La rivoluzione di Sigmund Freud

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Freud E LA CRITICA DELLA RELIGIONE

I - II - III

Il Freud di Totem e tabù (1913), L'avvenire di un'illusione (1929) e di Mosè e il monoteismo (1938) aveva accettato l'idea, sulla scia di Darwin, che vi fosse una certa relazione tra le fasi dello sviluppo del singolo individuo e quelle dell'umanità. Cioè aveva ritenuto possibile che l'umanità, alle origini, si comportasse come un bambino. In particolare è in Totem e Tabù che Freud prende le mosse dalla teoria darwiniana sull’orda primordiale. Al pari di altri primati, i nostri più remoti progenitori sarebbero vissuti in branchi, dominati da un capo-maschio, un padre-padrone tirannico e geloso, che possedeva le donne del clan e le teneva gelosamente lontane dagli altri maschi. La lotta per sostituirsi al capo era crudele e poteva concludersi con la sua uccisione.

Freud cercò di convalidare questa teoria darwiniana aggiungendo elementi di tipo psicanalitico. E la prima cosa che fece fu quella di ritenere che il complesso di Edipo fosse una caratteristica del bambino in generale e non una specifica del bambino della società borghese. Il fatto che il bambino si senta più attaccato alla madre e veda il padre come un rivale, lo interpretò non nel senso che nella società borghese la figura del padre, in ambito familiare, è del tutto marginale sul piano dei sentimenti, proprio perché è abituato a negarli o a trascurarli, mentre fa affari in ambito civile, ma lo interpretò come un atteggiamento del tutto naturale, che ha origini ancestrali.

Nella famiglia borghese - come ha ben dimostrato la Scuola di Francoforte - il padre si comporta in maniera autoritaria perché è questo l'atteggiamento che deve tenere là dove domina l'antagonismo sociale tra i produttori e tra questi e i consumatori. L'autoritarismo, ad un certo punto, gli diventa istintivo. Non tener conto di questo specifico condizionamento sociale è stato un grave errore da parte di Freud, che lo ha poi indotto a generalizzare immotivatamente, rendendolo di tipo "naturale", un fenomeno che invece ha radici storiche ben definite.

Nella società borghese (dei tempi di Freud) la figura della madre rappresentava ancora la sopravvivenza dei valori cristiani o pre-borghesi, lontani dalla conflittualità sociale e pertanto caratterizzati da maggiore emotività, nonché da una certa premura per la crescita affettiva dei figli, per lo sviluppo dei loro sentimenti. Tutte cose che dovevano poi essere ridimensionate in età adulta, quando il figlio smetteva di vedere il padre come un rivale e iniziava a vederlo come una guida fondamentale per l'ingresso nella società pubblica, nello Stato e nel mondo degli affari.

Sotto questo aspetto è assurdo pensare - come fa Freud - di poter superare il complesso di Edipo cercando, da parte del figlio, di diventare come il padre, cioè come colui che fino a poco tempo prima era stato considerato un rivale. Se si vuole parlare di superamento, bisogna aggiungere ch'esso, nell'analisi freudiana, si pone solo al negativo, e che l'unica vera persona sconfitta nell'ambito dei rapporti familiari è stata la donna, i cui valori pre-borghesi tendono ad essere sempre più fagocitati da quelli che si devono vivere per far funzionare il capitalismo; tant'è che, dai tempi di Freud ad oggi, il ruolo della donna è venuto assumendo una veste sempre meno religiosa, sempre meno etica, e sempre più simile al ruolo cinico, impersonale e amorale dell'uomo, che è convinto di poter raggiungere più facilmente il benessere quanto meno affidamento fa ai valori etici.

Parlare di complesso di Edipo, al giorno d'oggi, ha davvero poco senso, in quanto il ruolo dei genitori è diventato equivalente o intercambiabile. Oggi i figli si sentono frustrati proprio perché vivono in famiglie emotivamente o affettivamente disastrate, dove spesso le coppie sono separate, dove giocano un ruolo rilevante i nonni paterni e materni e dove le esperienze più significative vengono vissute in ambiti extra-familiari. Una situazione, questa, del tutto inesistente nelle comunità primitive di cui parla Freud, dove il ruolo dei genitori era svolto dall'insieme della comunità, per cui parlare di "complesso di Edipo", riferito ad esse, è, come minimo, una forzatura.

