SOCIETA' DI CONSUMO
E SOCIETA' DI MERCATO


E - LA CRITICA (1-2)

OSSERVAZIONI DI GALARICO

  1. Cosa significa "individualismo"?
  • Il sistema capitalistico può essere definito "individualistico" nel senso, molto generale ma prioritario su tutto, che qui domina la proprietà privata, il cui istituto sociale, legittimato sul piano culturale, sanzionato a livello giuridico, tutelato a livello politico, difeso a livello militare, fa "sistema di vita".
  • Non può essere definito "individualistico" solo nel senso che la libertà individuale fruisce di maggiori opportunità di sviluppo. Se vogliamo restare alle definizioni "astratte", questa è sicuramente una definizione troppo "astratta".
  • Infatti il sistema della "proprietà privata capitalistica" è talmente consolidato, massificato e quindi soggetto a ferree regole di privilegio ed esclusività, che il concetto di "libertà individuale" non ha alcuna possibilità di svilupparsi liberamente al di fuori di questa proprietà, se non in forme che umiliano la dignità umana (cooptazione, clientelismo, ricerca di compromessi e favori d'ogni sorta).
  • E' finito da un pezzo il tempo in cui sotto il nascente capitalismo era possibile che la "libertà individuale" si esprimesse adeguatamente. Forse questo tempo non è mai esistito, in quanto sin dall'inizio lo sviluppo di questa idea ha avuto bisogno di varie forme di violenza per imporsi.
  • Con la nascita del capitalismo monopolistico, privato e/o statale, è definitivamente tramontato il periodo in cui era possibile affermare la propria individualità seguendo le regole, "pacifiche" solo in senso eufemistico, del liberismo classico.
  • Una qualunque affermazione individuale in regime monopolistico deve necessariamente sottostare a una qualche forma di corruzione, al punto che il rapporto "mafioso" si è per così dire generalizzato, è diventato una sorta di "metafora della vita sociale", uscendo dai confini geografici del nostro Mezzogiorno e diventando in sostanza l'unico stile di vita possibile per chi, nell'ambito del monopolio della proprietà privata, vuole a tutti i costi affermare la propria libertà personale, soprattutto in campo economico-finanziario. In particolare è più sul versante "finanziario" che non su quello "produttivo" che la libertà individuale può giocarsi le carte di un'affermazione arbitraria, moralmente illecita, pur formalmente legittima.
  • In tal senso se è vero che nel capitalismo, a differenza del feudalesimo e di quel sistema che per molti versi gli somiglia: il modo di produzione asiatico (Mpa), non esiste un rapporto personale, tra imprenditore e operaio, tra dirigente e subordinato, è però anche vero che continua ad esistere un rapporto gerarchico, piramidale, pur nella forma apparente della libertà contrattuale, tra soggetti che nei confronti della proprietà o del potere in generale si trovano ai lati opposti.
  • Non solo, ma continua ad esistere un rapporto anche personale, seppure in forma nascosta, implicita, nel campo soprattutto economico-finanziario, tra poteri "forti", che istituzionalmente già lo sono, e poteri che vogliono diventarlo, avendone i mezzi.
  • Ufficialmente sotto il capitalismo vige la democrazia, il rapporto paritetico-oggettivo, giuridico-contrattuale (e non personale) tra i contraenti che s'affacciano sul mercato.
  • Ufficiosamente, nella realtà di fatto, invece va imponendosi una sorta di rapporto "personale" tra chi detiene il potere e chi vuole ottenerlo. Questo rapporto è basato sull'affiliazione, politica ed economica insieme (in campo finanziario può esprimersi p.es. nell'acquisto di azioni, in fusioni bancarie, in forme di cartelli e trust interaziendali, in una gestione manageriale in cui la segretezza sui bilanci è decisiva, ecc.: tutto ciò con una complicità diretta dei poteri politici, istituzionali). E' molto di più di un semplice rapporto "contrattuale", è anzi un rapporto di "fiducia reciproca", in cui si è consapevoli che le proprie sorti sono strettamente legate a quelle del partner. E' come se il mondo imprenditoriale si fosse reso conto che individualmente nessuno è più in grado di affrontare i problemi che il sistema ha generato. Di qui l'esigenza di stringere rapporti di stretta collaborazione tra imprese e tra queste e il mondo politico (all'estero anche con quello militare).
  • Questa cosa in Italia è poco visibile perché qui il capitalismo è nato su basi cattoliche, cioè su basi di "rendita", non di "profitto", nel senso che ancora si concepisce l'investimento produttivo come una forma per percepire dei benefici a vita, per un puro e semplice tornaconto personale. E' un capitalismo arretrato, poco abituato a concepirsi in maniera "oggettiva", e quindi facilmente soggetto, proprio per questa ragione, a continue forme di corruzione personale, in cui il rispetto delle regole per far funzionare il sistema è considerato un aspetto di secondaria importanza.
  • Il capitalismo italiano non si rende neppure conto che, per riprodursi, occorrono periodici ricambi generazionali: il fatto è che quando si concepisce il business come mera occasione di riscatto personale, in forza della quale la gestione aziendale si trasforma in un qualcosa di autoritario o al massimo di "paternalistico", il ricambio diventa molto difficile. Gli imprenditori italiani non si rendono conto che per realizzare un rapporto "personale" tra partner aziendali, bisogna farlo all'interno di regole che formalmente sono basate sul "contratto", cioè sulla parità dei contraenti.
  1. Proprietà personale e proprietà privata
  • Una distinzione molto importante, sul piano socioeconomico, va fatta tra "proprietà privata" e "proprietà personale". La proprietà privata, di per sé, presuppone sempre una società antagonistica, poiché si riferisce sempre a dei mezzi produttivi di vitale importanza, preposti alla riproduzione sociale. Essa infatti si contrappone alla proprietà pubblica, cioè collettiva, di tutta la comunità, e in tal senso si pone sempre in maniera abusiva, anche perché al suo interno generalmente il proprietario vive sfruttando il lavoro di chi non è proprietario.
  • La proprietà privata ha sempre dei confini precisi, è recintata da qualcosa, fossero anche dei semplici fossi. Là dove esiste proprietà privata esiste anche un apparato di polizia per tenerla sotto controllo, per difenderla dai nullatenenti o da chi vuole allargare i possedimenti che ha già.
  • Ad un certo punto s'impone anche la presenza dello Stato, e la proprietà "pubblica", prima appartenente all'intera collettività, ora viene ad assumere la funzione di proprietà "statale", cioè appartenente a un'entità astratta, che solo formalmente fa gli interessi dell'intera collettività, in quanto di fatto le sue funzioni organizzative e di controllo politico e militare sono gestite da quelle stesse classi sociali che dispongono di maggiori proprietà private.
  • Viceversa la proprietà personale non presuppone affatto quella privata e può essere benissimo compatibile con quella pubblica. Essa si pone come una semplice forma di "sicurezza personale", il cui livello di sicurezza non supera mai quello che può offrire la proprietà pubblica, da cui sempre dipende chi dispone di proprietà personale.
  • Una proprietà personale potrebbe essere la casa in cui si abita, il mezzo di trasporto che si usa, lo strumento del proprio lavoro..., ma non possono essere quelle cose che permettono di sfruttare il lavoro altrui, cioè di altri che non dispongono delle nostre stesse cose.
  • In teoria la proprietà personale non avrebbe bisogno di essere tutelata giuridicamente, cioè non dovrebbe essere trasmissibile ereditariamente per legge: al massimo potrebbe esserlo per consuetudine. Quando il suo proprietario muore, la proprietà personale dovrebbe essere generalmente divisa tra i parenti più prossimi, senza alcuna necessità di testamento.
  • La borghesia invece ha sempre chiaramente ribadito che principio di diritto naturale è la proprietà privata, quella appunto che permette di poter fare a meno della proprietà pubblica, salvo sfruttare anche quest'ultima in nome del potere politico acquisito.
  • La giurisprudenza romana diceva la stessa cosa. Anzi chi disponeva di proprietà privata era titolato, di fatto, a sottrarre alla comunità determinati pezzi di proprietà pubblica (pascoli, boschi ecc.).
  • Sicché là dove s'impone il carattere "privato" della proprietà, quella "personale" viene fatta automaticamente coincidere con quella "privata", facendole così perdere il suo vero significato.
  • Questo per dire che non esiste storicamente una tendenza "spontanea" alla proprietà privata, anche perché, se così fosse, ciò non avrebbe dovuto comportare la fine della proprietà pubblica, in quanto è più "spontaneo" che gli uomini, animali sociali per definizione, usino, per sopravvivere, dei mezzi comuni.
  • Viceversa, la tendenza alla proprietà privata, che pur storicamente si può constatare in quasi tutte le parti del mondo, è stata un processo molto lento e doloroso, che ha completamente sconvolto le basi della proprietà collettiva. Forse si può addirittura sostenere che la proprietà è stata tanto più privatizzata quante più possibilità esistevano di sfruttare il lavoro altrui, di schiavizzare i lavoratori o di usare strumenti avanzati per ridurli in servitù.
  1. Geografia ed economia
  • Quando si parla di "cause geografiche" che possono aver favorito un sistema produttivo in luogo di un altro, è quanto meno opinabile sostenere che in Europa s'è formato il "modo di produzione occidentale", poiché qui i territori erano più "frastagliati" e di "dimensioni abbastanza ristrette", mentre in Asia gli spazi, essendo più "ampi e continui", favorirono "lo sviluppo di una concezione federativa e comunitaria dell'organizzazione socio-produttiva".
  • Non mi sembra che il sud-est asiatico sia meno frastagliato dell'Europa occidentale. La stessa nascita dello schiavismo non è avvenuta in Europa, ma nell'Africa egizia, che è un continente compattissimo. Tutto il pianeta ha conosciuto il comunismo primitivo e lo schiavismo, a prescindere dalla specificità dei territori. L'influenza della geografia sull'economia ricorda molto alcune teorie dei climi di Montesquieu, che però non hanno mai trovato grande seguito.
