ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


Nascita dell’espressione laica

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Dario Lodi

La mentalità protestante non tollerava le rappresentazioni artistiche tradizionali. Questo fatto, per quanto non sempre rispettato, favorì una certa molteplicità espressiva, specialmente in pittura, tuttora la comunicazione culturale più facile a essere recepita. La liberazione di energie fisiche da secoli di sudditanza psicologica rivolta a re e papa, andò a creare, tuttavia, realtà sociali che poco avevano a che fare con la cultura vera e propria, fermandosi a imprese materiali, sovente notevoli grazie alle imprese transoceaniche, che richiedevano celebrazione di coloro che ottenevano successo. La celebrazione doveva essere uguale e quella riservata un tempo alla divinità. Il fenomeno spiega il moltiplicarsi di artisti, in spietata concorrenza fra loro, e la nascita di pittori dotati, genericamente, d’indubbia bravura. Non sono mancati, nel mezzo di quest’ aurea mediocrità, artisti eccelsi. L’eccezione si spiega proprio con la liberazione da legami storici e con la valorizzazione della singola personalità. La civiltà europea si stava trasformando e la trasformazione superava, sostanzialmente, le differenze religiose. Diminuiva sempre più il potere delle due istituzioni classiche, impero e papato. Il laicismo olandese dei tempi di Rembrandt e Vermeer aveva fatto scuola. Il Barocco era divenuto internazionale: il suo linguaggio aperto, per gli effetti pratici causati dagli eventi – le cosiddette guerre di religione – poté essere variamente interpretato e sviluppato. Il Neoclassicismo era alle porte, ma ancora non si avvertiva la sua prossima venuta. L’arte del ‘700 è soprattutto continuazione delle precedenti espressioni, con particolare riguardo a quelle classiche, depurate – nei casi migliori – dagli eccessi manieristici.

Il ritratto di Antoine Coypel (1661-1722) fatto al collega Alexis Grimou pare l’emblema della borghesia del tempo. Coypel aveva imparato dal padre e affinò la sua arte a Roma, ispirandosi alla scuola barocca della città. Tornato in Francia, divenne primo pittore del re. Fu un notevole decoratore, come tale realizzò dipinti nel soffitto della cappella di Versailles e figure tratte dall’Eneide nel palazzo reale. Commentò, infine, le proprie opere con uno scritto. Non c’è nulla di particolarmente rilevante nella sua pittura, tranne la diligenza e la precisione esecutiva. Un ottimo mestierante nella scia della gloriosa famiglia dei Parrocel. Questo ritratto è forse la sua cosa più viva e apprezzabile. E’ sicuramente una testimonianza importante dei personaggi emergenti di quel periodo, l’espressione di Grimou ne è un sicuro emblema. Il quadro, del 1705-1708, olio sui tela cm. 45x32, è custodito dal Museo di Rouen.
Alexis Grimou (1678-1733) era chiamato il “Rembrandt di Francia”, non perché particolarmente bravo, quanto per certa sua abilità a riprodurre opere del grande maestro olandese. Grimou era un talentuoso che preferiva una vita da bohemien, continuamente inseguito dai creditori. Tentò di entrare nell’Accademia reale di pittura e scultura, ma dovette accontentarsi dell’Accademia di San Luca di Parigi. Fu pittore di genere, paesaggi e soprattutto ritratti: un buon caravaggista, talentuoso e svogliato. Il quadro rappresenta una giovane donna in costume teatrale, è del 1730-1733, olio su tela, cm. 74x59, Ermitage, S. Pietroburgo.
Di ben altra levatura è la personalità di Antoine Watteau (1664-1721) sebbene sempre dipendente da committenti alla ricerca di effetti superficiali. Watteau, di Valenciennes, fu a Parigi dove trovò modo d’ispirarsi ai pittori olandesi, alle opere di Tiziano, Rubens, Callot e da Claude Gillot, buon pittore, preso il quale apprese temi di carattere decisamente profano, relativi soprattutto ai personaggi della Commedia Italiana (Ia gloriosa Commedia dell’Arte), molto popolare in Francia. Grazie ad un secondo pittore, Charles de La Fosse, entrò a far parte dell’Accademia Nazionale di pittura, con sede a Parigi. Decorò i castelli di Meudon e di Muette, introducendo per la prima volta soggetti esotici, cineserie. Fu ritrattista, ma anche buon paesaggista. Frequentando i maggiori mercanti del tempo, Watteau conobbe dettagliatamente l’arte fiamminga. Fui richiesto anche a Londra, dove realizzò quattro pannelli per Buckingam Palace. Si ammalò presto di tisi, morendo a soli trentasette anni.