L'analisi che Freud dà delle popolazioni primitive risente dei pregiudizi degli etno-antropologi borghesi (in particolare di W. Robertson Smith, di J. F. McLennan e J. Frazer), che lui usa sia per dare una veste di universalità al suo concetto di "complesso edipico", che per fare una critica alla religione, del suo tempo e in generale. Egli infatti vede la religione non solo come uno strumento impotente a risolvere le nevrosi, le ossessioni presenti nella società borghese, soprattutto negli ambiti familiari e dei rapporti interpersonali, ma anche come la principale fonte di queste nevrosi. La religione è vista come un ostacolo molto arduo da superare quando è in gioco la pulsione dell'Es a vivere una vita nel piacere, benché Freud non possa non chiedersi con che cosa si sostituirà la religione, visto che di solo Es non si può vivere. (1)

A suo parere la funzione del padre autoritario che determina il complesso edipico viene esercitata, nelle società primitive, dai totem, che rappresentano, progressivamente, oggetti o animali sacri, poi identificati col capo fondatore della tribù, quindi col padre celeste. La funzione di questi totem, nell'analisi distorta di Freud, è quella di porre fine a un periodo dominato dall'istintività aggressiva e promiscua, un periodo in cui - a suo parere - la paura nei confronti del "sociale" era un tutt'uno con quella nei confronti del "naturale".

Freud notò che tutte le società primitive sono accomunate dalla cerimonia del banchetto totemico, in cui i membri della tribù uccidono e mangiano un animale sacro a un dio o simbolo del dio stesso. Questo rituale, che rappresenta l’unitarietà sacra del clan, può essere letto - secondo lui - come metabolizzazione della drammatica ribellione al padre-padrone dell’orda, motivata dalle spinte libidiche dei figli, continuamente represse anche con la punizione (reale o minacciata che fosse) dell’evirazione. Freud arriva alla conclusione che i rituali del banchetto totemico evocassero l’uccisione del padre-capo dell’orda da parte dei figli ribelli, che ne avrebbero mangiato il corpo, nella credenza tipica delle comunità antropofaghe di assimilarne la potenza. Ucciso il padre, il branco si sarebbe trovato però senza protezione e in preda a lotte fratricide per la conquista del potere. In questo contesto sarebbe maturato un senso di colpa collettivo, che avrebbe portato il gruppo a darsi regole basilari. Si sarebbe così imposta una sorta di “ubbidienza postuma” alla legge del padre. Di qui i due tabù delle società primitive: divieto di profanare il capo (padre-totem) e divieto d’incesto.

Ci sarebbe dunque un legame tra i primi desideri del bambino e quelli delle società primitive, perché “i fondamentali comandamenti del totemismo, le due prescrizioni che ne costituiscono il nocciolo, cioé la proibizione di uccidere il totem e quella di sposare una donna dello stesso totem, coincidono, nel contenuto, con i due crimini di Edipo, che ha ucciso il padre e sposato la madre. [...] il sistema totemico è sorto dalle condizioni del complesso di Edipo” (Totem e tabù).

Ma le tracce mnestiche di quel banchetto sopravvivono anche nel sacramento eucaristico. Qui avverrebbe però una singolare inversione dei ruoli: è il figlio Cristo a essere sacrificato al padre per rimediare alla colpa originaria: “sacrificando la propria vita, egli redense tutti i suoi fratelli dal peccato originale. [...] Viene rimesso in vita l’antico banchetto totemico in forma di comunione, in cui i fratelli riuniti si cibano della carne e del sangue del figlio, e non del padre, per santificarsi e identificarsi con lui” (ib.). E non è di secondaria importanza che il figlio sia casto. Solo così può provare al padre il superamento del complesso di Edipo: “La riconciliazione col padre è tanto più completa in quanto, contemporaneamente al sacrificio, si proclama la rinuncia alla donna, che è stata la causa della ribellione contro il padre” (ib.).

