SCHELLING E IL NATURALISMO (1775-1854)

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SCHELLING E IL NATURALISMO (1775-1854)

Schelling

I - II - III - IV - V

Quadro storico-culturale

Nel contesto della dominazione napoleonica in Prussia, in che modo si pensava di poter realizzare la transizione alla società borghese? Le ipotesi erano tre:

1) che le riforme venissero egemonizzate da un movimento democratico piccolo-borghese con residue venature giacobine (è la posizione di Fichte, piuttosto isolata);

2) che avvenissero sotto l'egida della nobiltà e di una monarchia riformata (i cosiddetti Romantici: Novalis, Schlegel ecc.);

3) che le riforme fossero egemonizzate da un'alleanza fra alta borghesia e frange liberali della nobiltà, in un patto con Napoleone (Hegel e Goethe, nel primo decennio del secolo).

Qual era la difficoltà maggiore? La mancanza di una forte borghesia nazionale e di conseguenza di un'antropologia naturalistica, concreta, imperniata su una filosofia del finito. Il rischio in Germania era quello di fare una rivoluzione solo nel "pensiero" e qui nella maniera più astratta, con le speculazioni metafisiche. Come si inserisce Schelling in tale problematica?

Iter biografico e intellettuale

Friedrich W.J. Schelling (1775-1854) Nasce nel Württemberg, da un agiato pastore protestante, che lo educò agli studi classici e biblici. Al seminario teologico di Tubinga, ove si iscrisse, strinse amicizia con Hölderlin ed Hegel, condividendo la loro aspirazione, influenzata dalla Rivoluzione francese, a un rinnovamento qualitativo della società prussiana: piantò un "albero della libertà" insieme a loro, tradusse in tedesco la Marsigliese, compose un inno alla Francia rivoluzionaria, aderì a una società segreta filofrancese costituitasi nel collegio sotto la copertura di un circolo di lettura.

Gli studi di filosofia e teologia segnano anche la fase fichtiana di Schelling, che trova riscontro in tre opere: L'IO come principio della filosofia, La forma della filosofia in generale (1795) e Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo del 1796, con cui difende l'agnosticismo di Kant contro il dogmatismo le superstizioni. In questa fase, tuttavia, se Schelling condivide la teoria fichtiana dell'IO assoluto e del primato della filosofia pratica (la libertà della volontà), se ne differenzia quando precisa il loro terreno di applicazione, che non è tanto quello etico-sociale quanto piuttosto quello estetico o quello del rapporto filosofico dell'uomo con la natura.

Dal 1796 al '98 studia matematica e scienze naturali a Lipsia e a Dresda. Questa è la cosiddetta fase della filosofia della natura, cioè quella in cui Schelling accentua il senso di finalità e di organicità della natura. Opere principali: Idee per una filosofia della natura (1797), Sull'anima del mondo (1798) e Primo progetto di un sistema della filosofia della natura (1799). Il distacco da Fichte si accentua notevolmente, poiché la natura non è vista come l'ostacolo che l'IO deve superare per realizzarsi, ma è vista come fonte primaria della realizzazione dell'IO (non secondo i criteri della moderna scienza sperimentale, che pur Schelling studia con molto interesse traendone spunto per le proprie riflessioni filosofiche, né tanto meno secondo i criteri dello sfruttamento capitalistico, che Schelling non ha mai condiviso). Ciò che della natura lo attrae è la sua attività inconscia, spontanea, infinita, incondizionata, vista in una prospettiva meramente filosofica.

Dopo essere stato per breve tempo coadiutore di Fichte nell'insegnamento universitario di Jena, nel 1799 gli subentra con l'appoggio di Goethe (Fichte era stato allontanato dalla cattedra a causa del suo ateismo). Questi sono anche gli anni in cui si va spegnendo il suo entusiasmo giovanile per la Rivoluzione francese. La natura è sempre più vista come il luogo dove i conflitti si conciliano da soli, automaticamente, in uno stato di "indifferenza", nel quale le differenze-distinzioni-opposizioni tendono a perdere d'importanza.

