processo casuale, come fraintendono i religiosi, perché la selezione naturale “sviluppa l’adattamento selezionando combinazioni che hanno un senso, ossia che sono utili agli organismi”. C’è in tutto questo una teleologia – ossia, un fine, uno scopo - termine guardato con sospetto dagli scienziati per gli usi e gli abusi dea teologi e dei filosofi? Intanto non esiste alcun indizio di fenomeni del tipo forza vitale o energia immanente, su cui continuano ad esercitarsi tanti seguaci della New Age, ma non solo. La teleologia della natura può essere benissimo spiegata, a partire dall’opera grandiosa di Darwin, “come il risultato di leggi naturali che si manifestano attraverso processi naturali”. La qualcosa non venne da subito tanto combattuta dai religiosi a causa del meccanismo evolutivo chiamato in causa (che può essere benissimo accettato) ma perché “il meccanismo casuale, la selezione naturale, escludeva Dio come spiegazione per l’ovvio progetto degli organismi”.

Insomma, se la teleologia non implica consapevolezza della direzione futura da parte di un organismo e nemmeno l’intervento progettuale di un agente attivo esterno, allora può persino essere utilmente impiegata in biologia – secondo l’autore - perché in senso generico “le spiegazioni teleologiche sono quelle spiegazioni in cui la presenza di un oggetto o di un processo in un sistema viene spiegata mostrando il suo collegamento con uno specifico stato o proprietà del sistema, alla cui esistenza o mantenimento contribuisce l’oggetto o il processo”.

Dopodiché, l’autore dedica alcune pagine a spiegare in quali categorie di fenomeni biologici possono essere appropriate le spiegazioni teleologiche, nel senso tecnico e non filosofico appena definito. Tutto questo guardandosi bene dal cadere – precisa l’autore – nello stesso errore compiuto dalle “filosofie evoluzionistiche di Bergson e di Theilard de Chardin” e varianti, “perché sostengono tutte che il cambiamento evolutivo procede lungo determinati sentieri”. Una cosa che non si può fare, almeno allo stato delle attuali conoscenze, è di prevedere l’evoluzione dell’evoluzione. Ma se non sappiamo dove andiamo sappiamo sempre meglio da dove veniamo. Il resto può essere elaborazione filosofica, speculazione parascientifica oppure fantasia.

Uno dei capitoli che serve a chiarire bene qual è la differenza profonda tra un pensiero critico e un pensiero dogmatico (o, se si vuole, una razionalità estesa, come l’ha definita Benedetto XVI a Ratisbona), tratta del metodo scientifico, della sua pratica e dei suoi errori. Parto da quella che è una conclusione importante che appartiene a tutti gli scienziati: “le ipotesi scientifiche possono essere solo accettate in modo contingente, poiché la loro verità non può mai essere stabilita definitivamente”. Naturalmente, un filosofo alla ricerca dell’assoluto, delle certezze granitiche, delle prospettive eternamente stabilite si trova subito a disagio con una simile affermazione. Ma poi ne trae la conclusione che quindi la scienza è fallibile e transitoria e, nel caso delle versioni più sbrigative e volgari, può aggiungere che quindi non bisogna darle troppo retta e che per la ricerca della Verità bisogna rivolgersi altrove.

Si fa forte, il nostro filosofo o anche teologo, della scomodità, dell’incertezza, della precarietà che un simile approccio induce nella mentalità corrente, nella nostra pigrizia e nel nostro bisogno di punti di riferimento solidi e dati una volta per tutte. Il nostro scienziato gli dice: “procediamo di gradino in gradino, per prove ed errori, come l’evoluzione, e poi vediamo come va a finire. Il futuro non è dato e può darsi che le riposte che abbiamo dato a un nostro interrogativo domani non tanto non saranno più valide, ma saranno considerate incomplete o parziali, superate o aggiornate da una nuova risposta che si colloca ad un più elevato livello di conoscenze”. Il nostro teologo (perché è più di lui che del filosofo che sto parlando) gli risponde: “ah, no! abbiamo bisogno di certezze, di convinzioni non transitorie ma eterne, di sicurezze, e se tu non me le puoi dare, allora la tua non è una Verità, per cui ti dico ora io qual è questa Verità, abbandonando la miseria dei tuoi problematici interrogativi”. In politica, questo atteggiamento del teologo si chiamerebbe populismo; ossia, il solleticare gli istinti e le tendenze più diffuse facendo finta di avere in tasca una soluzione.