  • Quando gli spagnoli approdarono nel Nuovo Mondo, dovettero constatare la coesistenza di due stili di vita molto diversi: comunismo primitivo e schiavismo (quest'ultimo nelle tre note civiltà).
  • Nella stessa Africa lo schiavismo era un patrimonio della sola civiltà egizia, almeno fino a quando non è stato esportato in tutto il continente da portoghesi, spagnoli, olandesi, belgi, inglesi, americani ecc., in forme peraltro assai peggiori di quelle egizie, proprio perché le esigenze che lo favorivano erano quelle del capitale.
  • Insomma il passaggio dal comunismo primitivo allo schiavismo ha seguito, in tantissime parti del pianeta, modalità dipendenti da specifiche circostanze storiche, che non possono essere generalizzate, né messe propriamente a confronto, né fatte dipendere da situazioni di tipo ambientale.
  • Noi a tutt'oggi non sappiamo il motivo per cui ad un certo punto il collettivo si frantuma, dando origine a forme di esistenza antagonistiche. Sappiamo soltanto che la rottura avviene in maniera traumatica, in quanto non viene condivisa da tutto il collettivo, e che la parte che si stacca da quest'ultimo finisce col vivere in zone impervie, difficili da gestire, dove facilmente si sviluppano rapporti autoritari.
  1. Qual è la differenza tra "statico" e "dinamico" sul piano sociale?
  • Ci sono due coppie di categorie che se messe insieme possono produrre conclusioni teoriche quanto meno approssimative, ovvero sostenere che il modo di produzione asiatico (Mpa) è "statico", inamovibile, mentre il modo di produzione occidentale (Mpo) è "dinamico", flessibile, in quanto gli individui possono modificare la struttura sociale, è frase troppo astratta per non richiedere alcune fondamentali precisazioni, anche per evitare che, messe in questi termini, le categorie possano facilmente portare a credere che il Mpo sia migliore del Mpa, o il capitalismo migliore del feudalesimo, come in genere il dinamismo è migliore della stasi.
  • In via preliminare e in modo del tutto generico noi potremmo dire:
    1. ogni società contiene in sé aspetti di staticità (p.es. sotto il capitalismo, il monopolio rispetto alla concorrenza). E' vero che il Mpa si poneva nell'antichità in maniera "statica", ma non bisogna qualificare questo aggettivo di una connotazione negativa;
    2. la staticità va messa in relazione non alla dinamicità dei rapporti sociali, ma alle esigenze riproduttive della natura, che non possono essere violate in nome del dinamismo. In tutti i sistemi di vita anteriori a quello schiavistico, staticità voleva dire produrre in maniera conforme alle esigenze riproduttive della natura, quindi voleva dire conservare uno stile di vita a misura d'uomo;
    3. "dinamicità dei rapporti sociali" di per sé non significa nulla, essendo soltanto un'astratta categoria sociologica. P. es. sotto il capitalismo può voler dire molte cose negative: disponibilità al precariato, a non avere legami familiari o territoriali, a rinunciare a determinati valori, tradizioni, i quali rallenterebbero appunto il dinamismo sociale ecc. In generale la "dinamicità" dei sistemi antagonistici non ha fatto che produrre forme di devastazione ambientale e sempre più gravi sconvolgimenti sul piano sociale.
  • Storicamente, sotto il capitalismo, la dinamicità è stata pagata soprattutto dall'esproprio del lavoratore dai propri mezzi di produzione: il che l'ha obbligato a spostarsi da un luogo di residenza a un altro, da un tipo di lavoro a un altro.
  • Il fatto che nel feudalesimo europeo la società fosse statica in maniera diversa da quella asiatica, nel senso che mentre in quest'ultima dominava la monarchia assoluta, in quella invece dominava la concezione di un sovrano come primus tra nobili di pari rango, che cosa può aver comportato? Forse che proprio in virtù di questo tipo di feudalesimo, più "individualistico", era più facile che qui nascesse il capitalismo? E per quale ragione noi dovremmo associare la monarchia assoluta asiatica al collettivismo e il feudalesimo "democratico" all'individualismo? La concezione di primus inter pares la usò per tantissimo tempo la chiesa ortodossa contro quella cattolica per farle capire che il pontefice non poteva considerarsi un "monarca assoluto", cioè un individualista autoritario, ma un semplice "vescovo" tra altri "vescovi".
  • In ogni caso se accettiamo l'idea che il capitalismo poteva nascere più facilmente nell'ambito di un feudalesimo in cui il concetto di primus inter pares venisse sfruttato in senso "anarchico" e non "democratico", allora dovremmo concludere che la monarchia assoluta del Mpa non era poi così "assoluta", così individualistica come la nostra occidentale, anzi essa tutelava un ideale di vita sociale assai superiore a quello cattolico-romano del feudalesimo europeo.
  • Sicché il fatto che nel Mpa esistesse politicamente una centralizzazione dei poteri, di per sé non può stare ad indicare che a livello di società civile i rapporti fossero meno umanistici. La democrazia non si misura prendendo come punto di riferimento la sola dimensione politica.
  • Infatti, noi potremmo tranquillamente ipotizzare che là dove le classi sociali hanno maggiormente lottato per avere una democrazia in sede politica, lì, a livello di società civile, i rapporti tra le classi fruivano di minore libertà sociale. Cioè l'assenza di una lotta politica contro la monarchia assoluta non è di per sé un indice sicuro di scarsa democrazia sul piano sociale o di scarsa consapevolezza politica da parte delle masse. Bisogna sempre fare un'analisi sugli effettivi rapporti che si vivono sul piano sociale ed economico.
  • L'idea politica di "democrazia" è squisitamente occidentale, europea, ed è un'idea nata mentre in Grecia dominava a livello sociale lo schiavismo. Per secoli in Europa è stata un'idea che ha riguardato solo i ceti più benestanti; solo da pochissimo tempo coinvolge anche le donne.
  • La democrazia occidentale è sempre stata una questione meramente "politica", cioè formale, con scarso riscontro sul piano sociale ed economico, tant'è che i diritti sociali ed economici sono stati elaborati per la prima volta dal socialismo.
  • Una società autenticamente "socialista" sul piano economico, sarebbe di conseguenza autenticamente "democratica" sul piano politico. Il contrario invece non può mai essere detto. Sotto questo aspetto, p.es., sarebbe assurdo qualificare come antidemocratica quella società che sul piano politico non prevedesse la presenza in parlamento di una miriade di partiti. Spesso proprio la presenza del multipartitismo (segno inequivoco di classi e ceti in perenne conflitto tra loro) impedisce alla politica di funzionare in maniera efficiente. Non è un mistero per nessuno che le odierne democrazie occidentali stiano funzionando non tanto grazie alla democrazia politica, ma nonostante questa, cioè sostanzialmente grazie alle posizioni egemoniche detenute a livello internazionale sul piano economico e militare.
  • Cioè non è neppure il caso di dire che il capitalismo, al cospetto di tutte le altre formazioni sociali, si presenta come quello più "razionale", solo perché qui esistono discipline matematiche come il calcolo computistico, la ragioneria, la statistica, ecc. Accanto a queste forme di "razionalità" ne esistono molte altre del tutto irrazionali, come p.es. la ricerca del puro profitto indipendentemente dalla soddisfazione dei bisogni primari, la competizione sfrenata tra le imprese private, la tendenza alla sovrapproduzione, sempre inevitabile quando si vuole ridurre al minimo il costo del lavoro, l'incapacità cronica di poter pianificare la produzione in presenza di una concorrenza interaziendale, la caduta tendenziale del saggio di profitto in seguito alle innovazioni tecnologiche, il ricorso al militarismo per risolvere le crisi economiche, la sistematica distruzione delle risorse e degli ambienti naturali, la privatizzazione dei profitti in rapporto alla gestione sociale della produzione industriale, l'impoverimento progressivo dei terreni sottoposti a monocolture, e così via.
  • Peraltro se nell'ambito della società civile si formano delle tendenze di tipo autoritario, di certo non è con la sola democrazia parlamentare che si riesce a scongiurare una dittatura politica (non vi riuscirono p.es. né il parlamento tedesco né quello italiano nei confronti del nazi-fascismo). La democrazia politica, nei paesi capitalistici avanzati, non è che un luogo dell'affarismo economico in sede parlamentare. Infatti, anche se esistono dei parlamentari di "sinistra" che possono opporsi a questo "affarismo", la loro condizione di "parlamentari" risulta enormemente privilegiata rispetto alle condizioni di un qualunque lavoratore medio.
  • Le stesse equiparazioni che la politologia pone tra oligarchia/governo di ricchi, democrazia/governo del popolo, monarchia/governo di uno solo, aristocrazia/governo dei nobili, ecc., sono formule che, nella realtà dei fatti, non vogliono dire nulla. E' possibilissimo infatti che pur in presenza di una democrazia politica viga sul piano socioeconomico una vera e propria oligarchia, a testimonianza che la mera democrazia parlamentare è del tutto irrilevante rispetto ai rapporti di classe, ai conflitti tra i ceti.
  • Se vogliamo, il capitalismo è stato molto più dinamico in Europa occidentale nel momento in cui ha voluto operare la fuoriuscita dal feudalesimo o nel momento in cui ha dovuto accettare il Welfare State, che non nella fase attuale monopolistica.
  • Oggi è "dinamico" nei paesi del Terzo mondo, i quali (soprattutto Cina, India, Brasile...) stanno decisamente abbandonando le economie precapitalistiche. Domani probabilmente lo sarà anche in Africa.
  • Viceversa, il capitalismo dei tre poli principali (Usa, Europa occidentale e Giappone) oggi tende a porsi come una struttura che vorrebbe campare di rendita ad libitum, anche a costo di fomentare continue guerre locali e regionali.
