I SOFISTI

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I SOFISTI

Quadro storico

Sino ad ora abbiamo affrontato autori che sono vissuti nelle colonie dell'Asia Minore o della Magna Grecia, fatta eccezione per Anassagora che introdusse la filosofia ad Atene, ma ora il teatro della riflessione è proprio la capitale della Grecia, per cui occorre tracciare brevemente la storia e le condizioni sociali della città a partire dal 600 a.C..

All'inizio del VI sec. a.C., quando le città ioniche erano in piena espansione economica e culturale, Atene si trovava ancora in una situazione di estrema arretratezza: non si poteva ancora parlare di polis e la terra era divisa fra famiglie aristocratiche indipendenti, accanto alle quali vivevano molti agricoltori proprietari dei campi che coltivavano direttamente.

Questa situazione portò ben presto ad una profonda crisi sociale: con lo sviluppo demografico infatti la terra diveniva insufficiente a sfamare le famiglie degli agricoltori, la mancanza di attività urbane impediva loro alternative valide e non era nemmeno possibile emigrare in quanto Atene non possedeva una marina abbastanza forte da poter fondare colonie all'estero. I piccoli agricoltori erano così costretti ad indebitarsi con le famiglie aristocratiche, le quali approfittarono della situazione per ridurre in miseria la popolazione e impadronirsi delle loro terre.

In questa situazione i contadini cominciarono ad avanzare rivendicazioni presso le famiglie aristocratiche, chiedendo l'abolizione dei debiti e la soppressione della schiavitù; l'aristocrazia, non essendo unita ed organizzata per far fronte alle richieste con la soppressione delle masse, decise di spostare il confronto sul piano politico (decisione che condizionerà lo sviluppo della storia di Atene).

Per risolvere questo conflitto furono affidati poteri eccezionali a Solone, il quale quindi assunse il ruolo di mediatore e legislatore. Solone era nato intorno al 640 a.C. ad Atene da nobile famiglia, ed era legato da stretti rapporti al sacerdozio delfico; venne nominato arconte nel 594 a.C.. Ci ha lasciato qualche frammento delle sue opere, nelle quali espone il suo pensiero politico in poesie elegiache.

La mediazione di Solone doveva ottenere il risultato di sottoporre il potere dell'aristocrazia ad un controllo che permetteva al demos maggiori garanzie a tutela dei propri diritti: in questo modo il potere delle ricche famiglie non poteva essere il frutto della tirannia ma del consenso sociale. Sul piano economico-sociale Solone cancellò i debiti e la schiavitù, ma non si spinse sino alla redistribuzione delle terre. Più importanti furono le riforme politiche, che cambiarono il tessuto sociale della città: innanzitutto fu eliminata la divisione dei cittadini in base all'appartenenza a famiglie aristocratiche, sostituendo una divisione basata sulla ricchezza; fu aumentato il peso del popolo negli organi di governo, attraverso forme di rappresentanza.

Da questo momento in avanti la via era tracciata, e grandi personalità aristocratiche come Pisistrato, Clistene e Pericle, amplieranno ulteriormente gli spazi per la partecipazione del popolo al governo della città. Atene ben presto svolse anche un'importante attività di soccorso verso le classi più povere, o attraverso forme di assistenzialismo, o grazie all'inserimento di numerose possibilità di impiego saltuarie ( impieghi pubblici, esercito, attività politica). Ma la ricchezza che permetteva di realizzare queste riforme era dovuta ancora una volta allo sfruttamento della schiavitù e ai proventi fiscali ricavati dalle numerose città che con la nuova potente flotta Atene riuscì a conquistare nel V secolo a.C.. Questa situazione favorevole si protrasse sino alla metà del IV sec. a.C. e vide la fioritura delle arti e del sapere in generale, grazie al contributo di grosse personalità che getteranno le basi di una cultura destinata a durare a lungo.

