WOJTYLA E IL FUTURO DEL CATTOLICESIMO LATINO
L'individualismo del cattolicesimo latino si pone essenzialmente a
livello politico, là dove si considera il pontefice superiore al concilio o
il vescovo superiore al consiglio pastorale diocesano. Il mondo cattolico latino ha continuato a vivere una forma di collettivismo cristiano nell'ambito sociale, in contraddizione con l'individualismo affermato in sede politica. |
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Questa forma d'individualismo, che tante sciagure ha procurato all'umanità (a partire dalla separazione col mondo ortodosso), è stata sanzionata dogmaticamente dal Concilio Vaticano I e attenuata, relativamente, dal Concilio Vaticano II. Sotto il pontificato di Wojtyla è stata invece chiaramente ribadita, provenendo egli da una nazione, la Polonia, il cui cattolicesimo si sente più forte (anche se oggi sempre meno) di quello italiano, in quanto, oltre ad aver sempre combattuto il comunismo, non s'è mai compromesso col capitalismo (almeno sino alla caduta del comunismo).
Il protestantesimo non ha fatto altro che estendere sul piano sociale l'individualismo cattolico affermato in sede politica. Esso ha risolto la contraddizione negativamente.
L'unico cattolicesimo democratico contemporaneo, anche sul piano politico, è (ma sarebbe meglio dire "è stato") quello della "Teologia della liberazione", a testimonianza che nel cattolicesimo vi sono sempre state delle istanze sociali genuine, col tempo venute progressivamente meno (a causa dei legami col feudalesimo prima e col capitalismo dopo) o confluite in aree a contenuto laico.
Tuttavia la Teologia della liberazione si scontra continuamente con la repressione e le scomuniche delle gerarchie cattoliche legate al Vaticano, per cui un cristiano sudamericano che voglia lottare, sino in fondo, contro le ingiustizie sociali, è praticamente costretto a uscire dalla chiesa.
Il prossimo pontefice, se la chiesa cattolica volesse ancora conservare un certo ascendente sulle masse, dovrebbe schierarsi decisamente dalla parte del Terzo Mondo, il cui cattolicesimo rappresenta l'80% di quello mondiale, ripristinando il primato del concilio sul papato e rinunciando alla politica concordataria con gli Stati borghesi. Se non fa questo, i popoli del Terzo Mondo, nella loro lotta emancipativa, faranno a meno probabilmente della stessa chiesa romana.
Wojtyla non ha potuto realizzare i suoi progetti neointegralisti per due ragioni: 1) non avrebbe mai potuto avere molti seguaci tra i cattolici occidentali (troppo compromessi col capitalismo); 2) a causa del suo viscerale anticomunismo non avrebbe mai potuto attirare attorno a sé le masse non cattoliche desiderose di giustizia sociale.
Inoltre l'esperienza polacca di cattolicesimo da cui egli proviene s'è rivelata, alla prova dei fatti, del tutto fallimentare. Solidarnosc ha lottato strenuamente contro il comunismo, ma quando è andata al potere non ha fatto altro che cercare compromessi col capitalismo, dimostrando così che non esiste alcuna "terza via".
D'altra parte il comunismo nei paesi est-europei è caduto per cause endogene, certo non perché l'ha voluto il cattolicesimo. Solo nella Polonia si era avuta questa impressione, essendo la nazione al 90% cattolica.
LA PERSONALITA' DI WOJTYLA
Di notevole in lui:
Tuttavia:
A partire da Wojtyla possiamo tranquillamente dire di non aver più bisogno, per comprendere il senso di questa chiesa, di rifarci ai documenti del Vaticano elaborati in precedenza. Basta leggere i suoi, straordinariamente organici e calzanti, in grado di aiutarci a cogliere perfettamente il dramma della crisi della confessione cattolica.