  1. Il rapporto tra tecnologia e cultura
  • La capacità di evolvere, di trasformarsi, di adeguarsi alle mutazioni dei tempi è senza dubbio una caratteristica della civiltà capitalistica, che è costretta a questo non solo per l'impianto individualistico del proprio stile di vita, ma anche per il supporto altamente tecnologizzato che lo contraddistingue.
  • Cioè se paragoniamo il sistema schiavistico con quello capitalistico, noteremo subito che il primo non subì particolari rivolgimenti strutturali nei mezzi e nei metodi di produzione economica. Il disprezzo per la persona umana era a livelli massimi, ma sempre entro limiti strutturali di sfruttamento abbastanza definiti, al punto che le autorità vietavano le innovazioni tecnologiche.
  • Finito lo schiavismo e dopo i mille anni di feudalesimo cristiano, non sarebbe stata possibile una riproposizione identica del rapporto schiavistico del mondo classico. Occorreva necessariamente puntare su una mediazione artificiale nel rapporto tra sfruttato e sfruttatore, e questa mediazione venne trovata nel macchinismo, che solo in ambito "cristiano" poteva sorgere, in quanto il cristianesimo è l'ideologia che più di ogni altra permette il dualismo di teoria e prassi, cioè la separazione, vissuta a livello di "coscienza", tra principi etici e pratica immorale.
  • Ovviamente non ci si poteva immaginare che, in presenza di un regime concorrenziale, l'introduzione del macchinismo avrebbe comportato rivolgimenti sociali così drastici e repentini, tali da richiedere incessanti mutamenti di rotta nelle scelte produttive e commerciali.
  • Infatti molti paesi che fino a ieri erano dominati da un'economia prevalentemente feudale (p.es. Giappone, Cina, India...), una volta impadronitisi dei "segreti" della tecnologia occidentale, sono diventati e stanno diventando dei colossi industriali, saltando molte delle tappe che per noi europei sono state obbligatorie (quelle tappe che in ambito occidentale aveva già evitato di ripetere il capitalismo americano, che si è sviluppato senza dover combattere, se non nella primissima fase iniziale, i retaggi dell'economia feudale, e quindi le tipiche remore culturali del cristianesimo feudale).
  • Le acquisizioni delle tecnologie avanzate da parte dei paesi che per tradizione venivano considerati "arretrati" o "in via di sviluppo" o addirittura "sottosviluppati", sta portando quest'ultimi, che dispongono di ingenti quantitativi di manodopera a basso costo, a diventare i principali competitori sul mercato globale del capitale.
  • L'illusione di questi paesi è quella di poter controllare i processi individualistici delle proprie economie borghesi, mediante una direzione politica centralizzata, mirante formalmente a salvaguardare molti principi collettivistici delle precedenti economie. Si tratta di una politica di facciata, poiché nella sostanza si sta operando in direzione opposta. Il fatto è che anche questi paesi hanno appreso le dinamiche del "dualismo occidentale", ovvero come far passare determinate direttive a favore del capitalismo, mentre sul piano formale si sostiene esattamente l'opposto, ovvero che il capitalismo di tipo "asiatico" risulterà compatibile con le tradizioni di un tempo.
  1. Somiglianze e differenze tra modo di produzione asiatico e occidentale
  • Quando si mettono a confronto "modo di produzione asiatico" (Mpa) e "modo di produzione occidentale" (Mpo) bisogna fare molta attenzione al significato delle parole, poiché qui si ha a che fare con sistemi di vita che in realtà non possono essere messi a confronto.
  • Il Mpa dovrebbe essere messo a confronto esclusivamente col feudalesimo europeo, nonché con quelle esperienze di comunismo primitivo antecedenti allo stesso feudalesimo e di cui si trova ancora traccia nella Russia feudale, specie nell'area asiatica.
  • In tal senso risulta molto imprecisa la seguente espressione: nel Mpo "il lavoratore è proprietario sia di ciò che produce, sia di ciò attraverso cui produce", a differenza del Mpa - si aggiunge -, dove il lavoratore non è padrone di una proprietà "privata", essendo questa per così "statalizzata".
  • Storicamente in realtà non è il lavoratore individuale a essere proprietario, ma è il "proprietario" a essere "lavoratore", e il proprietario col tempo diventa sempre meno "lavoratore", preferendo vivere dello sfruttamento del lavoro altrui, condotto sui propri possedimenti.
  • Si può anzi dire che nell'antichità il proprietario di un bene immobile era sempre un militare. Nelle prime fasi delle prime civiltà antagonistiche la ricchezza poteva essere acquisita solo con la forza fisica o militare.
  • Tutte le concezioni aristocratiche successive alle conquiste, relative alla discendenza di stirpe regale o nobiliare, alla purezza del sangue e della razza, sono state elaborate esclusivamente per conservare un potere acquisito arbitrariamente. In tal senso è assai difficile immaginare uno sviluppo economico indipendente da quello politico. In origine c'è l'occupazione militare di territori altrui, poi la distribuzione del bottino (terre, bestiame, mezzi di lavoro...) tra i vincitori e, contestualmente, la tutela giuspolitica di questo dominio.
  • Solo quando i territori conquistati sono molto ampi, tutti distribuiti, e quando le guerre di conquista cominciano a venire meno, si formano ceti o classi sociali che per poter farsi strada sono costretti ad adottare particolari forme di corruzione, in cui il merito non sta tanto nel valore fisico da mostrare sul campo di battaglia, ma nell'astuzia con cui si è capaci di raggirare il proprio concittadino. Questa, se si vuole, è in nuce la storia della nascita e dello sviluppo non solo degli equites romani, ma anche della moderna borghesia, ed è anche la storia del passaggio dall'Iliade all'Odissea.
  • Tutte le funzioni istituzionali delle civiltà antagonistiche sono servite sin dall'inizio per giustificare ideologicamente degli abusi di fatto, conservandone e anzi aumentandone il valore, l'importanza.
  • Non è mai esistito uno Stato che non abbia fatto da subito gli interessi delle classi dominanti. Questi interessi possono aver avuto bisogno di un intervento mediatore dello Stato, affinché la compagine sociale restasse solida, non si sfaldasse, e ciò il più delle volte ha comportato un'accentuazione del lato autoritario del potere politico. Ma è difficile incontrare anche un solo episodio in cui questi interessi contrapposti di classe non si siano trovati uniti contro le rivendicazioni del popolo lavoratore, privo di proprietà.
  • Quindi è esatto dire che il Mpa è stato molto simile al feudalesimo occidentale, in cui effettivamente l'idea di individuo era inglobata in quella di collettivo (la comunità di villaggio), anche se in Italia, a partire dalla rivoluzione comunale del Mille, il collettivismo agrario è andato progressivamente perdendo d'importanza, essendo stato subordinato ai poteri forti (politici ed economici) delle città. Tuttavia, bisognerebbe specificare che per "modo di produzione occidentale" (Mpo) si devono intendere solo due tipi di sistema antagonistici prevalentemente individualistici: quello schiavistico greco-romano e quello borghese (quest'ultimo prima mercantilistico dal 1000 al 1500, poi capitalistico).
  • Nel mondo romano i grandi proprietari terrieri erano anche -come noto- senatori-militari. I senatori videro diminuire il loro potere quando s'affacciarono alla ribalta gli equites, cioè gli speculatori privati, gli appaltatori, gli affaristi di ogni risma.
  • Nel Mpo non è mai esistito un momento in cui si è sviluppata autonomamente la sfera produttiva (intrinsecamente individuale), mentre l'aspetto politico, nello stesso tempo, riguardava la comunità in senso lato, come se questa fosse un retaggio del vecchio comunismo primitivo. La sfera economica non s'è mai sviluppata in maniera autonoma da quella politica.
  • Nell'alto Medioevo il potere politico era gestito dall'aristocrazia, laica ed ecclesiastica. La borghesia s'è formata economicamente e poi, a partire dal Mille, ha cominciato a darsi delle istituzioni politiche: i Comuni. Ma questo ha potuto farlo solo col consenso dei poteri dominanti. Quando le proprie istituzioni sono divenute abbastanza potenti, la borghesia ha preteso una fetta più grande della torta politica.
  • Dalle prime iniziative comunali italiane sono passati ben 500 anni prima che si potessero vedere delle strutture capitalistiche ben consolidate, e occorreranno altri tre secoli prima di vedere la borghesia leader politica indiscussa nella gestione degli Stati moderni. La borghesia in sostanza ci ha messo otto secoli prima di potersi assicurare un dominio politico incontrastato in Europa e nel mondo intero, ed è stato un dominio che ha subito incredibili scosse nel corso delle due ultime guerre mondiali, quando cioè hanno cominciato a farsi strada, in maniera insistente, le idee del socialismo, idee di cui la borghesia ha dovuto parzialmente tener conto nel momento in cui è stata costretta a organizzare la sua risposta più importante alle esigenze del socialismo: lo Stato sociale.
  • Questo per dire che non ci può essere sviluppo di una classe sociale senza che questa possa disporre, da subito, di un certo potere politico. Quelle che mutano sono soltanto le forme con cui lo si acquisisce: all'inizio si cercano compromessi coi poteri dominanti, ci si fa largo lentamente ma progressivamente, finché ad un certo punto si decide d'intervenire d'autorità cambiando le regole del gioco.
  • La ricerca del potere politico marcia di pari passo con quella del potere economico. Se ciò non avviene, il potere economico non sarà mai assicurato nel proprio sviluppo e potrà anche regredire, come p.es. è successo alla borghesia italiana, quando non ebbe coraggio di fare la riforma protestante ed ebbe paura della controriforma.
  1. Il primato della politica sull'economia
  • Il fatto che nel Mpa la sfera politica prevalga su quella economica non deve essere visto, di per sé, come un male peggiore della subordinazione opposta. Infatti è proprio il prevalere della sfera economica su quella politica che indica il carattere anarchico, individualistico della produzione.