A Jena Schelling diventa l'interprete filosofico del movimento romantico (qui sposa anche l'ex-moglie di A.W. Schlegel). Dopo aver raccolto i poliedrici interessi dei romantici, pubblica nel 1800 il suo capolavoro, Sistema dell'idealismo trascendentale, nel quale per la prima volta la filosofia elabora un linguaggio sistematico con cui parlare dei problemi estetici. Nel suo impegno di pubblicista è attivissimo: crea una rivista di "fisica speculativa" (cioè di filosofia della natura) ove fra l'altro stampa, in parte, una Professione di fede epicurea, che in precedenza aveva destinato alla rivista "Athenäum" degli Schlegel, incontrando però le resistenze di Goethe. Collabora anche con Hegel al "Giornale critico della filosofia", ma il sodalizio durerà poco. Hegel mal sopporterà l'antistoricismo di Schelling. In effetti nel suo Sistema idealistico le vicende storiche legate alla crisi dell'ancien régime e allo sviluppo della società borghese non trovano un riflesso convincente. Schelling vede nei mutamenti storici il frutto più che altro del cieco arbitrio. Viene persino meno in lui l'idea illuministica di un'infinita perfettibilità storica del genere umano. Perfettibile è solo il singolo individuo e solo nella misura in cui è capace di intuizione estetico-intellettuale.

Del periodo di Jena vanno segnalate anche: Esposizione del mio sistema (1801), Bruno o il principio naturale e divino delle cose (1802), Filosofia dell'arte (1802-3) e Lezioni sul metodo dello studio accademico (1803). Questa fase è stata definita dai critici della "filosofia dell'identità" (nel senso che nella conciliazione degli opposti, che si verifica in natura, sta l'identità filosoficamente intuita): qui Schelling non fa che accentuare il suo aristocraticismo culturale, combinandolo con un esplicito rifiuto politico della rivoluzione. Egli inoltre dovrà affrontare -come già aveva fatto Fichte- una dura polemica con Jacobi sulla questione dell'ateismo (secondo Jacobi la sua filosofia della natura portava al panteismo ateo). Schelling non perderà la cattedra, perchè era su posizioni più moderate di quelle di Fichte, ma deciderà lo stesso di lasciare Jena e di trasferirsi a Würzburg (1803-6), dedicandosi al problema religioso: interesse che lo occuperà anche a Monaco (ove nel 1806 venne chiamato all'Accademia delle scienze, restandovi sino al 1820).

In pratica dal 1804 al 1811 Schelling non farà che studiare mistica e teologia (fase teosofica), lasciandosi influenzare dal cattolico restauratore F. von Baader, che lo avviò agli studi del mistico J. Boehme. Opere principali: Filosofia e religione (1804), Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà (1809) e Lezioni private di Stoccarda (1810). Nel 1812 pubblicò un altro velenoso scritto contro Jacobi e un saggio sulle Divinità di Samotracia, che segna la ripresa di quell'interesse per la mitologia che aveva coltivato in età giovanissima. Ormai comunque Schelling non ha più alcuna fiducia negli strumenti della ragione. Lo attesta anche lo scritto Le epoche del mondo (1811-13). Uno Stato "secondo ragione" per lui è impossibile; l'idea di "progresso" è illusoria, in quanto esiste un "male cosmico" che ha intaccato inesorabilmente la coscienza di tutti gli uomini.

Dopo un soggiorno di 6 anni all'università di Erlangen (dal 1820 al '26), egli ritorna a Monaco diventando nel '27 professore universitario. Tuttavia, già nel 1809 la sua produttività, pur iniziata assai precocemente, aveva cominciato a subire un declino inarrestabile. Il trionfo di Hegel contribuì senz'altro a produrre in lui sfiducia e stanchezza. Schelling non vorrà neppure partecipare al movimento delle riforme borghesi connesso con la Confederazione renana voluta da Napoleone (1811), che comprendeva 36 compagini statali prussiane. Sua unica preoccupazione è diventata quella di formulare fantasiose simbologie sulla base della mitologia greca e orientale.