Quadro culturale

In questo contesto nacque l'esigenza di riappropriarsi del patrimonio mitico tipico della tradizione greca, attraverso però una reinterpretazione di esso in funzione dei nuovi problemi connessi alla città (il mito era nato in una società tribale di pastori e di re-sacerdoti). Questo fu il compito del teatro tragico,spettacolo al quale potevano partecipare gratuitamente tutti i cittadini e che divenne il centro religioso, politico e culturale della città. Accanto alla tragedia si diffuse anche la commedia, che trattava argomenti politici di maggiore immediatezza (quanto alla tragedia occorre ricordare che i maggiori autori furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, mentre per la commedia il principale autore fu Aristofane).

Oltre al teatro la cultura greca conobbe un grande sviluppo della storiografia politica, la quale esprime la storia laica della città contrapposta alla presa di cosienza sacra che si attuava nelle tragedie. A questo proposito occorre ricordare lo storico ionico Erodoto il quale con i suoi interessi etnologici, naturalistici ed economici, risponde alle esigenze di informazione di un popolo di mercanti e viaggiatori come erano gli abitanti delle colonie ioniche, e testimonia anche dell'influsso del pensiero dei filosofi ionici.

Diversa è invece l'impostazione che alla storia diedero gli storici ateniesi Tucidide e Senofonte, i quali operarono una rigorosa selezione del materiale utilizzato escludendo i riferimenti ai costumi religiosi e civili dei popoli, agli aspetti tecnico-economici, ai problemi geografico-scientifici, per concentrare tutta l'attenzione sui capi politici e militari della città di Atene.

Il pensiero dei sofisti

Nel corso del tempo numerose sono state le opinioni sui sofisti e per lo più molto critiche, come quelle di Platone e Aristotele. Oggi si è smesso di considerare questi pensatori come semplici imitatori del vero filosofo o come esponenti di quell'atteggiamento per cui si crede di sapere senza in realtà sapere realmente; né si dà al termine sofista il significato dispregiativo che sorse dalla condanna platonica e aristotelica (prima che essi potessero esprimere il loro parere, sofista era attributo della persona abile e competente in qualsiasi ramo del sapere). Non possiamo più considerarli nemmeno come dei semplici retori che mostrano la loro abilità nell'ingannare l'ingenuo ascoltatore, o come corruttori della gioventù, abili in una dialettica priva di ogni contenuto di verità. Inoltre più che di una corrente omogenea è giusto parlare di qualche carattere, peraltro esteriore, che li accomuna, come il girovagare per le città greche o, cosa scandalosa per quell'epoca, il farsi dare un compenso in denaro per l'attività svolta (in particolare questo fatto colpì negativamente Platone, che era convinto che l'insegnamento della virtù potesse avvenire solo all'interno di un rapporto di amicizia disinteressato).

Due tesi convivono, l'una accanto all'altra, sui sofisti: quella che li vuole assertori del soggettivismo, del relativismo e dell'individualismo (contro l'oggettivismo e il naturalismo della filosofia precedente), e quella che li considera i fondatori della pedagogia e dell'umanesimo antichi.

L'Atene del V sec. a.C. era una tappa obbligata per i vari sofisti: la città aveva infatti conseguito quella supremazia e quel prestigio culturale che manterrà a lungo (anche se la guerra del Peloponneso le toglierà il ruolo di guida politica e militare). Come abbiamo già detto, ai cittadini era garantita un'ampia partecipazione all'attività politica della città, grazie alle strutture democratiche che la favorevole situazione economica aveva reso possibile, ed è naturale che questa partecipazione attiva agli uffici pubblici (attraverso un sistema di rotazione i cittadini potevano governare direttamente la città) facesse nascere nel demos nuove esigenze di tipo culturale, cui la filosofia non poteva rimanere estranea; è comprensibile quindi che i sofisti, insegnando la virtù politica e l'arte di avere successo nei pubblici dibattiti, trovassero un grande successo presso le nuove generazioni e, al tempo stesso, l'avversione degli ambienti tradizionalisti.

Occorre poi tener conto del fatto che in Atene, grazie all'incremento degli scambi, confluivano esperienze di ogni parte del mondo greco, per cui dal confronto delle diverse tradizioni nasceva il gusto di discuterle e di criticarle; questo poi portava alla consapevolezza di un certo relativismo dei valori che metteva in crisi la tradizione.

