MARX: Lettera ad Annenkov

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


LETTERA AD ANNENKOV (1846)
(K. Marx, Miseria della filosofia, Ed. Samonà e Savelli, Roma 1968)

Pavel Vasilevic Annenkov (Mosca 1813 - Dresda 1887): critico e pubblicista liberale russo, visse con Gogol' a Roma (che gli dettò il primo volume di Anime morte) e fu amico di Turgenev. Negli anni 1853-56, insieme a Nekrasov e Turgenev formò una specie di triumvirato che gestiva le sorti della letteratura pietroburghese, collaborando alle principali riviste del tempo: "Annali patri", "Il Contemporaneo". "Annali patri" fu il più autorevole periodico democratico e occidentalista russo, in continua polemica con i giornali conservatori slavofili.
Scrisse la prima biografia su Puškin: Puškin nell'epoca di Alessandro I (1875), poi anche Problemi storici ed estetici del romanzo "Guerra e pace" di L.N. Tolstoj (1868), Lo straordinario decennio 1838-1848 (1880, memorie).
Conobbe Marx durante i suoi viaggi all'estero. Qui Marx risponde alla lettera di Annenkov del 1 novembre 1846 (cfr. MEGA III/2, p. 316), in cui questi gli chiedeva un giudizio sull'opera di Proudhon, Système des contradictions économiques. Annenkov rispose a sua volta a Marx, per ringraziarlo, con la lettera del 6 gennaio 1847 (cfr. MEGA III/2, pp. 321-322).

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La lettera di Marx è stata scritta originariamente in francese il 28/12/1846 a Bruxelles: trattasi di un parere, un'impressione generale, sul libro di Proudhon, La filosofia della miseria, contro cui, tra la fine del 1846 e il giugno del 1847, scriverà Miseria della filosofia. Annenkov avrà quindi modo di leggere in anteprima le critiche di Marx al testo di Proudhon.
Marx si era trasferito da Parigi a Bruxelles nel febbraio del 1845, dopo l'ennesima espulsione. Generalmente si fa risalire al 1846 l'inizio della sua (e di Engels) attività politica vera e propria.
Infatti il Comitato di Corrispondenza comunista (la prima organizzazione politica creata da Marx ed Engels) fu costituito a Bruxelles (sede di molti rifugiati tedeschi) nel febbraio di quell'anno, allo scopo di tenere collegati tutti i comunisti europei e soprattutto quelli tedeschi.
In quello stesso anno Marx romperà non solo con la Sinistra hegeliana e Feuerbach, ma anche con Weitling, Kriege e soprattutto con Proudhon (forte la critica anche contro la Lega dei Giusti, con sede a Londra). Ciò che non sopportava assolutamente erano tutte le idee di socialismo artigianale, filosofico, sentimentale, neocristiano... Marx ed Engels volevano una "rivoluzione violenta e democratica", fondata su conoscenze economiche molto approfondite, sebbene in Germania non esistesse ancora un partito organizzato e attivo. Il partito doveva nascere dal basso verso l'alto e non doveva essere una "società segreta" né qualcosa che assomigliasse al partito giacobino, favorevole a un colpo di stato. Notevoli, in tal senso, erano le simpatie nei confronti del Cartismo, specie per la sua ala radicale.
Proudhon, sebbene fosse stato favorevole alla rivoluzione all'inizio degli anni '40, aveva smesso di crederci: di qui la critica di Marx.

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Annenkov sembra essere convinto che il libro di Proudhon, Filosofia della miseria, pur essendo molto limitato sul piano filosofico, possa essere ritenuto valido su quello economico. Marx invece ribalta la cosa dicendo che Proudhon offre "una teoria filosofia assurda perché è incapace di comprendere l'odierna situazione sociale nel suo engrènement..."(p. 217), cioè nel suo "ingranaggio". Quindi Proudhon non è solo un mediocre filosofo (nella lettera a Schweitzer del 1865 Marx dirà che "Proudhon sta a Saint-Simon e a Fourier press'a poco come Feuerbach sta a Hegel"), ma anche un pessimo economista.

A Marx era piaciuto, sia nella "Gazzetta Renana" che nella Sacra Famiglia, un altro libro di Proudhon: Che cos'è la proprietà?, ma già nei Manoscritti del '44 aveva iniziato a prenderne le distanze, giudicando Proudhon debitore di Fourier.

