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METAFISICA DEL SESSO

1.
Nella vita dell'essere umano c'è una legge fondamentale: quella
riproduttiva, che si esprime sulla base della simmetria imperfetta (asimmetria).
La simmetria perfetta (come nell'omosessualità) non solo è innaturale, perché
impedisce la procreazione, ma è anche illusoria, perché al proprio interno
riproduce inevitabilmente gli schemi del rapporto uomo/donna, che sono più
universali.
2.
E' la asimmetria (biologica) dell'uomo (il cromosoma Y) che permette la
riproduzione, ma la vera asimmetria dell'uomo (quella ontologica) è la "donna".
3. Per quale ragione l'essere umano non si riproduce come i "batteri" o come
i "vermi", per semplice scissione binaria, in cui ciascuna delle due parti
suddivise vive di vita propria? In realtà la separazione dell'uomo dalla donna
fa parte, in un certo senso, di tale scissione binaria. E' solo la riproduzione
di entrambi che comporta la ricomposizione degli elementi divisi.
4. La formazione dell'essere femminile esula, in un certo senso, dalla
riproduzione sessuale, poiché è intrinseca alla natura stessa dell'uomo. Il
concetto di "donna" è nel concetto di "uomo" come una potenzialità latente, che, ad un certo punto, quasi
per necessità, viene alla luce, diventando atto.
5. Ma perché avviene questa produzione del "femminile"?
Semplicemente perché questo è il
modo migliore di sopravvivere senza perdere la qualità "umana". E' anzi l'unico
modo di conservare l'imperfezione, che è fonte di vita, senza finire nel "non-umano". Chi ama il
genere femminile, ama il lato asimmetrico dell'essere umano e sa ritrovare se stesso,
la propria umanità in questa imperfezione, che è all'origine di tutta la vita
dell'universo.
PANEGIRICO DELLA SIMMETRIA
La simmetria è il senso dell'universo. Ma la simmetria dell'universo è
imperfetta, altrimenti vi sarebbero delle copie, mentre la copia, in realtà, in
nessuna parte dell'universo esiste, come non esiste il vuoto assoluto. La
ricerca d'una simmetria perfetta è indice di ingenuità, di idealismo platonico,
ma anche di nevrosi, di follia, come nel mito di Narciso o negli esperimenti
biologici del nazismo, quando si voleva creare una "razza pura".
La simmetria perfetta non ha riscontro nella realtà: essa fa parte delle
costruzioni deliranti, fantastiche, di un soggetto che non sa accettarsi e che
ha una concezione formalista, estetica, cioè astratta, della perfezione.
L'ingegneria genetica, se mai abbia un senso, dovrebbe muoversi entro questi limiti
etici.
L'esigenza di una simmetria è segno di naturalezza, di normalità - se
vogliamo, di perfezione, come nei cromosomi xx e xy. E' la riprova che il
singolo non si giustifica mai (in quanto individuo isolato). La perfezione
infatti sta nel senso d'incompletezza o di debolezza, che ad un certo punto
l'individuo avverte e che con sua grande soddisfazione riesce a superare
mediante la simmetria, che è appunto segno di una "alterità", di una
"discontinuità concorde", la cui presenza pone in essere la "reciproca
dipendenza". La debolezza non è "colpevole", essendo parte integrante della
perfezione umana.
La simmetria quindi è, a un tempo, indice di debolezza e suo relativo
superamento. Il singolo che pretende di autogiustificarsi come tale è un illuso,
quindi è ancora più debole. Il singolo che ammette invece la propria debolezza,
cioè l'esigenza della diversità, è umano. La simmetria infatti lo aiuterà a
superare la propria limitatezza.
Ma la simmetria non può mai essere perfetta,
perché proprio la sua imperfezione rende possibile una diversa identità. Cioè lo
sviluppo dell'identità è il prodotto di una simmetria imperfetta, nel senso che
l'imperfezione dell'identità rende possibile il formarsi di una diversa
identità. L'imperfezione è una ricchezza, è una garanzia di riproduzione.
Quando si dice "a immagine e somiglianza" si deve necessariamente escludere
la copia. Desiderare la copia, come simbolo di perfezione, per riprodurre una
determinata identità, significa impoverire l'originale, oltre che escludere la
realtà di una nuova identità. La caratteristica principale dell'identità è
appunto quella di essere unica, irripetibile, soggetta a simmetria, ma in modo
relativo. La simmetria assoluta è la morte dell'identità. Essa, al massimo, può
essere ricercata da due diverse identità, che aspirano a unirsi senza
confondersi, ma una copia perfetta non esisterà mai.