E' in questo contesto che nasce il gusto per il discorso efficace e convincente, per cui si sviluppano la retorica e la dialettica, nascono le ricerche grammaticali, le analisi delle opere dei poeti e la critica letteraria, mentre si abbandonano le grandi ipotesi naturalistiche. Un grande sviluppo caratterizza anche la matematica (ormai affrancata dagli elementi sacrali) e la medicina, disciplina quest'ultima che considera un onore la sua derivazione dalle arti manuali. I sofisti infatti non disprezzano il lavoro manuale, come farà invece più tardi Platone che arriverà sino a teorizzare le cause di questa posizione: per loro lavoro manuale significa esperienza che fa crescere l'uomo, e significa anche conoscere meglio la natura; bisogna considerare poi che in quest'epoca si scrive per la prima volta in modo diffuso su tutte le discipline pratiche, a testimonianza del nuovo interesse per il quotidiano.

Caratteristico dei sofisti è il distacco dal pensiero eleatico (Parmenide, Zenone) e il loro avvicinamento alle "cose umane". Essi amano di più discutere sui poeti che sugli argomenti della filosofia precedente, tanto che tra le osservazioni principali che vengono fatte su di loro c'è quella secondo cui avrebbero spostato l'obiettivo della ricerca dalla natura all'uomo. La loro problematica è legata ad argomenti concreti e attuali della città in cui operano, e anche per questo devono aver sentito come lontane le dispute astratte dei filosofi eleatici. La cultura che essi divulgano non è più riservata a pochi eletti, ma a tutti coloro che ne vogliono fruire (salvo sempre un minimo di possibilità economiche per pagare le loro lezioni).

Nei sofisti è sempre presente quella fiducia nella ragione che aveva ispirato i pensatori naturalisti, solo che essa viene applicata allo strumento più importante della nuova situazione sociale, vale a dire il discorso. Proprio queste ricerche hanno portato i sofisti a scoprire che sullo stesso argomento erano possibili discorsi diversi, tutti logicamente corretti; questo però non significa solo approdare allo scetticismo, come vedremo meglio in seguito, ma anche contribuire allo sviluppo della logica e della dialettica, al punto che possiamo dire che senza queste ricerche anche la logica di Aristotele forse non sarebbe stata possibile.

PROTAGORA

Protagora nacque ad Abdera nel 481 e morì nel 411 a.C. mentre fuggiva per mare per cercare scampo dalla condanna di empietà in cui era incorso nella città di Atene. Fu concittadino di Democrito ma non scolaro (Protagora era più anziano di vent'anni di Democrito). Ad Atene, in cui soggiornò più volte, godette dell'amicizia di Pericle e di Euripide. Compose diverse opere, tra cui "Sugli dèi", La verità o discorsi demolitori", "Le antilogie" (che si doveva occupare di temi etico-politici e che spinse qualche contemporaneo di Platone a sostenere che proprio da quest'opera egli avrebbe copiato la sua "Repubblica"), "Sulle scienze esatte" (in cui critica la matematica perché pretende di dare conoscenze diverse da quelle sensibili).

Platone ha dedicato due dialoghi alla polemica contro Protagora: il "Protagora" e il "Teeteto". Nel "Protagora" egli criticò l'attività del sofista e il suo magistero, portando il dialogo fra Protagora e Socrate alla conclusione per cui il primo rinuncia a dire cosa sia la virtù dopo essere partito in qualità di maestro di essa; nel Teeteto vi è invece una critica più consapevole e meno polemica al relativismo sofistico. In ogni caso queste due opere testimoniano dell'importanza che il pensiero del sofista aveva assunto ad Atene.

Abbiamo detto che Protagora si considerava maestro di virtù, infatti egli insegnava tutto ciò di cui una persona aveva bisogno per condurre gli affari della casa e per diventare un abile politico. Protagora è esponente di una nuova mentalità, testimoniata nell'opera "Sugli dèi" (libro che fu bruciato in pubblico, costringendo il sofista alla fuga in cui poi trovò la morte), dove egli, più che criticare la divinità, sostiene l'indifferenza come unico atteggiamento possibile, in quanto "sugli dèi non è possibile sapere nulla di certo".

