KUHN E LA STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO

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KUHN E LA STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO (1)

1. Introduzione

Non esporrò il modello di crescita della conoscenza proposto da Kuhn perché è molto noto. Vorrei invece, prima di parlare del rapporto tra la struttura delle rivoluzioni scientifiche e la storia dell'analisi economica, incentrarmi su quelli che sono i punti più deboli dell'analisi kuhniana.

2. Il concetto di paradigma: una ridefinizione

Kuhn è stato attaccato sin dalla pubblicazione del suo libro nel 1962 per via della vaghezza del concetto di paradigma. C'è addirittura chi si è divertito a contare 23 modi diversi di usare questo concetto[1], e lo stesso Kuhn ha ammesso tale vaghezza. Tuttavia la correzione da lui tentata non è servita. Infatti la "matrice disciplinare" al posto del paradigma non cambia granché, anche se orienta maggiormente la teoria verso un'analisi sociale della scienza. A mio avviso questo problema si risolve partendo dal fatto che il concetto di paradigma può essere reso stringente se applicato alle stesse "grandezze" epistemologiche. Intendo dire che l'errore di Kuhn è quello di usare il paradigma per spiegare sia tradizioni lunghe e poderose fatte di decine di teorie, migliaia di scienziati, biblioteche di scienza normale e così via (pensiamo al paradigma neoclassico o al paradigma newtoniano), sia piccole scuole inserite a loro volta in tradizioni più ampie e infine nel paradigma "astronave madre" come in una matrioska.

Poiché non distingue tra scienza (sia normale che rivoluzionaria) che incide su tutto il paradigma complessivo e quella che tocca solo la ridotta cerchia della scuola alla base del paradigma, Kuhn è costretto a mettere sullo stesso piano una rivoluzione scientifica epocale, fondamentale come la nascita della fisica quantistica, o la teoria di Darwin, e rivoluzioni rilevanti solo nell'ambito di una branca secondaria di una sottoscuola del paradigma[2]. Insomma il concetto di paradigma per mantenere l'enorme potere esplicativo che, a mio giudizio, potrebbe avere, deve essere "stratificato" cioè applicato a livelli diversi della tradizione scientifica. Esisterà perciò il paradigma come scuola generale (il marxismo, la teoria neoclassica, la meccanica newtoniana, la chimica del flogisto, ecc.) e poi avremo un "cono" fatto di livelli sempre più stringenti come dei gironi danteschi, nei quali sempre meno scienziati vanno elaborando una propria visione del paradigma all'interno prima di poche grandi scuole e poi di piccoli gruppi che vanno espandendo il paradigma come il delta di un fiume.

Ne risulterà una stratificazione paradigmatica che ci permetterà di capire come possano esistere rivoluzioni scientifiche che riguardano solo una parte del paradigma complessivo. E potrà anche spiegare come sia possibile all'interno dello stesso paradigma una guerra "fratricida" tra scuole rivali. Abbiamo infatti visto analizzando le teorie delle onde lunghe, che i dibattiti più aspri si sono avuti proprio all'interno dello stesso paradigma. Forse perché le teorie dello stesso paradigma sono più commensurabili fra loro, forse perché hanno fini convergenti. E' un fatto che la lotta intraparadigmatica è stata spesso più feroce che quella contro i paradigmi rivali. La stratificazione paradigmatica ci aiuta a capire perché, trasformando il concetto di paradigma in una serie di assunti a livelli sempre più di base. Ma per eliminare la vaghezza del concetto di paradigma occorre anche ancorarlo a livello sociale concreto.