Tuttavia nel mito cristiano Gesù è egli stesso dio, incarnatosi per volontà del dio-padre. E’ dunque a tutti gli effetti dio: accanto al padre, ma identico al padre. Così, pur nella riproposizione del dio unico, ritorna l’incontenibile psicologica aspirazione del figlio a prendere il posto del padre. Sicché "la comunione cristiana è, in fondo, una nuova soppressione del padre, una ripetizione dell’atto che richiede espiazione” (ib.). L’eucaristia ricorda la vittoria dei figli sul padre. Il mito di Cristo sostituisce all’orda paterna l’alleanza del clan fraterno. La religione del padre, sviluppatasi col monoteismo ebraico, è trasformata dal cristianesimo in quella del figlio, perché la morte del figlio, "volta apparentemente alla riconciliazione col dio padre, finì col detronizzarlo e sopprimerlo. Il giudaismo era stato la religione del padre, il cristianesimo diventò una religione del figlio. L’antico padre divino si ritirò dietro Cristo, e al suo posto venne Cristo, il figlio, proprio come ogni figlio aveva sperato in èra remota” (L’uomo Mosè e la religione monoteistica).

Tuttavia non è annullato il senso di colpa per la disobbedienza al padre primigenio. Anzi, questa colpa è divenuta genetica: "Paolo, un ebreo romano di Tarso, ricuperò questo senso di colpa [...]. Chiamò questa il ‘peccato originale’ [...]. Con il peccato originale la morte venne nel mondo. [...] Ma non si ricordava l’assassinio, si fantasticava piuttosto la sua espiazione, e perciò questo fantasma poteva essere salutato come messaggio di redenzione (vangelo)” (ib.). Ma nel fantasma della genetica colpa originale, che ha preteso la morte del dio-figlio e che suppone l’espiazione eterna di ogni altro figlio-creatura di dio, permangono tutte le irrisolte conflittualità connesse al “complesso del padre”. La psicanalisi ha rivelato come il mistero della religione sia questo complesso.

Qui gli errori sono davvero tanti. Anzitutto il totem (ma andrebbe usato al plurale) era un simbolo per l'intera tribù (suddivisa in clan), proprio perché espressione del culto degli antenati (maschili e femminili) e, più generalmente, del legame dell'uomo con la natura e con ciò che lo circonda (altri totem, quelli di tipo animale, rappresentavano invece le caratteristiche specifiche del singolo individuo); in secondo luogo esso aveva una funzione positiva, di riconciliazione con l'intero universo, non perché la sua presenza fosse connessa a quella dei tabù. Queste sono due cose molto diverse. I tabù dovevano servire per far funzionare al meglio il collettivo, favorendo i collegamenti pratici, concreti, con l'esterno. Il totem invece serviva per favorire i collegamenti della comunità col mondo esterno in maniera semplicemente simbolica e spirituale (rituale), sempre per farla funzionare al meglio. Collegare il complesso edipico all'istituzione dei totem o dei tabù non ha alcun senso, se non appunto stravolgendo il significato originario di quelle due istituzioni. (2) In terzo luogo va detto che i totem, in genere, non erano oggetti di culto, diversamente da come credevano i missionari cristiani. E, quando lo erano, la comunità era già caratterizzata in senso patriarcale.

Ma l'abbaglio più grande Freud l'ebbe quando associò i tabù relativi ai rapporti sessuali tra consanguinei al complesso edipico. Quest'ultimo è qualcosa di patologico, che caratterizza una personalità infantile; il divieto dell'incesto è invece cosa del tutto naturale, poiché là dove veniva praticato, le conseguenze erano sotto gli occhi di tutti: l'estinzione del casato, dovuta a morti premature, malattie congenite, deformazioni fisiche... L'incesto, o comunque il matrimonio tra parenti, lo si trova in società già caratterizzate da rapporti sociali anomali, in cui domina la divisione in ceti contrapposti. E non è un caso che, ad un certo punto, lo si abbini alla pratica della poligamia o delle relazioni extra-coniugali, come valvola di sicurezza.

