Denis Diderot: libertà umana e morale tra natura e leggi

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Denis Diderot: libertà umana e morale tra natura e leggi

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Giuseppe Bailone

Nell’ipotesi materialistica di Diderot, c’è posto per la libertà umana?

L’uomo dipende, nelle sue funzioni e nella sua attività, interamente da fattori esterni al suo controllo o è, almeno in parte, padrone di sé e, quindi, responsabile delle sue azioni?

Diderot respinge l’idea del libero arbitrio. Nella Lettera a Landois scrive: “Pensateci bene, e vedrete che la parola libertà è una parola priva di senso; che non esistono e non possono esistere esseri liberi; che noi siamo ciò che conviene all’ordine generale, all’organizzazione, all’educazione e alla catena degli avvenimenti. […] Quello che ci inganna è la prodigiosa varietà delle nostre azioni, unita all’abitudine, che abbiamo contratta fin dalla nascita, di confondere il volontario col libero. Facciamo tante cose, e abbiamo da così lungo tempo l’impressione che siano tutte volute da noi. Abbiamo tanto lodato, tanto rimproverato, e lo siamo stati tante volte noi stessi, che è un pregiudizio ben radicato quello di credere che noi e gli altri vogliamo, agiamo liberamente”.1 La nostra volontà non è libera.

Questo, però, non significa che l’uomo dipenda soltanto da quel che ha ricevuto dalla natura alla nascita. Il suo essere è, per Diderot, il risultato di un intreccio di fattori naturali, sociali e anche personali. Nella sua formazione anche l’educazione familiare e sociale esercita una funzione importante.

Nella Lettera a Landois troviamo ancora il seguente passo: “Ma quantunque l’uomo, bene o male che agisca, non sia libero, egli è nondimeno un essere che si modifica. È per questa ragione che bisogna distruggere chi agisce male su una pubblica piazza. Ciò spiega i buoni effetti dell’esempio, dei discorsi, dell’educazione, del piacere, del dolore, della grandezza, della miseria, ecc. Da qui deriva una sorta di filosofia piena di commiserazione che ci lega tenacemente ai buoni, che ci fa provare un’irritazione verso il malvagio non più grande di quella per un uragano che ci riempie gli occhi di polvere”.2

Anche nella voce Malfattore dell’Enciclopedia, Diderot parla della funzione educativa della legge e scrive: “I buoni esempi, i buoni discorsi, le punizioni, le ricompense, il biasimo, la lode, le leggi hanno sempre il loro effetto”. Anche l’abitudine ha il suo peso nel modificare le disposizioni “naturali”. Inoltre, secondo lui, gli uomini sanno distinguere il bene e il male, il giusto e l’ingiusto e sono, pertanto, responsabili del loro comportamento.

“Meno libero è un essere, più si è sicuri di modificarlo”, scrive Diderot alla voce Modificazione dell’Enciclopedia. La forza delle leggi, l’azione educativa diretta, le punizioni e i premi agiscono su una capacità naturale di distinguere il bene e il male, facendola maturare.

“L’uomo – scrive nel frammento 23 dei Pensieri staccati – nasce con un germe di virtù, quantunque non nasca virtuoso. Egli giunge a questo stato sublime solo dopo che ha analizzato se stesso, che ha conosciuto i propri doveri, che ha contratto l’abitudine a compierli. La scienza che conduce a questo alto grado di perfezione si chiama morale. È la regola delle azioni e, se ci si può esprimere così, l’arte della virtù. Si devono incoraggiare, si devono elogiare tutte le fatiche intraprese per allontanare i mali che ci assediano, per aumentare la quantità dei nostri piaceri, per abbellire il sogno della nostra vita, per elevare, perfezionare la nostra specie e darle lustro. Ma la prima corona sarà per il saggio i cui scritti toccanti e luminosi avranno avuto uno scopo più nobile, quello di renderci migliori”.

Il materialismo di Diderot riconosce la forza della parola educativa, degli “scritti toccanti e luminosi”; prevede la possibilità per l’uomo di modificare in meglio se stesso, non solo le proprie condizioni d’esistenza.

Il progresso morale è possibile, ma, molti educatori remano contro.

“Quanti libri inutili! Quanti libri dannosi!”.

Nel frammento 23 dei Pensieri staccati, Diderot denuncia con particolare forza l’azione negativa della religione e dei preti sulla morale.

I libri dannosi “sono in gran parte opera dei preti e dei loro discepoli, i quali non vogliono capire che la religione deve considerare gli uomini solo nel loro rapporto con la divinità, e che bisogna cercare un diverso fondamento ai rapporti che gli uomini hanno tra loro”.

