GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA

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GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA (1463-1494)

I - II

Pico della Mirandola, Uffizi,  Gioviana Collection

Nasce nel 1463, nel castello familiare della nobile stirpe dei conti della Mirandola e di Concordia. Il padre è un signore colto e illuminato che farà costruire importanti edifici (Duomo, Palazzo Comunale ecc.) nei 17 anni della sua signoria: quando muore, Giovanni aveva solo quattro anni. La madre è la nipote del Boiardo, autore dell'Orlando innamorato.

Giovanni lascia subito ai due bellicosi fratelli la gestione della Signoria, sentendosi più portato per gli studi classici e filosofici. All'età di 14 anni lascia Mirandola e va a studiare diritto canonico, eloquenza e filosofia nelle Università di Bologna, Ferrara (1479, qui gli studi umanistici erano più importanti di quelli bolognesi), Padova, Pavia. Da papa Sisto IV ottiene la carica di Protonotario Apostolico. A Bologna conosce Girolamo Savonarola, con quale resterà sempre amico.

Nel 1484 si reca a Firenze e qui stringe rapporti con Lorenzo il Magnifico, Marsilio Ficino, Angelo Poliziano… entrando a far parte dell'Accademia dei platonici. È già famoso per la sua vasta cultura, la straordinaria conoscenza del greco, del latino e di molte lingue orientali; prodigiosa è la sua memoria. Con Marsilio Ficino diventerà il massimo esponente dell'umanesimo filosofico italiano. Testimonianze storiche lo videro spesso implicato in risse furibonde (era dotato di un fisico molto prestante e di un'altezza straordinaria) in cui l'amico Lorenzo gli salvò la vita più volte.

Nel 1485 si reca a Parigi, a quel tempo la capitale mondiale degli studi teologici, come Firenze lo è per quelli platonici. Ha poco più di 20 anni ma è già conosciuto in tutta Europa. Al suo ritorno si mette a studiare ebraico e caldaico, occupandosi di sapienza orientale (studia anche il Corano). È convinto che nella Cabala siano racchiusi tutti i misteri della religione cristiana e tutte le dottrine della filosofia antica. In tal senso Pico diventerà il vero iniziatore umanistica dello studio della sapienza ebraica, che in seguito diventerà una vera e propria moda. Nelle sue opere infatti proporrà una sintesi tra cristianesimo e religioni abramitiche, cercando di ricostruire l'originale saggezza universale.

Alla fine del 1486 pubblica la sua opera più famosa: Oratio de hominis dignitate. Poche settimane dopo presenta a Roma 900 tesi (Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae) per una pubblica discussione con gli studiosi di tutto il mondo su tutti i problemi di filosofia e di teologia. Gli studiosi curiali e anche l'Inquisizione condannano 13 tesi; Pico si difende pubblicando l'Apologia (1487), ma papa Innocenzo VIII risponde decretando l'arresto del filosofo, cosa che avviene nei pressi di Lione. Forte è lo sdegno in tutta Europa. Liberato un mese dopo per intervento di Lorenzo il Magnifico, si trasferisce di nuovo a Firenze, dove compose le sue opere maggiori, fra cui le Epistolae.

Muore nel 1494, a soli 31 anni anni, nei pressi dell'Abbazia di Fiesole, dopo tredici giorni di febbri misteriose, proprio mentre progettava di scrivere un libro sulla Concordanza di Platone e Aristotele e mentre il re di Francia Carlo VIII entrava in Firenze. Un anno prima papa Alessandro VI lo aveva assolto da ogni accusa di eresia. Egli divide la lapide con Girolamo Benvenuti, poeta umanista, cui pare fosse particolarmente legato (Savonarola, in suo libello, scriverà infatti che l'anima di Pico non avrebbe potuto salire in paradiso a causa di "certi peccati" su cui preferì non aggiungere altro: non dimentichiamo che proprio nel 1494 una grande epidemia di sifilide aveva colpito l'Europa). Nel 2008, sul suo corpo riesumato, sono state riscontrate una grande quantità di piombo e tracce di arsenico nell'unghia dell'alluce. In una lettera tradotta di recente il segretario dello stesso Pico, Cristoforo da Casalmaggiore, avrebbe ammesso di averlo avvelenato perché era molto malato. Anche il poeta Angelo Poliziano morì lo stesso anno di Pico, ma per sifilide.

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La visione eclettica e universalistica (ecumenica sul piano religioso) di Pico abbraccia filosofie, religioni antiche e teologia cristiana. Egli stimava, come Ficino, non soltanto gli antichi saggi, ma anche i pensatori dell'Islam, sino a tutta la tradizione magica e soprattutto la Cabala ebraica. Questa visione trova la sua origine ultima presso la corte siciliana di Federico II, dove saraceni, filosofi ebrei, rappresentanti dell'idealismo greco e cristiani avevano preso a discutere tra loro intorno all'idea di una religione universale, rivelatrice per ogni popolo. Quest'idea troverà fondamento metafisico nella dottrina umanistica dell'immanenza della divinità nell'universo, secondo appunto il pensiero, in Italia, di Lorenzo dei Medici, Pico, l'Accademia fiorentina, all'estero, gli Spiritualisti tedeschi (il primo dei quali fu Cusano) e Bodin (quest'ultimo dirà esplicitamente d'essersi rifatto al pensiero umanista di Pico). Zwingli, nella dottrina su Dio, considererà Pico addirittura come suo maestro. Il suo spiccato interesse per la tradizione magica influenzerà Melantone. Nello Heptaplus (1490), che è un commento allegorico al testo biblico della Genesi, rivendica la magia come unica forma corretta di rapporto con la natura: mago è colui che conosce le leggi occulte della natura e sa trarne giovamento. Tuttavia, nelle Disputationes in astrologiam rifiuta, pur non negando l'esistenza di un certo influsso astrale, ogni forma di esasperato determinismo astrologico e nel De Astrologia, postumo, criticherà duramente imbroglioni e falsi profeti.

Nel suo pensiero quindi confluiscono accanto alla tradizione neoplatonica quella della mistica e dell'esoterismo cristiano e cabalistico. Nell'ultimo periodo della sua vita si era però allontanato da Ficino e dal neoplatonismo e anche dalla sapienza ermetica e persiana, per avvicinarsi più decisamente all'aristotelismo.

Pico sosteneva che ogni sistema filosofico rappresenta la verità da un certo punto di vista, in quanto le contraddizioni sono, secondo lui, per lo più apparenti, legate a modi espressivi più che a effettivi contenuti.

Nel De hominis dignitate Pico, come altri umanisti del '400, esalta l'uomo e la sua capacità. La vita della natura è considerata come una correlazione misteriosa di forze interagenti, controllabili dall'uomo (di qui l'interesse per magia, astrologia, mantica e mistica dei numeri - come in Reuchlin). La natura resta però inferiore all'uomo, che coincide con l'essere, in quanto non è "contemplatore" ma "creatore". La natura è determinata dalla categoria della necessità, l'uomo invece da quella della libertà, in virtù della quale può scegliere il suo destino. La dignità dell'uomo non è data una volta per tutte (a un grado determinato della gerarchia del reale, come voleva la teologia). È l'uomo che dà un senso alla natura, che dà alla creazione unità e rispondenza al fine, essendo un legame che tiene unito il tutto in un sol punto.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015