Così, il nostro teologo si dedica alla costruzione di un gigantesco e rilucente edificio – ancorché pieno di crepe interne - basato su ipotesi indimostrabili, non falsificabili, su ragionamenti circolari che però accarezzano la nostra inquietudine biologica e culturale. Scorciatoie, insomma. Necessarie però all’umanità per non cadere nella disperazione, può aggiungere un qualche ateo, ma devoto perché realista. Può darsi, osservo, ma non per questo quelle scorciatoie sono più vere; caso mai possono avere una certa efficacia, in determinate circostanze, come una sorta di effetto placebo. Tuttavia, occorre sempre ricordarsi che non è il placebo che guarisce ma è la nostra reazione bio-psicologica a una presunta medicina, che infatti medicina non è. Basta crederci, certo. Per le più svariate ragioni: perché ci hanno educato così, perché è opportuno dal punto di vista sociale, perché è meno faticoso, perché se non ci si aggrappa a qualcosa, a qualsiasi cosa, la vita appare priva di senso, e così via. Però, cosa c’entra tutto questo con la Verità? Ne riparlerò nel prossimo capitolo.

Invece, la verità che distingue la scienza, quel sapere (nel senso di saperlo davvero e non presuntivamente) che contraddistingue una ricerca faticosa i cui risultati siano comprovabili, influisce davvero sulla vita dell’umanità e in modo talmente profondo e tanto drasticamente come nessun altro tipo di sapere può fare – osserva Ayala. Per lui i caratteri distintivi di un tale sapere sono: i.) la ricerca sistematica di una conoscenza del mondo; ii.) lo sforzo di spiegare perché gli eventi osservati avvengano effettivamente; iii.) la controllabilità e la possibilità di replicare ad opera di terzi le prove empiriche prodotte, cosicché “un’ipotesi che non possa essere rifiutata con l’osservazione e l’esperimento non può essere considerata scientifica”. Storicamente, sono stati vari i metodi e gli approcci per fare scienza. Si è andati dal metodo induttivo, a quello ipotetico-deduttivo e varianti, ma esistono oggi dei criteri di demarcazione assai severi per ritenere vere una ipotesi o una teoria: i.) se sono contraddittorie dovrebbero essere rigettate; ii.) se non hanno valore esplicativo, cioè se non forniscono la spiegazione dei fenomeni osservati, non hanno alcuna validità; iii.) debbono essere confrontate con quelle esistenti per controllare se rappresentino un miglioramento o un completamento delle nostre conoscenze; iv.) le loro previsioni debbono essere confermate se, applicate al mondo dell’esperienza, “sono in accordo con quello che viene effettivamente osservato”. In conclusione, “un’ipotesi, che non è soggetta alla possibilità di falsificazione sperimentale, non appartiene al regno della scienza”. (28) Ayala passa poi ad esaminare vari casi di successo del metodo scientifico, ma anche i tradimenti che hanno prodotto effetti abnormi: come per esempio il caso famoso di Lysenko nell’Unione Sovietica. (29) Un ammonimento a tenere la scienza in stato di libertà.