Già la scelta del nome, Giovanni Paolo II, ci fa capire come il compito che questo papa voglia realizzare sia onnicomprensivo, massimamente sintetico. Si può anzi dire che il suo pontificato costituisca una vera e propria rottura nei confronti dell'ambigua diplomazia vaticana a soprattutto nei confronti della mancanza di personalità di quel cattolicesimo compromesso con la società borghese. Egli vorrebbe porre una drastica soluzione all'impasse in cui da 500 anni almeno vive il cristianesimo latino. Wojtyla non esprime altro che l'esigenza inconscia e repressa di riconquistare, con metodi reazionari, la credibilità che nel passato la chiesa romana faceva dipendere direttamente dal suo potere temporale. E' una risposta sbagliata a una domanda sbagliata.
In questo senso c'è un aspetto importante da sottolineare. Wojtyla si sentiva più sicuro di sé all'inizio del suo pontificato, quando ancora cioè non aveva provato di persona il dramma del compromesso borghese-cristiano tipico delle società capitalistiche. Dall'iniziale equidistanza fra comunismo e capitalismo, professata almeno verbalmente (ma forse anche come una ingenuità in sé positiva), oggi Wojtyla è passato a un'esplicita scelta di campo a favore del capitalismo (vedi ad es. ciò che ha detto durante il suo viaggio in Cile). Sembra che sia naturale in lui la convinzione, specie dopo l'attentato di piazza S. Pietro organizzato dalla CIA, che la pretesa dì una "terza via" non abbia molto senso in occidente, o che comunque essa sia più efficacemente utilizzabile nei confronti del socialismo reale o del terzo mondo (ancora incerto, quest'ultimo, sulla strada da intraprendere).
Wojtyla cioè sembra essere giunto alla conclusione - contro le sue stesse migliori intenzioni - che la chiesa cattolica, se vuole sopravvivere, non può fare altro che allearsi con l'ovest in una comune battaglia anticomunista (cfr l'enciclica Dominum et vivificantem ove si mette sullo stesso piano la lotta per la pace con la lotta contro il materialismo marxista). Vinta questa battaglia essa forse avrà un motivo in più per sperare di riottenere dal capitalismo molti dei privilegi perduti - ciò che con il comunismo, qualora questi vincesse, non potrebbe assolutamente accadere.
LA SVOLTA DI WOJTYLA
Nella concezione politico-ecclesiale di Wojtyla non può più essere tollerato che il compito di realizzare una società integralmente cristiana (o dove il cristianesimo sia di nuovo l'asse portante) venga affidato a degli uomini politici (p.es. i democristiani di ieri, i popolari di oggi), che si limitano a "ispirarsi" ai valori del cristianesimo, che non posseggono più un'adeguata formazione teologica e che sono costretti a convivere, all'interno dei loro stessi partiti, con personalità e correnti affatto cristiane o cristiane solo di nome. Per non parlare della perdita di prestigio e di autorevolezza causata dagli scandali della prima repubblica.
Questo pontefice non sembra più essere intenzionato a delegare a strutture eccessivamente decentralizzate, di tipo laico, il compito politico di garantire l'evangelizzazione della società civile nelle sue sfere pubbliche; egli anzi vuole cercare di trasformare la norma dell'ispirazione cristiana in un principio di "metodologia assiologica integrale".
L'odierna chiesa cattolica sembra voglia dimostrare che la migliore conduzione della società umana è direttamente proporzionale al tipo di fedeltà che il potere laico le riconosce. Sentendosi tradita a causa dell'emarginazione progressiva cui l'ha costretta il secolarismo borghese, e facendosi vanto, al tempo stesso, del fallimento del progetto illuministico di liberazione umana, essa sembra voglia recuperare le posizioni perdute, rivendicando un'autorevolezza sulla scena mondiale che nel periodo glorioso della teocrazia medievale era riuscita a imporre solo sul piano europeo.