Il motivo per cui un'identità avverte il bisogno di riprodursi (anche non in
modo necessariamente biologico) non è cosa facilmente spiegabile; al massimo
potremmo chiederci se sia possibile un superamento assoluto della debolezza. Se
sì, quando lo sarà e fino a che punto? Se no, perché? Il superamento assoluto è
possibile solo a condizione che avvenga nella consapevolezza che la simmetria è
necessaria. Il superamento cioè è possibile se il singolo ammette la necessità
della simmetria. Questo ragionamento è tautologico, ma nella tautologia, quella
profonda, sta la vera sapienza.
METAFISICA DELLA FISIOLOGIA

L'essere umano, con i medesimi organi genitali, svolge due funzioni
completamente diverse: sessuale e metabolica. La seconda è univoca (nutrizione =
assimilazione + deiezione). La prima invece è ambivalente: edonistica e
riproduttiva. Di queste ultime due, quella riproduttiva è limitata nel tempo,
avendo, nella vita di una persona, un inizio e una fine. Nell'uomo questo
periodo è più lungo che nella donna, il che contrasta, statisticamente, col
fatto che la donna vive più di un uomo. In pratica le uniche due funzioni a non
avere alcun limite di tempo sono quella metabolica e quella edonistica.
Detto così, sembra tutto chiaro ed evidente. Ma è sufficiente porsi delle
semplici domande, ed ecco che la matassa s'ingarbuglia in maniera inestricabile.
Perché, ad es., delle funzioni piacevoli, come quelle edonistiche, sono
strettamente correlate a quelle ripugnanti, come appunto le metaboliche, o a
quelle onerose, come quelle riproduttive? Per quale motivo la natura s'è
preoccupata di fare una cosa che ha tanto il sapore di un accorgimento
psicopedagogico preventivo, quello cioè di ridurre il rischio che un uso
eccessivo della libido possa rompere un equilibrio ancestrale, che appare
persino di tipo etico? E, anche dando per scontato che di precauzione educativa
si tratti, che importanza può avere essa per il mondo animale, dominato dagli
istinti? Che senso recondito può avere il fatto di stemperare delle esigenze
edonistiche (estetiche) con lo strumento della dissuasione oggettiva (etica)?
Come può la natura avere delle astuzie così sofisticate, tipiche dell'essere
umano?
Se non esistesse la specie umana, si potrebbe pensare che la suddetta
correlazione non abbia tanto una funzione etica, quanto piuttosto una funzione
tecnica. Infatti, rendendo polivalenti gli organi genitali, la natura ha
indubbiamente compiuto un efficace risparmio di risorse, dimostrando già da
questo una notevole intelligenza.
Tuttavia se le funzioni degli organi genitali fossero state separate (come
si tende a fare oggi con la fecondazione artificiale), probabilmente la
riproduzione sarebbe stata avvertita come una necessità, poiché sarebbe apparso
anomalo il non uso di un organo strutturale alla fisiologia dell'essere umano.
Invece, il fatto che vi sia un certo margine di libertà di scelta nell'uso delle
funzioni genitali è indicativo dell'esigenza di far convivere pacificamente
etica ed estetica, due condizioni esistenziali destinate a integrarsi, in quanto
l'una svolge la funzione di alleggerire il peso dell'altra, il cui rigore
oggettivo potrebbe risultare poco sopportabile (è noto che l'eccessiva
perfezione può diventare meno umana dell'istintiva debolezza).
Ma se è così, vien quasi da pensare che in natura le funzioni etiche e
tecniche siano in un certo senso equivalenti. La moralità, in natura, non
sarebbe altro che un equilibrio dinamico di elementi tecnici opposti,
relativamente autonomi, cioè in grado di agire, di muoversi da soli all'intero
di determinati parametri (range). Quindi l'immoralità non sarebbe altro
che uno squilibrio a danno di uno dei due elementi. E quando un elemento
pretende d'essere indipendente dall'altro, lo squilibrio si manifesta con la
violenza (distruzione dell'alterità, che, ad un certo punto, comporta anche
l'autodistruzione della propria identità).
Ma se l'etica si basa su un presupposto tecnico di equilibrio, potremmo
anche dire il contrario, e cioè che l'equilibrio tecnico si basa su una qualche
fondamentale eticità, di cui ignoriamo, al momento, alcune caratteristiche di
fondo. Infatti, quel che più ci risulta incomprensibile è come sia possibile che
la tecnica si basi su presupposti etici, quando il significato profondo
dell'etica può essere colto (compreso, intuito) soltanto dalla specie umana.
