NIETZSCHE Paganesimo e Cristianesimo

FRIEDRICH NIETZSCHE
Dall'ateismo all'irrazionalismo


IN MARGINE ALL'ANTICRISTO DI NIETZSCHE

(Si fa riferimento al volume edito da Newton, Roma 1992)

Paganesimo e Cristianesimo

Dovendo scegliere tra paganesimo e cristianesimo, Nietzsche, al pari del giovane Hegel, non aveva dubbi nel preferire il paganesimo. Hegel amava il mondo greco-romano perché s'era reso conto che il cristianesimo del suo tempo era del tutto conservatore. In quel periodo di rivolgimenti epocali (si pensi alla rivoluzione francese) essere sovversivi significava necessariamente essere anti-cristiani e quindi, per chi non riusciva ad accettare le inevitabili conseguenze delle rivoluzioni borghesi e preferiva rifugiarsi nel limbo delle idee astratte, diventare filo-ellenisti o neo-classici. Per molti intellettuali tedeschi fu una strada quasi obbligata, entro i limiti dello status quo, con cui si poteva mostrare il proprio dissenso in materia di rapporti con la religione ufficiale.

Hegel vagheggiava un ritorno al costume e alle tradizioni della polis, all'interno dei quali una parte di rilievo doveva continuare a svolgere la religione. Come noto, Hegel fu un moderato persino nella fase più "rivoluzionaria" della sua vita.

Al contrario Nietzsche, come Marx, ha sempre nutrito un'antipatia istintiva per la religione: in tal senso la sua nostalgia per il mondo classico era rigorosamente delimitata entro i confini dell'ateismo. Tuttavia, a differenza di Marx, Nietzsche ha continuato per tutta la sua vita ad affrontare il cristianesimo in modo psicologico, individualistico, senza mai scorgere il nesso organico che lega una religione alla società divisa in classi.

Sia Nietzsche che Hegel non hanno mai capito, p. es., il fatto che il paganesimo rappresentava, rispetto al cristianesimo, la sovrastruttura culturale di una società molto più antagonistica di quella feudale. Questo perché entrambi non hanno mai messo in discussione l'esistenza di una società divisa in classi contrapposte.

Hegel arrivò addirittura ad apprezzare il cristianesimo nella maturità, quando cominciò ad elaborare una filosofia meramente "interpretativa" delle contraddizioni sociali, cioè quando si accorse che la religione cristiana avrebbe potuto essere utilizzata dalla filosofia per giustificare il presente.

Nessun filosofo tedesco arrivò mai a sostenere che il cristianesimo aveva velocizzato la transizione dal sistema schiavistico a quello feudale; nessuno riuscì a comprendere il motivo per cui il cristianesimo ortodosso aveva promosso una forma di feudalesimo meno oppressivo di quello realizzato sotto la religione cattolico-romana; nessuno riuscì a capire perché quell'imponente moto di ribellione chiamato dagli storici "riforma protestante" si produsse solo nell'area occidentale dell'Europa.

Limitando la sua analisi del fenomeno religioso alla teoria del mero rispecchiamento delle contraddizioni sociali, neppure Marx riuscì a fare passi significativi in questa direzione. E' stato giusto porre uno stretto legame tra struttura (storico-sociale) e sovrastruttura (teorico-culturale), ma si è dovuto aspettare Gramsci perché il marxismo andasse al di là della mera impostazione di metodo.

Ora, uno studioso obiettivo non può non ammettere che il ruolo del cristianesimo (sia nel passaggio dallo schiavismo al feudalismo, sia in quello dal feudalesimo al capitalismo) è stato di grande rilievo. Ai tempi dello schiavismo, fino alla svolta costantiniana, il cristianesimo è stato una religione perseguitata: esso ha contribuito alla suddetta transizione senza ancora essere diviso in "cristianesimo ufficiale" e "cristianesimo marginale".

Certo, il cristianesimo, sin dal suo sorgere, aveva eliminato le correnti politiche più radicali e progressiste, ma anche così esso restava di gran lunga più democratico di qualunque religione pagana, che, proprio in quanto "religione", si sentiva estranea alle problematiche sociali. Il miglior paganesimo, infatti, è stato quello legato alle tradizioni rurali, ai ritmi delle stagioni e della natura, ecc.

Il feudalesimo, cioè il trionfo politico del cristianesimo sul piano socioculturale, comincerà ad affermarsi con Teodosio, allorché diventerà unica religione di stato, cioè nel momento stesso in cui esso non aveva più nulla di eversivo. Non per questo tuttavia vanno dimenticati o ridimensionati i tre secoli di persecuzioni, poiché è stato proprio in quel periodo che si maturò l'esigenza di un superamento dello schiavismo.