Come noto, dopo il crollo dell'impero cristiano-feudale, la chiesa romana pensò di riconquistarsi il consenso delle masse popolari occidentali, permettendo la relativa conciliazione di fede religiosa (per il privato e per la sfera pubblica non economica) e benessere economico (per tutta la sfera pubblica non religiosa). Di qui il cosiddetto cristianesimo-borghese, cioè il cristianesimo più borghese, nella pratica, che cristiano, ma più cristiano, nella teoria, che borghese (l'incoerenza di teoria e prassi era ovviamente minore dei paesi protestanti).
Accettando obtorto collo la ribellione del "figliol prodigo" (cfr Díves in mísericordia), ovvero del borghese e dell'intellettuale dell'epoca moderna, che pur restava entro i limiti di un certo senso etico-religioso della vita, la chiesa, ad un certo punto, cominciò a pensare a quali vantaggi materiali avrebbe potuto ottenere in cambio del proprio tacito consenso e soprattutto in cambio di un formale riconoscimento del proprio ruolo politico. Ecco, racchiusa in poche righe, tutta la storia della chiesa cattolica europea degli ultimi 500 anni.
Ma i fatti purtroppo hanno dimostrato che il "figlio ribelle", tentato dal benessere e da un'esistenza sempre più emancipata, aveva sempre meno intenzione di permettere alla chiesa romana un'ingerenza, seppure relativa, nella sua vita pubblica e privata.
La civiltà materialistica - ha detto Wojtyla -, nonostante le sue dichiarazioni di tipo umanistico, non accetta più il primato delle persone sulle cose. Le promesse quindi, quelle stipulate nelle leggi concordatarie (implicite o esplicite), non sono state mantenute: il secolarismo ha tradito la fiducia della chiesa. Di qui l'inevitabile critica: "un meccanismo difettoso sta alla base dell'economia contemporanea e della civiltà materialistica"; infatti "accanto agli uomini e alle società agiate e sazie, viventi nell'abbondanza, soggette al consumismo e al godimento, non mancano nella stessa famiglia umana né gli individui, né i gruppi sociali che soffrono la fame" (Dives in misericordia, cap. VI, par. 11). Qui Wojtyla non dà una spiegazione socio-economica della logica dell'imperialismo, ma fa soltanto capire, eticamente, che i paesi dell'opulenza, essendo egoisti, non provvedono ai bisogni dei paesi in via di sviluppo.
In ogni caso il nesso di "fede e benessere" era evidentemente forzato o destinato ad essere posto sotto accusa: una fede astratta, intimista e individualista non poteva essere conforme agli ideali evangelici, tanto più poi che si faceva complice del capitalismo su scala internazionale. Assai prima della svolta di Wojtyla l'incongruenza del cristianesimo borghese era stata sottoposta a una serie infinita di analisi critiche, tutte ispirate a valori o tradizioni di tipo "socialista", sia all'interno (p.es. la teologia della liberazione) che all'esterno della stessa chiesa (marxismo, leninismo, gramscismo...).
Ora con Wojtyla è la stessa chiesa che, ai suoi livelli istituzionali, vuol farsi carico di questa radicata e diffusa esigenza di migliore vivibilità della fede.
Al marxismo e al radical-Iaicismo borghese la chiesa di Wojtyla ha gettato la sfida sul terreno laico, sfoderando le armi di una saggezza teorica di tipi etico-sociale o umanistico (vedi p.es. la Laborem exercens), che nulla ha da invidiare alle moderne scienze umane; alla teologia sudamericana ha ammonito a più riprese di non lasciarsi influenzare dai modelli teorici-pratici estranei alla chiesa-madre e di non confondere "rivoluzione" con "redenzione".
Infatti, l'unica rivoluzione possibile è quella che si può fare secondo l'esperienza ecclesiale polacca, che col sindacato Solidarnosc è andata al governo senza aver affatto bisogno delle teorie marxiste.
Il messaggio di questo papa è abbastanza esplicito: la chiesa prenderà le difese dei popoli oppressi contro i popoli dell'opulenza che hanno dimostrato ingratitudine e contro i popoli e gli Stati irrispettosi dei diritti umani che impediscono alla stessa chiesa di espandersi sul piano internazionale. Farà questo se i potentati economici e politici non sapranno rimediare, mediante un "gigantesco rimorso", ai mali provocati (cfr Dives in misericordia, cap. VI par. 11). Per il momento la chiesa attende con pazienza che accadano questi "segni" spaventosi e quelle tragiche "prove" che indurranno gli oppressori a fare una solenne penitenza.
