Leonardo da Vinci. Nota a “Il Mirandolano”

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LEONARDO DA VINCI

Presunto autoritratto di Leonardo da Vinci, ca 1513, Torino, Biblioteca Reale.

Pier Paolo Vaccari

Come noto, Leonardo non ha inventato né la bicicletta (benché qualcuno gli abbia affibbiato anche quest’invenzione), né la macchina a vapore, che probabilmente sarebbe stata alla sua portata. In verità non ha inventato proprio nulla.

Il concetto di invenzione non è scindibile dal concetto di applicazione; cioè dal vantaggio che ne può derivare alle conoscenze applicate nel contesto umano. Un’invenzione è tale solo se funziona. Il momento dell’introduzione, dell’impatto, del perfezionamento, è essenziale quanto e più della semplice ideazione.

La messa in comune delle conoscenze ne è il presupposto. Il progresso dell’umanità l’obiettivo. Entrambi aspetti del tutto estranei a Leonardo.

E’ scontato infatti ch’egli non nutrisse alcun interesse per la diffusione e la condivisione delle conoscenze, visto che si è guardato bene dal pubblicare alcunché, e ha addirittura criptato i suoi codici scrivendoli alla rovescia.

Se dopo secoli si scopre oggi che aveva “visto” una quantità enorme di cose, alcune delle quali sarebbero poi divenute realtà, peraltro secondo modalità costruttive in genere molto differenti da quelle da lui preventivate, non è la qualifica di inventore che gli spetta, ma piuttosto quella di precursore o divinatore.

Non si può, solo perché si è trovata una figurina che somiglia a una bicicletta a margine di un foglio, dire che Leonardo ha inventato la bicicletta. Questo significa solo voler coltivare un mito fine a se stesso, che è poi l’obbiettivo primo, pienamente raggiunto da Leonardo durante la sua vita, e dopo.

Tutto ciò è del resto perfettamente in linea con il suo stesso modo di porsi nei confronti della cultura del tempo, anche sotto il profilo della propria formazione.

Infatti, invece di darsi da fare a studiare, recuperando da autodidatta, cosa possibilissima, il tempo perduto agli studi, rifiutava drasticamente una tale eventualità, intendendo con ciò porsi al di sopra della cultura corrente, e ritenendo che la sola vera maestra dovesse essere l’esperienza, per commentare la quale gli bastava la lingua che conosceva, cioè la toscana, considerando anzi stolta la gente che lo biasimava per l’ignoranza del latino.

Che vantaggi poteva ottenere dallo studio di esperienze fatte da altri, quando attingeva direttamente le proprie dalla natura?

E’ infatti anzitutto e soprattutto la “esperientia” che viene da lui messa sopra l’altare, come madre di ogni conoscenza.

Ma attenzione, non deve ciò indurre troppo sbrigativamente a parlare di mentalità e atteggiamento scientifici, perché l’esperimento scientifico è tutt’altra cosa.

Qui direi che il rapporto con la natura è propriamente un immedesimarsi in essa, un coinvolgimento personale che può divenire quasi identificazione e vissuto, anche e soprattutto per il valore fondamentale che in tale processo assume la forma delle cose.

Niente a che vedere con il peculiare “distacco” che deve intercorrere fra l’oggetto di un esperimento scientifico e il suo ideatore.

In definitiva, e contrariamente a un modo di pensare forse generalizzato, ben poco il genio di Leonardo sembra aver a che spartire con la modernità, sia sotto il profilo metodologico che epistemologico.

Piuttosto è nella postmodernità che quel suo totale empirismo può trovare riscontri; collegamento questo, fra umanesimo e postmodernità, peraltro già indagato.

Proprio il non essere riconducibile ad alcuna categoria culturale precostituita è in definitiva ciò che ha giocato a suo favore, conferendogli un’aura di polivalenza e di superiorità nei confronti di qualsiasi scuola.

La sua figura era l’unica cosa che contava, la sua capacità di meravigliare e stupire, il suo sapere proclamato come qualità esclusivamente propria.

Certamente il suo capolavoro fu la creazione della propria immagine quale tramite fra una realtà arcana e il mondo degli uomini.

Sul piano pratico una passione funzionale al ruolo di uno che doveva stupire e impressionare le corti dei potenti, con la sapienza nascosta e la capacità rivelata nell’imbastire straordinarie installazioni di spettacolo o nell’escogitare soluzioni innovative ad annosi problemi di carattere idraulico o territoriale.

Realizzazioni o ipotesi di realizzazioni, che trovavano nel segreto della ricerca solitaria a tutto campo la matrice comune; la dimensione effettiva della quale rimaneva il mistero che avvolge e circonda l’uomo, e nei cui confronti il pensatore solitario può solo sperare di cogliere illuminazioni e rivelazioni.

Nulla a che vedere con la figura dello scienziato o dell’inventore, che comporta la messa in comune di conoscenze e scoperte, quali tasselli di un sapere in fieri, nonché l’adozione di metodi condivisi, cioè tipi di approccio sostanzialmente riduzionisti, come diremmo oggi.

Più che di scienza, saremmo così indotti, nel caso di Leonardo, a evocare il concetto antico e onnicomprensivo di sapienza; una sapienza per la verità tanto ampia e profonda quanto indifferente e ostile a ogni volgarizzazione e scambio.

Sta proprio in questo il suo fascino speciale, sia sui contemporanei che sui posteri e forse, in definitiva, la sua vera grandezza.

La sapienza sembra invero collocarsi a monte - e in un certo senso anche a valle - della scienza stessa.

Anche la sua produzione artistica, rara e preziosa, ci induce a tale interpretazione: il mistero rimane in essa il dato saliente, i sorrisi e le ombre alludono a uno scambio e a una conoscenza che si pongono a monte del linguaggio stesso e del segno.

Resiste invero a ogni analisi l’enigma di quel suo strano modo di scrivere: troppo banale per essere crittografia, troppo costante per esser solo un vezzo. L’evocazione simbolica che appare in esso – lo specchio – sembra quasi suggerire che alla verità si può attingere solo per il tramite della riflessione.

Ma c’è chi ha visto nella divinazione una certa prossimità alla follia.

E’ possibile un incrocio fra Leonardo e Giovanni Pico?

Leonardo non conosceva il latino; gli era quindi precluso il vastissimo scibile già disponibile al tempo.

Giovanni invece lo padroneggiava tutto, a dispetto della giovane età. Forse però la sua passione non si manifestava in modo molto diverso da quella che spingeva Leonardo a indagare la natura.

Pico non aveva sposato alcuna filosofia o religione particolare: tutte ai suoi occhi parimenti concorrevano a formare un quadro armonico e straordinario, a sua volta riflesso e testimonianza preziosa di una dimensione di per sé inconoscibile.

Tale doveva anche essere il mondo della natura agli occhi di Leonardo.

In entrambi la stessa lontananza da qualsiasi ideale di progresso come percorso evolutivo dell’umanità, in entrambi lo stesso desiderio di attingere per vie arcane e senza mediazione alcuna alla divina complessità del creato.

Essi interpretarono superlativamente sentimenti, passioni, modi, atteggiamenti e stili di vita comuni a molti altri personaggi dell’epoca, compresi i meno noti e frequentati, che fanno dell’Umanesimo e del Rinascimento un momento unico della nostra storia.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015