Nella lettera ad Annenkov la prima critica di Marx è relativa al fatto che siccome Proudhon capisce poco di economia, è costretto a spiegare le contraddizioni più complesse ricorrendo al misticismo.

Marx qui delinea molto sinteticamente la sua concezione della storia (concezione economica della storia o concezione della storia economica?). Gli uomini ereditano dalle generazioni precedenti determinate forze produttive ("energia umana pratica", "materia prima per una nuova produzione", p. 219). "La storia sociale degli uomini non è altro che la storia del loro sviluppo sociale, ne siano essi coscienti o no"(ib.).

Dopodiché aggiunge: "I loro rapporti materiali sono la base di tutti i loro rapporti". In che senso la "base"? E' importante saperlo perché è "base" di tutti i rapporti.

Poco sopra aveva scritto: "Scegliete stadi particolari di sviluppo della produzione e avrete un'organizzazione corrispondente della famiglia, degli ordini e classi..."(p. 218). Dunque i "rapporti materiali" sono i rapporti strettamente connessi a ciò che in ultima istanza dà un senso alla materialità della vita: la proprietà.

Sulla base della tipologia e dell'uso di questa proprietà si può dedurre la tipologia della famiglia, delle classi, dei ceti... in una parola il rapporto antagonistico che gli uomini vivono nelle società, nelle civiltà. Non si può dar torto a Marx su questo: in effetti, da quando son nate le civiltà è la proprietà il criterio utile per cercare di capirle.

Tuttavia Marx astrae da ciò che non è "economico". Egli infatti sostiene che sono i rapporti "materiali", quelli connessi al concetto di "proprietà", che costituiscono la "base" di tutti i rapporti. Cioè i rapporti sociali non si autorappresentano, poiché all'interno di questi rapporti Marx ha bisogno di estrapolare un aspetto particolare: quello economico, ponendolo al disopra di tutti gli altri.

E non solo riduce il rapporto sociale a rapporto economico o materiale, ma isola questo rapporto dalle altre due sfere che gli sono strettamente connesse: il culturale e il politico. A dir il vero la sfera culturale (sostanzialmente la filosofia e la critica della religione) ha interessato Marx fino al maggio 1846, data in cui ha chiuso la stesura con Engels dell'Ideologia tedesca. Mentre per quanto riguarda la politica, va detto che quella attiva vera e propria lo riguarderà sino a quando emigrerà a Londra, mentre quella in senso lato lo interesserà tutta la vita.

Max insomma non vede l'uomo come una sintesi dei tre aspetti, come un tutto unico e integrato, ma vede sostanzialmente solo i rapporti di proprietà, i quali danno un senso a tutto il resto.

Qual è la differenza tra questa concezione e quella borghese? E' la stessa che passa tra il sistema hegeliano e il metodo hegeliano della dialettica: il primo è conservatore, il secondo è rivoluzionario. Se Hegel fosse stato coerente coi principi affermati in sede filosofica, avrebbe dovuto lottare contro lo Stato prussiano e non difenderlo sino all'ultima pubblicazione.

La differenza di sostanza sta nel fatto che per la borghesia i rapporti di proprietà privata sono un totem da adorare; per Marx invece da distruggere. Egli infatti sostiene che la necessità di "mutare tutte le forme sociali tradizionali"(p. 219) serve per adeguare i rapporti produttivi alle forze produttive ed egli è altresì convinto che il modo migliore di utilizzare le forze produttive acquisite grazie al capitalismo sia quello di realizzare dei rapporti sociali ove la proprietà non sia privata ma pubblica o sociale. E' la logica dell'interesse, non quello per il profitto privato ma quello per il bene comune, che deve far scattare la rivoluzione.

Ovviamente anche la borghesia fa continuamente un discorso di adeguamento dei rapporti alle forze produttive, ma lo fa senza mai mettere in discussione i limiti della proprietà privata dei mezzi produttivi. Anche la borghesia è mossa da un interesse, ma è quello privato dei profitti.

