MARX e ENGELS: Il precapitalismo

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


IL PRECAPITALISMO

I - II

CAPITALISMO E PRECAPITALISMO

Nella Prefazione alla prima edizione del Capitale, Marx dice che in Germania (come in tutta l'Europa occidentale), rispetto all'Inghilterra, "siamo oppressi non solo dallo sviluppo della produzione capitalistica, ma pure dalla mancanza di tale sviluppo", poiché, laddove esso si è verificato, le condizioni di lavoro degli operai, in seguito alle rivendicazioni sindacali, sono migliori rispetto a quelle dove il capitalismo è agli albori.

Per questa ragione Marx fa capire che la Germania e tutta l'Europa devono affrettarsi a "importare" il capitalismo se vogliono uscirne in fretta (insieme all'Inghilterra). "Il paese industrialmente più sviluppato [l'Inghilterra appunto] non fa che mostrare al meno sviluppato l'immagine del suo avvenire".

Marx dava per scontato non solo lo sviluppo capitalistico di tutta l'Europa (e di tutto il mondo), ma anche l'impossibilità di "recuperare" le formazioni sociali pre-capitalistiche. La sua visione è disarmante: il capitalismo è inevitabile e il pre-capitalismo impossibile.

Il capitalismo è talmente inevitabile ch'esso rappresenta -secondo Marx- soltanto un "processo di storia naturale", in cui i capitalisti non sono che "personificazioni di categorie economiche", cioè non responsabili di rapporti da cui provengono, anche se soggettivamente possono avere un atteggiamento critico nei confronti di tali rapporti (cosa che normalmente non hanno).

Conclusione? Marx parla come un profeta biblico: il capitalismo è inevitabile, ma altrettanto lo è la sua fine. Lo è per una legge interna dovuta al suo proprio movimento. Questa legge è stata appunto scoperta dal Capitale.

In attesa che crolli che fare? Si possono "abbreviare e attutire le doglie del parto". Di qui l'importanza della legislazione inglese sulle fabbriche.

Nulla quindi di politico o di rivoluzionario, ma tutto e solo di sindacale e di riformistico. Marx non solo non vuole recuperare la memoria del passato pre-capitalistico, ma non vuole neppure stimolare una prassi di liberazione per un presente non capitalistico.

I LIMITI DEL SOCIALISMO SCIENTIFICO

Nelle Teorie sul plusvalore (Storia dell'economia politica, III, Ed. Riuniti, p. 453), parlando di Richard Jones, Marx scrive: "La primitiva unità di lavoratore e condizioni di lavoro [a prescindere dal rapporto di schiavitù, in cui il lavoratore stesso appartiene alle condizioni oggettive di lavoro] ha due forme principali: la comunità asiatica (comunismo naturale) e la piccola agricoltura familiare (a cui è collegato il lavoro a domicilio) nell'una o nell'altra forma. Entrambe le forme sono forme infantili e ugualmente poco adatte a sviluppare il lavoro come lavoro sociale e la forza produttiva del lavoro sociale. Di qui la necessità della separazione, della lacerazione, della contrapposizione di lavoro e proprietà (da intendersi come proprietà delle condizioni di produzione). La forma estrema di questa lacerazione in cui le forze produttive del lavoro sociali sono nello stesso tempo sviluppate al massimo è quella del capitale. Soltanto sulla base materiale che esso crea e per mezzo delle rivoluzioni che la classe operaia e l'intera società attraversano nel processo di questa creazione, può essere ristabilita l'unità originaria".

Questo è stato in assoluto l'errore più grave di Marx. Un errore che si pone a un duplice livello:

  1. quello di pensare che il comunismo primitivo fosse talmente "primitivo" da essere fatalmente destinato alla dissoluzione;
  2. quello di pensare che per far nascere il socialismo fosse necessario sviluppare il capitalismo, o comunque appropriarsi della forza produttiva formatasi sotto il capitale.

Quando parla di "comunismo primitivo" Marx ha in mente solo due cose:

  1. il comunismo asiatico, in cui lo Stato agisce come grande proprietario collettivo e l'agricoltore altri non è che uno schiavo di stato;
  2. la piccola proprietà contadina, autonoma, ma sostanzialmente individualistica.

In nessuno dei due casi si sviluppa la produzione "sociale": nel primo caso infatti essa è statale e schiavile, nel secondo è libera ma individualistica.

Marx vuole una produzione libera e associata degli operai, capace di utilizzare i mezzi della rivoluzione tecnologica avvenuta sotto il capitalismo.

Mentre di Marx non possiamo considerare superata la critica dell'economia politica borghese, questo aspetto invece va considerato nettamente superato: sia perché il comunismo primitivo non è riconducibile alle sole due forme citate da Marx; sia perché non è affatto vero che il socialismo democratico debba formarsi necessariamente sulla base della tecnologia capitalistica.