IL CATTOLICESIMO POLACCO COME SOLUZIONE ALLA CRISI DEL CATTOLICESIMO ROMANO?
Il cattolicesimo polacco è considerato dalla intellighenzia cattolica integrista (soprattutto da C.L.) come più "vero", più "autentico" di quello romano perché più legato alle tradizioni, meglio organizzato sul piano comunitario, più consequenziale nel nesso di fede e politica, più deciso nell'affrontare la questione sociale, meglio preparato nello svolgimento delle tematiche laiche e umanistiche.
Il cattolicesimo italiano ed euroccidentale in genere, più compromesso col sistema borghese, avrebbe invece pagato, in ordine alla credibilità religiosa, un prezzo notevolissimo. In effetti, dopo che in tutta l'Europa occidentale il cattolicesimo controriformista ha cominciato a comprendere l'impossibilità di conservare inalterato l'integralismo politico medioevale, è subentrata l'epoca dei concordati fra la chiesa e i diversi Stati borghesi.
Si è trattato quindi di una scelta imposta dalle circostanze. Il concilio che ha per così dire "canonizzato" il regime di compromesso, mostrando ch'era la soluzione migliore, è stato quello del Vaticano II. D'altro canto, il potere borghese aveva tutto l'interesse, per ottenere il consenso popolare, a farsi appoggiare da un'influente forza morale e sociale.
Viceversa, in Polonia la chiesa cattolica ha abbandonato la forma tradizionale di presenza pubblica solo allorquando il partito comunista ha preso il potere, imponendole da subito, come di regola, il relativo regime di separazione. Da ente massimamente privilegiato, come era accaduto fino alla Il guerra mondiale, la chiesa polacca, ignara dei compromessi borghesi, si è vista trasformare dai comunisti in un ente completamente separato dallo Stato.
Ora, in quale dei due regimi la chiesa cattolica ha ottenuto i maggiori vantaggi? in quello del compromesso o in quello della separazione? La risposta data a questa domanda spiega l'elezione al soglio pontificio di un vescovo polacco come Wojtyla.
Nel regime di compromesso la chiesa cattolica ha ottenuto senz'altro dei vantaggi materiali, ma in quello di separazione ha ottenuto dei vantaggi che in questo momento risultano molto più importanti: quelli spirituali.
Infatti, mentre la chiesa polacca, pur avendo secolarizzato il linguaggio, ha conservato, nell'area integralistica, un forte spirito rivendicativo, poiché nella separazione politica dallo Stato non ha potuto esercitare il compromesso; la chiesa italiana invece ha potuto salvaguardare se stessa solo rinunciando alla propria irriducibile diversità. In Italia la fede religiosa, legata al benessere economico, ha smesso d'essere "cattolica" ed è diventata per così dire "criptoluterana", cioè individualistica e priva di teologia-politica. In Polonia invece la chiesa, costretta a una separazione che le negava ogni privilegio, ha potuto sviluppare una forte politica alternativa al sistema, basandosi soprattutto su un uso strumentale della questione dei diritti umani.
Con la scelta di Wojtyla il Vaticano ha sperato di poter conciliare efficacemente la forte identità del cattolicesimo polacco con gli interessi borghesi del cattolicesimo italiano, ma se all'inizio del suo pontificato Wojtyla sembrava dare più peso alle necessità del primo cattolicesimo, col passare degli anni egli si è rassegnato alle esigenze del secondo. I fatti cioè hanno dimostrato che dall'80 ad oggi i colori e i profumi dell'integralismo cattolico polacco possono attirare solo i peggiori insetti della "reazione clericale", come ad es. Comunione e liberazione, ma non i cosiddetti "cristiano-borghesi" alla stregua dell'Azione Cattolica, né tanto meno i cristiani orientati verso il socialismo.