Un'altra importante testimonianza proviene da un frammento di "La verità o discorsi demolitori", in cui egli afferma che "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono e di quelle che non sono", esprimendo così in modo lapidario quel soggettivismo e quel relativismo che faranno a lungo discutere (per alcuni studiosi moderni "uomo" sta ad indicare tutta l'umanità, per cui non si potrebbe parlare di soggettivismo, ma per gli antichi indicava il singolo individuo, da cui tutte le critiche che gli furono mosse).

Altre informazioni ci provengono dalle parole che Platone fa pronunciare a Protagora nella sua difesa dalle accuse di Socrate, e dalle quali emerge chiaramente che con quel "di quelle che sono e di quelle che non sono" il sofista intende lasciarsi alle spalle la problematica sull'Essere, in quanto ora importa solo all'uomo di valutare le cose, perché è lui a doverne fare uso. Ciò che conta è, in particolare, l'arte del saper ben parlare ed esporre le proprie opinioni, in modo da convincere l'ascoltatore.

E' chiaro il rischio che corre il discorso una volta disancorato dalla verità, in quanto esso diviene strumento puramente formale di dialogo (la frase Protagorea "rendere forte l'argomento più debole" fu interpretata proprio in questo senso negativo, soprattutto dal tradizionalista e antidemocratico Aristofane).

GORGIA

Gorgia di Leontini, in Sicilia, fu discepolo di Empedocle; sappiamo che nel 427 a.C. era ad Atene per una missione diplomatica e si suppone che sia vissuto fra il 484/3 e il 376/5 a.C. (107 anni!). Di lui rimane qualche brano dell'opera "Sulla natura e del non-essere" e il titolo di qualche celebre orazione (Elegia degli dèi, Orazione funebre); sappiamo anche che viaggiò moltissimo e che divenne quindi molto ricco grazie ai proventi della sua attività di sofista.

Per Gorgia la retorica è arte produttrice di persuasione, dove il logos viene assimilato per il suo potere al destino. Il frammento più importante è quello che rimane dell'opera "Non-essere", dove Gorgia fa una triplice affermazione ("che l'essere non è, che se anche fosse non sarebbe conoscibile e che se fosse conoscibile non sarebbe esprimibile") che viene oramai interpretata nel senso di una critica al pensiero di Parmenide, di cui viene messa in luce l'equivocità a proposito del termine "essere", usato ora nel senso di "esistere", ora invece nel senso puramente copulativo. Va rilevato inoltre lo spostamento del problema dall'essere in quanto tale alla sua conoscibilità ed alla conseguente possibilità di esprimerlo.

Le altre ipotesi fatte nell'interpretare questo brano tendevano a considerarlo un manifesto del nichilismo (peraltro in contrasto con la fiducia di Gorgia nel logos-ragione), oppure come un semplice gioco retorico teso a mostrare l'abilità del sofista.

ALTRI SOFISTI

Prodico, Ippia, Antifonte, Trasimaco e Crizia furono di poco posteriori ai due sofisti precedenti ed ognuno di essi si applicò a questioni diverse: Prodico studiò i sinonimi, mettendo in luce l'autonomia del linguaggio rispetto alla realtà che indicava e si dedicò al problema etico ed educativo; Ippia fu celebre per il suo sapere enciclopedico, oltre alle numerose conoscenze pratiche che testimoniano di una positiva considerazione di esso; Antifonte contribuì alle ricerche matematiche.

Il problema più discusso da tutti fu però quello politico-religioso, in particolare il problema della validità delle leggi, la cui diversità da una città all'altra mostrava ormai chiaramente che non avevano origine divina. Come opera umana esse potevano essere migliorate e si fece strada così l'idea di trovare una superiore legge di natura a cui l'uomo dovesse riconoscere una validità superiore a quella delle singole leggi positive. Nasce così il contrasto fra natura (fysis) e convenzione (nomos).