  • Non a caso le teorie socialiste hanno sempre affermato il primato della politica, come forma di direzione consapevole dei processi economici. Che poi questa direzione abbia assunto la forma, nel cosiddetto "socialismo reale", di un dirigismo burocratico-statale, questo è un altro discorso, cui si rimanda altrove.
  • Qui non è neppure il caso di affermare che mentre sotto il socialismo è giusto sostenere il primato della politica sull'economia, nel Mpa lo stesso primato risulta ingiusto appunto perché qui non è in questione il "socialismo".
  • Che cos'è il socialismo? Il socialismo non è altro che la riproposizione delle formazioni collettivistiche primitive, da viversi nella consapevolezza dei grandi limiti delle formazioni sociali antagonistiche.
  • Dovendo quindi scegliere quale civiltà valorizzare, è evidente che il socialismo dovrà preferire quelle più vicine allo stile di vita pre-schiavistico o comunque quelle in cui domina l'autonomia produttiva della comunità di villaggio, l'indipendenza dal mercato, che non a caso è vista come fumo negli occhi dagli ambienti borghesi.
  • Un lavoro immediatamente "sociale", non mediato dalla legge del valore, non è forse uno degli obiettivi fondamentali del socialismo democratico? Allora per quale ragione bisogna vedere questa pratica del Mpa come un "limite"?
  • Insomma ha poco senso affermare che la produzione economica delle "cellule produttive" rimane, nel Mpa, "imprigionata" nella direzione politica. Non si può usare un termine come questo, visto che non ha alcun senso storico sostenere che tali "cellule produttive... inclinano per propria natura, almeno potenzialmente, verso l'individualismo e l'anarchia". Se questa cosa ha un senso, può averlo solo in riferimento all'Europa occidentale schiavistica o a quella post-feudale.
  • Il carattere anarchico-spontaneo verso la produzione economica non è un pregio ma semmai un difetto dell'agire umano. E tale resta anche se esso si è strettamente legato in occidente alla rivoluzione tecnico-scientifica, che in apparenza sembra averci dato un grande progresso materiale.
  • La "naturale avidità umana" non è affatto "naturale" ma un prodotto "culturale", di "mentalità". Il "naturale desiderio di ogni uomo di diventare sempre più ricco (cioè dotato di un sempre maggior potere d'acquisto)" non è un desiderio "naturale" ma "artificiale", tipico delle società mercantili, sconosciuto alle società basate sull'autoconsumo, fortemente limitato nelle società basate sul servaggio, cioè sui rapporti di dipendenza personale.
  • Una mentalità che avverte questo bisogno come "naturale" presuppone la rottura traumatica dell'individuo nei confronti di un collettivo e delle sue consolidate tradizioni.
  • Tale rottura, che all'inizio coinvolge un numero ristretto di persone ma che poi s'allarga a macchia d'olio, non avrebbe mai potuto assicurare che il mercantilismo si sarebbe fermato ai livelli della semplice manifattura, della semplice produzione artigianale, della semplice concorrenza, che sono poi i livelli in cui il capitalismo, anzi il proto-capitalismo sarebbe stato relativamente "sopportabile" per i lavoratori (anche se l'Italia del '300 dimostra che anche questi livelli ad un certo punto risultavano decisamente insopportabili per i lavoratori del tessile).
  • La storia ha dimostrato che nell'ambito del capitalismo l'individualismo diventa sempre più crescente, e i guasti ch'esso provoca sono sempre più gravi, sia alla natura che allo stesso genere umano, specie se in maniera contestuale allo sviluppo dell'individualismo cresce il livello della potenza tecnologica che lo supporta.
  1. Dalla produzione collettiva a quella individuale
  • Storicamente parlando il passaggio dalla produzione collettiva a quella individuale o di piccoli gruppi staccatisi dalla tribù o dalla comunità d'origine, non è avvenuto in maniera spontanea, ma a seguito di grandi turbamenti e lacerazioni sociali. La rottura del principio collettivistico è stata così traumatica che ogni civiltà antagonistica ha cercato di esorcizzarla, mistificandola a proprio uso e consumo, in forme prevalentemente di tipo mitologico (dai racconti di Adamo ed Eva a quelli di Gilgamesh, da quelli di Caino e Abele a quelli di Romolo e Remo, ecc.). Tutte le cosmogonie sono, tra le altre cose, una sorta di pentimento per la creazione del genere umano.
  • Questo per dire che il Mpa va visto non dall'ottica del capitalismo, ma da quello del comunismo primitivo. Cioè mentre in Europa ci si è distaccati in maniera traumatica, violenta, dal comunismo primitivo, privilegiando l'individualismo produttivo-proprietario; nei paesi asiatici invece la rottura è avvenuta in maniera meno traumatica, meno violenta.
  • In un certo senso mentre da noi la transizione è andata rapidamente in direzione dello schiavismo, da loro invece è andata prevalentemente verso il servaggio, cosa che da noi è stata possibile solo dopo il crollo rovinoso dell'impero romano. Insomma c'è stata più continuità nei paesi asiatici che non in Europa.
  • Se un rilievo critico può essere fatto alle formazioni sociali asiatiche uscite dal comunismo primitivo, è quello di non aver saputo contrastare l'ascesa dell'istituto della monarchia assoluta. Ma questo rilievo può essere fatto a tutte le formazioni sociali che si sono staccate da quel tipo di comunismo. Presso le antichissime "genti italiche" non esisteva la monarchia assoluta, ma presso gli etruschi sì.
  • Il fatto che i sovrani asiatici venissero considerati alla stregua di "divinità", da noi lo si riscontra per tutto l'impero romano; anche nel feudalesimo si parla di "sacro romano impero" e l'imperatore aveva poteri assoluti; il basileus era considerato "pari agli apostoli"; nell'ambito della chiesa romana il pontefice era un monarca assoluto (lo è ancora oggi), vicario di Cristo in terra, dotato di poteri infallibili (vige ancora il dogma del Concilio Vaticano I). Anche sotto il capitalismo, il capitale viene considerato come una sorta di divinità, cui tutto è dovuto.
  • La passività politica asiatica è in realtà analoga a quella che si riscontra nella fase iniziale di tutte le formazioni sociali schiavistiche: non è semplicemente connessa a una chiusura culturale nei confronti delle influenze straniere. Anzi spesso è proprio il contrario: si adotta la monarchia assoluta imitando civiltà con cui si è in contatto, come p.es. fecero i romani nei confronti degli etruschi. Anche se poi questo istituto, una volta adottato, ha sviluppi del tutto autonomi.
  • Questo per dire che il fatto di sentirsi "culturalmente autosufficienti" non è di per sé indicativo di una maggiore propensione asiatica verso la monarchia assoluta. Anche i romani quando conquistavano il Mediterraneo si sentivano "culturalmente autosufficienti" e quando sono venuti a contatto con civiltà più avanzate della loro (egizia e greca), non hanno rinunciato alla monarchia assoluta, anzi, se per questo, ne hanno accentuato di molto i poteri.
  • Lo stesso concetto di "autarchia" o di "autosufficienza economica" non va visto di per sé come un qualcosa di negativo. Poter disporre liberamente delle proprie risorse, poterle utilizzare senza interferenze esterne, rendendo più contenuta possibile la dipendenza da mercati lontani, è anzi un segno di grande maturità collettiva e di forte organizzazione sociale.
  • Si può semmai qui fare una piccola osservazione. Il fatto che in Asia sia stata scarsamente presente la cultura ebraico-cristiana, che come noto è sempre stata basata sull'identità di popolo (la prima) e sul concetto di persona (la seconda), può indirettamente spiegare la scarsa resistenza asiatica verso forme esplicite di dittatura politica.
  • Tuttavia non sarebbe neppure azzardato sostenere che la cultura ebraico-cristiana s'è formata proprio perché le popolazioni avevano a che fare con forme di schiavismo assai peggiori di quelle asiatiche. Non a caso Paolo di Tarso capì subito che per diffondere meglio e più in fretta il suo cristianesimo doveva dirigersi verso ovest.
  • In ogni caso quando si parla di "società di consumo" (o, meglio, di "autoconsumo") bisognerebbe sempre distinguere da quelle asiatiche, dove esisteva la presenza di uno Stato, quelle africane (dove la presenza di uno Stato è visibile solo nella civiltà egizia), quelle nordamericane (totalmente prive di Stato, prima dell'arrivo dei colonizzatori bianchi), quelle centro e sudamericane (totalmente prive di Stato, ad eccezione ovviamente delle tre classiche: inca, maya, aztechi), e così via. Nella Russia asiatica sono tantissime le popolazioni antiche che non hanno mai conosciuto alcuna forma statuale, e così in Australia, Nuova Zelanda, e anche nella stessa Europa occidentale prima del mondo greco-romano.
  • La precisazione è necessaria perché, se si associa l'autoconsumo alla presenza di uno Stato, si sta già parlando di civiltà molto simili al nostro feudalesimo, in cui dominava una precisa forma di sfruttamento: il servaggio.
  • Nel feudalesimo l'autoconsumo era una forma di vita precedente al mercantilismo del mondo romano: essa era tornata in auge grazie alle popolazioni barbariche che distrussero quell'impero, con lo schiavismo che lo caratterizzava.
  • L'autoconsumo è la forma di produzione che meglio garantisce la sopravvivenza, la riproduzione di una comunità sociale e naturale. Durante tutto il Medioevo l'anomalia non era costituita dall'autoconsumo, ma dalla rendita conseguente al servaggio. La presenza di uno Stato, seppur a livelli minimali, era strettamente connessa non all'autoconsumo ma esclusivamente alla rendita.
  • Attualmente nel continente asiatico la cultura che può forse meglio conservare le esperienze del passato feudalesimo, in opposizione allo sviluppo crescente del capitalismo, è quella islamica, che però sembra riuscire a farlo solo a prezzo di notevoli concessioni all'integralismo politico-religioso. Del tutto ininfluenti, in tal senso, appaiono le culture indo-buddiste, taoiste e confuciane, le quali hanno invece svolto un ruolo progressista quando si sono opposte ai tentativi colonialistici delle potenze europee.
