Gli incredibili successi del positivismo comtiano

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COMTE E IL POSITIVISMO (1798-1857)

I - II

Gli incredibili successi del positivismo comtiano

Pur cercando per tutta la sua vita un'affermazione personale, Auguste Comte (1798-1857), il teorico del positivismo, riuscì a trovarla solo dopo morto e addirittura nel mondo intero.

Nella seconda metà dell'Ottocento (almeno fino alla I guerra mondiale) il positivismo fu la filosofia più importante del pianeta, infinitamente superiore sia quella del socialismo che a quella del nostro neo-idealismo (Croce e Gentile). Fu l'ideologia che la borghesia volle imporre non solo in Europa e negli Stati Uniti, ma anche in tutte le proprie colonie. Fu la risposta borghese alle teorie del vecchio idealismo religioso e del nuovo socialismo utopistico e scientifico, ma anche a tutti i tentativi di "democratizzare" troppo la società civile.

La borghesia del secondo Ottocento era sì favorevole alla scienza e alla tecnica (applicate all'industria), ma voleva anche pacificazione sociale e sottomissione delle classi lavoratrici (eventualmente alzando i loro salari grazie allo sfruttamento selvaggio delle colonie, di cui in Europa la popolazione non sapeva quasi nulla, e negli Usa ancora meno).

La forza (illusoria) del positivismo stava tutta nel fatto che si poneva come una "religione laica", disposta a fare della rivoluzione tecnico-scientifica il proprio idolo. Si era assolutamente convinti che gli antagonismi sociali, creati a partire dalla rivoluzione industriale della seconda metà del XVIII sec., e resi ben evidenti dalle condizioni di miseria delle plebi urbane, che fuggivano da una vita rurale il cui autoconsumo era stato rovinato dai mercati, si sarebbero facilmente risolti investendo nell'industria tutto quanto di scientifico e di tecnologico si sarebbe potuto scoprire e inventare.

Si voleva assolutamente essere convinti di questo, poiché si temeva che le forze sociali antiborghesi potessero sfruttare quegli antagonismi al fine di avanzare rivendicazioni non compatibili con le esigenze di profitto.

La borghesia aveva cercato nelle plebi rurali e urbane un potente alleato contro le forze reazionarie della nobiltà (laica e, in Francia, anche ecclesiastica). Ora che aveva ottenuto maggiori spazi di manovra, temeva di dover fare ulteriori concessioni ai propri alleati: di qui i tradimenti politici e i tentativi, appunto "positivistici", di farsi perdonare, promettendo un benessere generalizzato in virtù di un nuovo dio da adorare: quello del progresso tecnico-scientifico.

La borghesia in effetti fu convincente, poiché nell'ambito del socialismo europeo il riflusso fu notevole. Era molto raro vedere degli intellettuali di sinistra mettere in relazione l'aumentato benessere in Europa e negli Usa col crescente sfruttamento delle loro colonie e della natura in generale, nei cui confronti avere il benché minimo scrupolo sarebbe stato irresponsabile. Neppure oggi d'altra parte esiste una consapevolezza critica di ciò che il capitalismo è in grado di fare quando si pone come "imperialismo".

La disillusione non venne perché il benessere, dopo una prima euforia, era diminuito, nonostante fossero forti e ripetute le crisi di sovrapproduzione, ma venne perché scoppiò la I guerra mondiale, la quale appunto s'incaricò di dimostrare che il positivismo poteva essere messo al servizio non solo di quelle nazioni che, prima delle altre, avevano compiuto l'unificazione nazionale e, insieme, la rivoluzione industriale, ma anche di quelle che, in queste due direzioni si erano avventurate per ultime e che ora avevano bisogno di recuperare in fretta il tempo perduto, soprattutto là dove, col pretesto della "civilizzazione da esportare", c'erano da saccheggiare ricchezze favolose a titolo gratuito.