Quello della scienza è un rigore interno che si salda a una conoscenza effettiva del mondo, quale noi lo vediamo e anche per la parte che non percepiamo, e che trova la conferma nella verifica di corrispondenza con ciò che effettivamente accade fuori di noi (e, sempre di più, con le neuroscienze, anche dentro di noi). Non siamo inermi persino quando quel che non percepiamo, ma di cui abbiamo notizia attraverso apposite strumentazioni, siamo costretti a interpretarlo in modo strano, come nel caso della meccanica quantistica. Possiamo utilizzare queste stranezze per fare operazioni. Sì, i nostri sensi ci possono ingannare; certo, il cervello umano funziona in modo tale che per capirci qualcosa è costretto a ridurre i segnali che percepisce e a completare le informazioni che riceve attraverso un processo interno; ovviamente la realtà raggiungibile senza strumentazione è una finestra assai ristretta dell’universo in cui viviamo e così via. Ma se dimentichiamo che questo modo di percepire (e di interpretare), per quanto limitato (ma ampliato a dismisura dagli strumenti) è frutto di un’evoluzione che ha come obbiettivo quello di permettere alla materia vivente di agire e reagire nella realtà del mondo fisico, allora è bene ricordarci sempre che se così non fosse, non tanto saremmo tutti morti, ma non saremmo mai nemmeno nati.

Tutto al contrario della teologia, che può avere un rigore interno, ma non ha nessuna verifica di corrispondenza con il mondo esterno. Di quello che non vediamo e che essa ci dice di vedere o che, comunque, esisterebbe, non abbiamo alcun segnale verificabile, ma solo i famosi segni, la cui esistenza o natura o interpretazione sono altamente opinabili, non replicabili e quindi non verificabili. Un teologia, poi, che predicando quel che predica in termini di progettazione divina del mondo incorre in clamorosi infortuni. Infatti, e per concludere con Ayala “il progetto degli organismi non è affatto intelligente; al contrario, è del tutto incompatibile con il progetto che dovremmo aspettarci da un inventore intelligente (incluso un ingegnere umano). L’evoluzione è talmente piena di disfunzioni, sprechi e crudeltà, che sarebbe sacrilego attribuirla a un essere dotato di intelligenza superiore, saggezza e benevolenza”. In altra circostanza l’autore ha rincarato la dose affermando, contro i seguaci dell’Intelligent Design, che "se esistesse davvero un progettista divino, più che un ingegnere cosmico sarebbe un sadico malvagio, un dispensatore di ecatombi". (30)


