TOMMASO D'AQUINO: la legge

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TOMMASO D'AQUINO: la legge

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Giuseppe Bailone

La legge è, nel suo primo aspetto, forza coercitiva. Per Tommaso lo dice anche il nome: “legge deriva da legare, poiché obbliga ad agire (dicitur enim lex a ligando, quia obligat ad agendum)”. Coercitiva, ma razionale: la forza della legge è forza della ragione, nasce dalla ragione, “che è il primo principio degli atti umani”. Infatti, appartiene alla ragione l’ordinare ad un fine le azioni, come insegna Aristotele.1

E’ vero che per muovere all’azione ci vuole la volontà, ma non è la volontà a determinare la legge: è la ragione che si avvale della volontà per realizzare i suoi piani.2

Il razionalismo di Tommaso è netto: “la legge è qualche cosa che appartiene alla ragione (aliquid pertinens ad rationem)”.3 Il fine a cui mira la ragione nel determinare la legge è il bene comune. “La legge è il dettame della ragione pratica presente nel principe che governa una comunità perfetta”.

L’aggettivo perfetta non indica qui la perfezione morale ma, in senso aristotelico, la compiutezza, la realizzazione piena della tendenza naturale umana alla vita sociale: è perfetta una comunità che non sia parte di una comunità superiore, che non sia solo una tappa, ma il punto d’arrivo del processo di socializzazione. In questo senso è perfetto lo Stato e non la famiglia, che è parte dello Stato e da sola non basta al naturale bisogno di vita sociale dell’uomo.

Perfetta, in senso pieno e assoluto, è la comunità delle cose tutte, è il mondo intero, cioè, la comunità universale che ha in Dio il suo monarca.

“Perciò il piano stesso col quale Dio, come principe dell'universo, governa le cose ha natura di legge. E poiché la mente divina non concepisce niente nel tempo, essendo il suo pensiero eterno … questa legge deve essere eterna”.

La legge eterna è la ragione stessa di Dio, in quanto re dell’universo. Soltanto Dio e i beati conoscono la legge eterna.

“Tutte le cose soggette alla divina provvidenza sono regolate e misurate dalla legge eterna … tutte partecipano più o meno della legge eterna, perché dal suo influsso ricevono un'inclinazione ai propri atti e ai propri fini”.

L’uomo ne partecipa in modo diverso e ne conosce una sua irradiazione.

“Tra tutti gli altri esseri la creatura ragionevole è soggetta in maniera più eccellente alla divina provvidenza, perché ne partecipa col provvedere a se stessa e ad altri. Perciò in essa si ha una partecipazione della ragione eterna, da cui deriva una inclinazione naturale verso l'atto e il fine dovuto. E questa partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole si denomina legge naturale”.4

La legge naturale è la parte di legge eterna che s’irradia nella ragione umana. Tutti gli uomini, in quanto esseri razionali, la conoscono. La legge naturale non è, quindi, l’istinto, non è “ciò che la natura ha insegnato a tutti gli esseri animati”, come dice Ulpiano5. E’ razionale.

La ragione umana, se non è turbata dalle passioni, realizza una conoscenza piena, non umbratile, uguale a quella divina, della quale non ha però l’infinita estensione. La legge naturale è solo parte di quella eterna, ma non ne è una copia imperfetta: nella parte in cui coincide con quella eterna è identica ad essa. L’uomo può conoscere come Dio, non quanto Dio. L’uomo con la sua ragion pratica partecipa dell’essenza stessa di Dio.

In Dio volontà e ragione coincidono ed egli non può volere se non ciò che è razionale. Tommaso è razionalista: nello scontro teologico medievale tra chi riconduce la fonte della giustizia alla ragione divina e chi alla volontà divina, si colloca senza esitazione tra i primi.

Lo stesso decalogo mosaico egli lo interpreta come diritto naturale e sostiene che lo si potrebbe dedurre con la semplice riflessione dai principi supremi.6

Il suo razionalismo lo mette, però, in difficoltà davanti ai casi biblici in cui Dio comanda azioni in aperto contrasto con la legge naturale: l’ordine ad Abramo di uccidere Isacco, agli ebrei di rubare i beni agli egizi, ad Osea di unirsi con un’adultera. Si tratta di tre clamorose eccezioni al divieto naturale di uccidere, di rubare e di fornicare, sulle quali la polemica teologica medievale tra volontaristi e razionalisti è molto accesa.

