LA COMETA DI BAYLE

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LA COMETA DI BAYLE

I - II

Giuseppe Bailone

“Quando nel mese di dicembre del 1680 apparve una cometa, ero professore di filosofia a Sedan, e dovetti far fronte a tutte le questioni che molte persone, incuriosite e allarmate, continuamente mi ponevano. Cercai, nei limiti delle mie possibilità, di rassicurare quelli che si preoccupavano di questo presagio ritenuto cattivo; ma ben scarsi furono i risultati che riuscivo ad ottenere con i ragionamenti filosofici; mi si rispondeva invariabilmente che Dio fa apparire questi grandi fenomeni per dar tempo ai peccatori di prevenire con la penitenza i mali che pendono sul loro capo. Mi convinsi dunque dell’assoluta inutilità di continuare a ragionare, a meno che non avessi trovato un argomento capace di dimostrare che Dio, proprio per la perfezione della sua natura, non poteva inviare comete a questo scopo. Vi meditai sopra e ben presto scoprii la ragione teologica che si può trovare esposta in quest’opera. Non ricordavo di averla letta in altri libri o di averne mai sentito parlare; mi sembrò nuova e pensai di scrivere sull’argomento una lettera da pubblicare sul «Mercure Galant». Feci tutto il possibile per non superare i limiti che deve avere una lettera, ma la vastità della materia non mi permise di essere breve; dovetti cambiare il mio progetto iniziale e considerare la mia lettera come un’opera da pubblicare a parte. Allora non cercai più di esser breve e mi dilungai a piacer mio su ogni cosa”.[1]

Nasce così il libro che inaugura l’illuminismo francese.

S’intitola Pensieri diversi sulla cometa e, in un’epoca in cui il potere e i privilegi sociali si fondano sulla tradizione, considerata come sedimentazione di verità e di valori riconosciuti nel corso dei secoli, ne imposta la critica radicale e la presenta piuttosto come accumulo di concezioni che non reggono al vaglio della ragione. Si tratta di un’opera rivoluzionaria nell’impostazione filosofica e nei suoi effetti sugli ordinamenti della società.

L’autore è Pierre Bayle, un filosofo in cui convergono e interagiscono in forma originale cartesianesimo e libertinismo, cioè l’ideale di un sapere fondato su principi evidenti e l’atteggiamento critico nei confronti della religione.[2]

Cartesio aveva sì messo in discussione il peso della tradizione, ma solo per rifondare il sapere e accettandone, prudentemente, tutto il valore in campo morale, sociale e politico. I libertini avevano sì criticato la religione, ma in testi clandestini e nella convinzione che essa fosse, a causa del basso livello culturale delle masse popolari, necessaria per l’ordine sociale. Bayle avvia, con metodo rigoroso, una critica radicale all’eredità della tradizione e la consegna all’intera società, uscendo dalla clandestinità dei testi libertini e nella convinzione che essa possa fondare un ordine sociale e politico più giusto. È l’illuminismo: l’uso aperto, pubblico, della ragione critica è necessario al vivere civile, che va profondamente ristrutturato.

Per approfondire la critica all’idea antichissima che le comete siano segno di sciagure prossime, Bayle prende in esame il presunto valore dell’astrologia e le superstizioni popolari. Riesce, così, a provare che “infiniti sono gli errori che si nascondono nelle opinioni più diffuse”.[3]

In filosofia, scrive, “non bisogna tanto contare i voti, quanto piuttosto soppesarli”.[4] E, aggiunge, non si tiri in ballo l’aforisma Vox populi, vox Dei: questo, infatti, “una volta accettato, legittimerebbe i pensieri più ridicoli”.

Bayle ricorda un aneddoto su Pericle e la paura popolare delle eclissi di sole.

