THEODOR WIESENGRUND ADORNO

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THEODOR WIESENGRUND ADORNO

Solo nel contrasto con la produzione, solo in quanto non sono ancora del tutto controllati e assorbiti dall'ordine,
gli uomini sono in grado di creare un ordine più umano. (Minima moralia)

Diego Fusaro - www.filosofico.net

Nel febbraio del 1923 venne ufficialmente aperto a Francoforte, grazie ad una donazione privata, l'Institut für Sozialforschung (Istituto per la ricerca sociale), di cui fece parte anche il grande pensatore Theodor Wiesengrund Adorno.

Nato nel 1903 a Francoforte da un ricco commerciante ebreo e da una madre italiana, di cui assunse il cognome, Adorno iniziò da giovane a studiare pianoforte e composizione e nel 1924 si laureò a Francoforte con una tesi su Husserl, da cui sarebbe poi nato il volume Per la metacritica della gnoseologia. Studi su Husserl e le antinomie della fenomenologia, pubblicato nel 1956.

Recatosi a Vienna, dove ebbe contatti con Alban Berg e con Schönberg, nel 1928 rientrò a Francoforte, dove cominciò la sua collaborazione con l'Istituto per la ricerca sociale.

Il primo volume da lui pubblicato fu la tesi di abilitazione intitolata Kierkegaard e la costruzione dell'estetico (1933), dedicata al caro amico Siegfried Kracauer.

Nei primi anni della dittatura nazista rimase in Germania, anche se andò spesso a studiare al Merton College di Oxford, ma in un secondo tempo si trasferì negli USA, dove, dal 1938 al 1941, diresse la sezione musicale della radio a Princeton.

Durante la guerra scrisse la Dialettica dell'illuminismo in collaborazione con un altro grande filosofo dell'Istituto, Horkheimer, nonché la Filosofia della musica moderna (1949), e fu in rapporto con Thomas Mann, al quale diede suggerimenti per la composizione delle parti di argomento musicale del romanzo Doctor Faustus.

Tornato in Germania, fu dal 1951 vice direttore e dal 1958 fino alla morte, sopraggiunta nel 1969, direttore dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. A questo periodo risalgono Minima moralia (1951), Prismi. Critica della cultura e società (1955), Introduzione alla sociologia della musica (1962), Dialettica negativa (1966) e Teoria estetica, pubblicata postuma nel 1970.

Al principio della sua attività, Adorno mostra interesse per il problema della conoscenza: la fenomenologia di Husserl ha il merito, secondo Adorno, di assumere un punto di vista antipsicologistico, ma tende ad annullare l'individuo contingente nel soggetto trascendentale e, muovendo alla ricerca di essenze immutabili, implicitamente accetta la realtà del mondo esistente così come è. Bisogna invece evitare, ad avviso di Adorno, di feticizzare la conoscenza, riducendo il soggetto all'oggetto o viceversa, e assumere piuttosto il metodo della dialettica di Hegel, in grado di cogliere il movimento del reale e di liberare dal falso presupposto "che quel che perdura è più vero di quel che passa".

Hegel, però, partendo dall'assunto che fosse possibile cogliere con il pensiero il reale nella sua totalità, aveva congiunto strettamente la dialettica al sistema; Adorno, invece, capovolge il detto hegeliano secondo il quale il vero è nel tutto, asserendo nei Minima moralia che "il tutto è il non vero": la società esistente, infatti, nella sua totalità è falsa, non corrisponde al criterio della piena razionalità. Per questo Adorno rifiuta l'illusoria pretesa di costruire un sistema, attribuendo invece importanza a quanto è secondario, fuori dalla norma, negativo.

Per cogliere questi aspetti della realtà, bisogna procedere per saggi, per tentativi capaci di non affogare le differenze nella totalità: sotto questo profilo, la forma letteraria più adeguata risulta l'aforisma, più che il trattato corposo. Di aforismi è dunque costituito il libro più importante di Adorno, i Minima moralia, che hanno per sottotitolo "Riflessioni sulla vita danneggiata": danneggiata appare ad Adorno la vita del presente, ridotta alla sfera del privato e del semplice consumo, priva di autonomia e sostanza propria.