12) T. Pievani, Creazione senza Dio, Torino, Einaudi, 2006, pp. 137.
13) “L'arcivescovo William Paley (1743 Peterborough - Lincoln 1805) è uno dei più noti esponenti del pensiero utilitarista inglese del diciottesimo secolo La sua opera Evidences of the Existence and Attributes of the Deity, Collected from the Appearances of Nature (1802) fu utilizzata per molti anni come saggio divulgativo per spiegare razionalmente l'esistenza di Dio. Charles Darwin, rimase molto colpito dalla sua lettura”. [da anisn.it] In seguito alle sue ricerche, Darwin si liberò completamente delle suggestioni di Paley.
14) La teologia, in seguito all’affermarsi della teoria evolutiva, ha rivisto l’interpretazione dei tempi identificando il termine giorni con ere (sette ere? e perché mai? per un’era il Creatore si è riposato?).
15) È recente la decisione che il Consiglio d’Europa ha dovuto assumere contro il tentativo di far passare il creazionismo per una teoria scientifica e per abilitarne quindi l’insegnamento nelle scuole.
16) La drosophila (melanogaster e hydei) è stato l'organismo modello più studiato dai genetisti, grazie al fatto di essere facilmente manipolabile in laboratorio, al suo ciclo vitale assai breve, e al fatto di dare vita a una numerosa progenie. Il genoma del moscerino della frutta, decifrato nel 2000, contiene circa un decimo del genoma umano. Il fatto è, scrivono Luca e Francesco Cavalli-Sforza, che studiandone i geni Edoardo Boncinelli “ha scoperto che anche nelle nostre cellule ve ne sono di molto simili, altrettanto fondamentali nel determinare la struttura del corpo. Come tutti i geni veramente importanti nell’economia di un organismo, anche questi sono cambiati assai poco nel corso dell'evoluzione, per cui c'è poca differenza fra i geni che controllano lo sviluppo del corpo nell’uomo e nel moscerino”.
17) Si veda, ad esempio, l'articolo di Antonio De Marco pubblicato su Bioculture, Più simili che diversi?
18) Se ne è parlato anche sulla stampa italiana; vedi a questo proposito l’articolo di Flavia Zucco, Fondamentalismi, nella rubrica Bioetica Donne&Scienza del sito Lupo della steppa.
19) Il breve racconto è contenuto nel libro Le migliori opere di fantascienza di Isaac Asimov, Milano, Editrice Nord, 1987. Non essendo più in commercio se ne può leggere una traduzione in: [oknotizie.alice.it]
20) Nel sito Church of the Flying Spaghetti Monster ci sono tutti gli ingredienti per la creazione di un nuova e assurda religione, non dissimili nella loro struttura da tante credenze ufficiali delle religioni storiche. [www.venganza.org]
21) Parla Michael J. Behe, teorico del Disegno intelligente: “L'evoluzionismo non riesce a rendere conto dei sistemi complessi”. "Avvenire" del 7 luglio 2007.
22) Nella relativa voce di Wikipedia vedi le attività e le posizioni di Dembski.
23) Ben altra cosa è sostenere che proprio i nuovi orizzonti della fisica dischiudono all’umanità un nuovo modo di pensare e di rapportarsi alla realtà, sviluppando una mentalità in grado di superare i rigidi meccanismi ereditati da tutta una fase della rivoluzione scientifica e industriale, e aprendosi a una nuova società della conoscenza. Per approfondire la questione si possono leggere gli articoli di Paolo Manzelli su steppa.net oppure nel Laboratorio di ricerca educativa di Firenze su Eduscuola.
24) L’articolo è riportato in chiesa.it, il sito curato da Sandro Magister, con un suo commento. Tutto sommato, si tratta di una variante di un aforisma di Blaise Pascal.
25) Giulio Bosetti, Ma laicità e ateismo pari non sono, La Repubblica del 7 gennaio 2008.
26) Del resto, come è noto, il panteismo, spinoziano o meno, è condannato dalla Chiesa, ma anche dall’islam. Il dio di queste religioni è un dio-persona.
27) F.J. Ayala, Le ragioni dell’evoluzione, Roma, Di Renzo, 2005. Peraltro, La National Academy of Sciences (NAS) e l'Institute of Medicine (IOM) degli Stati Uniti hanno da poco presentato un libro per insegnanti sull'evoluzione Science, Evolution and Creationism, scritto da un gruppo di scienziati guidati da Ayala. Il testo è specificamente diretto agli insegnanti. Maggiori ragguagli sulla pubblicazione si possono trovare su [darwininitalia.blogspot.com/]. Il libro è acquistabile presso The National Acadamies Press: [www.pikaia.eu]
28) Su questi temi è consigliabili di leggere anche l’ottimo libro di Edoardo Boncinelli, Il posto della scienza. Realtà, miti, fantasmi, Milano, Mondadori, 2005 che fornisce una panoramica un più ampia della questione.
29) Trofim Denisovic Lysenko era un agronomo russo che, definendo capitalista la genetica del tempo, aveva sviluppato delle teorie sbagliate sul funzionamento dell’ereditarietà, immergendole in citazioni dei classici marxisti. La sua interpretazione divenne quella ufficialmente adottata e imposta dal partito tra il 1940 e il 1955, contribuendo in gran parte al disastro dell’agricoltura sovietica.
30) "IlSole/24ore", articolo di Paola de Paoli, Ayala: un'etica per l'evoluzione. Le conquiste della genetica sono espressione di una nuova era nella tradizione culturale dello sviluppo umano. [www.swif.uniba.it]


Web Homolaicus

Autore di questo testo PierLuigi Albini

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 06/09/2013