L'errore, molto probabilmente, deriva dal fatto che Marx considerava del tutto naturale l'esigenza, da parte dell'uomo, di realizzare un "dominio" sulla natura. Peraltro le conoscenza del comunismo primitivo erano ai suoi tempi molto scarse.

Alle origini del difetto delle teorie del socialismo scientifico vi è l'accettazione del dogma capitalistico secondo cui la natura appartiene all'uomo e non l'uomo alla natura.

Per Marx il carattere "sociale" della produzione capitalistica è in contraddizione con la forma "privata" della proprietà dei mezzi produttivi e con l'appropriazione "privata" del profitto capitalistico. Egli era convinto che l'acuirsi di tale contraddizione avrebbe indotto la società, mediante la rivoluzione, a imporre il lato "sociale" della produzione sul carattere "privato" della proprietà.

Egli non ha mai messo in discussione la superiorità della produzione industriale su ogni altra forma di produzione. Non si è mai accorto che proprio il primato della produzione industriale su ogni altro tipo di produzione rende impossibile una "socializzazione" dei rapporti umani, in quanto rende impossibile un rapporto naturale dell'uomo con la natura.

In altre parole la socializzazione è impossibile non solo perché la proprietà e il profitto sono privati, ma anche perché nei confronti della natura si ha un rapporto di mero sfruttamento.

Quindi, anche nel caso in cui gli operai riuscissero, tramite la rivoluzione, a socializzare la proprietà, resterebbe ancora da risolvere il problema del rapporto tra produzione e natura.

Il crollo del socialismo reale, in tal senso, va visto come l'occasione di sviluppare una maggiore democrazia non soltanto nei rapporti sociali, ma anche nei rapporti tra gli uomini e la natura.

Ripensamenti su queste sue idee, Marx cominciò ad averne quando venne a contatto coi populisti russi, esaminando la comune rurale del loro paese. Ripensamenti che però non sortirono alcun effetto sul giovane Lenin, critico del populismo.

LA COMUNE RURALE RUSSA

Marx ed Engels erano convinti che senza rivoluzione operaia in Europa occidentale, la comune rurale russa non avrebbe avuto possibilità di evolvere in forme di comunismo agricolo, poiché senza quella rivoluzione il capitalismo sarebbe inevitabilmente penetrato in Russia e avrebbe sconvolto, in senso capitalistico, il destino della comune.

Le cose andarono diversamente. L'Europa occidentale non fece alcuna rivoluzione proletaria (se si esclude la breve parentesi della Comune di Parigi e della Repubblica di Weimar) e la comune russa poté risorgere grazie alla rivoluzione d'Ottobre. Lenin capì che in Russia si poteva realizzare il socialismo con l'aiuto non tanto degli operai occidentali quanto piuttosto degli stessi contadini russi.

Tuttavia, le cose procedettero diversamente anche secondo le previsioni di Lenin. Alla morte di questi infatti, la comune rurale fu trasformata in una azienda statale, la cui struttura risultò così innaturale da portare al crollo dell'intero sistema socialista.

La fine del cosiddetto "socialismo reale", strutturato in maniera burocratica e verticistica, non ha portato alla rinascita dell'antica comune rurale (obscina), ma a una trasformazione in senso capitalistico di tutta l'economia del paese.

Il socialismo amministrato aveva risparmiato alla Russia le forche caudine del capitalismo avanzato, ma i fatti sembrano dimostrare che anche la Russia ha bisogno di passare sotto queste forche prima di giungere a una nuova formulazione e realizzazione di socialismo.

LA SOCIETA' NATURALE

Nell'Ideologia tedesca Marx ed Engels intendono la società "naturale" nel senso della "spontaneità", in opposizione alla "volontà cosciente" di individui che liberamente si sottopongono a un piano complessivo.

In realtà la "naturalezza" della comunità primitiva stava nella "consapevolezza" di una dipendenza necessaria dalla natura, che non veniva affatto avvertita come "limite" ma al contrario come "garanzia di sopravvivenza".

Se la naturalezza viene equiparata alla spontaneità di una comunità inconsapevole, ignorante, sprovveduta, si finisce poi col considerare questo collettivo come una realtà illusoria, primitiva, molto imperfetta, destinata inevitabilmente alla divisione in classi contrapposte.

In realtà esisteva una forte consapevolezza del primato della natura sull'uomo ed anche della tradizione storica che si tramandava attraverso le generazioni: il collettivo era decisamente superiore a qualunque individuo e non si avvertiva questo come un "problema" ma semmai come un "vantaggio".

La sicurezza dell'esistere stava nella continuità del sapere, teorico e pratico, che ci si trasmetteva oralmente. Un sapere strettamente collegato con le risorse della natura.

Il cammino della storia oggi altro non è, per noi, che una progressiva presa di coscienza che l'epoca storica più conforme alle esigenze umani e naturali era quella primordiale. Alla fine avremo una consapevolezza forte di tutti i fallimenti delle civiltà antagonistiche.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015