Dal 1815 sino alla morte, Schelling continua a focalizzare la sua attenzione sul problema religioso cercando nuovi rapporti con la filosofia. Opere principali: Introduzione alla filosofia della mitologia, Filosofia della mitologia, Filosofia della rivelazione, che sono in sostanza i corsi tenuti a Berlino dopo il 1841, quando il re Federico Guglielmo IV, per porre un argine al "panteismo" della scuola hegeliana e al radicalismo della "sinistra hegeliana" (Hegel era morto nel '31) lo richiamò in cattedra, essendo a tutti noto il passaggio di Schelling dalla giovanile religione della natura a una considerazione piò positiva della religione rivelata. In sostanza dal '41 al '47 Schelling capitanò a Berlino (nella stessa cattedra che fu di Hegel) la generale reazione contro le dottrine hegeliane, ma, nonostante la presenza, inizialmente, di un folto pubblico (tra i quali Feuerbach, Kierkegaard, Engels, Strauss, Michelet, Bakunin, Savigny), l'ultima fase della sua filosofia non ebbe alcuna risonanza, tanto che lui stesso nel '47 decise di interrompere i corsi ritirandosi definitivamente a vita privata. La promessa di un approccio più concreto sia alla storia che all'esistenza non era stata mantenuta. Morì in Svizzera, del tutto dimenticato, nel 1854.

Il distacco da Fichte

Schelling si distacca da Fichte non tanto sul versante dell'IO quanto su quello del non-IO. Egli infatti rifiuta la riduzione della natura a mera posizione dialettica dell'IO puro, e opta per una concezione più organica e vivente della natura (che non ha nulla a che vedere colla fisica meccanicista anglo-francese, importata in Germania dal criticismo di Kant).

Lo stesso Schelling indicherà nello studio della chimica dei gas l'elemento che determinò la sua emancipazione dalla filosofia fichtiana. Il riferimento era ai risultati raggiunti da Priestley e soprattutto da Lavoisier sull'isolamento dell'ossigeno e sulla possibilità di unire idrogeno e ossigeno per produrre l'acqua (ritenuta fino a quel momento un corpo semplice non scomponibile).

Schelling riscopre un concetto di natura come un tutto organicamente connesso. Questa peraltro era stata l'idea dell'animismo neoplatonico rinascimentale, cui si riconducevano le varie tradizioni magico-occultistiche e alchemico-astrologiche: idea uscita sconfitta dal confronto colla matematizzazione della natura operata da Bacone, Galilei, Newton, ecc. In Germania, non essendovi stata al tempo di Schelling una rivoluzione borghese che promuovesse uno studio scientifico della natura, quella filosofia arazionale della natura aveva continuato a svolgere un ruolo di cultura subalterna (o come ideologia di gruppi e società segrete).

Schelling dà grande importanza alle tre forme dell'animazione universale: magnetismo, elettricità e chimismo. Il suo tentativo è quello di usare queste tre forme di movimento per costruire una filosofia della natura che obbedisca alla regola dell'unità organica, vivente, animata, capace di perenne trasformazione della natura. Non gli interessa l'atteggiamento dell'illuminismo secondo cui la scienza è possibile solo là dove esiste specializzazione di campi separati d'indagine.

Perché il magnetismo? Perché esso consente di pensare alla coesione delle varie parti dell'universo e alla reciproca gravitazione. Perché l'elettricità? Perché tutto il processo naturale è sempre il risultato di un'opposizione di forze (che si attraggono e si respingono, vedi ad es. il magnete). Perché il chimismo? Perché esso fonda la metamorfosi dei corpi, per cui, variando le proporzioni, ogni corpo può trasformarsi in un altro.

In sintesi: Per Schelling la filosofia della natura è superiore alla filosofia dell'IO di Fichte, in quanto essa mostra che l'uomo è il punto in cui la natura giunge alla forma che consente la sua propria intelligibilità. L'uomo è un prodotto della natura e non la natura un prodotto dell'uomo. Il non-IO di Fichte non ha realtà propria, secondo Schelling, e l'IO non è "puro" poiché per attuarsi ha bisogno di affermare un non-IO che lo limita.