Watteau dipinse molto e trasse guadagni sostanziosi dalla sua pittura, probabilmente grazie alla spettacolarità delle sue opere di paesaggio, nelle quali, tuttavia, c’è poca traccia di stile barocco e di stile rococò. Il nostro artista non è portato alla decorazione né all’enfasi, preferendo concentrarsi sui moti del proprio animo di fronte ai soggetti. Qui si propongono: “La famiglia di Mezzettino”, anno 1717, olio su tela cm. 26x20, Wallace Collection, Londra e “Pellegrinaggio a Citera”, anno 1717, olio su tela, cm. 129x194, Louvre, Parigi (ne esiste una seconda versione, dell’anno dopo, custodita nel castello di Charlottenburg, a Berlino). Sono caratterizzati, specie il primo, da un’atmosfera malinconica, come se stessero arrivando tempi molto tristi. Mezzettino era una maschera teatrale creata da Angelo Costantini e divenuta famosa in poco tempo, come efficace scacciapensieri. La malinconia è soffusa nell’aria, impregna i vestiti degli attori e rivela la tristezza dietro i volti sorridenti. Era finita una civiltà millenaria e il futuro, con il suo materialismo volgare, non dava altrettanti garanzie civili. Watteau ci trasmette questa sensazione con estrema franchezza e con dolore trattenuto da un certo pudore intellettuale. Il “Pellegrinaggio a Citera” sembra un sogno recuperato con puntiglio e amore per la natura e i personaggi (a Citera, secondo la mitologia, era nata Afrodite, dea della bellezza). Un viaggio verso l’eden (o dall’eden, non si sa con sicurezza quale sia la versione esatta: in entrambi i casi è la malinconia per un possibile malessere esistenziale a dominare la scena).

Pur dovendo seguire le richieste del tempo, che esigevano pitture di genere, in altre parole riproduzioni precise degli oggetti e delle persone, Jean-Baptiste-Simeon Chardin (1699-1779) riuscì a coltivare la propria personalità e a comunicarla attraverso opere realistiche e poetiche allo stesso tempo. Che fosse un pittore dotato, se ne rese conto bene Noël Coypel, avendolo avuto per qualche tempo nel suo studio. Chardin fu chiamato a collaborare alle decorazioni del castello di Fontainebleau, sotto la direzione del Primaticcio. Questo gli valse l’accettazione all’Accademia, di cui nel tempo divenne cancelliere e tesoriere, infine organizzatore dei Salon (il Salon era una creazione reale basata sull’esposizione – annuale e poi biennale - di pittura e scultura di artisti dell’Accademia Reale a Parigi.

Prima edizione nel 1667, ultima nel 1863, dopo la quale nacquero varie versioni espositive). L’ammirazione di re Luigi XV valse al nostro pittore l’assegnazione di un appartamento nel Louvre, dove restò sino alla morte. Ma la sua fortuna si deve al matrimonio con Françoise-Marguerite Pouget che lo introdusse nell’ambiente alto-borghese, osservando il quale egli si diede alla produzione di opere originali, rappresentanti i giovani di quel mondo intenti a passatempi ludici, neanche immaginabili nella bassa e media società.