Voglio dire che Kuhn non ha mai spiegato come poteva mutare il paradigma nei vari periodi storici, anzi trae esempi scientifici indifferentemente da tutti i periodi storici. Ma la qualità e la quantità degli scienziati varia nel tempo. Il mio concetto di paradigma come scala di stratificazioni successive nasce proprio per tentare di plasmare il paradigma nei vari periodi storici. Non è la stessa cosa se dieci persone si occupano di una teoria o se gli studiosi sono 10mila. Non è lo stesso se quei dieci scienziati sono semidilettanti, senza mezzi, isolati o se invece hanno alle spalle laboratori, centri di ricerca, una lunga esperienza e così via. Se la quantità deve a un certo punto diventare qualità il paradigma muterà col tempo.

La nostra epoca è quella con la produttività più alta della storia. Mai una frazione relativamente così alta della popolazione ha avuto un'istruzione superiore (nei paesi industrializzati). Mai così tanti sono stati esentati dal lavoro manuale per potersi dedicare al lavoro intellettuale. Nell'ultimo secolo sono vissuti la stragrande maggioranza dei pensatori che siano mai nati[3]. Ecco perché i vari paradigmi sono sempre più stratificati. Facciamo l'esempio del marxismo. Esso è nato nella teoria e nella pratica di Marx ed Engels[4]. Dopo appena un decennio dalla morte di Engels quante variazioni! I riformisti e i rivoluzionari, gli "economicisti" e i "sottoconsumisti" e all'interno di ogni scuola sotto divisioni ulteriori. In presenza di questa realtà storica è ovvio che il concetto di paradigma tout court non funziona. Perché viene applicato a livelli diversi fra loro.

L'idea è che se al posto del concetto di paradigma come tradizione scientifica indifferenziata, poniamo il concreto operare a diversi livelli del paradigma, riusciremo a spiegare le varie lotte fra le scuole e altre questioni che erano "anomalie" nella teoria pura di Kuhn. L'esempio della sintesi neoclassica può essere utile a vedere come la modifica proposta funzioni. La sintesi neoclassica, nata utilizzando pezzi addomesticati della teoria keynesiana uniti alla teoria neoclassica ha avuto al suo interno una serie enorme di varianti, scuole, interpretazioni. Tutti piccoli pezzi del paradigma complessivo. Le interpretazioni del paradigma erano diverse ma non tanto da mettere in dubbio il nucleo fondamentale della teoria comune.

A parte questo due scuole di questo paradigma potevano avere in comune anche molto poco. Si poteva andare da neoclassici puri che usavano il modello IS-LM solo per ortodossia a keynesiani che mal si adattavano alla storpiatura operata alle concezioni dell'economista inglese. Ma comunque si andava avanti nello stesso paradigma. Poi irrompono nuove scuole. Per esempio il monetarismo fa parte forse di un altro paradigma? In fondo se Friedman e amici hanno potuto dibattere così tanto con i "neokeynesiani" è proprio perché condividevano quasi tutti gli assunti base del modo di fare scienza[5]. I monetaristi e i "neokeynesiani" combattevano una lotta intraparadigmatica. Negli ultimi due decenni è venuta fuori la teoria delle aspettative razionali. Un'altra interpretazione del paradigma "neokeynesiano"?

A mio giudizio un altro paradigma. I monetaristi così conseguenti e "duri" da portare avanti la teoria delle aspettative razionali hanno fatto una rivoluzione scientifica creando un nuovo paradigma. Non hanno lottato più per la loro interpretazione del paradigma, ne hanno fatto un altro. E qui sorge il problema di come decidere che cos'è scienza rivoluzionaria. Infatti perché possiamo dire che Lucas, Sargent e Wallace hanno fatto una rivoluzione scientifica e Friedman o Tobin no? Restare nel paradigma dominante vuol dire per forza fare scienza normale? Nella concezione kuhniana questo è inevitabile perché la scienza rivoluzionaria è orientata solo alla costruzione di nuovi paradigmi. Ma se concepiamo il paradigma come stratificazione storica e teorica di scuole che hanno anche molto poco in comune, possiamo concepire scienza rivoluzionaria anche all'interno del paradigma iniziale.