Come si può notare sembra non esistere una differenza abissale tra Marx e la borghesia. La differenza sta piuttosto nella "forma sociale" con cui Marx vorrebbe che fossero gestite le forze produttive. Egli infatti non mette in discussione il valore, la legittimità, la tipologia di tali forze, ma piuttosto l'involucro in cui vengono utilizzate, che è quello dell'industria privata.

Qui siamo nel '46 e da quello che dice pare che Marx voglia sperare di convincere la borghesia ad accettare in maniera indolore, come una "necessità storica", la transizione dal capitalismo al socialismo. Lui stesso d'altra parte nella lettera è disposto ad accettare come cosa necessaria la transizione dal feudalesimo al capitalismo. Infatti, il feudalesimo permise, seppure in maniera nascosta, non ufficiale, l'accumulo di capitali, il commercio transoceanico, la fondazione delle colonie, e quando queste realtà si svilupparono -dice Marx-, il feudalesimo non fu più in grado di opporvisi, e se lo fece con la forza, con la forza venne distrutto (p. 220).

Marx ragiona in termini hegeliani, anche se ha tolto all'hegelismo ogni sovrastruttura mistica. Proudhon non capisce l'economia perché non sa applicare ad essa la categoria hegeliana della necessità storica.

Marx non ragiona mai col "se ipotetico", non si chiede mai cosa sarebbe potuto accadere se fossero state fatte scelte diverse. Lui si considera come uno scienziato che prende le cose come un dato di fatto, dopodiché le analizza a fondo sul piano economico per riuscire a proporre il modo migliore per farle funzionare. In un certo senso si comporta come uno scienziato della natura, con la differenza che l'oggetto dei suoi studi è l'homo oeconomicus.

Ecco perché vede Proudhon come un hegeliano vecchia maniera, che spiega la realtà partendo dalle idee, invece di andare a cercare nella realtà stessa le ragioni del suo sviluppo.

Tuttavia i metodi di Marx erano troppo radicali perché una qualunque borghesia li potesse accettare. Persino negli ambienti del socialismo utopistico risultavano inaccettabili.

In effetti, di diverso tra Marx e gli ideologi borghesi (e i socialisti utopistici) è soprattutto il modo di concepire l'adeguamento dei rapporti alle forze produttive. Marx crede poco ai processi spontanei o pacifici, anche se non li esclude a priori. Anzi, il Capitale è in fondo un gigantesco tentativo di dimostrare la necessità di un processo che se fosse avvenuto in maniera spontanea sarebbe stato un bene per tutti, in quanto avrebbe fatto risparmiare innumerevoli sofferenze.

Tuttavia in questo periodo (1846-49) Marx è tutt'altro che un politico tollerante e la lettera ad Annenkov lo dimostra. A suo giudizio Proudhon rappresenta in Francia la quintessenza del tradimento degli intellettuali di sinistra, che da rivoluzionari sono diventati al massimo riformisti. Ecco perché in luogo di una transizione indolore, Marx preferisce pensare a un "grande movimento storico che sorge dal conflitto tra le forze produttive già conquistate dagli uomini e le loro relazioni sociali, che non corrispondono più a queste forme produttive"; a "guerre terribili che si preparano tra le diverse classi entro ciascuna nazione e tra nazioni differenti"; all'"azione pratica e violenta delle masse che è l'unica via attraverso la quale questi conflitti si possono risolvere"(p. 229).

La "violenza" rivoluzionaria come "unica via" - Marx è esplicito, e non solo in questa lettera privata, anche perché ha già sperimentato su di sé il fallimento del compromesso della Sinistra hegeliana con la borghesia liberale tedesca. Marx è stato non solo espulso dalla Germania ma anche dalla Francia. Per questo non voleva farsi illusioni. E crede fermamente nella necessità di un "movimento politico" popolare, di massa, che risolva le contraddizioni tra capitale e lavoro. Cioè non vuole più un compromesso tra proletariato e borghesia, tra società civile e Stato politico. Vuole una rivoluzione come quella francese dell'89, dove però il protagonista non sia la borghesia ma il proletariato.