Chardin fu attratto da questi esercizi oziosi, volgendoli tuttavia a favore di considerazioni vitali ed esistenziali di notevole profondità. E’ il caso soprattutto del “Bambino con la trottola”, anno 1737-38, olio su tela cm. 67x75, Louvre, Parigi. Mai un soggetto laico aveva ricevuto una tale attenzione e una tale intensità sentimentale, pur nel rispetto della realtà oggettiva (il bambino ha una precisa consistenza materiale, ma è pure condizionato da una certa spiritualità che si risolve negli effetti del gioco curioso che sta svolgendo, oppure che si svolge sotto i suoi occhi). Più votato al prodigio tecnico, a un virtuosismo però non fine a se stesso, è il quadro, olio su tela, “Le bolle di sapone”, anno 1734, cm. 93x74,5, National Gallery, Washington. Strepitosa la seconda figura che osserva con fatica, e con stupore, ciò che sta accadendo.

Chardin sposò le “Nature morte” (ma è migliore il termine “Still life” ovvero cose ancora vive) senza alcuna remora. Il tema non era considerato degno di nota, ai tempi. Si propone questo strabiliante “Paiolo di rame stagnato, macinapepe, porro, tre uova e tegame”, anno 1734-1735, olio su tavola, cm. 17x21, Louvre, Parigi. Gli oggetti sembrano animati, grazie al gioco di luci e ombre che, nel caso, pare prevalere sulla stessa abilità dell’artista, come se gli oggetti avessero chiesto di essere dipinti, di essere evidenziata la loro esteticità, in quanto strumenti legati all’uomo e alla natura (quest’ultima madre del tutto). Il nostro straordinario artista visse gli ultimi anni con problemi alla vista (per via dei pigmenti a base di piombo) e quindi si dedicò al pastello, dimostrando enorme bravura anche qui, come si evince da uno dei ritratti della moglie, anno 1775, pastello su carta cm. 47x38,5, Louvre, Parigi. Pochi artisti sono stati in possesso della sensibilità pittorica di Chardin, grandissimo talento naturale messo a disposizione della poesia e della razionalità allo stesso tempo. Le sue opere sono più vive della vita stessa.

Due i veri rappresentanti del “Rococò”, una sorta di deriva del Barocco: Boucher e Fragonard. François Boucher (1703-1770) si distingue per un gusto e una grazia che vanno ben oltre il puro ricamo, impreziosito superficialmente da infiniti svolazzi, per approdare a una specie di festa dell’immagine e dell’immaginario. Il Rococò è genericamente lezioso perché va a servire i capricci estetici della nobiltà francese (altrove è una ripetizione, spesso esangue, del modello). La corte ha bisogno di celebrazioni, di sostegno estetico: la Francia è la grande potenza del momento in Europa. La Spagna è decaduta, la Germania è frantumata in mille staterelli, la Prussia è ancora di là da venire. Luigi XIV ha insegnato la via, peraltro perigliosa, del conseguimento di un potere francese pari a quello dell’imperatore Carlo V. Nonostante le sconfitte e il ridimensionamento, la Francia rimane un faro per l’Europa, l’Inghilterra volge altrove le sue mire espansive. La corte francese è presa dall’idea dell’impresa che sembra a portata di mano. Intanto, festeggia il presunto potere continentale con lustrini e bagliori nella massima, irrefrenabile, eccitante spensieratezza.