Nel '500 invece il cristianesimo occidentale dovette scindersi nettamente in due tronconi opposti per poter ancora svolgere un'opera di rinnovamento, questa volta in funzione anti-feudale. La chiesa cattolica ufficiale, infatti, si era servita a piene mani del potere secolare per reprimere duramente i molti movimenti ereticali che cominciarono ad apparire intorno al Mille, senza i quali non ci sarebbe stata alcuna "riforma".

Il protestantesimo fu progressivo agli inizi, rispetto al cattolicesimo, ma poi finì col promuovere una società, quella capitalistica, che, per molti versi, risulterà peggiore del feudalesimo. Il protestantesimo da un lato ha ridimensionato di molto le pretese temporali del cattolicesimo, dall'altro però, invece di indirizzarsi verso una maggiore democrazia sociale, si è velocemente adeguato alle caratteristiche della società borghese, accentuandole quanto mai. Insomma si è gettato il bambino con l'acqua sporca. La chiesa romana, generalmente intesa, non è mai riuscita ad abbandonare gli ideali di liberazione con la stessa disinvoltura. Non si è mai sognata di legittimare l'individualismo più assoluto prendendo a pretesto la corruzione dei vertici ecclesiastici. L'unica figura assolutamente individualistica, che svolge non a caso funzioni equivalenti a quelle di un monarca è, nella chiesa romana, quella del pontefice.

Oltre a ciò, resta ancora da chiarire il tipo di contributo che può aver dato l'ortodossia est-europea alla realizzazione del socialismo. Qui infatti nessuno può mettere in dubbio che nel realizzare il socialismo, la maggioranza degli intellettuali di sinistra era di idee ateistiche o comunque non faceva delle proprie idee religiose un cavallo di battaglia contro l'oppressione sociale.

L'ortodossia andrebbe forse valorizzata in due direzioni:

1) se sul piano sociale essa contribuì effettivamente alla realizzazione di un feudalesimo meno contraddittorio di quello euroccidentale, allora bisogna dire che fu proprio per questa ragione che in Europa orientale non si avvertì il bisogno di una "riforma protestante"; ma allora l'esigenza del socialismo è stata avvertita più fortemente in Europa orientale appunto perché qui gli ideali dell'ortodossia erano così forti che non avrebbero permesso una soluzione "capitalistica" alla crisi del feudalesimo;

2) se sul piano politico, nonostante la relativa positività di tale confessione, i rivoluzionari socialisti non avvertirono il bisogno di ispirarsi alla religione per abbattere i loro regimi feudali consolidati (nonché quelli borghesi incipienti), allora questo forse significa che l'ortodossia contribuì, molto meglio del cattolicesimo, a tenere distinti lo Stato dalla chiesa, il politico dal religioso (non a caso i cattolici hanno sempre rimproverato agli ortodossi di essere politicamente soggetti al potere statale, cioè di non essere abbastanza integralisti).

Ma allora il contributo che ha dato l'ortodossia alla causa del socialismo non va ricercato in maniera diretta (qui anzi la storia ci dice che l'ortodossia si oppose nettamente alla rivoluzione, e quei tentativi, da parte di alcuni soggetti rivoluzionari, di unificare il socialismo alla migliore religione, si sono rivelati del tutto illusori e controproducenti). Il contributo suddetto va invece cercato in maniera indiretta, cioè nella capacità che il socialismo leninista ha avuto di far propri i valori dell'ortodossia senza neppure accorgersene.

Il leninismo in tal senso rappresenta non solo una laicizzazione dell'ortodossia, ma anche un suo superamento, per quanto, in questo tentativo l'obiettivo non sia stato raggiunto in maniera adeguata, essendo il primato assoluto concesso alla politica lesivo, in ultima istanza, degli interessi globali dell'uomo. Il primato dell'uomo dev'essere considerato superiore ad ogni altro primato, e questo il leninismo non l'ha sempre compreso adeguatamente o non l'ha sempre realizzato praticamente. Lo dimostra il fatto che nei confronti del populismo Lenin tenne un atteggiamento troppo radicale. E' vero che il populismo cercava di laicizzare i valori dell'ortodossia (questa volta consapevolmente!), senza avere grandi capacità rivoluzionarie, ma è anche vero che l'ideologia populista era patrimonio di milioni di contadini, anche se di essa, ufficialmente, si facevano carico poche centinaia di intellettuali.

In conclusione, quando si esamina un fenomeno come quello religioso, non bisogna solo considerare le posizioni ufficiali della chiesa al potere (le quali inevitabilmente risultano ostili a qualunque rivoluzione), bisogna esaminare anche il contributo positivo che ha dato quella religione, coi suoi valori di fondo, alla realizzazione di una società a misura d'uomo. Questo è un lavoro tipicamente culturale, che può aiutare molto a non commettere degli abusi politici o amministrativi nella gestione di eventi rivoluzionari.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015