Alcuni sofisti concepirono questa legge di natura come legge di solidarietà fra gli uomini di diverse razze e nazioni, contro la disuguaglianza provocata dalle leggi particolari. Altri sofisti la concepirono invece come trionfo del più forte sul più debole. Il compito di superare questa antinomia fra natura e convenzione, che era alla base di una reazione sempre più individualistica e irrazionalistica al pensiero del V sec. a.C., spetterà al pensiero scientifico: la storiografia mise in luce che la società era il prodotto di profondi processi storici e non solo di una convenzione fra gli uomini, mentre la medicina aiutò a capire che la fysis non è qualcosa di monolitico, bensì di polimorfico.

Rilievi critici

Grande fu, in conclusione, il contributo dei sofisti al progresso del pensiero: essi hanno umanizzato la cultura accentuando l'indagine filosofica sull'uomo e comprendendo che egli è il fattore più importante della cultura e della civiltà. Importante è anche la loro opera critica nei confronti del dogmatismo, così come ebbe molto rilievo anche la tesi secondo cui la virtù si può insegnare: questa infatti sino ad ora era stata riservata a chi cresceva in una famiglia nobile, cosicché il plebeo non aveva alcuna possibilità di accedervi; ora, con la rivoluzione operata dai sofisti, la virtù si può insegnare e tutti possono apprenderla (novità che ebbe notevoli conseguenze anche come impulso allo sviluppo dell'educazione).

Con le loro analisi sul linguaggio, inteso come strumento di persuasione sganciato dalla verità, i sofisti hanno affinato l'uso della lingua e hanno acquisito coscienza delle grandi possibilità che essa offre e che sino ad allora non erano ancora state sfruttate. Come si è visto i molti giudizi critici sulla loro attività sono più il frutto dei rancori dei tradizionalisti dell'epoca che dello studio attento delle loro idee, che lasciano invece aperti ampi spazi per sviluppi positivi (come avremo modo di vedere in Socrate).

Bisogna poi considerare l'esigenza del tempo in cui vissero, di formare uomini esperti di politica, per comprendere l'importanza che essi attribuirono al discorso. Grazie agli studi grammaticali di Protagora si è compreso l'equivoco di Parmenide, che riteneva che il pensiero fosse legato direttamente alla realtà.

Forse le critiche mosse loro per la retorica intesa come virtuosismo si addicono maggiormente alla fase in cui la sofistica entrò in crisi, quando cioè venne a mancare quel contesto sociale e politico che ne aveva favorito la nascita (il crollo di Atene e l'invasione macedone) e il conseguente venir meno di quella partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica della città.

Giuseppe Cantarelli - Contatto

I SOFISTI - RILIEVI CRITICI

[I] Perché la filosofia greca è cominciata trattando della natura e non subito dell'uomo? Perché gli uomini ritenevano che la soluzione dei loro problemi sociali (la società era già divisa in classi) non dipendesse da loro stessi, ma dalla natura. Di qui l'esigenza d'essere scientifici e tecnici, ma non politici. La politica era la scienza che doveva salvaguardare la società così com'era, nei suoi presupposti classisti.

Era ovviamente un'ingenuità quella di poter cambiare le cose senza cambiare sostanzialmente il modo di fare politica. D'altra parte solo di recente s'è scoperto che i problemi sociali si devono risolvere socialmente, e che scienza e tecnica possono contribuire a tale soluzione ma non determinarla.

I filosofi pre-sofisti, in tal senso, assomigliavano molto ai moderni positivisti, in quanto non riuscivano a comprendere l'importanza del rapporto sociale umano ai fini della trasformazione della società.

La differenza sta nel fatto che i pre-sofisti venivano da una esperienza di lotta contro la tradizione mitologica, secondo cui era il fato a decidere di ogni cosa. Gli dèi, il destino, il caso erano elementi assolutamente arbitrari, incontrollabili da parte dell'uomo. Più emancipati di così i sofisti non potevano essere.

La mitologia era uno strumento delle classi dominanti per tenere soggette le masse. La filosofia, nata in ambito borghese contro l'ideologia religiosa dominante, si pose il compito di dare una diversa risposta ai problemi sociali (anzitutto tecnica e scientifica), ma essendo anch'essa limitata dai suoi interessi di classe, finì col tradire i suoi obiettivi. Tanto che le classi dominanti, aristocratiche, riuscirono ad elaborare una filosofia (la metafisica) in grado di assolvere ai compiti della precedente mitologia.