  1. Economia mercantile e capitalistica
  • Il motivo per cui un'economia monetaria, in cui la moneta appare come mezzo di scambio, non si trasformi di per sé in un'economia capitalistica, dove la moneta diviene capitale, cioè viene accumulata di per sé, investendone una parte per allargare la produzione, Marx non è mai riuscito a spiegarlo chiaramente, proprio perché la sua analisi s'è fermata ai processi socioeconomici e non ha investito, se non incidentalmente, quelli contestuali che avvenivano sul piano culturale.
  • Peraltro la conoscenza ch'egli aveva delle società asiatiche e precapitalistiche era troppo limitata perché da essa si possa ricavare qualcosa di davvero innovativo ai fini della comprensione di quelle società. Gli studi erano troppo approssimativi, anzi, praticamente si può dire che le prime ricerche scientifiche nacquero proprio nella seconda metà dell'Ottocento. Marx inizierà ad avere una visione un po' più obiettiva del Mpa solo dopo essersi messo a studiare l'obscina russa, cioè dopo aver preso contatti con le correnti populistiche di quel paese. Ma su questo rimando ad altre analisi.
  • Storicamente la nascita del capitalismo è avvenuta in Europa occidentale perché qui dominavano, oltre ad alcune preliminari basi economiche, la prima delle quali era la presenza di un mercato e di una struttura urbana, due particolari forme della cultura cristiana: quella cattolico-romana e quella riformata. Senza queste culture, di cui la prima, individualistica sul piano politico, ha preparato la seconda, individualistica anche sul piano sociale, non sarebbe mai nato il capitalismo, cioè la società sarebbe rimasta a livello mercantile, di piccola produzione artigianale e di commercio mediterraneo, come nel mondo asiatico e islamico.
  • E' molto opinabile la tesi secondo cui il capitalismo ha potuto svilupparsi in Europa occidentale perché qui il feudalesimo non si poneva come il Mpa, in cui tutto appartiene al despota.
  • Nel nostro feudalesimo la proprietà era divisa tra tanti feudi tra loro ostili. Tale ostilità endemica era il tarlo che avrebbe poi col tempo portato il feudalesimo al crollo. Tuttavia questo non spiega il motivo per cui l'Europa orientale non abbia conosciuto una transizione al capitalismo analoga alla nostra, né l'abbiano conosciuta i paesi arabi o di religione islamica, venuti a contatto con la nostra civiltà. Anch'essi erano profondamente divisi tra feudi ostili.
  • Nei paesi est-europei il capitalismo non è stato una conseguenza dello sfacelo del feudalesimo, poiché a questo crollo ha fatto subito seguito il tentativo di realizzare il socialismo. Perché in Europa occidentale al crollo del feudalesimo non è stata opposta l'idea di un socialismo rurale? Forse perché non esisteva ancora il socialismo come idea? Eppure noi sappiamo che tutte le idee dei movimenti pauperistici ereticali, tutte le idee dei grandi pensatori umanistici come T. More, Campanella, Muntzer, Erasmo... contengono precise indicazioni in direzione del socialismo. Il socialismo utopistico, in forme più laicizzate, si pone sulla scia di questo proto-socialismo dalle tinte religiose. Esattamente come il socialismo scientifico è una conseguenza di quello utopistico, in forme decisamente rivoluzionarie.
  • Non è solo questione di feudi contrapposti, ma anche di culture, di mentalità, di stili di vita. Marx, in tal senso, aveva capito che la sovrastruttura ideologica più consona alle esigenze del capitalismo vero e proprio era quella che prevedeva nella forma più avanzata il culto dell'uomo astratto, cioè quel culto che separa le intenzioni dalla pratica e che pur essendo nato col cattolicesimo-romano, s'è sviluppato enormemente sotto la riforma protestante. Ma, constatato questo, Marx si è fermato lì, lasciando che l'analisi venisse approfondita dai suoi seguaci: cosa che però è stata fatta solo in modo molto limitato, anzi più che altro è stata fatta dalla sociologia borghese (Weber, Sombart, Fanfani ecc.).
  • Il motivo per cui il capitalismo si sia successivamente formato anche nei paesi di cultura non cattolica né protestante, ma p.es. shintoista (come il Giappone), o indo-buddhista (come Cina e India), va spiegato col fatto che in questi paesi è stata introdotta dall'esterno un'ideologia, quella liberista, che si è sovrapposta a quella collettivistica-nazionale. Mentre in Europa occidentale il capitalismo è nato dal basso, come una sfida sociale alle istituzioni, come una forma di eresia pratica che non metteva immediatamente in discussione i principi teorici (religiosi) dominanti, e quindi in forme e modi lenti, faticosi, ambigui, spesso caratterizzati da violenti scontri politici, che hanno comportato, specialmente nell'Italia controriformista addirittura forme di regresso sociale, in cui le istituzioni, prima condiscendenti, in quanto sapevano di non avere sufficiente credibilità morale per opporsi a questi processi individualistici e assai poco etici sul piano sociale, operarono forti ripensamenti politici in un secondo momento, scegliendo l'esplicita repressione militare; viceversa, nei paesi asiatici il capitalismo, come ideologia di vita pratica, che pur era stata rifiutata ai tempi del colonialismo europeo, è stata imposto letteralmente dall'alto, dal potere politico, contro tradizioni socioculturali consolidate.
  • In Asia le ideologie ufficiali sono rimaste formalmente o ultrareligiose (come in India) o areligiose (come in Cina), ma nella pratica le istituzioni hanno ad un certo punto favorito la diffusione dell'ideologia liberista, la quale è stata fatta propria anzitutto dai ceti urbanizzati, già lontani dalle radici comunitarie. Tale imposizione dall'alto è servita ai poteri costituiti per continuare a riprodursi politicamente.
  • All'inizio i processi sono stati lenti (in Cina s'è dovuto aspettare la fine del maoismo, o del socialismo agrario; in India quella del gandhismo, o dell'umanesimo democratico), poiché il potere costituito aveva bisogno del consenso delle masse, per contrastare la resistenza delle società pre-capitalistiche, evidentemente più forte che non da noi.
  • Ora invece si procede molto celermente, verso la piena acquisizione delle regole e delle tecnologie capitalistiche, ai suoi livelli più avanzati, al punto che si prevede di colmare il gap che divide l'Asia dai tre poli dell'imperialismo mondiale in tempi incredibilmente brevi (meno di mezzo secolo!). La caratteristica dei due colossi asiatici è infatti quella di sfruttare unicamente risorse interne, che sono apparentemente sterminate, producendo enormi sacche di povertà da colonizzare impunemente. La classe operaia non è ancora in grado di opporre una resistenza significativa che porti al socialismo democratico, e un'esperienza di partecipazione collettiva come quella p.es. di Tien An Men è servita soltanto per accelerare i processi in direzione del capitalismo.
  • L'Europa occidentale invece e anche gli Stati Uniti hanno sempre avuto bisogno di crearsi ampi spazi di manovra esterni ai loro territori (per la ricerca di materie prime, manodopera a buon mercato, facili mercati di sbocco ecc.).
  • Il Giappone ci ha provato nel corso della II guerra mondiale. La sua sconfitta lo ha indotto a ridurre al minimo le occasioni di conflitto sociale al proprio interno (legando cioè stabilmente il lavoratore alla propria industria, con alti salari, forti assicurazioni ecc.), e di puntare tutte le proprie energie sulla produzione di merci ad alto contenuto tecnologico, molto competitive, anche nei confronti di quelle americane. Questo gli ha altresì permesso di diventare una grande potenza finanziaria, con cui i grandi paesi del capitalismo avanzato si sono fortemente indebitati.
  • Quindi se nei paesi asiatici l'economia monetaria, nei secoli passati, non è riuscita a diventare capitalistica, ciò non va visto come un "difetto" di quell'economia, ma semmai come un "pregio", proprio perché le culture dominanti, meno dualiste rispetto a quelle euroccidentali, ebbero sempre la forza, non solo "materiale" ma anche "morale", d'impedire uno svolgimento arbitrario, individualistico, della gestione dell'economia.
  • Il fatto che invece oggi tali economie non abbiano più queste riserve morali va visto in maniera particolarmente negativa. Un'affermazione mondiale del capitalismo, nel senso di un'esplosione di nazioni che vogliono far la parte della "metropoli" e non più della "colonia", non può che portare a una revisione delle rispettive zone d'influenza. Si situano in questa direzione strategica i recenti interventi americani nell'area asiatica. In Asia la lotta armata contro il cosiddetto "terrorismo islamico" ha la funzione precipua di tenere sotto controllo lo sviluppo di Cina e India.
  • L'attuale rapida occidentalizzazione dei grandi paesi asiatici, in presenza di un sostrato sociale, nelle campagne, ancora prevalentemente feudale, è foriera di sgravi squilibri mondiali, di cui già abbiamo avuto un esempio eloquente con l'esperienza dell'imperialismo nipponico.
  • Anche il Giappone infatti ha voluto inserire con la forza lo stile di vita occidentale in un sistema sociale prevalentemente feudale: la conseguenza è stata che l'impero del Sol Levante ambiva a dominare tutta l'Asia, India e Cina compresi. E si trattava di un paese con un numero di abitanti molto piccolo. E' vero che anche la Gran Bretagna ha occupato mezzo mondo con un numero molto piccolo di militari, ma è anche vero ch'essa non s'è mai sognata di occupare l'Europa.
  • Che succederà ora all'Asia e al mondo intero, dato che due nazioni, che insieme dispongono di 1/3 degli abitanti del pianeta, hanno deciso di imboccare, a ritmi frenetici, la strada del capitalismo industriale? Chi potrà porre rimedio ai guasti sociali e ambientali di due superpotenze come la Cina e l'India?