Una mentalità tragico-savia (come la definì Th. Mann, che si valse di Adorno per la parte musicologica del Doctor Faustus) si esprime in quello che è forse il suo capolavoro, Minima moralia (1951): raccolta di aforismi in cui sono analizzati il comportamento dell'individuo nella società borghese e le sue contraddizioni.

Strumenti di quest'analisi, che si incentra sui gesti quotidiani e sulle motivazioni di essi, sono la psicoanalisi e il marxismo, ma il suo modello principale è l’Hegel della Fenomenologia dello spirito, in quanto le contraddizioni e la non verità del comportamento vengono evidenziate dall'interno, attraverso la semplice esposizione e descrizione. L'uno e l'altro aspetto, quello dell'analisi estetica e quello del moralista, sono accomunati da una stessa esigenza di fare emergere i nessi concettuali da una materia non filosofica.

Non c'è altro modo, per la filosofia, di sopravvivere, all'infuori di questo abbandonarsi ai contenuti. Il punto di convergenza è bensì rappresentato dalla teoria critica della società, ma senza che ciò comporti una riduzione sociologistica.

Dialettica dell'illuminismo (1947), scritta in collaborazione con Horkheimer, tenta di tracciare una genesi ideale dell'Aufklarung, della razionalità-civiltà. La ragione, fin dal suo remoto delinearsi storico, si intreccia con il dominio; la sua funzione liberante viene sempre più soffocata da un totalitarismo che, nelle società borghesi, si esprime direttamente (come fascismo) e indirettamente (come integrazione ferrea).

Il tema, secondo un'altra angolatura, è affrontato nella ricerca sulla Personalità autoritaria (1950), diretta da Adorno nel periodo dell'esilio americano, e rivolta a individuare quali predisposizioni al razzismo, all'autoritarismo e perfino al fascismo, si nascondessero nella società statunitense. In questa situazione drammatica, l'unica via possibile e praticabile per la filosofia è quella della riflessione privata, che ha il compito di disturbare, più che di consolare. Questo implica che le cose siano considerate "come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione", cioè del loro riscatto dalla negatività presente.

In questo panorama, la funzione determinante entro il pensiero dialettico viene rivestita dalla negazione: questo è il tema portante dello scritto più complesso sul piano teorico di Adorno, la Dialettica negativa. La dialettica di Hegel, per Adorno, è mistificata perché considera il finito e il negativo come un momento meramente provvisorio, destinato a dissolversi nell'accostamento conciliatore finale e nella riconquistata identità di soggetto e oggetto, di razionale e reale. Essa commette lo stesso errore del pensiero tradizionale, che considera come proprio fine l'identità, la riduzione dell'altro e del diverso all'uguale.

Intendendo la negazione come lo strumento per l'instaurazione del positivo, Hegel attribuiva alla negazione stessa un carattere affermativo, ma questo equivale ad introdurre un'identità tra negazione ed affermazione, cioè un principio formale antidialettico (l'identità) nel bel mezzo della dialettica stessa. Questo vuol dire, ad avviso di Adorno, porre come elemento decisivo uno stato pacificato, non più antagonistico e, di conseguenza, instaurare una logica del dominio, legittimando l'esistente. Si tratta dunque di liberare la dialettica da questo carattere affermativo e di riconoscere che il momento positivo non è un risultato, ma solo la negazione determinata, cioè la critica.

Marx aveva considerato la filosofia, in quanto speculazione contenta di sé, superata dalla prassi destinata invece a trasformare la realtà. Per Adorno questa trasformazione non è avvenuta, cosicché la prassi oggi non è più l'istanza contraria alla filosofia: questa, anzi, continua a mantenersi in vita, ma non come contemplazione, bensì sotto forma di critica. L'esistenza di Auschwitz e dei campi di sterminio nazisti dimostrano che la cultura non è riuscita a cambiare gli uomini; dopo Auschwitz bisogna, dunque, ribellarsi ad ogni affermazione della positività dell'esistenza. La dialettica, in quanto coscienza della non identità e dell'alterità, deve allora lasciar vivere le contraddizioni, passando indenne dalle amalianti sirene di una loro conciliazione e sintesi metafisica. La realtà non è come deve essere e così il compito dei filosofi, che si trovino nella fortunata condizione di non adattarsi del tutto alle norme in vigore, è di esprimere, in rappresentanza dei più, quel che questi, a causa delle costrizioni sociali, non sono in grado di scorgere, oppure, per realismo, si rifiutano di vedere.