Notevole è la sua descrizione del socialismo piccolo-borghese di Proudhon: "In una società progredita e costrettovi dalla propria situazione, il piccolo borghese diventa da un lato socialista, dall'altro economista, cioè egli è accecato dallo splendore della grande borghesia ed ha compassione per le sofferenze del popolo. Egli è borghese e popolo al tempo stesso. Nell'intimo della sua coscienza si lusinga di essere imparziale, di aver trovato l'equilibrio giusto, che avanza la pretesa di essere qualcosa di diverso dal giusto mezzo. Un piccolo borghese del genere divinizza la contraddizione, perché la contraddizione è il nucleo del suo essere. Egli non è altro che la contraddizione sociale messa in azione. Egli deve necessariamente giustificare mediante la teoria ciò che egli è nella pratica, e Proudhon ha il merito di essere l'interprete scientifico della piccola borghesia francese; e questo è un merito reale, perché la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando"(p. 231).

Quindi Marx non esclude la possibilità di un'intesa politica con la piccola-borghesia: non a caso, dopo la costituzione del Comitato di Corrispondenza comunista, Marx cercherà proprio con Proudhon di costruire, per la parte relativa alla Francia, la rete europea dei comunisti, ma dopo il ripiegamento di quest'ultimo verso posizioni moderate, la rottura sarà inevitabile e definitiva. Il giovane Marx non poteva accettare compromessi che non giustificassero la necessità della rivoluzione. Persino un "largo settore" del partito comunista tedesco -com'egli dice nella lettera ad Annenkov- lo ostacola, poiché non sopporta le sue critiche alle "utopie" e alle "declamazioni"(p. 232).

Oggi tuttavia, guardando le cose col senno del poi, ci chiediamo quali garanzie di democrazia per il socialismo scientifico possa offrire una trasformazione della proprietà da privata a sociale. Marx non dice nulla su questo, almeno in questa lettera (però vedi la Critica al programma di Gotha del 1875). La trasformazione sembra essere uno slogan, o un compito da porsi non prima ma dopo la conquista rivoluzionaria del potere politico. Non a caso nella Russia bolscevica si arrivò a fare coincidere "sociale" con "statale", determinando la più grande illusione di tutto il socialismo reale.

Noi sappiamo che la grandezza di Marx sta nell'aver avuto il coraggio di dire, dimostrandolo concretamente, che il capitalismo non può essere considerato come una formazione sociale destinata a durare in eterno, e che le stesse categorie dell'economia politica borghese sono destinate ad essere superate, e sappiamo anche che a Marx non piaceva né la concorrenza (a questa preferiva l'emulazione tra operai o imprese), né ovviamente il monopolio (come anche in questa stesse lettera dice, cfr p. 226).

Per realizzare il comunismo ci vuole un progetto che indichi, a grandi linee, non solo il modo di conquistare il potere, ma anche quello di gestirlo dopo averlo preso, perché le questioni sociali, culturali, di valore, non sono meno importanti delle strategie politiche e delle analisi economiche.

Altrimenti si rischia di condividere idee che di per sé sono inaccettabili, come queste di Proudhon, che Marx riprende senza neppure criticarle: "La schiavitù diretta, la schiavitù dei negri a Surinam, in Brasile, nelle regioni meridionali del Nordamerica... è il cardine del nostro industrialismo attuale proprio come le macchine, il credito ecc. Senza schiavitù niente cotone. Senza cotone niente industria moderna. Solo la schiavitù ha conferito alle colonie il loro valore, solo le colonie hanno creato il commercio mondiale e il commercio mondiale è la condizione necessaria della grande industria meccanizzata. Così le colonie, prima della tratta dei negri, fornivano al vecchio mondo pochissimi prodotti e non cambiarono in modo percepibile il volto del mondo. Perciò la schiavitù è una categoria economica della massima importanza. Senza la schiavitù l'America del nord, che è il paese più progredito, si trasformerebbe in un paese patriarcale. Si cancelli l'America del nord dalla carta delle nazioni e si avrà l'anarchia, la decadenza totale del commercio e della civiltà moderni. Ma fare scomparire la schiavitù vorrebbe dire cancellare l'America dalla carta delle nazioni. Così pure la schiavitù, essendo una categoria economica, si trova presso tutti i popoli fin dall'inizio del mondo. Le nazioni moderne hanno saputo semplicemente mascherare la schiavitù nei loro paesi e introdurla apertamente nel Nuovo Mondo"(p. 226).