  • In Cina il maoismo ha rappresentato una forma di socialismo agrario autoritario, che non è stato in grado di assicurare il socialismo anche nel comparto industriale, e quando ha cominciato a farlo, ci si è resi conto che sarebbe stato meglio far sviluppare l'industria in senso capitalistico, cercando di conservare il socialismo solo a livello politico. Ovviamente questa soluzione ibrida sarebbe stata fatta pagare al mondo dei lavoratori, i quali infatti stanno perdendo sempre più autonomia e sono costretti ad accettare condizioni di vita subumane.
  • Le conseguenze di ciò si faranno sentire in Cina quando la società, divenuta prevalentemente borghese, troverà l'involucro politico che la contiene come del tutto inadeguato.
  1. Il rapporto tra città e campagna
  • Il rapporto città-campagna in Europa occidentale non è stato meno conflittuale di quello asiatico antico. Sostenere che in occidente "città e campagna trovano ciascuna nell'altra il proprio completamento" ha senso solo se ci si riferisce a quel periodo alto-medievale in cui dominava l'agricoltura dell'autoconsumo, mentre i mercati urbani, le fiere servivano soltanto per smerciare le eccedenze, per praticare il baratto o per acquistare beni che non si potevano produrre, per motivi oggettivi o perché non convenienti.
  • Finché le città sono soltanto questo e, al massimo, una serie di mura entro cui rinchiudersi in caso di attacchi nemici, in maniera analoga a quanto si faceva coi castelli feudali, allora si può parlare di "interconnessione" con le attività rurali.
  • Viceversa, a partire dal momento in cui comincia a formarsi una mentalità mercantile, ostile all'autoconsumo, ecco che la città tende inevitabilmente, progressivamente a sottomettere al proprio dominio settori sempre più significativi della campagna.
  • Il primo segno di questa superiorità è ben visibile là dove in ambito rurale si separa l'attività agricola da quella artigianale, con la conseguenza che quest'ultima si trasferisce direttamente in città.
  • Gli artigiani che si associano in corporazioni di arti e mestieri e che cominciano, seppure sotto gravi restrizioni reciproche, a diventare "borghesi", determinano una diversa fisionomia delle città. La piccola produzione mercantile, ove si pratica lo sfruttamento dei garzoni, ove si vende anzitutto per un mercato, a prezzi che mandano in rovina il tradizionale artigianato rurale, è già una forma di proto-capitalismo.
  • Quando poi il lavoro degli stessi artigiani comincia ad essere organizzato da borghesi che grazie ai loro traffici dispongono di ingenti capitali, il gioco è fatto. I borghesi col tempo non solo si mettono a sfruttare gli artigiani delle città, ma penetrano anche nelle campagne, trasformando l'artigianato là presente, che permetteva al contadino di non dipendere dal mercato e che veniva svolto prevalentemente dalle donne (filatura, tessitura, cardatura...), in una branca produttiva delle loro aziende.
  • La campagna in sostanza diventa soltanto una fonte di viveri per la città, un serbatoio di manodopera a basso costo per le attività manifatturiere, un mercato di sbocco per i prodotti tessili, senz'altro prevalenti su tutti gli altri.
  • Quando il contadino perde l'autonomia artigianale ed è costretto ad acquistare in città, col denaro, ciò che prima riusciva a produrre da solo, la sua attività agricola è costretta a subire una modificazione sostanziale e decisiva: deve per forza specializzare le colture e vendere sul mercato urbano quanto gli viene richiesto, e se avrà solo un piccolo appezzamento sicuramente soccomberà.
  • Lo sviluppo delle città in Europa occidentale ha provocato la fine dell'autonomia dei contadini, la fine della piccola produzione rurale, l'estensione delle grandi concentrazioni terriere e delle produzioni monocolturali, lo spopolamento delle campagne, meno bisognose di manodopera, lo sfruttamento incontrollato di tutte le risorse naturali, il sovraffollamento delle città, una drastica separazione del produttore dalla proprietà dei mezzi lavorativi, una crescente proletarizzazione di molte categorie di lavoratori, ecc.
  • Se prima dello sviluppo delle città le popolazione rurali erano povere ma non affamate, soggette sicuramente ai vergognosi tributi dei rapporti servili, nei quali comunque lo sfruttamento in natura incontrava un limite insuperabile nella capacità di consumo da parte dei ceti latifondisti; ora invece con lo sviluppo delle città la popolazione contadina non è solo povera ma è indigente, affamata, sfruttata senza limiti da chi ha voluto trasformare il rapporto di dipendenza personale e naturale in un rapporto di dipendenza contrattuale e monetaria, in cui lo spettro della disoccupazione è sempre dietro l'angolo.
  • Tutto ciò è stato reso possibile dal fatto che sotto il cattolicesimo-romano si sono formati i primi nuclei di attività borghese, i quali, nella fase iniziale, riconoscevano formalmente il potere politico e ideologico della classe feudale, laica ed ecclesiastica, e quest'ultima traeva beneficio, essa stessa, dall'attività mercantile dei borghesi, semplicemente opprimendo di più i ceti rurali ed esigendo da questi dei tributi anche in forma monetaria, con cui poi potevano acquistare le merci sui mercati urbani.
  • La classe feudale ha concesso ampi spazi sociali ed economici di manovra alla borghesia perché, insieme a questa, voleva condurre un tenore di vita di maggior benessere, senza curarsi di quanto questo avrebbe potuto pesare sull'attività dei contadini.
  • L'individualismo del feudatario, che, padrone di grandi proprietà fondiarie, voleva vivere di rendita, s'è allargato al borghese, che, padrone di ingenti capitali, voleva vivere di profitti.
  • Quando l'attività mercantile e industriale ha raggiunto certi livelli di successo e di stabilità, ecco che la borghesia ha cominciato a pretendere maggiore potere politico, per la qual cosa ha avuto bisogno di trasformare il cattolicesimo in protestantesimo (successivamente trasferirà i principi individualistici della Riforma nella filosofia idealistica, seguendo la linea che va da Cartesio a Hegel).
  • L'individualismo borghese, eticamente più povero ma economicamente più forte, si sostituiva politicamente all'individualismo feudale dei proprietari terrieri.
  • Tutto ciò in Asia non è avvenuto perché è mancata la cultura che lo permettesse, non perché non ci fossero le condizioni materiali. Gli uomini hanno continuato a sentirsi parte della natura, subordinati ai poteri dominanti, fedeli a tradizioni secolari, che pur quegli stessi poteri rendevano sempre meno stabili, essendo comunque il modo di produzione asiatico una deviazione dal comunismo primitivo. Non solo, ma contro i tentativi di colonizzazione operati dagli occidentali, i contadini hanno spesso preso le difese di chi in patria li opprimeva.
  • Lo sviluppo del capitalismo in Asia non è avvenuto non perché il potere politico era qui più autoritario, non perché la società civile era meno intraprendente, non perché c'era meno cultura, ma semplicemente perché mancava quella necessaria "forma mentis" che pone l'individuo al di sopra del collettivo.
  • Il modo di produzione asiatico non era più compatto, più uniforme semplicemente perché vi dominava un potere assoluto. Questo modo di far dipendere l'unità dalla centralizzazione dei poteri è di derivazione occidentale. E' da noi infatti che la politica cerca sempre di imporsi in maniera monarchica, dittatoriale, mentre la società cerca di opporvisi chiedendo maggiore democrazia. In Asia la compattezza era dovuta a un maggior rispetto per le tradizioni.
  • Oggi però questo rispetto viene considerato un "limite" e si cerca di superarlo in fretta. Anzi oggi in Cina e in India si sta sperimentando qualcosa di inedito a livello storico: l'individualismo sociale, imprenditoriale, è qualcosa che viene promosso a livello politico, contro le stesse tradizioni sociali, cioè non è qualcosa che nasce dal basso e che cerca a fatica di farsi largo tra le maglie strette del potere, ma è qualcosa che nasce dall'alto e che deve farsi largo tra le maglie strette delle antiche consuetudini sociali.
  1. L'apporto del cristianesimo
  • Il feudalesimo da noi è stato possibile anche grazie all'apporto del cristianesimo, un'ideologia nata in origine per uno stile di vita collettivistico.
  • In Asia il cristianesimo non ha avuto bisogno di espandersi proprio perché qui la transizione dal comunismo primitivo alle caste feudali era avvenuta in maniera molto meno traumatica rispetto a quella avvenuta in Europa occidentale tra il medesimo comunismo e lo schiavismo greco-romano.
  • E' noto che le "caste" asiatiche (così forti in India) assomigliano molto ai nostri ceti aristocratico-feudali. Una differenza però bisogna ammetterla: mentre in Asia l'evoluzione dal comunismo primitivo al feudalesimo è stata un processo tutto interno a quella regione, in Europa invece il feudalesimo è stato un prodotto d'importazione (la provenienza era quella dell'Europa orientale e della stessa Asia, ove esistevano tribù che non avevano conosciuto lo schiavismo come sistema di vita produttivo).
  • Le popolazioni barbariche hanno potuto realizzare qualcosa che i romani, col loro sistema basato strutturalmente sullo schiavismo e sull'ideologia fortemente individualistica che lo supportava, non avrebbero mai potuto fare.
  • Poniamoci ora una domanda del tutto ipotetica e a cui forse tutti gli storici rifiuterebbero di rispondere, ritenendola priva di senso: se non ci fosse stato il feudalesimo, la società romana sarebbe passata direttamente dallo schiavismo al capitalismo?
  • Diciamo anzitutto che se questa possibilità ci fosse davvero stata, sicuramente il feudalesimo ne ha ritardato di mille anni la realizzazione, benché in Italia la prima economia mercantile nasca 500 anni dopo il crollo dell'impero romano.
  • Se non ci fossero stati i barbari a sfondare i confini dell'impero, probabilmente le contraddizioni interne l'avrebbero fatto crollare lo stesso, nel senso che sarebbero scoppiate infinite guerre civili e pezzi sempre più grandi dell'impero si sarebbero progressivamente staccati dal nucleo centrale.