La fase deistica nel pensiero di Diderot è ormai del tutto superata.

La morale, per essere universale, deve ispirarsi all’utilità sociale, che sola può fondare norme universali, mentre la religione è sempre particolare.

“Se c’è una morale universale, essa non può essere l’effetto di una causa particolare. È stata la stessa nei tempi passati, sarà la stessa nei secoli futuri, non può avere dunque per base le opinioni religiose che, dall’origine del mondo e da un polo all’altro, sono continuamente cambiate”.

Tramontato, nel pensiero di Diderot, il deismo, tramonta anche l’idea di un Dio universale, raggiunto per via razionale: restano solo le divinità particolari delle diverse religioni passate e presenti.

“I greci hanno avuto dèi malvagi, i romani hanno avuto dèi malvagi, lo stupido adoratore del feticcio adora piuttosto un diavolo che un dio. Ogni popolo si creò degli dèi; e li creò come a lui piacque: buoni o crudeli, dissoluti o di costumi austeri. Si direbbe che ogni popolo abbia voluto deificare le proprie passioni e opinioni”.

Il particolarismo delle religioni non ha, però, spento negli uomini l’aspirazione profonda e naturale a una morale universale.

“Tutte le nazioni hanno onorato come virtù la bontà, la compassione, l’amicizia, la fedeltà, la sincerità, la riconoscenza, l’amor di patria, la tenerezza paterna, il rispetto filiale, tutti i sentimenti, insomma, che si possono considerare come altrettanti legami atti ad unire più strettamente gli uomini. L’origine di questa unanimità di giudizio, così costante e così generale, non doveva dunque essere cercata tra opinioni contraddittorie e passeggere”, quali sono le religioni, così mutevoli nel tempo e nello spazio.

Come mai i preti si sono mossi contro questa universale tendenza umana?

“Se, come sembra, i ministri della religione l’hanno pensata diversamente, è che, coi loro sistemi, diventavano padroni di regolare tutte le azioni degli uomini, disponevano di tutte le fortune, di tutte le volontà, si assicuravano, in nome del cielo, il governo arbitrario della terra. Il loro dominio era così assoluto che erano giunti a stabilire una morale barbara, che metteva gli unici piaceri capaci di rendere sopportabile la vita sul piano dei più grandi misfatti; una morale abietta, che imponeva l’obbligo di sentirsi a proprio agio nell’umiliazione e nell’obbrobrio; una morale stravagante, che minacciava con gli stessi supplizi sia le debolezze dell’amore sia le azioni più atroci; una morale superstiziosa, che ingiungeva di sgozzare senza pietà quanti si allontanavano dalle opinioni dominanti; una morale puerile, che fondava i doveri più essenziali su favole ugualmente disgustose e ridicole; una morale interessata, che delle virtù ammetteva solo quelle che erano utili al clero e considerava criminale solo ciò che era dannoso per loro. Se i preti avessero solamente incoraggiato gli uomini ad osservare la morale naturale con la speranza o col timore delle ricompense e delle pene future, essi sarebbero stati benemeriti delle società, ma, volendo sostenere con la violenza dogmi utili che erano stati introdotti col solo dolce strumento della persuasione, essi hanno rimosso la benda che nascondeva le profondità della loro ambizione. La maschera è caduta”.

Il carattere violento dell’educazione religiosa ha devastato anche i suoi aspetti positivi, quelli, cioè, in armonia con la morale universale: imponendoli come dogmi, essa ne ha corrotto la loro possibile utilità sociale. Il clero ha trasformato in veleno sociale anche ciò che di salutare ha fatto proprio.

Salutare è stato, invece, l’intervento della filosofia nel mondo greco.

“Sono ormai trascorsi più di duemila anni da quando Socrate, stendendo un velo sopra le nostre teste, ha affermato che niente di quello che accade al di là del velo ci interessa, e che le azioni degli uomini non sono buone perché piacciono agli dei, ma che piacciono agli dei perché sono buone: principio che separa la morale dalla religione”.3

La religione guasta la morale, la filosofia le offre una fondazione razionale.

“In effetti, dinanzi al tribunale della filosofia e della ragione, la morale è una scienza, il cui fine è la conservazione e il bene dell’umanità. È a questo duplice scopo che le sue regole devono rapportarsi. Il loro principio fisico, costante ed eterno, si trova nell’uomo stesso, nella somiglianza d’organizzazione tra gli uomini: somiglianza d’organizzazione che comporta anche quella dei bisogni, dei piaceri, delle pene, della forza, della debolezza; fonte della necessità della società, o di una lotta comune contro i pericoli comuni e che nascono dal seno della stessa natura, la quale minaccia l’uomo da cento parti diverse. Ecco l’origine dei legami particolari e delle virtù domestiche; ecco l’origine dei legami generali e delle virtù pubbliche; ecco la fonte della nozione di utilità personale e generale; ecco la fonte di tutti i patti individuali e di tutte le leggi.

