Helvétius: il potere dell’educazione

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Helvétius: il potere dell’educazione

I - II - III

Giuseppe Bailone

“Se è vero che i talenti e le virtù di un popolo assicurano la sua potenza e la sua felicità, nessuna questione è più importante di questa: sapere se in ogni individuo i talenti e le virtù sono l’effetto della sua organizzazione o dell’istruzione che gli si dà”.

Helvétius (1) indica con chiarezza l’alternativa che si è aperta nel materialismo illuministico sul tema dell’educazione: l’uomo, nel suo comportamento, è determinato dall’organizzazione del cervello, cioè da quello che noi oggi chiameremmo patrimonio genetico, o dall’istruzioneche riceve?

Si tratta di un’alternativa che germina, nella cultura illuministica francese, dal rifiuto del dualismo antropologico cartesiano di anima e corpo e dall’idea che l’uomo non sia dotato del libero arbitrio attribuitogli da Cartesio.

La Mettrie e Helvétius incarnano posizioni divergenti, quasi opposte.

Per il primo l’uomo è segnato dalla nascita, e l’educazione ha un potere temporaneo e superficiale nel promuovere la morale; per il secondo è l’educazione che plasma l’uomo nel bene e nel male.

La Mettrie, come abbiamo visto, non nega la possibilità di modificare le tendenze naturali della macchina umana attraverso l’educazione e l’azione coercitiva delle leggi: si tratta, infatti, di azioni che creando nuove abitudini agiscono sul meccanismo complessivo della persona che vi sia sottoposta. Tuttavia sono azioni che non incidono in profondità e che agiscono per un tempo limitato: presto la natura riprende il sopravvento e annulla gli effetti dell’arte educativa.

Per Helvétius l’educazione può agire in profondità e diventare determinante.

“Mi propongo di provare qui – scrive nel suo saggio Sull’uomo, sulle sue facoltà intellettuali e sulla sua educazione – ciò che forse ho soltanto anticipato nel libro Sullo spirito. Se io dimostrassi che l’uomo non è altro che il prodotto della sua educazione, avrei senza dubbio rivelato una grande verità alle nazioni. Esse saprebbero che hanno nelle loro mani lo strumento della loro grandezza e della loro felicità, e che, per essere felici e potenti, non bisogna far altro che perfezionare la scienza dell’educazione”.

Chi governa gli uomini dovrebbe saperlo, ma spesso non è così.

“L’uomo è spesso troppo sconosciuto a chi lo governa. Tuttavia, per guidare i

movimenti della marionetta umana occorre conoscere i fili che la muovono.

Privato di questa conoscenza, non ci si stupisca se i movimenti sono spesso così contrari a quelli che il legislatore si attende. Un’opera in cui si tratti dell’uomo, pur se vi fosse stato commesso qualche errore involontariamente, è sempre un’opera preziosa. Quale quantità di luce la conoscenza dell’uomo non getterebbe sulle diverse parti dell’amministrazione politica! L’abilità del cavaliere consiste nel sapere tutto ciò che egli può far eseguire all’animale che addestra; e l’abilità del ministro consiste nel sapere tutto ciò che egli può far eseguire ai popoli che governa”.

Le immagini della marionetta e dell’animale da addestrare rendono bene l’idea materialistica dell’uomo, ma anche la fiducia nell’efficacia di un’educazione materialistica che anima la filosofia di Helvétius: come pensa anche il suo amico Diderot, il determinismo materialistico apre all’educazione la possibilità di agire sulla natura dell’uomo e di riplasmarla.

“La scienza dell’uomo fa parte della scienza del governo. Il ministro deve aggiungervi quella degli affari. È solo allora che può stabilire delle buone leggi. Che i filosofi penetrino, dunque, sempre più nelle profondità del cuore umano, che cerchino tutti i principi del suo movimento, e che il ministro, approfittando delle loro scoperte, ne faccia, secondo i tempi, i luoghi e le circostanze, un’applicazione felice.”

Il materialismo rende un buon servizio alla pedagogia: fa luce sulla natura umana, sui suoi elementi e sul loro funzionamento.

“Non vi è nulla di impossibile per l’educazione: essa fa danzare l’orso. Che si mediti su questo tema; si capirà che la nostra prima natura, come provano Pascal e l’esperienza, non è altro che la nostra prima abitudine”.