  • Roma avrebbe dovuto fare come Bisanzio: accettare definitivamente e senza soluzione di continuità la nuova religione, quella cristiana, cercando di costruirci sopra una nuova società, in cui all'idea di "schiavo-oggetto" si sostituisse quella di "servo-persona" (in quanto appunto "cristiano" come il padrone che lo comanda).
  • Con o senza barbari l'Europa era destinata al servaggio (si parla infatti di "feudalesimo" sia nell'Europa carolingia che in quella bizantina), a meno che la popolazione non avesse avuto una tale consapevolezza politica da obbligare le autorità costituite a realizzare una società davvero democratica, analoga a quella del comunismo primitivo.
  • Dei due feudalesimi quello più ricco, almeno sino al tempo delle crociate, è sempre stato quello orientale. Ebbene perché non s'è formato qui il capitalismo? La risposta non può che essere una: il capitalismo s'è formato prima in Europa occidentale perché qui la cultura dominante aveva meno forza morale di quella presente in area bizantina.
  • Là dove la crisi degli ideali religiosi s'è fatta maggiormente sentire, lì hanno cominciato a svilupparsi delle tendenze mercantili che non si limitavano al semplice scambio commerciale dei prodotti o alla piccola produzione artigianale, ma che iniziavano a configurarsi come attività basata sullo sfruttamento sistematico del lavoro altrui, al fine di accumulare capitali, una parte dei quali veniva reinvestita per allargare la produzione, la quale si faceva sempre più meccanizzata.
  • I progressi tecnici sono andati di pari passo con l'aumento delle prospettive di guadagno monetario. L'esosità dei mercanti e usurai italiani (veneziani, genovesi, fiorentini...) non era mai stata vista in tutta la sua crudezza, in oriente, almeno sino alla IV crociata. Contro questi mercanti spesso insorgeva spontaneamente la stessa popolazione bizantina.
  • Questo significa che per creare il capitalismo non basta un'economia mercantile, e non basta neppure una determinata forma ideologica che gli faccia da supporto: occorre anche la presenza di un'ideologia in crisi, e che le masse popolari non vedano possibilità di ripresa positiva da parte delle istituzioni dominanti; occorre che le masse oppongano a questa ideologia un'altra ideologia che formalmente appaia come più esigente sul piano pratico ma che di fatto conduca a uno stile di vita eticamente più povero e più individualista. E' questa la storia del passaggio dal cattolicesimo-romano al protestantesimo.
  • Se le istituzioni sono incapaci di cambiare le cose e vogliono caparbiamente conservare il loro potere, determinate frange della società civile si organizzano autonomamente in forme apparentemente più comunitarie ma in realtà preposte a difendere interessi particolari, di classe. Così è avvenuto nella transizione dal feudalesimo al capitalismo.
  • All'inizio la borghesia evitava di pronunciarsi sul terreno spinoso dell'ideologia, ma intanto era in grado, sul piano pratico, di creare uno stile di vita il cui valore etico non era certo superiore a quello dei poteri dominanti; anzi, se possibile era peggiore, in quanto la borghesia non faceva che trasferire sul piano sociale la corruzione che la chiesa e l'aristocrazia vivevano sul terreno politico.
  • La borghesia infatti inizia a contestare esplicitamente il potere politico e ideologico della chiesa soltanto quando ha sufficiente potere economico per farlo. A questo punto o si formano altre frange sociali, più popolari, con valori umani e politici più democratici, in grado di scongiurare un'involuzione borghese del sistema feudale, oppure accade l'irreparabile, cioè gli alti valori etici, affermati in precedenza sul piano teorico e contraddetti nella pratica, cominciano ad essere revisionati, resi meno esigenti, meno rigorosi, sicché la pratica che li contraddice risulta più coerente, più sopportabile. Si propone una nuova coerenza di teoria e prassi a livelli più bassi, in cui gli aspetti dell'individualismo sociale risultano maggiormente legittimati.
  • L'apporto degli intellettuali è stato fondamentale per far nascere il capitalismo: sono stati loro che hanno cominciato a teorizzare qualcosa di nuovo, in grado di rispecchiare meglio le mutate esigenze di certe frange popolari; esigenze che rispetto ai poteri dominanti apparivano avanzate, progressive, ma che in definitiva non hanno fatto che coltivare degli interessi particolari, non appartenenti agli strati più popolari. I primi intellettuali a operare così sono stati i teologi e canonisti italiani intorno al Mille.
  • L'ironia della storia sta comunque in questo, che mentre sarebbe stato più facile far nascere il capitalismo dallo schiavismo, in quanto entrambi manifestano nella pratica un analogo disprezzo per la vita umana, di fatto il capitalismo è potuto nascere solo dopo l'esperienza maggiormente etica del servaggio, "battezzato" dal cristianesimo.
  • Insomma se è vero che ogni civiltà ha in sé i germi che la porteranno al proprio superamento, è evidente che anche il feudalesimo occidentale aveva in sé i motivi della propria fine.
  • Se il passaggio dal feudalesimo al capitalismo è stato molto più veloce in Europa occidentale che in Europa orientale o in Asia, ciò è unicamente dipeso dai fattori culturali, sovrastrutturali, che hanno (e che tuttora caratterizzano, seppur in forme di progressiva laicizzazione) la nostra civiltà.
  • Se non analizziamo questi fattori non si riuscirà mai a capire perché dal crollo del feudalesimo occidentale non si sia passati a una "democrazia rurale" (come p.es. preventivavano molti movimenti pauperistici ereticali), ma si sia direttamente passati, non senza fatica, a una civiltà eticamente inferiore a quella medievale, essendo basata sul dio quattrino.
  1. Questioni burocratiche
  • "Strutture dirigistiche e complicati apparati burocratici" non solo soltanto una prerogativa dei paesi asiatici, esistono anche nei paesi occidentali ove vige il sistema mercantile o capitalistico, e li ritroviamo persino nel "socialismo amministrato".
  • In occidente anzi si può dire che la burocrazia sia più una caratteristica degli Stati di "mercato" che non di quelli di "consumo". La burocrazia è una forma organizzativa e di controllo specifica dello Stato borghese, al pari della magistratura, della polizia, della scuola ecc. Sono tutti apparati ideologici di stato, cioè strutture preposte a fare esclusivamente gli interessi dello Stato e non quelli della società civile.
  • Non solo, ma, considerando che il sistema capitalistico, a differenza di quello asiatico antico, produce molta più disoccupazione nei settori agricolo e artigianale, è solo nello Stato borghese che la burocrazia assume livelli di occupazione elefantiaci, aventi un peso abnorme sulle dinamiche della società civile.
  • La borghesia può permettersi una pletora sterminata di impiegati pubblici proprio perché agli operai riesce a estorcere un enorme plusvalore.
  • Viceversa, in tutte le società asiatiche la burocrazia, pur essendo politicamente molto forte, è sempre stata ridotta al minimo indispensabile.
  • Inoltre si trattava di una casta di privilegiati, che poteva accedere a questo settore non senza aver superato determinate prove di abilità intellettuale e di onestà morale. Generalmente erano cariche che si trasmettevano di padre in figlio, in ambito aristocratico, in quanto i soggetti dovevano garantire piena fedeltà al loro mandato e i sovrani dovevano poter contare a occhi chiusi sui loro funzionari. Il confucianesimo fu la cultura per eccellenza in Cina, idonea a preparare i burocrati.
  • Nella storia della civiltà egizia incontriamo una figura emblematica di burocrate di corte: Giuseppe. Pur provenendo da una cultura diversa, quella ebraica, egli venne utilizzato dal faraone per un incarico di grande responsabilità, semplicemente perché gli erano state riconosciute ottime capacità intellettuali e una sostanziale onestà morale.
  • Che dire invece della burocrazia dello Stato borghese? Essa ha conoscenze significative solo nei livelli di più alta responsabilità, in quanto la stragrande maggioranza dei burocrati svolge mansioni di bassa manovalanza, di trita ripetitività (oggi non riusciamo a ridurre al minimo questo personale, mediante l'uso dell'informatica, perché non si saprebbe come reimpiegare quello in eccedenza, un po' come al tempo dei romani si evitava l'uso delle innovazioni tecnologiche per non avere troppi disoccupati).
  • Spesso e volentieri le conoscenze degli alti burocrati vengono utilizzate per il carrierismo individuale, non esistendo un rapporto personale, di fiducia, tra mandato e mandatario, ma solo un rapporto contrattuale, connesso all'entità di una certa remunerazione.
  • Spessissimo l'accesso a queste funzioni dirigenziali non è affatto basato sull'effettiva capacità del candidato, sulla sua preparazione culturale, sulla sua esperienza pregressa, quanto piuttosto su varie forme di raccomandazione, sicché anche la gestione della burocrazia non è mai scevra dalla piaga della corruzione, quella piaga che p.es. rende sempre molto problematica la trasparenza negli appalti pubblici, la riscossione dei tributi, l'uso del denaro dei cittadini, ecc. Marx ha criticato duramente la burocrazia prussiana sin dagli esordi della sua attività letteraria.
  • Qui si può aggiungere che mentre nei paesi asiatici lo Stato, pur avendo bisogno di estorcere tributi come un qualunque Stato assolutista, era consapevole della necessità di non infierire eccessivamente sulle disponibilità dei ceti lavorativi più bassi (contadini e artigiani); viceversa negli Stati borghesi i contadini e gli artigiani, se sono piccoli e non si trasformano in operai o in impiegati, non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza.
  • Lo Stato, che è un organo della borghesia, non garantisce affatto la loro esistenza, se non prospettando loro una tipologia di lavoro completamente diversa, quale appunto quella amministrativa o quella poliziesca, di controllo, per garantire l'ordine pubblico.
  • Non bisogna vedere lo Stato asiatico come un ostacolo più grande da superare per la società civile, di quanto non lo sia la nostra borghesia capitalistica da parte degli operai, dei contadini e degli artigiani.
