TEORICI
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OCCAM: i nomi e le cose
Sulla questione degli universali [1], molto dibattuta nei secoli precedenti, Occam smonta le soluzioni dei cosiddetti realisti, di coloro, cioè, che hanno sostenuto l’esistenza di enti universali corrispondenti ai nomi universali, come l’uomo, il cane, l’asino, l’animale ecc. Anche la natura comune di Duns Scoto cade sotto l’azione critica di Occam, che dissolve, così, il problema tipicamente medievale dell’individuazione.[2] Ma, caduti gli enti universali e la natura comune delle cose, come si spiegano i nomi universali? Se Dio ha creato le cose nella loro singolarità, senza la mediazione delle idee universali che la tradizione agostiniana riteneva presenti nella sua mente come archetipi, quando noi, con un solo nome, mettiamo insieme molte cose, tutte le cose di un certo tipo, su che cosa ci basiamo? Quando col nome singolare “rosa” indichiamo tutte le cose che chiamiamo col quel nome, che cosa facciamo? Se non c’è l’idea platonica della rosa, neppure in forma agostiniana, se non c’è la natura comune delle rose che s’individui nelle singole rose e si universalizzi nel concetto, come si spiegano i nomi universali? Per rispondere bisogna aver chiara la natura dei nomi, secondo Occam. Il nome è una cosa, un ente, di cui ci serviamo per indicare una o più cose. E’ una cosa che mettiamo al posto di un’altra, o di un insieme di altre cose, per indicare quell’altra cosa o quell’insieme. Come tutti gli enti, il nome, pensato, pronunciato o scritto, è individuale. Scritto è un disegno visibile; pronunciato è un suono della voce percepibile con l’udito. Come cosa sensibile il nome è singolare: ogni volta che viene scritto, a mano o con mezzi elettronici, il nome occupa una posizione spazio temporale solo sua; ogni volta che viene pronunciato, anche da un registratore che lo ripeta, è altrettanto singolare. La produzione del disegno o del suono del nome non è fine a se stessa, ma svolge una funzione nella comunicazione e nella conoscenza: serve a significare il nome pensato, cioè l’idea, il concetto, il contenuto mentale che abbiamo in mente quando scriviamo o pronunciamo quel nome e che abbiamo in mente grazie all’esperienza, alla conoscenza intuitiva della cosa cui il nome rimanda.[3] I nomi sono i termini dei nostri discorsi scritti, detti e pensati; sono gli elementi semplici, gli atomi, delle nostre costruzioni mentali, pensate, dette o scritte. La loro organizzazione più elementare è la proposizione. Più proposizioni concorrono alla costruzione dei discorsi. I termini mentali sono naturali ed uguali per tutti: sono prodotti dalle cose stesse nel corso dell’esperienza; s’impongono alla conoscenza intuitiva che, come uno specchio, riproduce nella mente le cose individuali. Sono segni mentali delle cose, sono prodotti nella nostra mente dalla presenza delle cose. Ciò significa che chi non ha mai visto un leone non ha il termine mentale corrispondente, che, invece, hanno tutti quelli che hanno una qualche esperienza del leone. I termini orali o scritti sono convenzionali e variano col variare delle lingue. Ad esempio il termine mentale, il concetto “rosa” è uguale per tutti, mentre la parola corrispondente cambia per suono e per disegno da lingua a lingua. La funzione dei termini è quella di significare, di stare al posto di un’altra cosa: quelli mentali significano le cose reali oggetto del pensiero, le parole significano i termini mentali, le parole scritte stanno al posto di quelle orali. In base a questa loro funzione, Occam distingue i termini in categorematici (= significanti in proprio) e sincategorematici (= significanti con altri termini). Sono del primo tipo i termini come uomo, cavallo, pietra ecc., quelli cioè che da soli hanno un preciso significato. Sono, invece, del secondo tipo i termini come ogni, uno, nessuno, qualcuno, tutto ecc., quelli cioè che hanno significato solo quando accompagnano altri termini. I nomi diventano universali quando svolgono una funzione di significato universale, quando vengono pensati, scritti e/o detti per significare molte cose, tutte le cose che possono essere considerate parte di un insieme di individui, come quello degli uomini, quello dei gatti, quello delle rose, ecc. Ai nomi universali non corrisponde nella realtà nessun ente universale. I nomi universali indicano concetti universali, costruzioni mentali che tengono insieme molte individualità, tutte le individualità che possono rientrare, in base al criterio della somiglianza, in una costruzione mentale. Ci forniscono solo una conoscenza confusa che non rispecchia le realtà individuali e singolari delle cose. Quando noi pensiamo all’uomo in generale confondiamo, mettiamo insieme realtà individuali ben distinte una dall’altra, creiamo un ordine di cose che facendo leva su ciò che le rende simili annulla proprio le differenze che le caratterizza nella realtà. Facciamo una confusione, un’operazione che risponde ad un nostro bisogno di mettere ordine nelle cose, ma non riflette una cosa reale. Si tratta di una reazione nostra di fronte ad una moltitudine di cose individuali: invece di pensarle contemporaneamente con precisione una per una, come può fare Dio nella sua onnipotenza, noi, dati i limiti del nostro l’intelletto, procediamo per abbreviazione, pensandole sommariamente in un concetto, che le confonde in una sola cosa generica che non esiste. Gli universali non esistono, ma noi abbiamo bisogno di costruirli mentalmente e di nominarli per orientarci in un mondo in cui ci sono solo individui, singoli. La coscienza di ciò libera dalle illusioni conoscitive infondate. Non solo. Ci aiuta anche a capire l’inconsistenza di quelle costruzioni umane sociali politiche ed ecclesiastiche che tanto peso hanno sugli individui. Ci svela la natura artificiale ed umana delle istituzioni universali e gerarchiche, che in realtà sono soltanto l’insieme di tutti gli individui che ne fanno parte e nulla più. Ci svela che il presunto primato degli ordini universali sugli individui si basa su una confusione del nostro intelletto che, incapace di pensare insieme gli individui nella loro realtà singolare, procede per abbreviazione. I poteri con la pretesa dell’universalità perdono il loro fondamento metafisico: è la moltitudine dei cristiani, ad esempio, a costituire la Chiesa e non la Chiesa a costituire, ordinando e gerarchizzando, i singoli cristiani. Il “sacerdozio universale” di Lutero ha qui la sua fondazione filosofica. Cade ogni fondamento alle pretese teocratiche, culturali e politiche, della Chiesa e si apre la strada alla legittimazione solo dal basso del potere politico. La Chiesa è la libera comunità di tutti i fedeli di tutti i tempi. A questa libera comunità compete l’infallibilità, per la presenza in essa dello Spirito Santo, non al papa e, neppure, al concilio. L’idea teocratica che il papa abbia ricevuto da Dio la pienezza dei poteri promuove la peggiore delle schiavitù, con l’asservimento totale di credenti e non credenti, in contrasto con le esigenze fondamentali della convivenza umana, ma anche in aperto conflitto con il Vangelo, che è messaggio di libertà per tutti. [1] Si veda il n. 3 dei “Quaderni …”, Viaggio nella filosofia. Da Plotino a Tommaso d’Aquino, Torino 2010, pagg. 98-100 [2] Si veda la dispensa 4.02. [3] Come Duns Scoto, Occam distingue la conoscenza in intuitiva e astrattiva. La conoscenza intuitiva è sia sensibile che intellettuale: anche l’intelletto conosce intuitivamente, in modo immediato, le cose singole che sono oggetto della sensazione. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf) Testi
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