Nel mondo animale l'etica ha basi molto primitive, connesse alla tutela
della prole e, al massimo, all'aiuto reciproco tra membri appartenenti alla
stessa specie o comunque tra loro non in competizione. Di regola tra gli animali
vige la legge del più forte o della gerarchia e della selezione naturale tramite
adattamento...
Viceversa, nell'essere umano l'etica non è basata su principi evidenti. Cioè
il fatto che nella nostra specie esistano dei principi etici non sta di per sé a
significare ch'essi vengano applicati; anzi, il fatto di doversi dare dei
principi può anche significare che la pratica, ad un certo punto, ha perduto la
propria eticità, rischiando di causare squilibri insopportabili per la
convivenza. E in ogni caso quando l'etica ha la pretesa di apparire con evidenza
(come p.es. nella legge, nella polizia, nell'esercito), la sua importanza, per
l'essere umano, non è molto diversa da quella del primato della forza fisica che
si verifica nel mondo animale.
Dagli esseri umani la profondità dell'etica viene colta solo sul piano della
coscienza, i cui limiti di agibilità sono alquanto indefiniti. Il livello di
eticità presente nell'essere umano ha delle connotazioni che nessun animale è in
grado neppure lontanamente d'immaginare. E il fatto che tra tutte le specie
animali esse si siano sviluppate solo in quella che ha portato alla nascita del
genere umano, è sul piano logico poco comprensibile, in quanto una cosa così
importante meritava senza dubbio d'essere vissuta dalla maggior parte delle
specie animali.
Anche quando un cane si sacrifica per salvare il suo padrone, lo fa sempre
per istinto: questo perché gli manca la coscienza, che è quella facoltà che
permette di scegliere tra il bene e il male, quella che permette di compiere il
bene o il male anche contro ogni evidenza opposta, quella che permette di
compiere il male pur sapendo che cos'è il bene. Nell'essere umano coscienza e
volontà possono essere tenute unite o separate liberamente, benché la
separazione appaia, ad un certo punto, come qualcosa di "innaturale".
Dunque la natura, dotando l'essere umano di organi genitali dalla duplice
funzione: metabolica (autoriproduttiva) e sessuale (quest'ultima a sua volta
suddivisa in edonistica e riproduttiva), non ha operato solo sui versanti del
risparmio di risorse (tecnica) e dell'astuzia psicopedagogica (etica), ma anche
su quello, che potremmo definire ontologico, del rispetto della libertà di
coscienza.
Notiamo ad esempio che la riproduzione sessuale, nell'essere umano, anche a
prescindere dalla contraccezione meccanica, è sì qualcosa di volontario, ma sino
a un certo punto. L'istinto riproduttivo è oggettivo, ed è più sentito in un
certo periodo della vita (quello fertile) e, per quanto oggi sia molto difficile
stabilirlo, è probabile che anche per la specie umana sia più forte in alcuni
periodi dell'anno (primavera-estate).
Quindi esiste una pulsione oggettiva e una volontà soggettiva, esiste un
istinto ancestrale che ci paragona agli animali e una sua gestione che ce ne
differenzia, sia quando essa è positiva (finalizzata alla riproduzione), sia
quando è negativa (il sesso fine a se stesso). E' difficile dire che la specie
umana avverta forte il bisogno di riprodursi in senso fisiologico, certamente
avverte forte il bisogno di avere relazioni sessuali. Quanto alla riproduzione,
essa può avvenire anche in forme culturali o spirituali.
La differenza tra la nostra specie e quella animale è che in quest'ultima il
desiderio sessuale è quasi sempre finalizzato alla riproduzione. Quindi questo
significa che all'origine della formazione della natura vi è un istinto forte
alla riproduzione, che però nell'essere umano viene vissuto all'interno di una
facoltà di scelta. Anche le femmine degli animali scelgono i maschi meglio
dotati, ma non possono certo scegliere di non volersi riprodurre.
L'essere umano ha la facoltà di controllare i propri istinti e di poter
decidere se e quando accondiscendervi. Il senso comune dice che chi cede senza
ritegno ai propri istinti si comporta peggio di un animale, in quanto negli
animali gli istinti, di regola, non li portano ad essere contronatura. Se essi
mostrano d'avere comportamenti innaturali, spesso non dipende da loro, ma da
circostanze avverse (p.es. la mancanza di cibo o di sufficiente territorio), a
monte delle quali non è raro trovare l'azione devastatrice dell'uomo.