Contrariamente alla tesi fondamentale dell'intera filosofia tradizionale, da Platone in avanti, per la quale il criterio del vero è dato dalla comunicabilità immediata a tutti e, quindi, dalla trasmissibilità di quel che è già conosciuto come se si trattasse di un fatto, Adorno asserisce che la conoscenza non possiede del tutto nessuno dei suoi oggetti, ma sempre solamente frammenti parziali di una realtà incompiuta e che, pertanto, il pensiero critico consiste soltanto in "bottiglie gettate in mare" per futuri destinatari ancora ignoti.

Anche Adorno intende salvaguardare la contingenza e la libertà del soggetto: un'umanità liberata, a suo parere, non sarebbe per niente una totalità . Nella misura in cui, però, la società attuale non è libera, la totalità diventa uno strumento concettuale necessario per carpirne le contraddizioni. A partire da questo punto è nato un dibattito nella Germania degli anni '60 sul metodo della sociologia, in cui sono intervenuti, tra i tanti, Adorno e Popper. Contro il culto dei fatti proprio del positivismo e della sociologia empirica, Adorno ribadisce che i fatti sono risultati di processi storici, cosicché nessun fenomeno sociale può essere colto nel suo significato se ci si limita alla sua descrizione e non si fa riferimento al sistema della società nella sua totalità. Ciò non vuol dire che questa totalità sia a sua volta descrivibile, una volta per tutte, nella globalità dei suoi aspetti e tratti particolari; essa può essere conosciuta solo nella misura in cui si manifesta nei fatti particolari. Sotto questo profilo, i fatti non sono identici alla totalità, ma la totalità non esiste al di là dei fatti. La pretesa che esista un metodo del tutto obiettivo, senza riferimento ai valori, è per Adorno del tutto illusoria: di fatto, date le contraddizioni presenti nella realtà storica, nessun metodo può essere in modo perfetto adeguato al suo oggetto: "l'idea di verità scientifica non può essere scissa da quella di società vera" asserisce Adorno.

In questa situazione, l'unica fioca speranza è offerta dall'arte, nella misura in cui essa riesce ad armonizzare forme e contenuti, elementi soggettivi e oggettivi. L'arte e la cultura, secondo Adorno, non sono riducibili ad un mero riflesso o rispecchiamento ideologico di classe, ma non per questo costituiscono sfere separate dalla società. La creazione artistica, infatti, non è meramente individuale, ma esprime tendenze sociali oggettive che l'autore stesso non sente profondamente; ma finché la realtà oggettiva è contraddittoria, la conciliazione delle contraddizioni sul piano estetico è sempre insufficiente. L'armonia realizzata sul piano artistico deve, dunque, sempre contenere un elemento di protesta nei confronti della realtà esistente e una dimensione utopica, come "promessa di felicità" futura, secondo un detto di Stendhal, scrittore particolarmente caro agli autori della scuola di Francoforte.

Tra le arti, quella meno caratterizzata da contenuti rappresentativi è la musica, la quale appare dunque, agli occhi di Adorno, come la più idonea ad esprimere, nella sua indeterminatezza, quel che è altro rispetto alla situazione presente. Molta musica è però ridotta a pura merce e oggetto di consumo; essa, come parecchie forme di cultura popolare, compreso il jazz, avversato da Adorno, contribuisce al rafforzamento degli atteggiamenti conformistici e assolve ad una mansione meramente ideologica di evasione ed emancipazione illusoria della realtà. Nell'industria culturale e nella riproducibilità delle opere d'arte, come nel cinema e nella fotografia, Adorno non ravvisa alcun potenziale rivoluzionario. Sono invece le avanguardie artistiche, in particolar modo la musica atonale dodecafonica di Schönberg, ad esprimere il rifiuto di scendere a compromessi con i dissapori e le contraddizioni, che rimangono irrisolte nella realtà.

Con la sua Teoria estetica Adorno attribuisce all'arte un ruolo di contestazione della società esistente; l'arte contemporanea, sottraendosi ai canoni classici della bellezza, raffigurerebbe in pieno le disarmonie e l'infelicità della società, favorendo il sorgere della speranza in un'armonia del mondo.


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Aggiornamento: 26-04-2015