La sofistica emerge dalla considerazione del fallimento del materialismo naturalistico, ma anche dal desiderio di superare la risposta aristocratica alla sfida di quel materialismo. La sofistica è quindi una risposta borghese (questa volta però negativa) all'affermazione della prima metafisica aristocratica.

La sofistica eredita questa consapevolezza, che né la scienza naturalistica né la filosofia aristocratica e conservatrice erano state in grado di risolvere le contraddizioni sociali. Di qui il relativismo dei valori, l'individualismo, l'interesse per il profitto personale, ecc. La sofistica rappresenta una specie di revanche degli strati sociali medi contro lo strapotere degli aristocratici.

Alla sofistica cercherà di opporsi Socrate, col suo idealismo umanistico, ma la sua posizione resterà isolata, almeno fino a Platone.

[II] I sofisti non sono solo una degenerazione della filosofia greca, in quanto passano al relativismo assoluto dei valori, ma sono anche una reazione polemica al dualismo di teoria e prassi della società aristocratica: sono cioè una risposta borghese alle ambiguità e alle domande insolute della filosofia aristocratica.

In questo essi non hanno cercato di ricollegarsi al materialismo naturalistico, ma hanno preferito restare dentro la filosofia metafisica, svuotandola però di ogni contenuto idealistico, a tutto vantaggio di una affermazione pratica di valori materialistico-volgari.

Essi hanno sì valorizzato l'importanza dell'essere umano (qui sta la loro novità), ovvero la sua priorità rispetto agli elementi naturali dell'universo, intorno ai quali la filosofia aristocratica aveva espresso opinioni molto varie e complesse, senza trovare veri riscontri nella realtà; tuttavia i sofisti non hanno veramente dimostrato la superiorità dell'uomo sulla natura.

Essi sono stati i primi a denunciare i limiti della filosofia metafisica, ma lo hanno fatto al negativo, anteponendole cioè i vantaggi della carriera politica e del guadagno economico. In ciò essi poterono avere la meglio soltanto perché il passaggio alla democrazia politica rese necessaria la professione dell'avvocatura da esercitarsi nei tribunali.

I sofisti cercarono nei tribunali quella giustizia che non si poteva più trovare nella vita civile, nei rapporti sociali, a causa dell'opposizione aristocratica. Ovviamente la borghesia, grazie ai sofisti, trovò nei tribunali non una giustizia generale, collettiva, ma solo la propria giustizia di classe.

Il torto principale dei sofisti sta dunque nell'aver fatto di una giusta critica alle contraddizioni antagonistiche dell'aristocrazia, il pretesto per affermare nuovi rapporti sociali in cui si sarebbero formate nuove contraddizioni antagonistiche. Essi si sono serviti della filosofia non per risolvere l'antagonismo aristocratico ma per dimostrare che l'antagonismo era inevitabile e che da esso la borghesia doveva difendersi con tutte le armi, incluse quelle della filosofia, la quale così si trasformerà in eclettica (indifferenza e a volte cinismo intellettuale).

Da notare che i sofisti hanno anticipato molte problematiche della filosofia del linguaggio e del neopositivismo.

BIBLIOGRAFIA

- Sofisti. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, 4 voll. Firenze, La Nuova Italia;
- M. Untersteiner, I sofisti, Milano Lampugnani Nigri, 1967;
- W. Jaeger, Paideia, Firenze, La Nuova Italia (vol. I)

Protagora

Se nella storia della filosofia c’è un filosofo noto soltanto per una sua frase, è il sofista Protagora, che ad Atene venne processato per ateismo e che morì naufrago, mentre scappava in direzione della Sicilia. “L’uomo è misura di tutte le cose”: è questa la frase famosa, che tutto il mondo conosce.

Generalmente la si interpreta in tre modi diversi:
1. se per uomo Protagora intende il singolo individuo, allora la verità diventa l’utile che si persegue per conto proprio;
2. se invece intende un collettivo, allora Protagora aveva in mente una verità relativa alla polis o comunque a una determinata popolazione;
3. se invece intende l’intera umanità, allora voleva dire che gli dèi non esistono e che tutto dipende dall’essere umano.