La filosofia della natura

La natura per Schelling è attività spirituale inconscia, infinita, e le sue produzioni sono gli esseri finiti, dei quali il maggiore è l'uomo, poiché con l'uomo la natura acquista consapevolezza di sé (diventando spirito). La natura ha una realtà propria e indipendente, ma non nel senso del noumeno kantiano, poiché essa è costituita della stessa spiritualità che si rivela nello spirito e che caratterizza anche l'uomo in grado di intuirla. La natura, per attuare se stessa, deve incontrare e superare un impedimento ch'essa porta in sé. Nella natura infatti esistono due tendenze opposte, una positiva l'altra negativa: quando queste due forze sono in equilibrio (sintesi) si ha la produzione di una determinata forma naturale; poi l'equilibrio si rompe, per ricomporsi successivamente, generando nuove forme naturali, in una progressione infinita.

La natura che interessa Schelling non è quella oggettiva delle scienze naturali e sperimentali (natura naturata), ma quella soggettiva della filosofia idealista (natura naturans), l'unica che permette di cogliere (attraverso la fisica speculativa basata sull'intuizione) l'unità dei fenomeni, la loro derivazione da un fondamento comune (natura finalistica). Qui l'influenza di Bruno è notevole.

La fisica speculativa non è basata sui rapporti di atomi materiali, ma su rapporti di forze (produttrici e opposte), colti attraverso l'intuizione intellettuale (di cui già Kant nella Critica del giudizio, a proposito del teleologismo della natura, ma il termine è preso da Bruno). Schelling estende a tutta la natura quello che Fichte aveva affermato per la vita dell'IO, e cioè che il principio originario è "azione", non essere, non sostanza fissa e rigida, e che l'essere è il prodotto dell'azione. Non c'è dunque sostanza materiale, né atomi o corpuscoli immutabili, e neppure un'estensione come modo di essere originario della natura: questa in realtà è un gioco di forze, la materia è il risultato di energie duali e polari, cioè opposte, che ad un certo punto raggiungono un equilibrio provvisorio, fonte di nuovi flussi energetici.

Tuttavia, l'intuizione di per sé non può produrre una sintesi concreta di soggetto e oggetto: ciò spetta all'arte, che è organo della filosofia (su questo avverrà il distacco da Hegel). Il poeta (o l'artista) produce ciò che il filosofo pensa. L'opera d'arte sintetizza libertà e legge, spontaneità e tecnica, natura e spirito, conscio e inconscio: essa è una rappresentazione finita e sensibile dell'infinito.

L'idealismo trascendentale

Vuole essere una sintesi dell'idealismo soggettivo di Fichte e del realismo che vede nella natura un limite indipendente dall'IO. Mentre per Fichte il realismo si identificava immediatamente col dogmatismo, per Schelling invece esso può conciliarsi col criticismo. La filosofia della natura deve spiegare l'ideale a partire dal reale (la natura); l'idealismo trascendentale deve subordinare il reale all'ideale. Ciò in quanto la natura è lo spirito non ancora conscio, mentre lo spirito è la natura giunta a consapevolezza.

Lo spirito teoretico determina il conscio (il soggetto) per mezzo dell'inconscio (o oggetto), servendosi dell'intuizione intellettuale; lo spirito pratico (che è atto di volontà) fa il contrario, producendo la storia (che è l'unione di libertà e necessità, di conscio volontario e inconscio involontario, in un progresso infinito che non raggiunge mai la perfezione). In questo senso l'identità di natura e spirito non è mai pienamente raggiungibile: infatti nell'attività teoretica lo spirito, che trova di fronte a sé la natura, si adegua ad essa e si ha la dipendenza del soggetto cosciente all'oggetto inconscio; nell'attività pratica lo spirito opera liberamente imponendo leggi alla natura per subordinarla a sé, adattando l'oggetto al soggetto.

La verità sta nell'identità di spirito e natura (colta per intuizione intellettuale o per intuizione estetica, che è quella intellettuale universalizzata, patrimonio di ogni coscienza). L'identità viene colta dall'arte, che è il compimento della filosofia. L'identità si pone anche fra Io e non-IO, in quanto l'IO senza il non-IO non esisterebbe. Solo l'apparire dell'autocoscienza differenzia l'uno dall'altro: in origine l'unità era indifferenziata.