Dunque, il positivismo aveva dimostrato che la pur imponente rivoluzione tecnico-scientifica non era di per sé sufficiente a risolvere gli antagonismi sociali. Ci voleva ben altro, e la soluzione trovata dalla borghesia era perfettamente in linea con la sua filosofia di vita, soprattutto con quella che viene applicata nei momenti difficili: la guerra.

Ci illuderemmo però a pensare che le due guerre mondiali abbiano saputo sferrare un colpo decisivo all'ideologia "magica" del positivismo. La borghesia ha soltanto mutato gli strumenti del proprio dominio: dopo il treno ha creato l'automobile, dopo la macchina da scrivere il computer, dopo il telegrafo e il telefono il cellulare, e così via.

Di scoperta in scoperta, in un susseguirsi d'innovazioni sempre più complesse, siamo arrivati a un punto in cui non si sa più cosa inventare. Sappiamo soltanto che quando le crisi non si risolvono, quando le contraddizioni si acuiscono, la borghesia sa trarre dal suo cilindro sempre il solito coniglio. Il suo motto preferito è: "distruggere tutto per poter ricostruire.

Ricominciare da capo

In un certo senso il positivista Comte cadde nella stessa ingenuità che aveva caratterizzato in Germania la Sinistra hegeliana nei confronti del proprio maestro, quella cioè di credere che per cambiare la società fosse sufficiente passare dalla fede all'ateismo, dalla teologia e dalla metafisica alla scienza.

La differenza stava nel fatto che, siccome la Francia era socialmente ed economicamente più avanzata della Germania, Comte poté parlare di una scienza sociale: la sociologia, mentre la Sinistra hegeliana si limitò a fare filosofia, seppur trasformandola in antropologia (Feuerbach), in esegesi laica del Nuovo Testamento (Strauss e Bauer), in teoria dell'anarchismo (Stirner). Solo Marx ed Engels uscirono dal seminato, elaborando sia una nuova scienza sociale: il materialismo storico-dialettico, che una teoria politica rivoluzionaria: il socialismo scientifico.

Che la sociologia fosse un'ideologia borghese è dimostrato proprio dal fatto che Comte non vedeva l'antagonismo di classe come un difetto strutturale del sistema, ma come un limite facilmente superabile dallo sviluppo della scienza e della tecnica applicate all'industria.

La sua analisi sociologica pretendeva d'essere scientifica non perché basata sulla storia dei rapporti economici o sulla fenomenologia della conflittualità sociale, quanto perché adottava una metodologia d'indagine affine a quella delle scienze naturali. La sociologia era una sorta di "fisica sociale", in cui le leggi venivano studiate in maniera matematica, secondo la categoria della necessità.

Un'impostazione, questa, che caratterizzerà anche buona parte della produzione del Marx economista, il quale però usava la "necessità" a favore del proletariato, non certo della borghesia.

Comte e Marx sono stati due "sacerdoti della scienza", ma la distanza che li separa è notevole, anche se non abissale, poiché l'uno voleva la conservazione dell'esistente e l'ulteriore sviluppo imperialistico della borghesia, mentre l'altro ha sempre voluto l'abolizione della proprietà privata, cercando, tuttavia, di dimostrare che, proprio in virtù di tale abolizione, la scienza e la tecnica sviluppate dalla borghesia avrebbero potuto dare ampio benessere a tutta la società.

Cioè in definitiva essi erano entrambi abbacinati dalla rivoluzione tecnico-scientifica dell'Ottocento, i cui risultati non avrebbero mai messo in discussione. Sotto questo aspetto, è difficile vedere in Marx una reale alternativa a Comte. Ci vorrebbe qualcosa di ancora più radicale, che ci facesse uscire non solo dal capitalismo, ma anche dalla stessa "civiltà" e ci costringesse a ricominciare da capo.


Testi di A. Comte

Testi su A. Comte e sul Positivismo


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015