Si farebbe un torto a questo fondatore del relativismo gnoseologico (detto agnosticismo) decidere quale delle tre interpretazioni vada considerata assolutamente migliore.

Va detto che, a motivo del loro ateismo o agnosticismo, ma anche del loro senso della democrazia sociale, spesso ai sofisti veniva impedito di parlare in pubblico o di formare la gioventù: non era raro condannarli a morte o all’esilio.

Il loro ateismo però non era come quello dei filosofi della natura, da Talete a Democrito. I sofisti non s’interessano di scienze esatte e non vanno a ricercare l’archè: non vogliono essere né filosofi astratti o metafisici né specialisti di un particolare campo scientifico.

Protagora, Gorgia e Socrate (i maggiori sofisti) avevano capito che la verità non può essere data una volta per tutte, ma va cercata nelle situazioni concrete, di volta in volta.

Loro preferivano definirsi “filosofi della natura umana”, e finché ad Atene ha dominato la democrazia di Pericle, dopo la grande vittoria sui Persiani, i Sofisti sono stati abbastanza tollerati. Poi con la vittoria di Sparta su Atene, nella guerra del Peloponneso, e il ritorno in auge dell’aristocrazia, la loro sorte fu segnata e Socrate sarà la vittima più illustre.

Ma in che senso i sofisti si dichiaravano relativisti e utilitaristi?

Il relativismo l’avevano preso da Eraclito: nulla è uguale a se stesso, ma tutto dipende dal punto di vista dell’osservatore. Solo che Eraclito aveva fondato la dialettica, cioè il metodo con cui si cercava una mediazione tra elementi opposti, che tali dovevano restare.

Portando all’eccesso questo relativismo, i sofisti avevano invece elaborato un nuovo metodo dialettico, chiamato antilogia, che consiste nel costruire discorsi doppi intorno a uno stesso tema, con cui si può sostenere una cosa e il suo contrario. Il rischio era quello di cadere nell’opportunismo.

L’antilogia, sul piano linguistico, si esprimeva come retorica, che coi Sofisti ebbe grande sviluppo, per quanto la si faccia risalire a Empedocle.

La retorica era quell’arte di ottenere un consenso pubblico, nelle assemblee politiche o nelle cause giudiziarie, usando lo strumento della parola e mostrando che, nel sostenere un determinato punto di vista, si conosceva perfettamente il punto di vista dell’avversario. Dunque più che un sapere la retorica era un saper fare.

Il metodo antilogico e la retorica dovevano servire, secondo Protagora, non solo a negare l’archè di tutte le cose, in quanto tutto è relativo alle diverse circostanze e interessi in gioco, ma anche a negare qualunque criterio oggettivo di verità, proprio perché la conoscenza umana non può andare al di là di ciò che percepiscono i cinque sensi. Per cui non esiste la ragione come logos ma solo come ragionevolezza, quella che sa scegliere l’utile migliore, per sé e per gli altri.

Fu facile a Platone e ad Aristotele considerare i sofisti come filosofi spregevoli, unicamente interessati a cercare un vantaggio immediato, che consisteva in sostanza nella parcella che chiedevano ai loro clienti. In tal senso però Socrate costituiva una via di mezzo tra i Sofisti e Platone, in quanto non si faceva mai pagare.

In ogni caso proprio i sofisti avevano fatto della conoscenza un sapere a disposizione di tutti coloro che potevano pagarsela, senza distinzioni di sorta, facendola uscire dalle ristrette comunità dei filosofi della natura.

I sofisti avevano sviluppato tutte le discipline linguistiche, riguardanti l’esposizione orale e scritta ed erano riusciti a convincere la cittadinanza che per affrontare meglio i problemi della polis era necessario possedere una cultura generale.

Protagora addirittura viene oggi considerato uno dei primi teorici della democrazia diretta, cioè non delegata.

Anche per Gorgia nulla esiste di assoluto e, se anche un assoluto esistesse, non sarebbe conoscibile (in quanto sulla terra è tutto relativo), e se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile, perché non avremmo le parole per definirlo.