“Stava ormai per dar l’ordine di far salpar la flotta, posta sotto il suo comando, per una grande spedizione, quando un’eclissi di sole spaventò talmente il suo pilota da non fargli capire più dove si trovava né che cosa doveva fare. Pericle, che era stato liberato da tutte queste vuote preoccupazioni dal filosofo Anassagora, coprì col suo mantello gli occhi del pilota, domandandogli se riteneva che anche quello fosse un male. No, rispose il pilota. Allora non è neppure un male, riprese Pericle, che il sole si sia eclissato, perché tutta la differenza che c’è tra il mio mantello, che ti toglie la luce del sole, e il corpo che produce l’eclissi, consiste nel fatto che quello è più grande del mio mantello. Riflessione così alla portata di tutti, che c’è da meravigliarsi che siano tanto poche le persone cui venga in mente”.[5]

Nel tentativo di spiegarsi la larghissima e facile diffusione delle superstizioni, Bayle chiama in causa non solo il demonio, ma anche i politici, i poeti, i panegiristi e gli storici servili. A molti diversi scopi può servire la credenza superstiziosa su una stessa cometa, come prova quanto è successo con la morte di Cesare, trasformato in cometa da Ovidio nelle sue Metamorfosi.

“Augusto per ragioni politiche trovò molto opportuno far credere che l’anima di Cesare si fosse trasformata in una cometa; era infatti assai utile per il suo partito convincere la gente che gli uccisori di un uomo, che era stato assunto nel novero degli dèi, dovevano essere perseguitati. Per questa ragione Augusto fece anche costruire un tempio dedicato a quella cometa, dichiarando pubblicamente di considerarla un presagio molto favorevole. Quelli poi del suo partito che non si lasciavano convincere molto facilmente da queste metamorfosi di anime in stelle, forse credevano o inducevano gli altri a credere che gli dèi testimoniavano con quella cometa la loro grande collera contro Bruto e Cassio. Coloro che erano ancora repubblicani, sostenevano al contrario che gli dèi con quell’astro avevano voluto rendere manifesta la loro profonda disapprovazione per lo scarso appoggio dato al partito dei liberatori della patria. I poeti infine trovavano in tutto questo non soltanto l’occasione per lasciarsi andare a magnifiche descrizioni e per far celebrare a tutta la natura la gloria del loro eroe deificato, ma anche l’opportunità per adulare (e questo era l’aspetto positivo di tutta la faccenda) il loro eroe vivente”.[6]

Con l’avvento del cristianesimo le cose non cambiano: i cristiani hanno sulle comete gli stessi pregiudizi dei pagani.

“Essi, scrive Bayle, discendono dai pagani e, se si eccettua il culto idolatrico vero e proprio, hanno le loro medesime debolezze. […]D’altronde, liberando i pagani dalle tenebre e accogliendoli nel regno della luce meravigliosa,[…]Dio non si è prefisso di renderli migliori filosofi di prima, o di insegnare loro i segreti della natura, preservandoli per sempre dai pregiudizi e dagli errori popolari. L’esperienza ce lo dimostra nel modo più chiaro; le persone, alle quali Dio comunica i più ricchi tesori della sua grazia, riempiendole della fede più salda e della carità più ardente, non sembra che siano i geni più penetranti, più capaci degli altri di svolgere vigorosi ragionamenti e di sollevarsi al di sopra di tanti giudizi che, per quanto falsi, non hanno tuttavia alcuna conseguenza nei confronti dell’anima. Si può quindi affermare che i pagani sono passati alla religione cristiana con tutti i pregiudizi che prima avevano sui fenomeni della natura, come su ogni altra questione che non arrecasse danno alle verità di fede”.[7]

Stabilito questo principio di distinzione tra verità di fede e verità filosofiche e scientifiche, Bayle si ferma sul modo in cui il cristianesimo si è imposto nel mondo antico, portandosi dentro molte cerimonie pagane e molti errori dovuti alle false conversioni dei pagani per opportunismo. Dopo che il cristianesimo divenne la religione del potere, infatti, molte conversioni non ebbero più la natura di quelle dei primi tempi, e la situazione dei pagani divenne simile a quella degli ugonotti sotto il re Sole.