Non esiste, propriamente parlando, che una virtù, la giustizia, e non esiste che un dovere, quello di rendere felici se stessi. Il virtuoso è colui che possiede le nozioni più esatte della giustizia e della felicità, e che ad esse conforma la sua condotta nella maniera più rigorosa. Vi sono due tribunali, quello della natura e quello delle leggi. L’uno giudica i delitti dell’uomo contro i propri simili, l’altro i delitti dell’uomo contro se stesso. La legge punisce i crimini, la natura punisce i vizi. La legge mostra la forca all’assassino, la natura mostra l’idropisia o la tisi all’intemperante”.4

Vive moralmente bene colui che, non reprimendo la sessualità e le pulsioni naturali, che promuovono nel singolo la conservazione e la propagazione della specie, cerca la propria felicità nel rispetto dei vincoli sociali. Un sano e socievole comportamento umano non ha bisogno dell’idea di Dio, come invece pensa Voltaire. Bastano le leggi per reprimere i crimini, purché siano a difesa della libertà e della sicurezza dell’individuo, garantiscano la proprietà privata, regolino una giusta imposizione fiscale e promuovano il merito nell’accesso alle cariche pubbliche.

In Conversazione di un filosofo con la marescialla di ***, Diderot scrive:

“Fate in modo che il bene dei privati sia legato al bene pubblico così strettamente che un cittadino non possa quasi arrecare il minimo danno alla società senza nuocere a se stesso; assicurate alla virtù la sua ricompensa, come avete assicurato alla malvagità la sua punizione; che il merito, senza alcuna distinzione di culto, in qualunque condizione si trovi, conduca alle alte cariche dello Stato; e siate certa che non vi saranno altri malvagi, se non poche persone che una natura perversa, che nulla può correggere, trascina al vizio. Signora Marescialla, la tentazione è troppo vicina e l’inferno troppo lontano: non aspettatevi nulla di cui valga la pena che un saggio legislatore si occupi, da un sistema di opinioni bizzarre che incute rispetto soltanto ai bambini, che incoraggia al delitto con la comodità delle espiazioni, che spedisce il colpevole a chiedere perdono a Dio dell’offesa fatta all’uomo, e che svilisce l’ordine dei doveri naturali e morali, subordinandolo a un ordine di doveri chimerici”.5

In Osservazioni sull’Istruzione dell’Imperatrice di Russia ai deputati per la elaborazione delle leggi, Diderot scrive: “Bisogna innanzi tutto che la società sia felice; e lo sarà se la libertà e la proprietà sono garantite; se il commercio non viene intralciato; se tutti gli ordini di cittadini sono ugualmente soggetti alle leggi, se le tasse vengono pagate in ragione delle possibilità o ben suddivise; se non oltrepassano le esigenze dello Stato; se le virtù e i talenti vi trovano una ricompensa sicura”.6

La religione guasta la morale e nuoce alle istituzioni politiche.

“Va discusso – scrive Diderot– questo problema: se bisogna porre le istituzioni politiche sotto la sanzione della religione. Non mi piace far entrare negli atti di sovranità uomini che predicano un essere superiore al sovrano e fanno dire a quest’essere tutto quel che vogliono. Non mi piace fare una questione di fanatismo di una questione di ragione. Non mi piace fare una questione di fede di una questione di convinzione. Non mi piace dar peso e importanza a chi parla in nome dell’onnipotente. La religione è un sostegno che finisce sempre per buttar giù la casa. La distanza tra l’altare e il trono non può mai esser grande abbastanza”.7

Nel frammento 23 di Sulla morale Diderot critica i filosofi che hanno fondato la morale sui sentimenti: non sono andati in profondità e non hanno veramente capito il problema morale.

“Molti scrittori hanno cercato i primi principi della morale nei sentimenti d’amicizia, di tenerezza, di compassione, d’onore, di generosità, perché li trovavano scolpiti nel cuore umano. Ma non vi trovavano anche l’odio, la gelosia, la vendetta, l’orgoglio, la sete di dominio? Perché dunque hanno fondato la morale sui primi sentimenti piuttosto che sui secondi? Perché hanno capito che gli uni tornavano a vantaggio dell’intera società e che gli altri le sarebbero funesti. Questi filosofi hanno sentito la necessità della morale, hanno intravisto ciò che essa doveva essere, ma non ne hanno colto il primo principio, il principio fondamentale.