IL NEOINTEGRALISMO DEL CATTOLICESIMO POLACCO
All'inizio degli anni '80 il cattolicesimo polacco antisocialista ha cercato di attuare un grande tentativo volto a salvaguardare il proprio integralismo politico, messo seriamente in crisi dal regime comunista di separazione: ha affidato le sue carte al ben noto sindacato Solidarnosc. Forse si è trattato dell'ultimo grande tentativo. Siamo infatti convinti che dopo il fallimento di quella esperienza, abbondantemente appoggiata e finanziata, con interesse strumentale, dall'occidente borghese, al cattolicesimo polacco integralista si apriranno solo due strade: o abbandonare definitivamente l'istanza religiosa, oppure costruire un'identità religiosa compatibile con una società sempre più secolarizzata.
In che cosa è consistito quel tentativo? Nel cercare di assimilare ideologicamente i contenuti laici del socialismo marxista per usarli politicamente contro il socialismo stesso. La pretesa è stata quella di combattere l'etica comunista a partire non da una "idea di Dio" da realizzare politicamente, ma da un'idea migliore di uomo. Questo cattolicesimo voleva cioè servirsi dell'umanesimo marxista per affermare che il vero soggetto morale è quello che, oltre a desiderare una società più giusta e democratica, si sente anche disponibile ad una vocazione di tipo religioso.
Questa chiesa è gravemente in torto. Ovviamente il torto non sta nel considerare l'uomo come un essere religioso (sarebbe ridicolo che lo Stato pretendesse dalla chiesa una concezione ateistica del mondo), ma sta piuttosto nel voler fare di quest'uomo un modello per la società intera, sta cioè nel voler contrapporre l'uomo religioso, che costruisce democraticamente la società, all'uomo ateo, che fa esattamente la stessa cosa, o meglio: che "crede" di fare la stessa cosa, poiché di fatto -secondo tale chiesa - non vi riesce. Solo l'uomo religioso, infatti è, a suo giudizio, in grado di costruire una società realmente democratica. Così recita questa ideologia religiosa integralistica.
La chiesa cattolica romana ci tiene moltissimo a dimostrare all'opinione pubblica mondiale di non essere un'istituzione che fa "politica", di essere cioè un'istituzione esclusivamente "morale" e "pastorale", che disdegna la violenza e che, in questo senso, si pone come "terza forza" fra capitalismo e socialismo, avendo la pretesa di saper come risolvere la crisi che a suo giudizio travaglia entrambi i sistemi. Essa ha la pretesa di dimostrare democraticamente, servendosi anche delle leggi previste dalle Costituzioni dei vari governi al potere (e comunque sempre della propria autorità morale), che l'ideologia dominante va modificata, che lo Stato politico va migliorato, che la società civile va progressivamente trasformata.
E tutto ciò verso quale direzione? Ecco qui la chiesa di Wojtyla non si dimostra tanto ostile a quello che con un termine generico può essere definito il "socialismo dal volto umano", un socialismo democratico (parlamentare), legato a idee di giustizia sociale, quanto piuttosto a quel tipo di socialismo strettamente connesso alla espropriazione dei beni della chiesa, al regime di netta separazione fra Stato e chiesa e fra chiesa e scuola, al regime che non fa nulla per ostacolare la diffusione dell'ateismo scientifico.
Ecco, è in questa prospettiva che va letto un libro come quello del sacerdote cattolico e professore di filosofia Józef Tischner, le cui opere sono state divulgate in Italia da una delle più note case editrici neointegralistiche, la Centro Studi Europa Orientale di Bologna.
LA PSICOSI DEL CENTRISMO
Si ha la sensazione che Wojtyla sia passato, scrivendo la Redemptor bominis e la Dives in misericordia, rispettivamente da un'antropologia cristocentrica a una cristologia teocentrica. La linea retta sembra seguire questo itinerario: antropocentrismo (ed è la parte più significativa e originale, perché derivata dalle idee del socialismo) - cristocentrismo - teocentrismo.