“Non mi sembra affatto che si entri nel vero spirito del cristianesimo, quando si estorcono conversioni a forza di denaro e si rende impossibile la vita a coloro che non vogliono convertirsi. Ammetto che nella situazione in cui si trovano oggi i calvinisti in Francia, questi sono i mezzi più adatti per far loro cambiare la fede religiosa”.[8] Adatti, appunto, per ottenere false conversioni.

I Padri della Chiesa, nei loro sermoni, cercarono con scarsi risultati di estirpare le superstizioni pagane dall’animo dei loro fedeli. Bayle cita numerosi esempi di pratiche superstiziose largamente diffuse tra i fedeli affidati alle cure di quei Padri. Ad esempio, “i cristiani di allora credevano che, urlando a squarciagola, si potesse arrecare soccorso alla luna eclissata e farla ritornare in sé come da uno svenimento, che le sarebbe stato sicuramente fatale, se non si fosse gridato tanto forte. […] Traevano diversi presagi qualora uno starnutisse in determinate circostanze, oppure s’imbattesse per la strada in un gatto o in un cane, in una donna di malaffare, in una ragazza, in un guercio o in uno zoppo”.[9]  Tuttavia, scrive Bayle, “non c’è nessun passo dei Padri della Chiesa dal quale risulti che essi abbiano biasimato la superstizione nelle comete, come invece hanno fatto per le altre superstizioni”. Come mai? Bayle prospetta diverse ipotesi di spiegazione.

“In primo luogo non è molto facile riconoscere la vanità dei presagi delle comete, come invece lo è per gli altri presagi […]. In secondo luogo gli inconvenienti di questa superstizione non sono così frequenti, quanto invece lo sono quelli che nascono dalle altre. In terzo luogo si è pensato che il terrore del giudizio divino, suscitato nell’animo dei peccatori dall’apparizione di una cometa, poteva favorire il loro pentimento. In quarto luogo gli stessi Padri sono stati i primi a rimanere ingannati, perché i grandi lumi della loro intelligenza si erano rivolti più verso le verità della religione che non verso le verità naturali”.[10]

Bayle è convinto che la credenza popolare sulle comete nuoccia alla vera religione e sia incompatibile con una corretta idea di Dio. Egli, pur non negando la possibilità dei miracoli, non pensa che Dio si serva delle comete per mandare avvertimenti ai peccatori. L’effetto sarebbe, infatti, del tutto contrario a tale scopo, visto il diffondersi di credenze e pratiche superstiziose in occasione delle comete. Bisogna pertanto ricondurre l’apparire delle comete all’ordine naturale e alimentare un’idea più corretta degli interventi divini: Dio non può promuovere la superstizione.

La generale opinione sulle comete, scrive, “non solo è molto probabile che sia falsa, ma è assolutamente necessario che sia falsa, data l’opposizione che sussiste fra questa opinione e la natura di Dio”.[11]

L’apparizione delle comete non agisce contro l’ateismo, ma alimenta la superstizione e l’idolatria. E “i demoni preferiscono l’idolatria all’ateismo”.[12]

Perché? “Gli atei non rendono alcun onore al demonio, né direttamente né indirettamente negandone persino l’esistenza; mentre la parte che esso ha nell’adorazione resa ai falsi dei è tanto grande, che diversi passi delle Sacre Scritture proclamano che i sacrifici offerti ai falsi dei sono offerti anche ai diavoli”.[13]

A questo punto del suo discorso, Bayle comincia a promuovere l’idea che ha reso il libro famoso e l’ha esposto a forti reazioni polemiche di molti credenti e, come abbiamo visto, anche di Leibniz e di Vico: l’idea, cioè, della non dipendenza dell’etica dalla fede religiosa, sviluppata fino all’estrema conseguenza della possibilità di una società di atei.

