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SPONTANEISMO E DETERMINISMO IN MARXLa filosofia di Marx oscilla tra due estremi contrapposti: lo spontaneismo (fino al Manifesto) e, in seguito al fallimento della rivoluzione del 1848, il determinismo (a partire dagli studi di economia svolti in Inghilterra, sino all'incontro coi populisti russi, dove si assiste a un certo ripensamento critico in direzione del recupero delle tradizioni rurali). Il carattere spontaneistico dell'azione politica di Marx è visibile anche nel Manifesto, che in un certo senso rappresenta la quintessenza dell'azione politica del socialismo scientifico pre-bolscevico. Non esiste alcun capitolo dedicato all'organizzazione rivoluzionaria delle masse. Il Manifesto chiede in sostanza alle masse di "auto-organizzarsi". Marx ed Engels non si pongono alla testa del movimento politico in quanto "organizzatori di partito" ma solo in quanto "intellettuali critici del sistema". Nel Capitale si sostituirà lo spontaneismo del Manifesto col determinismo storico: il capitalismo ha in sé delle leggi che lo portano all'autodistruzione e il passaggio al socialismo diventa inevitabile. L'autodistruzione è determinata dalla contraddizione insanabile di capitale (privato) e lavoro (sociale). Marx non ha mai messo in discussione la necessità di sviluppare le forze produttive secondo il modello industriale del capitalismo. Innaturale era nel Capitale solo l'appropriazione privata del profitto, non la subordinazione totale della natura alle esigenze dello sviluppo economico. L'assenza di una tattica e di una strategia per realizzare la rivoluzione politica sembra faccia da pendant allo scarso peso dato alla sovrastruttura. Di qui i rischi del determinismo economicistico nell'analisi della realtà e dello spontaneismo nell'organizzazione della rivoluzione. Da questo punto di vista il Che fare? di Lenin costituisce un decisivo superamento del marxismo occidentale. Marx non rappresenta solo l'analisi oggettiva del capitalismo e Lenin l'azione soggettiva del socialismo. Marx rappresenta anche, dopo il fallimento della rivoluzione del 1848, il rischio di un'involuzione economicistica verso il determinismo. Esattamente come Lenin rappresenta anche il rischio di un'involuzione autoritaria verso il socialismo amministrato. Determinismo e spontaneismo sono due facce di una stessa medaglia: si è tanto più "deterministi" in teoria quanto più si è "spontaneisti" nella pratica e viceversa. In politica il determinismo porta al riformismo, lo spontaneismo invece porta all'estremismo, all'individualismo anarchico o anche al terrorismo. La principale differenza tra Marx e Bakunin riguardava appunto il fatto che Bakunin era solo uno spontaneista e un testo determinista come il Capitale non l'avrebbe mai scritto. Nel Capitale infatti il comunismo appare come un correttivo sociale alle storture del capitalismo; alla fine non è che un aspetto meramente tecnico: la gestione della produzione, per essere più efficiente, va sottratta allo spontaneismo, all'anarchia del modo di produzione borghese, che è individualistico per natura. Non criticando mai la rivoluzione tecnico-scientifica, nel Capitale era impossibile scongiurare il rischio di un "socialismo di stato", cioè di un capitalismo statale senza capitalisti privati. A Marx non è mancato solo l'aspetto politico-rivoluzionario (che avrà Lenin al massimo grado), ma anche la capacità di vedere la transizione al capitalismo nei suoi aspetti sovrastrutturali. Il Marx economista spesso si limita più ad un'analisi fenomenologica dell'economia che non ad un'analisi storica vera e propria dei fatti, che tenga conto, in pari grado, delle strutture e delle sovrastrutture. Marx non s'è mai sottratto alla tentazione, anche quando trattava di temi economici, di fare della "filosofia", cioè di fare delle generalizzazioni troppo astratte per poter essere verificate storicamente (per quanto i suoi affreschi sintetici siano assolutamente dei capolavori). Marx spesso fa violenza alla storia, proprio allo scopo di dimostrare la fondatezza delle sue idee economiche e politiche. La stessa pretesa di definire "il contenuto della storia come una forma incessante di progresso", fa parte di questa violenza ai fatti storici, e quindi di una certa violenza al concetto di "libertà umana", che è l'elemento principe in grado di spiegare le cause degli eventi storici. Se un evento storico apparentemente sembra non avere una causa specifica, ciò non può essere interpretato con la categoria della necessità, cioè con quella categoria che, di fronte all'impossibilità di determinare con sicurezza delle responsabilità, si affida in un certo senso all'idea di destino. Infatti, è una caratteristica fondamentale della libertà umana