Boucher aveva imparato da François Lemoyne, primo pittore di Francia, e da Joseph Aved (“Le camelot”, il venditore ambulante), vinse il Prix de Rome nel 1723 e, dopo aver conosciuto in Italia i dipinti del Correggio, del Veronese, del Guercino e del Tiepolo, traendone ispirazione nella rappresentazione dei volumi, delle atmosfere, divenne membro dell’Accademia e quindi primo pittore reale grazie anche all’aiuto della Pompadour (di cui fece un trascurabile ritratto). Boucher fu anche ottimo incisore, fornendo, tra l’altro, opere per libri di commedie di Molière ed eccelso disegnatore, molto ricercato nel campo degli arazzi. Di lui si propongono “Ragazza distesa” (forse Louise O’Murphy, amante per tre anni di Luigi XV), un tema ripetuto più volte, anno 1752, olio su tela, cm. 58,5x73, Alte Pinhakotek, Monaco e “Diana al bagno”, anno 1742, olio su tela cm. 57x73, Louvre, Parigi. Il secondo quadro testimonia il ricorso alla mitologia, soggetto quanto mai adatto a quell’ambiente nobiliare, felicemente irresponsabile in senso sociale. Boucher, comunque, vi aggiunge elementi da favola con brio e sensibilità ben oltre il dato carnevalesco. Nella ragazza distesa, il pittore fa sentire l’odore di cipria e fa apprezzare certa frivolezza attraverso un linguaggio carnale appena accennato.

Più festoso (e meno incisivo) è il suo ideale continuatore, Jean-Honorè Fragonard (1732-1806). Fragonard si formò da Boucher e s’ispirò alle opere viste in Italia, soprattutto a quelle dei Carracci e di Tiepolo. Il suo maestro gli aveva detto di evitare Michelangelo e Raffaello, ritenendoli probabilmente inadatti alla pittura immediata del suo allievo. Determinante fu anche un lungo viaggio nelle Fiandre al seguito di un conte. Visitò anche diverse città europee. Alla fine, Boucher scelse di essere un pittore alla moda, specializzato in frivolezze eleganti e ricercate per certa loro freschezza e leggerezza.

Notevole l’atmosfera giocosa che attraversale sue opere, facendole consistenti come un sogno ideale. Fantastico il distacco dalla realtà e il sostare infinito in ambienti sovrumani, resi con felice disincanto e con desiderio d’incantesimo. Si veda “I fortunati casi dell’altalena” anno 1767, olio su tela, cm. 81x64, Wallace Collection, Londra. E’ un quadro particolarmente luminoso, animato, allegro e lievemente ironico, condiscendente. Fa eccezione, nelle sue opere, questa intitolata “La lettura”, anno 1776, olio su tela, cm. 82x65, National Gallery, Washington. Il personaggio è seriamente concentrato sul libro, il pittore coglie l’acme della concentrazione, trasmettendo una piacevolezza intellettuale che era sicuramente nelle sue corde: una virtù piuttosto vanificata dalle esigenze mercantili. Essendo un conservatore, Fragonard fu rovinato dalla rivoluzione francese. Jacques-Louis David, astro nascente della pittura europea, provò ad aiutarlo, ma non riuscì a salvarlo dalla miseria, lui che era stato ricchissimo.

Pittore fuori dalle righe, nato nel sud della Francia, grande estimatore della pittura italiana (e in Italia visse a lungo, lavorando soprattutto a Roma, dove morì) fu Pierre Subleyras (1699-1749), alquanto richiesto ai tempi per il suo notevolissimo talento. Il suo “Nudo di schiena” (forse la moglie Maria Felice Tibaldi, abile miniaturista, autrice anche di copie da quadri del marito) è un inno all’erotismo misterioso e affascinante che sovrintende lo sbocciare della vita. Non è qualcosa di volgare, ma di sublime che giunge all’attenzione dell’artista attraverso la vitalità, metafisica, della modella. Il dipinto è datato 1740 circa, olio su tela cm. 74x136, ed è custodito dalla Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma. Subleyras fu un artista tecnicamente molto dotato. La sua pittura, descrittiva, è caratterizzata da una certa gaiezza derisoria, sana e accattivante, che la fa vibrare: è in fondo un realismo senza sbocchi intellettuali o romantici. Neppure ci sono mire estetiche. C’è una notevole curiosità per il tutto e specie per le cose strettamente umane che si risolve sovente, per fretta, nel bozzetto. Si salva sicuramente questo strepitoso nudo di schiena, padre-padrone di tutti i nudi femminili.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019