Il principio di tutta la realtà è l'Assoluto (ciò che non ha bisogno di niente per esistere): esso è identità indifferenziata di natura e spirito, cioè tale che può essere pensato indifferentemente come oggetto e soggetto (è la filosofia dell'identità). L'assoluto si pone inconsciamente, in una prima fase, come natura, e coscientemente, in una seconda fase, come spirito (la natura è la preistoria dello spirito). La differenza non è qualitativa, ma quantitativa e di grado (dall'inferiore al superiore).

Filosofia ed estetica

L'ultima estetica che aveva tentato una considerazione globale dell'arte, puntando sul piacere disinteressato, era stata quella di Kant. Ora, nella concezione di Schelling si va molto più in là. Qui l'arte invade luoghi (come la morale, la politica, l'educazione) che Kant non poteva neppure immaginare, né avrebbe mai tollerato. L'arte cioè si connette col significato profondo dell'esistenza poiché costituisce un ideale di vita, un insieme di valori alternativi al sociale. Sintetizzando magistralmente il pensiero di Hölderlin, secondo cui la poesia, essendo rivelazione dell'infinito, ricompone la scissione uomo/natura e restaura la dignità dell'uomo; di Novalis, secondo cui il poeta è il mago che svela la trasparenza del messaggio della natura; di F. Schlegel, secondo cui da un lato la forma romantica della poesia è legata alla disposizione ironica, di gioco, che il poeta ha nei confronti della propria creazione, mentre dall'altro l'arte può essere avvicinata al linguaggio del mito in quanto simboleggia la realizzazione dell'infinito nell'oggetto estetico - Schelling ha fatto della bellezza il trait d'union della vita finita dell'uomo con l'infinito. Artefice di questa bellezza è più che il filosofo (la cui intuizione intellettuale non può essere socializzata in quanto incomunicabile) è l'artista (poeta, pittore, musicista...), cioè colui che riproduce in un oggetto determinato l'unità originaria di soggetto e oggetto. In questo senso è possibile raggiungere un'identità di natura e spirito. Nella creazione estetica si riuniscono l'inconscio della natura, mediante la spontaneità dell'ispirazione, e il conscio dello spirito, mediante l'elaborazione cosciente dell'ispirazione compiuta dall'artista.

I romantici tedeschi preferiranno Schelling a Kant perché questi distingueva tra etica, estetica ed epistemologia, mentre quello faceva dell'estetica (intellettuale) la forma più alta. Per Schelling infatti l'arte è la rappresentazione dell'infinito nel finito e la mitologia è il soggetto principale dell'arte.

Filosofia e religione

Schelling approda agli studi sulla mitologia perché ad un certo punto si rende conto che l'identità di spirito e natura lo ha portato a un vicolo cieco, cioè alla consapevolezza che l'identità viene a coincidere con l'indifferenza, cioè con la mancanza di spirito. Avendo rigorosamente delimitato l'oggetto, la realtà, alla sola natura, Schelling ha perduto le motivazioni che spiegano la contraddizioni del mondo umano. Egli è convinto che l'origine del finito dall'infinito dipenda da un difetto dell'infinito. Non riesce assolutamente a intravedere nel finito la possibilità di un superamento delle sue stesse contraddizioni. Di qui la riscoperta della religione e in particolare della mitologia, che rifiuta il finito in nome dell'infinito.

Schelling si convince che la mitologia non è superstizione ma filosofia compiuta, seppure espressa con una lingua prefilosofica, poetica. Ciò che, al dire di Schelling, appare più concreto della filosofia stessa, che astrae e sillogizza, cercando di individuare la possibilità logica della cose, mentre la mitologia, cioè la religione, tratta dell'esistenza reale delle cose, essendo basata sull'immaginazione collettiva: la prima filosofia è negativa, questa invece è positiva.

