FRIEDRICH NIETZSCHE
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IN MARGINE ALL'ANTICRISTO DI NIETZSCHE (Si fa riferimento al volume edito da Newton, Roma 1992) L'origine psicologica del fenomeno religioso Notevole è stato il disprezzo che Nietzsche ha nutrito per il sentimento della "debolezza" e della "precarietà" umana. Egli l'ha sempre considerato come "non-umano". E' vero che nella storia i potentati economici, politici, religiosi... hanno sempre cercato di sfruttare questo sentimento per imporre la loro egemonia, ma è anche vero che la condizione della "debolezza", della "dipendenza" da qualcosa è intrinseca alla natura umana, come una sorta di legge oggettiva. Nella sua critica della religione cristiana, che si sarebbe servita del sentimento della "debolezza" per soggiogare moralmente gli uomini, Nietzsche non riesce ad accettare l'idea che l'oppresso, per riscattarsi, non abbia bisogno di diventare come l'oppressore. Le manifestazioni di potenza dell'uomo non possono trovare la loro ragion d'essere nel fatto che qualcuno le dovrà subire perché più debole. La forza dell'uomo sta appunto nel vivere con dignità la propria debolezza, alla quale, per natura, nessuno può sottrarsi. In tal senso l'origine psicologica del fenomeno religioso, come l'ha delineata Nietzsche, è completamente sbagliata. Il mondo greco-romano credeva forse in molte divinità per il fatto che si sentiva "forte"? A Nietzsche sfugge del tutto il contenuto di classe implicito nelle religioni delle civiltà schiavistiche. Cioè egli non vede come la necessità di darsi degli dèi astratti sia stata in realtà un'esigenza delle classi superiori per dominare quelle inferiori. Gli dèi che "consolano" servono appunto per tranquillizzare gli afflitti che subiscono i rapporti antagonistici, mentre gli dèi che "minacciano" e "castigano" servono per controllare quelli che non vogliono più subire quei rapporti. E' inverosimile pensare che un umile lavoratore avesse bisogno di credere, oltre che in un "dio buono", anche in un "dio cattivo", pieno di "ira, vendetta, derisione, astuzia e violenza" (par. 16). Un dio di questo genere non poteva essere creato che da intellettuali (i sacerdoti) al servizio dei potenti. E' più facile credere nell'esistenza di un "dio buono", proprio perché l'uomo avverte con naturalezza il senso della propria precarietà. Non c'è da stupirsi, in tal senso, che esistessero delle religioni anche presso quei popoli che non avevano conosciuto lo schiavismo. Il fatto è però che in una società divisa in classi è molto facile sfruttare questo sentimento religioso istintivo (dovuto all'ignoranza), al fine di indurre gli uomini a credere nell'esigenza di stare sottomessi all'autorità, considerata unica mediatrice tra dio e il popolo. Il bisogno di avere degli dèi cattivi, che puniscono severamente, è stato appunto il frutto di una elaborazione concettuale delle classi egemoni, allorché si cominciò ad avvertire che il potere stava vacillando. In tal senso il passaggio dagli dèi classisti e razzisti del mondo greco-romano, che punivano l'umile lavoratore e soprattutto lo schiavo anche nell'aldilà, al dio-padre che perdona chiunque si penta dei propri peccati, permettendo a tutti di godere la felicità eterna, è stato un passaggio positivo, che ha portato all'umanizzazione dei rapporti sociali. Certo, il cristianesimo non era più in grado di opporsi politicamente al potere delle classi egemoni (al massimo riuscirà a minacciarle reintroducendo -questa volta contro gli oppressori- l'idea della "vendetta divina", terrena o ultraterrena), ma resta comunque vero che sul piano etico gli schiavi avevano più motivi di credere in un dio che negava (almeno nell'aldilà) le differenze di censo, di casta, di condizione sociale, di origine etnica, ecc. che non in una molteplicità di dèi i cui rappresentanti terreni si erano arricchiti proprio sulla base di quelle differenze. Non si può insomma considerare la "bontà" come un segno di debolezza e la "cattiveria" come un segno di forza. Nessuna società si reggerebbe in piedi per molto tempo su principi del genere. Non si può disprezzare il cristianesimo per aver detto il contrario, anche perché nessuna religione è nata e si è sviluppata partendo dal presupposto che il "male" è un "bene". E' assurdo pensare che il cosmopolitismo del cristianesimo abbia potuto affermarsi dopo che era entrato in crisi il carattere nazionalistico delle religioni pagane, o che in tale passaggio vi sia stato non un progresso ma solo un regresso, in quanto gli dèi bellicosi del paganesimo si erano trasformati in un dio mansueto e disposto al perdono. L'universalismo del cristianesimo rappresentò un'autentica rivoluzione rispetto alla limitatezza geografica degli dèi pagani, che i fedeli consideravano sempre ostili tra loro. D'altra parte gli stessi imperatori romani cercarono a più riprese, senza però riuscirvi, di ideare una sorta di religione universale che andasse al di là di ogni culto locale. Non vi riuscirono appunto perché il loro dio universale aveva, in nuce, le stesse caratteristiche degli dèi locali, la prima delle quali era la discriminazione delle classi più umili. Era un dio che doveva riflettere semplicemente la volontà di dominio universalista dell'imperatore e non l'esigenza dell'uomo di emanciparsi da una vita oppressiva. Nietzsche ha fatto un errore che spesso commette chi difetta di senso storico: ha guardato il passato con gli occhi del presente. Cioè ha disprezzato il cristianesimo primitivo perché lo ha ritenuto simile a quello del suo periodo, a quello della sua Prussia, senza peraltro considerare che in ogni epoca storica, a partire almeno dalla svolta costantiniana, il cristianesimo ufficiale (l'unico ammesso), ha dovuto sempre scontrarsi con un cristianesimo ufficioso, marginale, di idee ancora radicali, "eretiche", le quali, pur non essendo riuscite a imporsi a livelli istituzionali, hanno comunque influenzato la formazione di quei movimenti laici che lotteranno contro la chiesa non più solo dall'interno ma anche dall'esterno. |