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Oggi possiamo dire che qualunque progetto relativo al socialismo democratico non può prescindere da un riesame delle civiltà precapitalistiche e addirittura primitive. Gli intellettuali marxisti non hanno mai apprezzato il pre-capitalismo, e in questo sono figli dell'ideologia borghese, e sostanzialmente non hanno mai messo in discussione il progresso scientifico e tecnologico e quindi l'impatto ch'esso ha avuto non solo sugli uomini ma anche sulla natura.

Oggi sappiamo che nelle civiltà primitive o primordiali (il "previous", come si potrebbe definire), il vero progresso stava nell'assicurarsi facilmente una riproduzione compatibile con la riproduzione della natura. E' da questo che bisogna partire.

Se dovessimo decidere un criterio per determinare quando un mezzo tecnico è davvero utile, dovremmo dire ch'esso lo è, anzitutto, quando è compatibile con le esigenze riproduttive della natura, che dobbiamo conoscere preventivamente, ancor prima di decidere qualunque tipologia di formazione sociale.

Questo perché il progresso economico o tecnologico non è di per sé un indice sicuro del miglioramento dello stile di vita di una società o civiltà.

Non ha senso sostenere che le rivoluzioni avvengono non per abbandonare le conquiste ottenute, ma, al contrario, per meglio conservarle. Non si può dare per scontato che il processo dello sviluppo materiale (tecnico-scientifico, economico-produttivo) non possa essere messo in discussione e che l'unico problema sia quello di decidere come gestirlo.

Noi dobbiamo abituarci a considerare l'economico come strettamente subordinato al sociale. Il "sociale" è la vera dimensione che indica il "benessere" di una collettività. Nel sociale l'economico è solo una parte, altre parti sono, oltre al già citato rispetto della natura, il rispetto di ogni persona, anche quella meno produttiva in rapporto a una media generale, anche quella del tutto improduttiva, perché impedita da qualcosa; quindi il rispetto della diversità: fisica, etnica, linguistica o di concezioni di vita.

Se non si chiarisce che il sociale abbraccia molti più campi dell'economico, si finisce col formulare degli enunciati che, a motivo della loro astrattezza, genericità e ambiguità, risultano falsi in partenza o falsati nelle loro immediate applicazioni.

Marx non si rende conto che il progresso tecnico-scientifico può essere frutto di una deviazione dall'essenza umana e che non si tratta semplicemente di gestirlo in maniera diversa ma proprio di superarlo superando il concetto di civiltà che l'ha generato. Se il socialismo deve servire a tenere in piedi, assicurandone la prosecuzione, un progresso scientifico contrario agli interessi della natura, allora è meglio chiarire da subito che un socialismo del genere non è molto diverso dal capitalismo che vorrebbe superare.

Marx fa l'esempio della transizione dal feudalesimo al capitalismo, e dice che se non ci fossero state le rivoluzioni borghesi del 1640 e del 1688 il feudalesimo in Inghilterra avrebbe continuato a sussistere per molto più tempo, in contraddizione con lo sviluppo dei commerci oltreoceanici, delle colonie, con l'accumulo dei capitali in generale.

Cioè egli dà per scontato che il feudalesimo qua talis andasse superato. Eppure le conquiste tecnologiche-produttive che decisero la fine del feudalesimo, in quel momento appartenevano a un'infima minoranza della popolazione: la borghesia. Per quale ragione le esigenze di questa classe sarebbero state in diritto di eliminare quelle di un'altra classe, di molto maggioritaria, come quella contadina? Per quale motivo Marx ha sostenuto che l'unico modo di far progredire l'economia era quello di abbandonare il feudalesimo tout-court e di abbracciare il capitalismo? Per quale motivo egli non ha pensato a una rivoluzione agraria, contadina, capace di trasformare i rapporti produttivi (eliminando p.es. il servaggio e le rendite), senza però mettere in discussione la natura di quelle forze produttive, ch'erano agricole, in quanto legate al primato della terra? La sua analisi nei confronti del feudalesimo non è stata forse viziata da un personale pregiudizio nei confronti del mondo rurale? Marx ha giustificato la teoria dell'adeguamento dei rapporti alle forze, prendendo come modello non le forze contadine ma quelle borghesi.