Schelling cerca nella religione quell'assoluto che non è riuscito a trovare in modo definitivo nella natura e nella filosofia. Nel tentativo di superare i vincoli del sensibile, egli si accosta all'UNO neoplatonico. Di qui la riscoperta del concetto di rivelazione, che però Schelling estende a tutte le religioni storiche, incluse quelle politeistiche. L'arco storico delle religioni è per lui una rivelazione progressiva di Dio, ma di un Dio che vede lottare dentro di sé il bene e il male, e la cui vita si esplica appunto come progressiva vittoria del positivo sul negativo. La riscoperta della mitologia è anche inerente al fatto che Schelling, su posizioni romantiche, aveva spiritualizzato la natura, Miti, leggende e favole diventavano ora allegorie dello spirito della natura e il mondo veniva concepito come un sogno dello spirito.

Politica in Schelling

L'esordio politico di Schelling è individualistico, di stile anarchico. L'entusiasmo per la Rivoluzione francese costituisce una breve parentesi. Egli accetta la fichtiana libertà dell'IO ma solo per rivendicarne l'assolutezza e l'irriducibilità, senza misurarla in un concreto impegno sociale.

Lo Stato gli appare come un organismo amministrativo, esteriore, che disciplina il sistema degli egoismi. Sotto la sua falsa universalità, regna nella società il criterio dell'utile e del vantaggio materiale (in una sorta di reciproca strumentalizzazione).

Schelling critica il costume sociale borghese, ma facendo indirettamente gli interessi del sistema assolutistico-feudale, in quanto la sua critica resta puramente teorica e non intacca mai le contraddizioni della società aristocratica del suo tempo.

Egli è disposto ad accettare uno Stato che abbia le sue radici in una tradizione linguistica e culturale, che sia cioè già organicamente etico, storico, culturale, romantico e nazionale. Ma nella tarda maturità, rendendosi conto dell'illusorietà di questa aspirazione, Schelling penserà di sostituire lo Stato con la chiesa, a condizione che questa non imiti le forme organizzative proprie dello Stato (col che in pratica egli ricade in un'altra illusione). La Chiesa a suo giudizio potrebbe essere migliore dello Stato in quanto possiede nella rivelazione lo strumento spirituale per costituire il vincolo organico della comunità. Ovviamente Schelling non pensa a una chiesa specifica, ma a una chiesa del futuro.

Le accuse di ateismo

Jacobi accusò Schelling di aver sostituito Dio con la Natura, cioè di aver fatto della Natura un UNO-TUTTO indipendente, sufficiente in se stessa, capace di creare più dell'uomo, aldilà della quale non esiste che il nulla (l'accusa in sostanza era quella di essere uno spinozista).

Schelling si difese distinguendo la Natura come identità assoluta non esistente, da Dio quale identità assoluta esistente, cioè riaffermando il concetto di Dio creatore, che dà esistenza alle cose, mentre la natura ha in sé il fondamento del proprio esistere, non derivato dall'uomo. In questo modo Schelling conferma il proprio spinozismo, ma senza contraddire la concezione religiosa ufficiale.

Rilievi critici

1) Oggi l'elemento centrale del lavoro di Schelling appare la sua ricostruzione di una filosofia della natura di tipo rinascimentale-neoplatonico: la concezione della totalità organica e vivente -la natura- che anima, dall'interno, con intelligenza, le diverse forme viventi, tra cui l'uomo, prodotto finale della natura. Questo modo di vedere le cose rischia però, se assolutizzato (come in effetti Schelling fece), di non far progredire la scienza vera e propria della natura (quella sperimentale), in quanto tende ad opporsi a un'indagine razionalistica e matematica della natura. Schelling in realtà ha una concezione romantica, contemplativa della natura, la cui realizzazione pratica è solo a livello artistico o estetico. La sua fisica speculativa non può avere alcun fondamento obiettivo, anche se essa può aver stimolato, come alcuni credono, lo studio di fenomeni come l'elettricità, il magnetismo, il sogno, l'ipnotismo, la telepatia, la morfologia comparata...