L’immagine dell’orso che, ammaestrato, danza, esprime con efficacia l’idea di una scienza educativa materialistica e, pertanto, onnipotente.

L’uomo è un essere materiale sensibile, alla nascita una tabula rasa. Sulla scia di Locke e di Condillac, Helvétius vede nella “sensibilità fisica”, che genera interessi, piaceri e dolori, la sorgente di ogni idea, di ogni contenuto mentale, dello spirito dell’uomo.

Gli uomini nascono uguali, ma sulla loro dotazione naturale agiscono l’ambiente e l’educazione.

“L’uomo nasce senza idee, senza passioni; nasce imitatore; è docile all’esempio: conseguentemente è all’istruzione che deve le sue abitudini e il suo carattere”.

Non solo: anche sulle abitudini acquisite si può ancora agire cambiando le condizioni di vita e favorendone l’acquisizione di nuove.

“Ora, chiedo perché delle abitudini contratte in un certo tempo non sarebbero alla lunga distrutte da abitudini contrarie. Non si vedono forse persone cambiare il carattere secondo il rango, il differente posto che occupano a corte o al ministero, infine, secondo il cambiamento intervenuto nelle loro condizioni? Perché il bandito, condotto dall’Inghilterra all’America, vi diviene spesso onesto? È che egli diventa proprietario, che ha delle terre da coltivare, e che infine la sua condizione è cambiata. Il soldato è sui campi di battaglia duro e impietoso; il medico abituato a vedere colare il sangue diviene insensibile a questo spettacolo. È di ritorno a Londra, Parigi, Berlino? Ritorna umano e compassionevole. Perché si considera ogni carattere come l’effetto di una organizzazione particolare, quando non si può determinare qual è questa organizzazione?”

La forza dell’educazione emerge evidente da un confronto fra l’uomo selvaggio e quello civile.

“La prova più efficace della potenza dell’educazione è il rapporto costantemente osservato tra la diversità degli insegnamenti e i loro prodotti o risultati differenti. Il selvaggio è infaticabile nella caccia: è più leggero nella corsa rispetto all’uomo civile, perché vi si è esercitato di più. L’uomo civile è più istruito: ha più idee rispetto al selvaggio, perché riceve un numero maggiore di sensazioni differenti e perché, a causa della sua posizione, è più interessato a metterle in rapporto tra loro. L’agilità superiore dell’uno, le conoscenze multiple dell’altro sono dunque l’effetto della differenza della loro educazione”.

La forma di governo ha un effetto decisivo sul carattere umano.

“Se gli uomini che troviamo normalmente franchi, leali, industriosi e umani sotto un governo libero, sono invece bassi, mentitori, vili, senza iniziativa e senza coraggio sotto un governo dispotico, questa differenza di carattere è l’effetto della differente educazione ricevuta sotto l’una o l’altra forma di governo”.

Perché i teologi e i preti sono così diversi dagli altri uomini?

“Vogliamo passare dalla diversa costituzione degli stati alle differenti condizioni degli uomini? Vogliamo chiederci la causa della scarsa giustizia d’animo dei teologi? Si vede che generalmente essi hanno l’animo falso, e la ragione è che l’educazione li rende tali: è che sotto questo aspetto essi sono educati con più cura rispetto agli altri uomini; è che, abituati fin dalla giovinezza ad accontentarsi del gergo della scuola, a prendere le parole per cose, diventa loro impossibile distinguere la menzogna dalla verità e il sofisma dalla dimostrazione.