Ecco come Tommaso risolve la difficoltà:

“Dio, come non compie nulla contro natura, poiché, a detta della Glossa Rom. XI, "la natura di ogni cosa consiste nel fatto che Dio opera in essa", tuttavia compie alcune cose contro il corso ordinario della natura; così egli non può comandare nulla contro la virtù, poiché la virtù e la rettitudine della volontà umana consiste principalmente nel conformarsi ai voleri di Dio e nell'eseguire i suoi comandi, sebbene siano contrari alla norma ordinaria della virtù. Ecco perché il comando fatto ad Abramo di uccidere il figlio innocente non era contro la giustizia: poiché Dio è la causa della vita e della morte. Parimenti non era contro la giustizia l'ordine dato agli ebrei di prendere la roba degli egiziani: poiché tutte le cose appartengono a Dio, ed egli può darle a chi vuole. Finalmente non era contro la castità il comando dato ad Osea di prendere una sposa adultera: perché Dio è egli stesso l'ordinatore della generazione umana, e quindi il modo di usar le donne (modus mulieribus utendi) è precisamente quello che Dio ha stabilito. È chiaro, quindi, che nell'ubbidire a Dio, o nel volergli ubbidire, costoro non fecero peccato”. 7

Tommaso salva la moralità di Abramo, degli ebrei e di Osea, che hanno obbedito a Dio, ma non salva il suo razionalismo giusnaturalistico: lascia immutata la legge, ma cambia il suo oggetto, la realtà: trasforma la proprietà egiziana in non proprietà, la condizione dell’adultera in quella di sposa legittima, l’uccisione di Isacco in non omicidio.

Contro la soluzione tomista del caso di Abramo, Duns Scoto, campione del volontarismo, obietta che il comando divino non ha cambiato per nulla l’oggetto dell’azione, ma al generale divieto di uccidere ha sostituito una diversa decisione divina, una dispensa dal quinto comandamento.

La legge naturale partecipa della legge eterna e costituisce il criterio di valutazione della legge umana, quella dei codici degli Stati: non è vera legge e non obbliga la coscienza una legge dello Stato che sia in conflitto con la legge naturale.

Ma che cosa prescrive la legge naturale di Tommaso? Per secoli si è attribuito a Tommaso l’idea di un codice naturale eterno e immutabile. Tommaso stesso ha proposto contenuti molto determinati alla legge naturale. Ad esempio, ha sostenuto il diritto alla proprietà privata e ha parlato di giusta retribuzione del lavoro; ha condannato l’usura e la ricerca della ricchezza fine a se stessa; ha anche giustificato la schiavitù, l’uso della forza per costringere a credere chi abbia ricevuto il battesimo8; ha sostenuto la superiorità della verginità sul matrimonio.

Tommaso, però, limita l’evidenza del diritto naturale accessibile con la sola ragione a tutti, fedeli e infedeli, ai soli principi supremi, soprattutto, al principio che “si deve fare il bene ed evitare il male” (bonum faciendum, malum vitandum), una norma puramente formale.

Tommaso, scrive Guido Fassò, “vede la legge naturale principalmente come la forma entro la quale l’uomo deve volere perché la sua volontà, e la conseguente azione, siano conformi alla legge naturale, e perciò morali; e questa forma è quella della razionalità”.9

Se così stanno le cose, il passaggio dalla pura forma della razionalità pratica alla determinazione dei suoi contenuti non è una semplice deduzione: subisce il peso delle condizioni storiche, a scapito del valore eterno della legge; comporta discrezione e, anche, possibilità d’errore.

Così interpretata, la legge naturale di Tommaso assomiglia molto all’imperativo categorico kantiano e manifesta l’ascendenza stoica, non aristotelica, che ha in comune con esso. Per gli stoici, infatti, il dovere dell’uomo non è quello d’imparare un codice naturale e di applicarlo, ma quello di diventare rigorosamente razionale, con totale sacrificio dei sentimenti e delle emozioni. Impresa molto difficile, quasi impossibile.

In Tommaso, in realtà, il principio formale coesiste con una precisa determinazione dei contenuti e il problema del loro rapporto resta aperto.