Non ha alcun senso pensare che la religione sia nata per proibire l'incesto. Laddove esiste incesto esiste già la religione, la quale nasce per legittimare le divisioni sociali. La religione non nasce per proibire i piaceri (tanto meno quelli di natura sessuale), ma per assicurare una posizione di privilegio a determinati personaggi. Anzi, si può anche pensare che in origine la religione non avesse alcun rapporto con la sessualità, e che solo in un secondo momento essa abbia tentato d'intromettersi nelle questioni sessuali per controllare meglio, sul piano etico (e quindi indirettamente politico), le popolazioni sottomesse.

All'inizio può essere addirittura accaduto il contrario, e cioè che i poteri dominanti si siano serviti della religione come arma per soddisfare dei piaceri particolari, inerenti alla loro condizione privilegiata. Ancora oggi vi è chi si serve della religione come strumento di manipolazione della mente, al fine d'indurre il soggetto plagiato a compiere azioni, anche di tipo sessuale, che, in condizioni normali, non farebbe mai (vedi p.es. l'autoimmolazione).

La religione non è qualcosa di "primitivo", poiché nella preistoria le comunità basate sull'autoconsumo non la conoscevano neppure. La religione nasce con la nascita delle civiltà. E non è necessariamente qualcosa di "infantile", se non nella civiltà borghese, dove viene relegata nella sfera privata e facilmente tollerata nella fase adolescenziale dello sviluppo di un individuo o negli elementi adulti considerati più "deboli", come le donne, gli anziani e i malati. In molte altre civiltà (da quelle indo-buddiste a quelle ebraico-islamiche) la religione è un fenomeno sociale del mondo degli adulti, che non viene affatto avvertita in forma alienata, essendo parte di una cultura molto antica, accettata come un dato di fatto.

Non è possibile interpretare la storia o la cultura in generale (e quindi il fenomeno religioso), usando gli strumenti della psicologia e tanto meno quelli della psicanalisi. E questo non perché non sia possibile ridurre la religione a patologia, quanto perché, se è vero che nelle società borghesi la religione può essere fonte di nevrosi, è anche vero ch'essa lo diventa proprio perché i disvalori vissuti nella sfera pubblica (quella mercantile) sono troppo diversi da quelli ereditati dalla tradizione pre-borghese. Oggi Freud avrebbe con molta difficoltà potuto sostenere l'origine religiosa di certe nevrosi, proprio perché in occidente la fede è diventata un fenomeno del tutto marginale. (3)

E, in ogni caso, pensare di poter superare l'alienazione religiosa confidando nella scienza, nella tecnica, nelle leggi civili, nell'organizzazione razionale della società, senza metterne in discussione i presupposti economici che sanciscono il conflitto tra capitale e lavoro, è non meno illusorio. Oggi, molto semplicemente, si tende a trasformare la consolazione, che viene ricercata a causa delle proprie frustrazioni sociali, da mistica a materialistica, in maniera conforme al grande sviluppo del consumismo di massa. Oggi siamo in presenza di altre forme di feticismo, e la principale - come diceva Marx - è quella per le merci.

Note

(1) Il che però non impedì a Freud di riconoscere che il pastore protestante Oskar Pfister, attraverso la sublimazione religiosa, otteneva il successo terapeutico più facilmente dei colleghi laici. Questo perché l'autosuggestione o l'autoconvincimento indotto da fattori magici o irreali può sortire effetti significativi, almeno nel breve periodo. D'altra parte per Freud la religione era vista come "illusione" (l'assimilava ai deliri dei paranoici o alle nevrosi ossessive), e un'illusione era per lui una credenza nelle cui motivazioni prevaleva l'"appagamento di desiderio".

(2) Nella cultura occidentale esiste "totemismo" nello scautismo, nel satanismo di stampo black metal, nel movimento New Age, nell'uso di mascotte, nella venerazione degli angeli custodi, dei santi patroni di comunità e dei santi protettori di categorie sociali, ma anche nei simboli di unità nazionale quali le bandiere, gli stemmi ecc.

(3) In genere la psicanalisi freudiana viene contestata là dove nega un ruolo attivo da parte della coscienza e dove nega il condizionamento dell'ambiente storico-sociale, ovvero dove afferma che la condotta dell'essere umano è condizionata, in maniera fatalistica, dall'inconscio e, in particolare, dalle pulsioni sessuali.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015