2) Se il non-IO di Fichte veniva ingiustamente assorbito nell'IO, in Schelling accade il contrario: il non-IO ingloba tutto l'IO. In entrambi i casi si perde l'unità dialettica di soggetto/oggetto. Peraltro il non-IO di Fichte non coincideva immediatamente con la sola natura, ma con tutto ciò che non è IO. Invece Schelling pone una stretta coincidenza dei due termini, tralasciando così di considerare gli aspetti sociali, politici e storici. Resta tuttavia il merito di Schelling di aver sottolineato un'oggettività esterna all'uomo, cui l'uomo deve tener conto, adeguandovisi.

3) Il grande contributo che Schelling ha dato alla sviluppo dell'estetica e dell'idea artistica non può impedire di cogliere nell'affermazione di un'assoluta autonomia dell'arte -più volte da lui ribadita- il rischio di una estraneazione se non di un'opposizione di questa rispetto al contesto sociale in cui si sviluppa.

4) Da notare che in Schelling la libertà è vista come un elemento inconscio (nella natura, Fichte diceva nell'IO) che va recuperato a livello di semplice consapevolezza, liberandolo dai condizionamenti esterni. La libertà cioè è un già dato che va riscoperto, non è il frutto di una progressiva conquista degli uomini.

5) Del pensiero di Schelling si nutrì lo spiritualismo francese sino a Bergson; ad esso si ispirò anche la filosofia esistenzialistica di Heidegger, Jaspers e Marcel; delle tracce si intravvedono anche nel marxista revisionista E. Bloch; i teologi P. Tillich e W. Kasper hanno sottolineato la sua importanza teologica.

Schelling fece bene ad affermare l'esistenza di un mondo indipendente dal soggetto (la materia ha, in effetti, una priorità cronologica sullo spirito, e l'idealismo oggettivo di Schelling ed Hegel è, sotto questo aspetto, più realistico di quello fichtiano).

Tuttavia Schelling non seppe scorgere nella realtà materiale l'attività dialettica vera e propria. Per lui questa realtà coincideva strettamente con la natura non con la società. L'unica dialettica ch'egli seppe scorgere fu quella fisico-chimica dell'attrazione e repulsione degli opposti. [Come noto, Hegel farà coincidere la realtà con lo sviluppo dell'idea, per cui la dialettica verrà applicata allo spirito].

Paradossalmente, mentre sul piano teoretico Schelling è superiore a Fichte, perché comprende l'esistenza d'un'oggettività che sovrasta l'uomo, che lo precede, sul piano pratico invece gli è inferiore, perché più passivo, più intuitivo e contemplativo, più mistico.

In effetti, affermare che nell'attività teorica lo spirito si adegua alla materia o alla natura, ponendo il soggetto cosciente alle dipendenze della natura inconscia, significa porre le premesse dell'irrazionalismo teorico.

In realtà, il soggetto umano non può essere un prodotto naturale al pari di un ente di natura (animale, vegetale, minerale...), proprio perché dotato di libertà e autocoscienza.

Il soggetto non è determinato dagli istinti, anche se gli istinti fanno parte della sua natura. Il campo d'indagine più importante dello spirito teoretico deve restare l'uomo non la natura (su questo Hegel avrà sempre ragione contro Schelling).

Così pure, sostenere che nell'attività pratica lo spirito impone leggi alla natura per subordinarla a sé, significa dare un risvolto concreto all'irrazionalismo affermato in sede teorica. Schelling, in tal senso, è stato un fautore (indiretto) dello sviluppo capitalistico.

Tuttavia, avendo affermato, teoreticamente, la subordinazione del soggetto alla natura, egli poi non riuscirà, sul piano operativo, ad essere coerente col principio che "la storia è filosofia pratica". Cosicché sarà indotto ad affermare che l'unica vera attività pratica è quella artistica, quella intuitiva /nella tarda maturità dirà addirittura quella "religiosa"!).

Bibliografia

Schelling, Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo, Nuova deduzione del diritto naturale, ed. Sansoni 1958.
" , Introduzione alle Idee per una filosofia della natura in L'empirismo filosofico e altri scritti (a c.di G. Preti), La Nuova Italia 1967.
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" , Scritti sulla filosofia, la religione e la libertà, Mursia 1974.
" , Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana, Laterza 1974.
" , Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna, Esposizione dell'empirismo filosofico, Sansoni 1950.
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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 12-04-2016