  • Certamente lo Stato in Asia impediva, anche dal punto di vista burocratico, la formazione di una società capitalistica, ma esso poteva comportarsi così proprio perché nell'ambito della società civile prevalevano ancora culture e tradizioni pre-borghesi.
  • Viceversa in Europa occidentale gli Stati feudali han dovuto sempre più adeguarsi alla società borghese: questo lo si vede benissimo nell'epoca dei sovrani assolutistici e/o illuminati, dal 1500 al 1700 (che è il periodo in cui si forma la moderna burocrazia), fino a quando questi stessi Stati, dopo la rivoluzioni politiche borghesi (conseguenti a quelle industriali), non sono divenuti un organo di controllo, di gestione della società, da parte della sola borghesia.
  1. Questioni militari
  • Sulle questioni militari vorrei semplicemente fare questa osservazione. Ai tempi delle invasioni mongole la guerra era un privilegio dei ceti più alti della piramide sociale, ma dove questo: in Russia o in Mongolia? Non fu forse proprio questo fatto elitario che contribuì a far perdere la Russia, economicamente più forte della Mongolia, geograficamente molto più estesa, numericamente molto più popolosa, nello scontro con le truppe nomadi di Gengis Khan?
  • Sotto il feudalesimo occidentale la guerra era sempre un "affare" dell'aristocrazia, cioè una questione ch'essa decideva sulla base di propri esclusivi interessi, anche se ovviamente ad essa partecipava la classe dei contadini, degli artigiani ecc.
  • In caso di vittoria le categorie più infime ottenevano alcuni vantaggi materiali, ma la fetta più grossa se la prendeva sempre la nobiltà di spada.
  • Forse le uniche guerre "popolari" scoppiate in Europa occidentale sono state quelle condotte dai protestanti contro i cattolici, in cui si fronteggiavano due concezioni opposte della vita sociale: una feudale, l'altra borghese.
  • Per il resto le guerre sono sempre state organizzate o dalla nobiltà (anche quando le crociate apparivano "popolari"), oppure dalla borghesia, con l'aiuto però di truppe mercenarie.
  • In tal senso è caratteristico che il fenomeno dei mercenari si presenti in Europa, in maniera imprescindibile, cioè non estemporanea, o nel corso del passaggio dalla repubblica all'impero romano, al fine di conservare quanto arbitrariamente conquistato, o nel corso dell'affermazione della società borghese contro società rivali, cioè nei due momenti in cui il tasso di eticità sociale era molto basso, essendo prevalenti interessi privi di forti idealità.
  • Negli eserciti orientali la presenza di truppe mercenarie di regola non era mai superiore a quelle regolarmente assoldate. Eserciti basati prevalentemente su truppe mercenarie non hanno mai realizzato domini duraturi. Forse anche per questo l'impero romano è durato molto meno della repubblica.
  • D'altra parte anche gli eserciti composti da militari professionisti, su base volontaria, sono in fondo degli eserciti mercenari, in quanto l'arruolamento avviene prevalentemente per motivi economici e con la promessa di forti prospettive di carriera. Non a caso l'arruolamento interessa categorie di cittadini di modesta cultura o comunque di scarsa autonomia finanziaria.
  • Resta inoltre singolare che il più alto presidio della "moralità" europea, e cioè il Vaticano, sia ancora difeso, attualmente, da un esercito straniero e quindi mercenario.
  1. Questioni terminologiche
  • Se si identifica "capitalismo" e "mercato" non ci si può spiegare il motivo per cui Marx abbia cercato tutta la vita di dimostrare che questa identificazione è valida solo a partire dal XVI sec.
  • Prima di questo secolo si può parlare al massimo di "protocapitalismo" (cui si opposero p.es. i Ciompi a Firenze) o di "mercantilismo" (in cui un imprenditore sfrutta un artigiano-operaio che resta proprietario dei propri mezzi produttivi).
  • Nel capitalismo le due persone che s'incontrano sono entrambe libere, ma una non ha alcuna proprietà, se non quella della propria forza-lavoro.
  • Questo operaio è costretto a lavorare in una fabbrica con mezzi non suoi, producendo un prodotto che non è suo in alcuna parte e lo fa nella certezza formale della libertà giuridica. Diritto ed economia devono marciare di pari passo...
  • Se "capitalismo" volesse dire "mercato" non si spiegherebbe il motivo per cui solo da un certo feudalesimo (quello cattolico) è nato il capitalismo, che ha avuto bisogno di una cultura particolare, quella protestantica per svilupparsi in maniera conseguente, come sotto il cattolicesimo non avrebbe mai potuto fare.
  • Non poteva esserci il capitalismo nel mondo antico perché non c'era il rapporto giuridico-formale tra persone libere. In nessun momento dello schiavismo è riscontrabile il capitalismo, non tanto perché non esistesse una tecnologia adeguata per sfruttare i lavoratori, ma proprio perché sul mercato del lavoro non si incontravano due persone giuridicamente libere di cui una fosse costretta a lasciarsi spontaneamente schiavizzare dall'altra pur di campare.
  • La libertà era un obiettivo che si doveva guadagnare. Invece nel capitalismo prima si è liberi (formalmente), poi si diventa schiavi (sostanzialmente). Questa mistificazione è stata resa possibile dal cristianesimo borghese (protestante).
  • Consideriamo inoltre che lo sviluppo della tecnologia è in realtà strettamente correlato a questa mistificazione, in quanto mentre sotto lo schiavismo non c'era bisogno di una tecnologia sofisticata che mediasse il rapporto di lavoro, e anzi la si ostacolava consapevolmente, nel capitalismo invece, essendo il rapporto tra pari, la tecnologia diventa una sorta di coercizione indiretta: quanto più l'operaio si emancipa tanto più l'imprenditore ha bisogno di una tecnologia avanzata che supplisca al fatto di non poter esercitare una costrizione immediata, tipica del mondo schiavile.
  • Si può quindi parlare di "protocapitalismo" solo in riferimento alla presenza di un mercato, di una produzione specifica per il mercato e di una tecnologia usata per produrre per il mercato. Ma poi ci si deve fermare qui.
  • Se il capitalismo potesse usare la coercizione immediata tipica dello schiavismo, lo farebbe ben volentieri, come in effetti ha fatto là dove la presenza del cristianesimo era scarsa (in Africa, Asia, America latina). In Europa lo schiavismo era assai poco praticato, ma i cristiani potevano tranquillamente esercitarlo nel resto del mondo. Solo dopo la rivoluzione francese s'è cominciato a dire che andava abolito ovunque.
  • In America Latina gli spagnoli poterono impiantare lo schiavismo perché erano cattolici e gli indios non erano cristiani. Ma là dove ci fu lo schiavismo non si sviluppò spontaneamente il capitalismo. In Sudamerica il capitalismo fu un prodotto d'importazione, che segnò il sottosviluppo di quella regione.
  • Invece negli Stati Uniti il capitalismo si sviluppò meglio là dove s'era imposto il protestantesimo: entrambi costrinsero la parte sud, schiavista, a rinunciare allo schiavismo.
  • Anche l'operaio è uno schiavo, ma formalmente è libero. Nessuno schiavo è mai stato libero, se non in casi molto particolari.
  • Non è che il capitalismo voglia la fine dello schiavismo; è che là dove esiste una coscienza cristiana lo schiavismo deve assumere forme mistificate. Questo spiega il motivo per cui nel Medioevo europeo non vi fu lo schiavismo: le tradizioni barbare, che sostanzialmente non conoscevano lo schiavismo come sistema produttivo, s'incontrarono con una cultura, quella cristiana, favorevole al superamento dello schiavismo.
  • Quindi non è il livello della tecnologia, il prevalere di un mercato sull'autoconsumo, la competizione tra produttori che di per sé indicano la presenza o meno del capitalismo, ma proprio il fatto che oltre a tutte queste cose occorre un rapporto giuridico tra pari, la cui assoluta formalità è la quintessenza della mistificazione borghese. Ti schiavizzo proprio mentre insieme affermiamo il valore della libertà.
  • Viceversa il termine "borghesia" si può più facilmente usare per le epoche non capitalistiche: è un termine più traslato di "capitalismo".
  • A "capitalismo" andrebbe associato il termine "capitalista", cioè imprenditore industriale privato, contrapposto a "operaio salariato", giuridicamente libero come lui. Poi ovviamente col termine "borghesia", sotto il capitalismo, s'intendono tante altre figure sociali.
  • Il borghese precapitalista può essere un mercante o un imprenditore che sfrutta l'artigiano padrone dei propri mezzi produttivi o gli schiavi che acquista sul mercato, infine l'usuraio, che però non crea ricchezza ma la distrugge.
  • In Italia abbiamo anticipato i tempi, ma fino a un certo punto. P.es. la rivolta dei Ciompi non era quella di operai nullatenenti, espulsi dalla terra, ma di farsettai, cardatori e tintori, cui non si voleva riconoscere il diritto a essere una corporazione, cioè di fruire di determinati privilegi.
  • Il vero capitalismo nasce quando sia il contadino che l'artigiano, persone libere, non hanno altro che le proprie braccia per lavorare, cioè devono essere eliminati il servaggio e la corporazione, per cui all'operaio non resta che la rivoluzione o la fame.
  • Ma perché questo possa accadere occorre anche una trasformazione radicale della cultura dominante, con cui si possa dimostrare, in maniera illusoria, che senza "padrone" si è più liberi. Ecco perché il protestantesimo è la religione dell'individualismo, mentre il cattolicesimo resta la religione della esplicita sottomissione.
  • Il protestantesimo serve per illudere che si possa diventare imprenditori pur partendo da nullatenenti. Questo negli Usa è stato molto evidente sin dall'inizio della loro storia, proprio perché qui il feudalesimo non è mai esistito.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Economia
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Aggiornamento: 12/09/2014