In molte pagine Bayle dimostra che la diffusione del cristianesimo non ha migliorato il comportamento umano, data la grande differenza fra quello in cui si crede e quello che si fa. Non solo: come provano i disordini delle Crociate, essa ha talvolta peggiorato le cose. Arriva così al suo argomento scandaloso: “Se […] si vuole sapere come io immagini una società di atei, non avrò alcuna difficoltà a sostenere che essa sarebbe, a mio parere, nei costumi come nelle azioni civili, del tutto simile a una società di pagani. Sarebbero necessarie, è vero, leggi molto severe e scrupolosamente applicate per punire i criminali; ma leggi simili non sono necessarie ovunque? […] Non si deve forse esclusivamente al rinnovato vigore dato dal re alle leggi contro i malfattori, se per le vie di Parigi giorno e notte siamo protetti dai loro soprusi? […] È proprio il caso di affermare, senza cadere nella retorica, che nella maggior parte delle persone la giustizia umana è la vera causa della virtù”.[14]

E più avanti: “Si deve, infatti, sapere che, quantunque Dio non si riveli chiaramente a un ateo, non per questo cessa di agire sul suo spirito, conservandogli quella ragione e quell’intelligenza, che permette a tutti gli uomini di comprendere la verità dei primi principi di metafisica e di morale”.[15]

Il fondamento dell’autonomia morale è la ragione, e il buon funzionamento della giustizia umana è “la vera causa” dell’ordine sociale.

È un passo ulteriore sulla via aperta, nel 1625, dall’etsi deus non daretur (anche se Dio non esistesse) di Ugo Grozio.[16]

L’uomo può trovare in sé una buona guida morale e la capacità di darsi un buon ordine sociale e politico, anche senza la funzione di educazione popolare della religione, ritenuta essenziale da molti filosofi, anche da quelli critici nei confronti delle religioni popolari come Giordano Bruno e Spinoza. La giustizia umana, quando funziona, è un freno contro l’immoralità più efficace dell’idea della giustizia divina. Anche perché “si è convinti che Dio non rifiuta mai il perdono, mentre gli uomini non sono disposti a perdonare nulla”.[17]

La critica razionalistica della religione arriva con Bayle a ritenere non più necessaria la sua funzione sociale e politica.

“È ormai evidente che una società di atei potrebbe svolgere ogni attività civile e morale come qualsiasi altra società, ammesso che anche in essa si puniscano severamente i delitti e si connettano a certe determinate azioni i sentimenti dell’onore e dell’infamia. Il fatto d’ignorare l’esistenza di un primo Essere creatore e conservatore dell’universo non impedirebbe ai membri di questa società di essere sensibili alla gloria e al disprezzo, alla ricompensa e alla pena, così come a tutte le passioni umane, e nemmeno soffocherebbe in loro tutti i lumi della ragione, e anche fra gli atei si potrebbero vedere persone oneste nel commercio, caritatevoli versi i poveri, nemiche dell’ingiustizia, fedeli ai loro amici, aliene nell’offendere, indifferenti ai piaceri della carne, incapaci di fare un torto a qualcuno: la spinta a compiere tutte queste belle azioni, che certamente riscuoterebbero il plauso della gente, sarebbe il desiderio di essere lodati e il tornaconto di procurarsi amici e protettori in caso di bisogno. Le donne farebbero della castità il loro punto d’onore, quale mezzo infallibile per ottenere amore e stima da parte degli uomini”.[18]

Se così stanno le cose, perché gli atei sono ritenuti malvagi?

“Perché ci si immagina falsamente che un uomo agisca sempre secondo i suoi principi, cioè secondo le sue convinzioni religiose”; mentre, invece, “è possibile avere un’idea dell’onestà senza credere che ci sia un Dio”, come dimostra la filosofia di antichi saggi e la virtù di uomini e donne illustri.

Spinoza, “il più grande ateo che sia mai esistito”, era un modello di virtù.