Poiché la scuola opera a un livello più basso del "core" centrale, essa potrà anche essere eterodossa all’interno del paradigma ortodosso. Inoltre essa potrà lottare per "riformare" il paradigma senza uscirne, se crede che possa offrire ancora spunti utili alla ricerca. I monetaristi hanno fatto anche loro una rivoluzione scientifica, come gli aspettativisti, ma senza rompere con il paradigma dominante, piuttosto lottando per sconfiggere l'interpretazione ortodossa del paradigma. Potremo avere così situazioni in cui scienziati ortodossi fanno scienza rivoluzionaria mentre "eretici" fanno piatta scienza normale. Infatti i primi potrebbero essere una scuola eretica del paradigma mainstream e i secondi potrebbero essere i dittatori del paradigma eterodosso (esempio: i monetaristi e gli stalinisti. I primi ortodossi nel paradigma e rivoluzionari nella scuola. I secondi eretici nel paradigma e ortodossi fino al ridicolo come interpretazione del paradigma).

Descritto questo c'è da precisare che non tutte le rivoluzioni scientifiche vanno nella medesima situazione. Ci sono le rivoluzioni e le controrivoluzioni (teoriche e politiche). Ma mi preme notare che anche nell'epistemologia, come nella storia "le leggi della rivoluzione sono le stesse della controrivoluzione" (Trotskij). Per questo quella monetarista è una rivoluzione al pari di quella operata da Marx. Che poi fossero una rivoluzione per conservare e l'altra per trasformare è un altro discorso. Prima ho accennato alla "riforma" del paradigma. Intendevo dire che, se vogliamo proprio essere precisi e delineare la rivoluzione scientifica in senso tradizionale, dobbiamo ammettere che la lotta per trasformare il proprio paradigma è una riforma non una rivoluzione.

La rivoluzione avviene proprio quando lo scienziato non ha più fiducia nel vecchio paradigma, quando questo ha esaurito tutte le sue risorse[6]. Tuttavia ho preferito chiamarle rivoluzioni entrambe perché se è già difficile tracciare una demarcazione fra rivoluzioni scientifiche e scienza normale alla luce della stratificazione, immettere anche la "riforma scientifica" mi sembra complicare troppo il quadro. Comunque è un'altra analogia tra metodologia e scienza politica che meriterebbe un'analisi seria. Penso di aver chiarito con questo paragrafo come si può buttare l'acqua sporca (vaghezza del concetto) senza il bambino (concetto di paradigma). Basta adattarlo alla realtà sociale che cambia. Anche qui le intuizioni di Kuhn sono veramente feconde. Occorre solo spingere ulteriormente sul pedale del rapporto scienza-società. Cosa che comunque Kuhn ha già fatto molto rispetto al fisicalismo puro dei suoi predecessori.

3. Il concetto di scienza normale

L'altra grande critica che si fa a Kuhn è che questi sembra giustificare e anche favorire il ruolo della scienza normale fra gli scienziati, accentuando così la conservazione e la "pigrizia" epistemologica. Su questo punto il più feroce avversario dello storico della scienza americano è sicuramente Popper, che vede la scienza normale come un crimine contro l'umanità, una sorta di inspiegabile barbarie. Popper arrivò a dire che la scienza normale esiste ma "è una cosa di cui bisogna vergognarsi"[7].

Entrare in questo importante dibattito ci porterebbe fuori strada, quanto ci interessa è vedere se la scienza normale è veramente così dannosa e che ruolo ha essa nell'economia. Iniziamo proprio dalle posizioni di Kuhn. A dire il vero Kuhn non giustifica la scienza normale nella sua opera principale. Piuttosto ne fornisce una spiegazione. In linea con il suo indirizzo che è quello di fare epistemologia descrittiva, egli vuole semplicemente dar conto della realtà innegabile della scienza normale. Dire, come fece Popper, che chi la fa deve vergognarsi è sterile perché niente viene fatto nella società che non abbia la sua origine da qualche esigenza di qualsiasi tipo. Sarebbe come dire che chi è razzista deve vergognarsi. Prima bisogna capire perché c'è il razzismo, a chi fa comodo, da dove viene.