Perché i ministri del culto sono i più temuti tra gli uomini? Perché, dice il proverbio spagnolo, «bisogna mettersi al sicuro dal davanti della femmina, dal didietro del mulo, dalla testa del toro e da un monaco da ogni lato»? I proverbi fondati quasi tutti sull’esperienza sono quasi sempre veri. A che cosa dunque attribuire la malvagità del monaco? Alla sua educazione. La sfinge, dicevano gli egizi, è l’emblema del prete: il viso del prete è dolce, modesto, insinuante; e la sfinge ha il volto di una fanciulla; le ali della sfinge la mostrano abitatrice dei cieli; i suoi artigli annunciano la potenza che la superstizione le dà sulla terra. La sua coda di serpente è il segno della sua flessibilità; come la sfinge il prete propone enigmi e precipita nelle carceri chiunque non li interpreti in modo a lei gradito. Il monaco, in effetti abituato fin dalla prima giovinezza all’ipocrisia nel comportamento e nelle opinioni, è tanto più pericoloso quanto più è avvezzo alla dissimulazione. Se il religioso è il più arrogante dei figli della terra, la ragione è che viene continuamente riempito di orgoglio dall’omaggio di un gran numero di superstiziosi. Se il vescovo è il più barbaro degli uomini, la ragione è che non è per nulla esposto, come la maggior parte degli uomini, al bisogno e al pericolo; è che un’educazione molle ed effeminata ha abbassato il suo carattere; è che è sleale e poltrone, e non c’è niente di più crudele della debolezza e della codardia.”

Per concludere.

“L’educazione ci rende quello che siamo. Se dall’età di sei o sette anni il savoiardo è già parsimonioso, attivo, laborioso e fedele, è perché è povero, perché ha fame, perché vive […] con dei compatrioti dotati delle qualità che si esigono da lui; è infine perché egli ha come istitutori l’esempio e il bisogno, due maestri imperiosi ai quali tutti obbediscono”. (2)

Per Helvétius l’uomo ha la tendenza a vivere associato; lo fa nel suo interesse, e l’educazione deve addestrarlo a riconoscere che solo in una società bene ordinata il suo interesse è garantito.

Lo sviluppo sociale umano si sviluppa in quattro fasi: quelle della caccia, della pastorizia, dell’agricoltura e del commercio. Con l’agricoltura nasce la proprietà privata, la cui tutela comporta la nascita di relazioni più complesse, capaci di garantirla insieme al diritto alla vita e alla libertà. Per assicurare l’equilibrio sociale, messo a rischio dalla formazione di classi sociali diverse e dagli interessi diversi, gli uomini si danno istituzioni politiche repubblicane capaci di promuovere il bene comune. Nella fase successiva del commercio, con l’introduzione del denaro e della rappresentanza politica, determinata dalla crescente complessità sociale, la società è esposta al rischio di dividersi e di corrompersi, fino ad aprire la strada al dispotismo, che distrugge la società e riporta l’umanità allo stato selvaggio. Per impedire la degenerazione politica e sociale, ci vuole una repubblica, un “governo di tutti”, strutturato con leggi fondamentali dalla saggezza eccezionale di un buon legislatore-filosofo, capace di assumere il punto di vista dell’utilità pubblica.

La buona legislazione deve mirare a mantenere l’equilibrio tra le classi sociali, evitando troppe disparità di potere e forti disuguaglianze, che portano i poveri a non sentire interesse per la patria. Lo Stato deve articolarsi in repubbliche federate e garantire ai privati una felicità privata compatibile con quella pubblica. Helvétius ha in mente le democrazie della Grecia antica e dei cantoni svizzeri, perché è contrario al sistema della rappresentanza. Per lui la Gran Bretagna non è affatto un buon modello politico. Lì un popolo numeroso non può praticare la partecipazione democratica diretta: ogni borgo, ogni città, ogni provincia ha bisogno di nominare suoi rappresentanti, che si riuniscono nella capitale, dove “separano il loro interesse dall’interesse di coloro che rappresentano”.

Torino 19 maggio 2014

Note

1 Claude-Adrien Helvétius, nato a Parigi nel 1715 in una famiglia dell’alta borghesia, studia dai Gesuiti e dal 1738 fa l’appaltatore delle imposte regie. Si avvicina a Voltaire e a Montesquieu. Dal 1751 si dedica a se stesso e agli studi. Nel suo salotto accoglie i più importanti illuministi. Nel 1758 la sua opera Sullo spirito viene condannata dal Parlamento di Parigi e dal clero. Non pubblica, quindi, il suo scritto Sull’uomo, finito nel 1769. Muore nel 1771.

2 La traduzione dall’originale è di Fulvia de Luise e Giuseppe Farinetti e le citazioni sono tratte dalla lettura 6, unità 5, del loro manuale Lezioni di storia della filosofiaB, Zanichelli 2010.

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Universitŕ Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

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Aggiornamento: 26-04-2015