L’ateismo ha anche i suoi martiri, come Vanini.

“Quando considero che l’ateismo ha avuto dei martiri, non ho più alcun dubbio che gli atei coltivino un’idea dell’onestà e che questa eserciti sulla loro mente un’impressione più profonda dei concetti di utile e di piacevole”.[19]

È possibile fondare una buona società sulla sola ragione umana, anche senza l’idea di Dio.[20] Nell’Aggiunta ai Pensieri sulla Cometa, del 1694, però, rispondendo alla “decima obiezione” di Pierre Jurieu, ammette che la religione è un freno importante contro il disordine morale della società.

“Alcuni politici affermano che è stata l’amicizia a portare inizialmente gli uomini a riunirsi in repubbliche, altri invece affermano che è stato il timore. Forse è stato in parte il timore e in parte l’inclinazione alle gioie di un reciproco scambio, il motivo che li ha fatti unire in un corpo. In ogni caso fu necessario costituire una potenza legislativa che avesse il diritto di vita e di morte contro tutti coloro che recavano offese ai loro concittadini. Ecco qua dunque, oltre la religione, due altri sostegni per le repubbliche: l’interesse di ciascun individuo di rimanere unito al corpo dello Stato, e il timore di venire punito se turba la quiete pubblica. Una società di atei potrebbe dunque avere questi due appoggi; mancando del terzo, cioè della religione, riconosco che non potrebbe sostenersi altrettanto bene; sarebbe come un vecchio che cammina senza bastone, o come una regina convalescente che cammina senza il suo scudiero; senza tale sostegno sia il vecchio sia la regina camminerebbero con minor sicurezza, lo riconosco, tuttavia camminerebbero. Leggete la prefazione alle Istituzioni e vedrete che vi si menzionano come pilastri della sovranità solo due cose: le leggi e le armi”.[21]

L’Aggiunta ai Pensieri sulla Cometa si conclude con un’Istanza rivolta a tutte le Università per richiedere il loro giudizio sul suo libro e sull’accusa ad esso rivolta di ateismo. Bayle, che è già stato condannato dalla sua comunità calvinista e ha già perso la cattedra, invoca un giudizio d’appello delle università olandesi. La sua posizione è delicata. Tuttavia, nonostante la sua difficile situazione, riassumendo in diciassette punti il suo libro, ne impegna una gran parte a favore della sua idea che la morale e l’ordine sociale siano possibili anche senza la religione. Ecco i punti in questione.