Come al solito "non ridere né piangere ma capire" (Spinoza). E in questo caso capire significa afferrare il ruolo della scienza normale nella crescita della conoscenza. E' noto che Popper, vigoroso anticomunista, ha esaltato ironizzando nei suoi libri la parola d'ordine trotskista della "rivoluzione permanente" che per lui è la base dell'onestà intellettuale quando si fa scienza. Ma ha sempre dimenticato che anche i rivoluzionari a un certo punto devono sintetizzare il lavoro svolto. Anche nelle rivoluzioni socialiste ci sono i periodi "normali". E questo perché, soprattutto nelle scienze sociali, la realtà cambia non linearmente, ogni giorno dopo l'altro, ogni giorno uguale, ma piuttosto cambia attraverso periodi caotici di repentini cambi di fronte e poi con periodi di calma sociale. La analisi fatta delle onde lunghe aiuta un po' a mostrare questo.

La scienza nel suo progredire riflette la non linearità della storia (non solo di quella economica). In periodi di calma sociale, quali stimoli vengono, a livello sociale, per fare scienza rivoluzionaria? Certo gruppi isolati possono farne (vedi Marx negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, Sweezy durante il maccartismo, ecc.), ma a livello della massa degli scienziati l'attenzione (e i soldi delle borse di studio) sarà orientata a consolidare la teoria che si ha. Fare scienza normale è solo marginalmente una necessità logico-strutturale della scienza (la necessità di organizzare le novità, eliminare le contraddizioni, formalizzare i risultati, ecc.). E' piuttosto una caratteristica storica, sociale e quindi varia con i periodi e con la società. E varia anche da scienza a scienza in dipendenza del rapporto fra scienza, società e ruolo dello scienziato.

Per esempio è ovvio che la matematica è per sua natura più "conservatrice" dell'economia o anche della fisica. Infatti non solo è influenzata dallo sviluppo sociale solo nel lunghissimo periodo, ma ha una struttura logica tale che non ha quasi mai bisogno di eliminare teorie e risultati, piuttosto li accumula[8]. Nelle scienze sociali invece il rapporto fra realtà e lavoro dello scienziato ci permette di stabilire un contatto fra ciclo economico, scienza rivoluzionaria e lotta di classe. Come vedremo tra poco, questo può intendersi direttamente come un legame empirico tra cicli lunghi e momenti rivoluzionari nella scienza economica. Il ruolo della scienza normale è invece quello di scegliere le teorie del periodo rivoluzionario che più sono funzionali al nuovo ciclo di sviluppo. Questo non implica che la scienza rivoluzionaria ci sia solo in periodi di crisi. Come detto questo è vero solo a livello complessivo. Il singolo scienziato può riflettere la realtà sociale come gli pare.

C'è sicuramente una certa autonomia della teoria e del suo creatore rispetto alla realtà. Ma di solito l'autonomia non è mai tanto forte né tocca più di qualche individuo. Insomma il ruolo della scienza normale in economia non deve valutarsi secondo criteri romantici come fa Popper. Non ci rincresce se uno scienziato fa scienza normale perché non è critico o non lotta per falsificare la sua teoria. La scienza normale riflette in ultima analisi un'epoca di pace sociale. In base a questa affermazione mi sento di dire che nel prossimo periodo le possibilità di fare scienza normale saranno veramente poche.

4. Kuhn e l'economia politica

Da quanto detto sinora si capisce che apprezzo molto l'opera di Kuhn che per la prima volta nella storia della filosofia della scienza ha rotto la pessima abitudine di dare consigli e dettare ordini dall'alto dell'epistemologia dominante. Se questo è vero per i fisici lo è mille volte di più per gli economisti la cui materia è la società stessa. La storia della filosofia della scienza dal 1962 (anno di pubblicazione della "Struttura delle rivoluzioni scientifiche") a oggi si è andata via via orientando verso la descrizione, lasciando le regole epistemologiche alla supponenza degli arroganti.