Gorgia respinge qualunque dimostrazione dell’esistenza di un Essere, nel senso che non si può dimostrare né che è eterno, né che è infinito, né che è generato.

D’altra parte nessuna forma del pensiero umano può pretendere di rispecchiare la realtà, in quanto è possibile immaginare cose assolutamente inesistenti, come un ippogrifo o un minotauro.

L’uomo conosce solo attraverso le sensazioni, senza sapere se esse corrispondono effettivamente a qualcosa di reale, esterno a noi, in quanto la realtà viene percepita solo individualmente, per di più con grandi differenze tra uomini e animali. Non c’è alcuna essenza o sostanza dietro ai fenomeni.

Insomma secondo Gorgia si può dimostrare tutto e il contrario di tutto. Solo l’utile può convincere, non la verità, e l’utile convince quando il linguaggio è in grado di far provare emozioni, che sono poi quelle che portano a un consenso.

Gorgia non è più agnostico come Protagora ma addirittura scettico. Non rischia soltanto l’opportunismo ma addirittura il cinismo.

SOFISTI MINORI

Tra i Sofisti minori, successivi a Protagora e Gorgia, vanno annoverati Ippia, Antifonte, Trasimaco, Crizia e Callicle. Prodico invece sta in una via di mezzo. Di loro non si sa quasi nulla, se non il fatto che la loro generazione emerse quando Atene perse la guerra del Peloponneso, favorendo la riscossa degli oligarchici filo-spartani. Oggi diremmo che i Saofisti minori furono di estrema destra e di estrema sinistra: Ippia infatti fu ucciso dagli aristocratici, Crizia invece dai democratici, quelli che fecero cadere il governo dei 30 tiranni.

Qualcosa però li accomunava: la considerazione negativa delle leggi e della religione. Sulle leggi sostenevano due opinioni opposte. Secondo Ippia e Antifonte le leggi sono state inventate dai potenti per dominare i deboli, tant'è che l'uguaglianza naturale, basata sui bisogni, è stata sostituita da quella artificiale, basata sui diritti, che però nasconde le disuguaglianze sociali, basate sui privilegi.

Antifonte arriverà anche a dire che, mentre la trasgressione di una legge di natura costituisce un danno per tutti, anche per chi la commette (si pensi - diremmo oggi - ai disastri ambientali o ecologici), invece la trasgressione delle leggi umane non danneggia chi la compie, se nessuno se ne accorge o se nessuno glielo impedisce.

Viceversa, secondo Callicle e Trasimaco la legge è stata inventata dai più deboli, per impedire ai più forti di governare, sicché da una inevitabile disuguaglianza naturale, basata sulla forza, l'astuzia o l'intelligenza, si è voluti passare a una uguaglianza fittizia, basata sul diritto. Nella polis - dicevano questi Sofisti aristocratici - solo i migliori e i più forti devono governare. Non è un male fare l'ingiustizia, perché questo è inevitabile quando in natura si è diversi. È un male subire l'ingiustizia senza reagire, come fanno appunto gli schiavi.

Entrambi gli schieramenti ritenevano comunque che le leggi fossero del tutto convenzionali e che quindi non avessero alcun carattere di sacralità.

Il giudizio che davano sulla convenzionalità delle leggi era analogo a quello che davano sulla religione. Anche i Sofisti minori, come quelli maggiori, si dichiaravano atei o agnostici in materia di religione.

Secondo Crizia la religione è stata inventata da chi è al potere per dominare la coscienza dei sudditi, servendosi della paura degli dèi e della superstizione.

Secondo Prodico invece gli dèi non sono altro che il prodotto della divinizzazione di cose utili per l'uomo, come il sole, l'acqua, il pane, il vino, ecc. Dioniso, p. es., è il dio del vino perché l'uomo ha inventato questa bevanda.

Molto interessante di Prodico è la sua scienza dei sinonimi, di cui si è servito per sottolineare le differenze, anche minime, di significato fra una serie importante di termini. Questo per dire che, se esiste il relativismo, esiste anche nel significato delle parole, che, al di fuori di un certo contesto linguistico, restano sempre molto ambigue.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015