“V. Considerato il carattere di geloso e di re sotto il quale Dio si è rivelato all’uomo, i delitti e le blasfemie che costituiscono l’essenza dell’idolatria dei gentili, e l’infamia dei falsi dei che essi avevano innalzato sul trono, si deve credere che Dio rimanesse meno offeso da coloro che non riconoscono nessuna divinità, che non dai gentili; proprio come un marito geloso considererebbe più cocente ingiuria la prostituzione della moglie, anziché la sua caparbia volontà di non avere relazione con nessun uomo; e proprio come un principe si sdegnerebbe maggiormente contro coloro che lo depongono per obbedire ad un altro principe, anziché contro coloro che aboliscono la stessa regalità, oppure contro quei vicini che si alleano col suo nemico principale, anziché starsene neutrali. VI. Considerata l’infinita distanza, sia morale che fisica, intercorrente fra Dio e gli idoli dei pagani, non si può affermare che coloro che hanno conosciuto questi idoli abbiano conosciuto Dio, né che quelli che li hanno onorati abbiano onorato Dio: per cui i pagani, non meno degli atei, sono rimasti privi della conoscenza di Dio, e non meno di quelli hanno trascorso la vita senza onorarlo. […] VII. Considerata l’orribile corruzione di costumi che è regnata sotto il paganesimo, e l’adito lasciato aperto a ogni sorta di violenza e di impunità dall’idea che i pagani si facevano della loro divinità più importante (dicevano che Giove aveva mutilato e deposto suo padre, che aveva sedotto la sua stessa sorella, che aveva rubato la verginità a un gran numero di giovinette, che aveva rapito Ganimede ecc.), e considerati inoltre gli attentati che i pagani compivano contro le loro stesse divinità, e i delitti che commettevano a loro danno o a loro vantaggio, non è affatto verosimile che il genere umano sarebbe stato più corrotto in uno Stato privo di religione, di quanto lo è stato effettivamente sotto l’idolatria pagana. VIII. Considerata la dottrina del peccato originale, e quella della necessità e insostituibilità della grazia, entrambe stabilite dal Sinodo di Dordrecht, ogni cristiano riformato deve credere che, eccezion fatta pei predestinati, rigenerati e santificati da Dio, tutti gli altri uomini sono incapaci di agire per amore di Dio, e resistono alla corruzione solo per amor proprio e per motivi umani; se quindi alcuni sono migliori e più onesti degli altri, ciò è dovuto esclusivamente al loro temperamento, alla loro educazione, al loro desiderio di essere lodati o al timore di essere biasimati ecc. Inoltre il timore servile dell’inferno è sì capace di far osservare le esteriorità della religione, offrir vittime e sopportare spese per il culto, ma non di convertire al vero Dio con una sincera rinuncia alla corruzione interiore. IX. Stando così le cose, nulla impedisce che persone senza religione vivano nell’onestà civile almeno quanto i pagani, dato che anche in loro si possono trovare gli stessi principi che fanno agire i pagani: il temperamento, l’educazione, il desiderio di essere stimati e il timore di essere biasimati. X. Considerato lo straordinario numero di persone che non vivono secondo i loro i loro principi […]; bisogna credere che le nostre azioni non dipendono affatto dalle conoscenze dell’intelletto; per cui i pagani, con la vaga conoscenza che avevano di Dio, non potevano assolutamente essere in grado di purificare il loro cuore, più di quanto lo sarebbero stati se fossero stati privi di una simile conoscenza. […] XII. Considerate le idee di onore e di gloria che regnano fra i cristiani e che essi certamente non ricavano dal Vangelo, e considerate inoltre le idee di onore e di gloria che esercitavano tanta influenza sui pagani e che certamente non venivano loro offerte dal sistema della loro impura teologia; un uomo può avere queste idee indipendentemente dalla fede nell’esistenza di un Dio: può, per esempio, sapere che un ingrato è degno di biasimo e che un figlio è lodabile quando ha rispetto per il padre, come sa, indipendentemente dalla religione, che il tutto è più grande della parte. XIII. Considerata la vita morigerata e onesta di Epicuro, di Plinio e di alcuni altri atei menzionati dalla storia, è assolutamente insostenibile che l’ignoranza della provvidenza possa essere una causa necessaria della corruzione dei costumi, a meno che non si voglia avanzare l’assurda pretesa che una cosa di cui si son visti esempi è impossibile. XIV. Considerati questi esempi, e considerata la forza del temperamento, quella dell’educazione e della moda dominante in ogni paese, è assurdo sostenere che un ateo, quale che possa essere il suo temperamento, in qualsiasi maniera possa essere educato e in qualsiasi paese viva, debba essere necessariamente dedito a ogni genere di vizi”.[22]


Note

[1]Pierre Bayle, Pensieri sulla cometa, Editori Laterza 1979, pp. 15-16, nell’Avvertenza per il lettore