E' in questo cambiamento che Kuhn ha aiutato la nostra disciplina. E' ovvio poi che il suo modello, opportunamente adattato nel tempo e nella struttura, è utilissimo per aiutare a capire la storia anche della nostra disciplina. Ma più del modello in sé conta il nuovo metodo. Come i primi storici greci seri iniziarono a fare ricerca storica contro la tradizione della storia mitologica espressa fino ad allora, così Kuhn, non a caso uno storico della scienza e non un filosofo, ha fondato lo studio storico della scienza contro i miti e le leggende scientiste e normative precedenti[9]. Questo è stato il ruolo principale di Kuhn. Il fatto poi che un famoso economista avesse anticipato Kuhn nello spiegare le epoche di teoria economica, ma senza trovare ascolto, dimostra solo che anche le idee più brillanti per fiorire devono trovare l'humus adatto. Altrimenti rimangono le intuizioni delle schiere dei precursori di qualche teoria.


[1] citato in "Storia della filosofia della scienza" D. Oldroyd

[2] Questa accusa di non vedere le differenze fra le rivoluzioni epocali e quelle a mala pena distinguibili dalla scienza normale viene mossa a Kuhn da varie parti, cfr per esempio "Riflessioni critiche su Kuhn e Popper" L. Geymonat

[3] Come ricordato in "Profilo di storia…" cit. pag 14

[4] E c'è anche chi ipotizza un'interpretazione diversa del materialismo storico nei due! (Per esempio Colletti in "Intervista filosofico-politica")

[5] Vedi per esempio la teoria del reddito permanente di Friedman e quella del ciclo vitale di Modigliani. Teoria simili di teorici apparentemente lontani, in realtà teorie parallele di teorici dello stesso paradigma.

[6] A questo proposito viene spontaneo avvicinare la struttura delle rivoluzioni scientifiche alla descrizione marxiana delle rivoluzioni sociali (per esempio nella famosa "Prefazione a per la critica dell'economia politica"). Cambiando qualche aggettivo sembra una descrizione perfetta, ma non ho la possibilità di trattare come meriterebbe questa analogia.

[7] citato in "Congetture e confutazioni" a cura di G. Brianese

[8] Questa è l'opinione di C. Boyer. Cfr "Storia della matematica" pag. 386

[9] Con ciò non intendo dire che Kuhn è stato il primo a fare storia del metodo. Anzi abbiamo già accennato al fatto che Schumpeter ha proposto molto prima un modello analogo proprio per l’economia. E ancora prima altri avevano dato contributi ma fino a Kuhn il paradigma dominante costringeva ad intendere il ruolo dell'epistemologo come una sorta di legislatore onnipotente. Dopo Kuhn, grazie anche a Lakatos, Feyerabend e altri questo è finito.

Sul concetto kuhniano di paradigma e sul rapporto fra Kuhn e l'economia.

  • Geymonat L. Riflessioni critiche su Kuhn e Popper, 1983
  • Grossi F. Studio sulle rivoluzioni scientifiche nella storia del pensiero economico, 1976
  • Hutchinson T. W. On the History and Philosophy of Science and Economics, 1976
  • Kuhn T. S. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1978
  • Myrdal G. Crisi e cicli nello sviluppo della scienza economica, 1976
  • Oldroyd D. Storia della filosofia della scienza, 1989
  • Pheby J. Economia e filosofia della scienza, 1991
  • Popper K. R. Congetture e confutazioni, 1984 e 1991
  • Screpanti E. Cicli, rivoluzioni e situazioni classiche nello sviluppo delle idee economiche, 1988
  • Stark. W The History of Economics in its Relations to Social Development, 1944
  • Tagliagambe S. L'epistemologia contemporanea, 1992

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Aggiornamento: 26-04-2015