quella di non permettere una spiegazione assolutamente univoca dei fatti. Marx è tanto "determinista" quando studia l'economia quanto "evoluzionista" quando studia la storia. Di qui il suo grande apprezzamento per le teorie scientifiche di Darwin. SPONTANEITA' E CONSAPEVOLEZZA Se la rivoluzione comunista avesse dovuto compiersi in maniera spontanea, prendendo semplicemente consapevolezza dell'antagonismo sociale, non sarebbe nata l'esigenza di organizzare politicamente la rivoluzione attraverso un'avanguardia partitica. Questo significa che la critica più corretta che, da sinistra, si poteva muovere al marxismo, è già stata fatta dal leninismo. Oggi il problema è quello di come fare una critica al leninismo, salvaguardando gli interessi della rivoluzione proletaria. Una critica di questo genere probabilmente è già stata fatta dalla perestrojka di Gorbaciov, ma dal modo come è stata accolta vien da pensare che in tutta l'Europa, orientale e occidentale, non vi sia più la possibilità di un'operazione critica così profonda. L'Europa non è sufficientemente matura per fare del fattore umano un elemento della politica. L'Europa continua a servirsi della politica nella maniera tradizionale, quella borghese, cioè per salvaguardare gli interessi di classe e non di popolo. FORZE PRODUTTIVE E CLASSI Una delle tesi più sbagliate del marxismo è quella secondo cui per ottenere l'estinzione delle classi è necessario il raggiungimento di un alto grado di sviluppo delle forze produttive. Se il marxismo si fosse limitato a dire che per estinguere le classi è necessario socializzare la proprietà e l'uso degli strumenti produttivi, forse si sarebbero evitate le ambiguità del riformismo, quelle per cui si tende a rimandare sine die la realizzazione del socialismo proprio col pretesto che non s'è ancora raggiunto un livello sufficientemente "elevato" delle forze produttive (che è poi il limite fondamentale del trotskismo, con la sua idea della "rivoluzione permanente"). Se l'obiettivo è quello di socializzare la proprietà dei mezzi produttivi, il problema principale alla fine è soltanto quello di trovare il modo e i mezzi per farlo. E uno dei modi principali è quello di sviluppare la consapevolezza della necessità di realizzare tale obiettivo, coi mezzi più democratici possibili. In realtà non occorre alcun "alto" grado di sviluppo delle forze produttive, anche perché, nelle condizioni del capitalismo, quanto più è "alto" questo livello di sviluppo, tanto meno si avverte la necessità di una transizione verso il socialismo, perché tanto maggiori sono i condizionamenti a favore della conservazione dell'esistente. Il marxismo ha sempre detto che se si sviluppa il livello delle forze produttive, ad un certo punto sarà giocoforza scontrarsi con dei rapporti produttivi inadeguati, per cui la contraddizione irrisolvibile porterà all'esigenza della suddetta transizione. In realtà, se è vero che può esistere un contrasto insanabile tra forze e rapporti produttivi, in quanto, a causa della concorrenza, le forze tendono continuamente a svilupparsi, mentre i rapporti di proprietà tra capitale e lavoro non cambiano affatto nella sostanza, è anche vero che il capitalismo tende a risolvere i suoi problemi di "politica interna" usando i mezzi della "politica estera", cioè facendo scoppiare conflitti d'ogni sorta, inventandosi nemici inesistenti ecc. Questo senza considerare che anche internamente la propaganda del sistema è sempre più volta a ingannare le masse e che i monopoli, invece di promuovere le forze produttive, le ostacolano pesantemente. Peraltro ormai è ben noto che la promozione d'uno sviluppo delle forze produttive, nell'ambito del capitalismo, non fa che peggiorare i rapporti col Terzo Mondo e con la natura in generale, che pagano enormemente il prezzo del nostro benessere. In sintesi, l'idea che si debbano sviluppare le forze produttive prima di realizzare il socialismo, è nata proprio per il venir meno della spinta rivoluzionaria, che avrebbe dovuto essere gestita nell'ambito della sovrastruttura, quella dell'organizzazione politica. Il fallimento del '48, poi della Comune di Parigi, e poi ancora della Repubblica di Weimar e del Biennio Rosso in Italia hanno portato il marxismo euro-occidentale su posizioni riformiste, che al massimo servono per rendere il capitalismo meno irrazionale. L'unica corrente ad aver capito la vera essenza del socialismo democratico è stata il leninismo, tradito dallo stalinismo, che ha fatto coincidere "socializzazione" con "statalizzazione" della proprietà: un unico apparato burocratico, con una gestione verticistica del potere, che s'era andato sostituendo non solo alle aziende private capitalistiche ma anche alla gestione popolare delle risorse territoriali: i soviet. |