[2]Pierre Bayle nasce in ambiente calvinista nel 1647 nei pressi di Tolosa. Un’inquieta e incessante ricerca della verità caratterizza la sua formazione culturale giovanile. Impara molto bene il latino, discretamente il greco; poco, invece, l’ebraico. Nel 1666 inizia a studiare filosofia in un’Accademia protestante. Quando nel 1669, trasferitosi in un collegio gesuitico, incontra obiezioni profonde alle sue convinzioni religiose, si converte al cattolicesimo. Dopo poco più di un anno, però, gli sembra che quelle critiche siano inconsistenti e che certe verità cattoliche, come quella della transustanziazione, siano infondate. Ritorna, pertanto, alla fede paterna, ma la sua ricerca non si acquieta. Questa esperienza di due conversioni a breve distanza di tempo non è, come potrebbe apparire, un segno di superficialità spirituale: al contrario, essa prova la serietà della sua ricerca della verità, per la quale egli riesce a vincere il peso delle abitudini e a vivere posizioni religiose opposte, fino a consumare la sua fede in esse. L’idea di poter risolvere i problemi religiosi con l’esercizio della critica razionale, messa a prova esistenziale, lo porta a un profondo scetticismo, accompagnato dallo spirito di tolleranza. Emerge già allora l’importanza che egli, nel suo lavoro intellettuale, sempre attribuirà al metodo della seria valutazione delle tesi opposte. Nel 1670 fugge a Ginevra. Torna in Francia, prima a Rouen e a Parigi, poi a Sedan dove insegna nell’Accademia protestante, a partire dal 1676. Stringe amicizia con Pierre Jurieu, suo collega, professore di teologia. Nel 1681 la scuola protestante viene chiusa; Bayle e Jurieu si rifugiano a Rotterdam, per sfuggire alla persecuzione degli ugonotti da parte di Luigi XIV. In Olanda insegna filosofia e storia alla “Scuola illustre” e scrive le opere sue più importanti. Nel 1682 pubblica i Pensieri sulla cometa, la cui idea fondamentale, per la quale il valore morale delle azioni non dipenderebbe dalla fede religiosa, lo espone all’accusa di ateismo. Tra coloro che lo accusano, si segnala con particolare virulenza Pierre Jurieu, che, anche per divergenze politiche, gli diventa sempre più ostile. La polemica dell’ex-amico gli procura una forte ostilità dell’ortodossia calvinista, che nel 1693 gli causa la perdita della cattedra e della relativa pensione. Nel 1694, pubblica l’Aggiunta ai pensieri sulla cometa, una risposta alle accuse di ateismo formulategli da Pierre Jurieu. Da allora fino al 1706, anno della morte, lavora al Dizionario storico e critico, un “dizionario degli errori”, nei cui duemila e più articoli il suo atteggiamento critico nei confronti della tradizione trova nella storia il suo campo di applicazione. Un libro che fornirà gran parte del materiale critico alle battaglie degli illuministi francesi.

[3]Pierre Bayle, Pensieri sulla cometa, Editori Laterza 1979, p. 92.

[4]Ib. p. 95.

[5]Ib. p. 102.

[6]Ib. p. 153.

[7]Ib. p. 157.

[8]Ib. pp. 163-164.

[9]Ib. pp. 168-169.

[10]Ib. p. 171.

[11]Ib. p. 201.

[12]Ib. p 216.

[13]Ib. p. 216.

[14]Ib. p. 303.

[15]Ib. p. 338.

[16]Ne ho scritto in Viaggio nella filosofia. Da Montaigne a Pascal, a p. 129 e seguenti.

[17]Pierre Bayle, Pensieri sulla cometa, Editori Laterza 1979,p. 307.

[18]Ib. p. 322.

[19]Ib. p. 345.

[20] In poco più di un secolo questa concezione matura fino a rovesciarsi in culto rivoluzionario della dea Ragione, realizzando così la rivincita della religione popolare, sotto l’apparente suo sradicamento: i politici rivoluzionari si sono convinti di poter fare a meno dei preti, ma si fanno essi stessi preti di una nuova religione, che, nel Novecento sovietico, si presenterà addirittura come ateismo scientifico. Una conferma del bisogno che i politici hanno della religione come educatrice popolare.

[21]Ib. p. 526.

[22]Ib. pp. 556-558.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2013-14 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

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Aggiornamento: 26-04-2015