La legge umana è la legge positiva istituita dagli uomini. Essa può nascere come accordo privato valido solo tra le parti, o come accordo di tutto un popolo, o per comando del principe che rappresenta e governa il popolo. Se è in accordo con la legge naturale, è giusta e vincola la coscienza, ma può intervenire anche su campi moralmente indifferenti. La legge positiva umana può quindi essere giusta, ingiusta o indifferente. Quando è giusta, induce con la forza e col timore delle pene chi non sappia imporsi una disciplina razionale ed astenersi dal male. La forza aiuta la virtù.

Ma che cosa si deve fare nei confronti delle leggi positive ingiuste? Può essere opportuno obbedire anche alle leggi ingiuste per evitare scandalo e disordine, così come può essere opportuno non ribellarsi alla tirannia, se dalla ribellione può derivare un male maggiore della stessa tirannide. In caso di conflitto tra legge dei codici e legge naturale bisogna mettere in campo la virtù della prudenza.

C’è in questo invito alla prudenza il peso dell’influenza aristotelica sulla originaria concezione stoica della legge naturale: il rigorismo razionalistico stoico trova un limite nell’aristotelico senso della misura. La prudenza, però, deve intervenire solo nel conflitto fra legge naturale e legge dello Stato. Quando, invece, la legge impone di disobbedire alle leggi divine, rivelate per la salvezza dell’anima, la prudenza deve cedere il passo all’intransigenza: l’idolatria, ad esempio, è sempre proibita anche se imposta per legge.

Infatti, oltre la legge eterna, la legge naturale e quella positiva, c’è la legge divina, rivelata da Dio per la salvezza dell’anima. La legge eterna non va quindi confusa con la legge divina. La prima è la legge dell’universo, la seconda è la legge della salvezza.

La legge naturale guida l’uomo nella realizzazione dei suoi fini terreni, ma l’uomo ha anche fini soprannaturali verso i quali lo guida la legge divina, soprannaturale e rivelata direttamente da Dio. La legge divina è la legge positiva di Dio, è la legge promulgata da Dio per la salvezza dell’anima.


Note

1 Summa theologiae, I, II, q. 90, a. 1. Anche la precedente citazione è tratta da questo passo.

2 Summa theologiae, I, II, q. 17, a. 1.

3 Summa theologiae, I, II, q. 90, a. 1

4 Summa theologiae, I, II, q. 90, a. 1 e a. 2.

5 Ulpiano, giurista romano (170-228 d. C.), scrive: “Il diritto naturale è quello che la natura ha insegnato a tutti gli esseri animati (animalia); ed infatti questo diritto non è proprio del genere umano, bensì comune a tutti gli esseri animati che nascono in terra ed in mare, ed anche agli uccelli. Di qui discende l’unione del maschio e della femmina, che noi chiamiamo matrimonio, di qui la procreazione e l’allevamento dei figli; e infatti vediamo che agli altri animali, perfino a quelli selvaggi, si attribuisce la pratica di questo diritto”. Digesto,, 1, 1,10, 2

6 Summa theologiae, I, I1, q. 100, a. 1 e a. 3

7 Summa theologiae, II, II, q. 104, a. 4, soluzione delle difficoltà 2.

8 Summa theologiae,, II, II, q. 10, a. 8. Tommaso consente solo agli ebrei e ai pagani la possibilità di una coscienza erronea senza colpa, ma ammette la possibilità di far guerre contro gli infedeli, per impedire che offendano Dio, o influiscano malamente sui fedeli o li perseguitino. Scrive: “Ci sono degli increduli, come i Giudei e i pagani, i quali non hanno mai abbracciato la fede. E questi non si devono costringere a credere in nessuna maniera: perché credere è un atto volontario. Tuttavia i fedeli hanno il dovere di costringerli, se ne hanno la facoltà, a non ostacolare la fede con bestemmie, cattivi suggerimenti, oppure con aperte persecuzioni. Ecco perché coloro che credono in Cristo spesso fanno guerra agli infedeli, non per costringerli a credere (perché anche quando riuscissero a vincerli e a farli prigionieri, li lascerebbero liberi di credere, se vogliono): ma per costringerli a non ostacolare la fede di Cristo. Ci sono invece altri increduli, i quali un tempo hanno accettato la fede e l'hanno professata: e sono gli eretici, e gli apostati di ogni genere. Costoro devono essere costretti anche fisicamente ad adempiere quanto promisero, e a ritenere ciò che una volta accettarono”.

9 Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, ed. Il Mulino Bologna 1966; vol. I pag. 260


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 24 maggio 2010

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

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Aggiornamento: 26-04-2015