In realtà, gli stessi sentimenti che essi adottano come fondamento della morale, perché sembrano loro utili al bene comune, abbandonati a se stessi, potrebbero essere molto dannosi. Come potremmo deciderci a punire il colpevole, se ascoltassimo solo la compassione? Come potremmo difenderci dalle particolarità, se ci lasciassimo consigliare solo dall’amicizia? Come eviteremmo di favorire la pigrizia, se consultassimo soltanto la condiscendenza? Tutte queste virtù hanno un limite, al di là del quale esse degenerano in vizi; e questo limite è segnato dalle regole immutabili della giustizia nella sua essenza o, il che è lo stesso, dall’interesse comune degli uomini riuniti in società, e dallo scopo costante di questa riunione. È per se stesso che si eleva a virtù il coraggio? No, ma perché è utile alla società. Prova ne sia che lo si punisce come vizio nell’uomo che se ne serve per turbare l’ordine pubblico.

Perché la crapula è un vizio? Perché ogni cittadino è tenuto a contribuire all’utilità comune, e perché c’è bisogno, per adempiere a quest’obbligo, del libero esercizio delle proprie facoltà. Perché certe azioni sono più biasimevoli in un magistrato o in un generale che in un privato? Perché ne derivano i più grandi inconvenienti per la società.

Gli obblighi dell’uomo isolato mi sono sconosciuti. Non vedo né dove cominciano né dove finiscono. Poiché vive solo, ha il diritto di vivere soltanto per sé. Nessuno può pretendere da lui aiuti che egli non implora. Tutt’altra cosa è per chi vive nello stato sociale. Egli non è niente per se stesso. È sostenuto da ciò che lo circonda. Le sue proprietà, i suoi piaceri, le sue forze, e persino la sua esistenza, tutto egli deve al corpo politico cui appartiene”.8

Il frammento successivo e conclusivo merita di essere riportato interamente.

“Viviamo sotto tre codici: il codice naturale, il codice civile, il codice religioso. È evidente che fino a quando questi tre generi di legislazione saranno in contraddizione tra di loro, sarà impossibile essere virtuosi. Bisognerà ora calpestare la natura per ubbidire alle istituzioni sociali, ora le istituzioni sociali per conformarsi ai precetti della religione. Quali saranno le conseguenze? Saranno che, infrangendo alternativamente queste tre diverse autorità, non ne rispetteremo nessuna, e non saremo né uomini, né cittadini, né devoti.

I buoni costumi richiederebbero dunque una riforma preliminare che unificasse i tre codici. La religione non dovrebbe vietarci o prescriverci quello che ci sarebbe prescritto o vietato dalla legge civile, e le leggi civili e religiose dovrebbero modellarsi sulla legge naturale, che è stata, è e sarà sempre la più forte. Da questo si capisce che il vero legislatore deve ancora nascere; che non lo furono né Mosè, né Solone, né Numa, né Maometto, e neppure Confucio; che non solo ad Atene, ma in tutto il mondo, è stata imposta agli uomini non la migliore legislazione che si potesse dare loro, ma la migliore che essi potessero ricevere; e che, a considerare solo l’aspetto morale, essi sarebbero forse meno lontani dal bene, se fossero rimasti nello stato semplice e innocente di taluni selvaggi: giacché niente è così difficile quanto sradicare pregiudizi inveterati e santificati. Per chi progetta un grande edificio, è preferibile un’area sgombra a un’area coperta da cattivi materiali ammassati senza un metodo e senza un piano, e disgraziatamente legati con i più duri cementi, quelli del tempo, dell’abitudine e dell’autorità dei sovrani e dei preti. Allora il saggio lavora solo con timidezza, corre più rischi, e impiega più tempo a demolire che a costruire”.9

Note

1 In Denis Diderot, L’uomo e la morale, Editori Riuniti 1987, pp. 67-8.

2 Ib. p. 68.

3 Questa tesi si trova nel dialogo platonico Eutifrone. Cfr. Giuseppe Bailone, Viaggio nella filosofia greca, nei “Quaderni della fondazione Università Popolare di Torino” n° 1.

4 Frammento 23, in Diderot, Sulla morale, in Denis Diderot, L’uomo e la morale, Editori Riuniti 1987, pp.135-7.

5 In Denis Diderot, L’uomo e la morale, Editori Riuniti 1987, pp.123-4.

6 In Denis Diderot, Scritti politici, Utet 1967, p. 419.

7 Ib. pp. 370-71.

8 In Denis Diderot, L’uomo e la morale, Editori Riuniti 1987, pp.137-8.

9 Ib. pp. 138-9.

Torino 7aprile 2014

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

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Aggiornamento: 26-04-2015