Nella Redemptor bominis Cristo viene equiparato all'uomo, ovvero a un superuomo, poiché "uomo in quanto dio". Nella Dives in misericordia Cristo diventa Dio stricto sensu, senza mediazione, perdendo ogni qualità umana.
Nella prima enciclica si parla sì dell'uomo, ma come se ci si riferisse alla personalità umana di un'ipostasi chiaramente "unica e irripetibile": Cristo (l'umano in sé è quindi, in un certo senso, svalutato, per quanto nella parte antropologica dell'enciclica ci si sforzi di tenerne conto, conformemente alle esigenze laiche del mondo contemporaneo). Viceversa, nella Dives in misericordia, pur facendo un esplicito riferimento a Dio, Wojtyla, in realtà, non fa altro che esporre in modo teologico-ipostatizzato il significato della natura divina dello stesso Cristo.
L'uomo non conforme a Cristo, in altre parole, viene considerato, nell'ottica di Wojtyla, come un mero sottoprodotto, un individuo senza storia; e un Dio non conforme a Cristo è pura illusione, non esiste.
Tale categoricità è funzionale a un discorso politico qui implicito ma che si può facilmente estrinsecare. Nella chiesa cattolico-romana esiste un solo uomo in grado di assomigliare a Cristo (e quindi a Dio): il vicario di entrambi, cioè il papa. E' questo il senso dell'espressione giovannea adottata da Wojtyla come metodo teologico e ortopratíco: "Chi vede me vede il Padre"(14,9).
Per la cultura integralistica e totalitaria, l'antropocentrismo in sé è astratto e destinato al tradimento; l'unico possibile e realizzabile è quello finalizzato al cristocentrismo. Ma anche questo, sul piano religioso rischia la sconfitta se non si dimostra all'altezza del teocentrismo.
Tutto ciò sostanzialmente significa che il credente cattolico, che nella pretesa di infallibilità del pontefice si è ribellato a Cristo, sostituendolo nel suo ruolo di figlio di dio, alla fine del processo si crea necessariamente un dio-padre a sua immagine e somiglianza. Il superuomo, che in questo caso è ateo dì necessità (cioè il cattolico è ateo proprio in quanto cattolico), è diventato dio perché anti-Cristo. Non è proprio "come" Dio, in quanto ciò va al di là di ogni umana esperienza e ogni umana comprensione, ma è dio in quanto è "come" Cristo, essendone il vicario infallibile e insostituibile. Ed essendo "come" Cristo, esattamente identico a lui, poiché questa è la pretesa, di fatto ne diventa la perfetta e compiuta antitesi.
Dio per Wojtyla è l'ente astratto supremo, al pari dell'idea hegeliana, ovvero l'assoluta necessità in nome della quale si può esigere una fede assoluta da parte del credente. Non per nulla le categorie ch'egli usa per interpretare il "mistero di Dio" non sono più teologiche bensì filosofiche (husserliane, precisamente).
Esigere una fede assoluta può anche significare esigere un sacrificio assoluto, cioè il sacrificio assoluto della propria ragione, al fine di testimoniare, anche col martirio, che l'unica verità possibile è quella del superuomo.
Ora, se è difficile sacrificarsi per un uomo che si crede "Dio" (perché quest'uomo potrebbe anche essere pazzo), non è però difficile sacrificarsi per un uomo che, come Cristo, dice di fare la volontà di Dio.
Che cosa serve per convincere le masse religiose e laiche di tutto il mondo che questo superuomo è un dio in quanto è come Cristo? cioè è un uomo-dio non a partire dall'uomo ma proprio a partire dal superuomo?
Speciali poteri taumaturgici? La previsione indovinata di una catastrofe imminente? Una inconfutabile rivelazione da parte di qualcuno? O forse il tentativo di martirizzarlo?
Enrico Galavotti - www.homolaicus.com