Marx ha mostrato di non essere interessato a un'analisi culturale, valoriale, con cui pesare i pro e i contra di ogni civiltà; ciò che gli preme è semplicemente la dimostrazione che il passaggio da una civiltà a un'altra è necessario e se ciò, in rapporto al feudalesimo, ha voluto dire che l'alternativa era il capitalismo, e non p.es. un socialismo agrario, significa che il capitalismo era destinato a imporsi in Europa occidentale e che esso va comunque considerato di gran lunga migliore di qualunque forma di feudalesimo.

In realtà noi sappiamo che il discrimen che distingue una formazione sociale da un'altra è proprio il carattere umano, democratico, conforme alle esigenze della natura, che si è in grado di far valere. Una caratteristica del genere non può essere patrimonio di una singola classe sociale: o appartiene all'insieme del collettivo o è falsa. Cioè anche se è una classe che la fa valere, questa stessa classe deve avere come obiettivo qualcosa di più generale.

Quando nell'antica Grecia si affermò la democrazia sull'aristocrazia o sull'oligarchia o sulla dittatura, si trattava sempre di una conquista politica ottenuta in un sistema sociale basato sullo schiavismo e sulle differenze di classe. Considerare più utile al socialismo il concetto greco di democrazia che non la democrazia praticata (non codificata da leggi scritte) dalla comunità primitiva di villaggio, significa avere un concetto di democrazia non molto diverso da quello dei teorici borghesi.

E' in tal senso da escludere a priori che il socialismo possa accettare alcunché dal mondo borghese o da qualunque altra civiltà che non nasca da esigenze specifiche dello stesso socialismo, le quali non possono essere dettate dall'alto.

Si può ritenere possibile che una rivoluzione possa essere condotta con l'aiuto di intellettuali professionisti o comunque di cittadini e lavoratori più disponibili o più consapevoli di altri, ma è da escludere a priori che tali soggetti, a rivoluzione compiuta, possano accampare più diritti del popolo lavoratore.

Peraltro il modo deterministico di impostare il problema della transizione, da parte di Marx, è sempre stato affrontato diversamente in Russia, sin dai tempi del populismo. Lenin si sforzò di dimostrare contro i populisti che Marx aveva ragione e che il capitalismo in Russia stava diventando una realtà inevitabile. Ma poi, decidendo di compiere la rivoluzione nel paese più feudale d'Europa, non arrivò forse a dimostrare che il determinismo economico poteva essere superato dal volontarismo politico dei rivoluzionari?

E' assurdo pensare che le rivolte contadine o operaie, antiborghesi o antifeudali, dei secoli precapitalistici siano fallite perché i rivoltosi erano poco consapevoli delle contraddizioni sociali o dei loro interessi di classe. Questa mancanza di consapevolezza esiste anche ai giorni nostri, nonostante sia notevolmente aumentato il livello culturale generale.

Le rivoluzioni del passato non sono fallite perché mancava il "Capitale" di Marx. Per realizzarsi, le rivoluzioni non avevano bisogno di trattati di economia. E' vero che non può esistere "prassi rivoluzionaria" senza "teoria rivoluzionaria", ma è anche vero che senza coerenza e determinazione rivoluzionaria, da parte di intellettuali e masse oppresse, senza organizzazione e divulgazione capillare delle idee rivoluzionarie, ogni definizione di "teoria" e di "prassi rivoluzionaria" rischia di rimanere puro flatus vocis. Ecco perché il marxismo non può fare a meno del leninismo.

Poiché la reazione controrivoluzionaria non si farà attendere, occorre sempre una resistenza popolare: una rivoluzione che non si sa difendere, non vale nulla, diceva Lenin.

Bisognerebbe trovare una legge che indichi la proporzione tra fallimento della rivoluzione e consapevolezza rivoluzionaria necessaria per compiere la rivoluzione successiva.

Tuttavia oggi il problema è quello di capire in che maniera superare il concetto in sé di "forze produttive". Poiché è nel processo stesso di produzione tecnologica che va rilevata una delle fonti principali dell'alienazione umana, cioè di violazione delle leggi di natura, precedenti allo stesso sfruttamento del lavoro altrui, noi dovremmo chiederci se il crollo del cosiddetto "socialismo reale" non debba essere interpretato come il fallimento dell'idea di credere possibile uno sviluppo del socialismo salvaguardando gli aspetti tecnico-scientifici del capitalismo.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015