Ma tutto ciò porta a credere, senza poterlo ovviamente dimostrare, che
all'origine dei processi naturali vi sia in realtà un'intelligenza umana,
manifestatasi progressivamente, partendo dal semplice (concreto) per arrivare al
complesso (astratto), partendo sì dal fisiologico ma solo per svelare in maniera
evolutiva la preminenza dell'ontologico. La coscienza è il vertice della
scienza, è scienza consapevole di sé, cioè consapevole di quel processo
psicopedagogico che l'ha portata ad essere quel che è.
Sotto questo aspetto la diatriba creazionismo/evoluzionismo perde la sua
ragion d'essere. Da un lato infatti è assurdo pensare all'esistenza di un dio
onnipotente, essendo questa un'idea della fantasia umana, priva di riscontri
oggettivi. Dall'altro però uno sviluppo progressivo di determinazioni
quantitative non è in grado di spiegare il sorgere della libertà di coscienza,
che è caratteristica esclusivamente umana.
Non avendo elementi sufficienti per rispondere adeguatamente a tali
problemi, sarebbe bene limitarsi a sospendere il giudizio o comunque a formulare
nel miglior modo possibile le questioni di fondo.
IL SENSO DELL'ATTRAZIONE RECIPROCA

Perché un uomo si sente attratto da una donna? Certo non per motivi
riproduttivi, essendo questi derivati, non originari, e neppure per far valere
la propria caratteristica di "maschio dominante", frutto di un condizionamento
di valori sub-culturali.
Al tempo delle monarchie assolute ci si sposava per assicurare una
discendenza regale: l'attrazione reciproca era del tutto casuale, anzi poteva
anche non esserci mai. L'eticità del rapporto era assicurata dalla politica e,
per questa ragione, non necessariamente l'etica includeva l'amore.
In ogni caso per l'uomo la riproduzione sessuale è sicuramente meno
onerosa che per la donna, per cui questa, sapendolo, potrebbe anche non
considerare sufficiente il motivo riproduttivo per decidere se accettare o no la
relazione. Anche la donna potrebbe considerare conveniente per sé l'idea di
accettare la riproduzione in cambio di un vantaggio materiale: quello della
sicurezza personale e dei propri figli.
D'altra parte se un uomo sapesse che l'attrazione dipende unicamente dal
desiderio di dimostrare la propria virilità, potrebbe anche rinunciare a
qualunque relazione eterosessuale, temendo di apparire umanamente poco civile o
poco democratico o poco "femminista". Preoccupazione, questa, tipica del mondo
contemporaneo.
Se l'uomo fosse convinto che la donna, vedendo il suo tentativo di
approccio, lo interpreta come una forma di sopruso, di prevaricazione, potrebbe
anche entrare in depressione. Poiché se è vero che la cultura maschilista
finisce giustamente per infondere nelle donne un atteggiamento di sospetto
preventivo nei confronti di qualunque uomo intenzionato a stabilire una
relazione, è anche vero che un tale atteggiamento alla lunga rischia di
deprimere l'ego maschile, che può anche preferire un rapporto omosessuale.
Dunque, nella dinamica dell'attrazione reciproca deve esserci qualcosa di
più profondo e ancestrale, qualcosa che va al di là della fisicità delle
persone, nonché della loro cultura. Questo aspetto ontologico è alla base della
struttura stessa dell'esserci, ed è l'esigenza di confrontarsi con la
diversità.
L'uomo si sente attratto dalla donna perché in lei vede o percepisce
inconsciamente qualcosa che gli manca. Se questo è vero, lo è anche il fatto che
l'attrazione è reciproca, per cui, in definitiva, è di tipo genetico, e
probabilmente non riguarda solo l'essere umano ma tutte le specie viventi, tutta
la natura, organica e inorganica, dell'universo.
Se dunque all'origine di ogni cosa vi è l'assolutezza dell'uno, bisogna
specificare che il destino di questa unità è quello di sdoppiarsi. Gli elementi
di questa unità hanno la consapevolezza di doversi scindere e, nel contempo, di
non poter vivere separatamente. Unità e Diversità coincidono, si attraggono e si
respingono, per mostrare insieme un aspetto e il suo contrario dell'essenza
della vita.
A va a cercare B e B va a cercare A perché l'identità originaria è AB.
Qualunque filosofia di vita che voglia anzitutto porre un primato di uno dei due
elementi, considerando l'altro un prodotto derivato, è una forma di abuso
intellettuale, di forzatura soggettivistica.
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