UGO FOSCOLO (1778-1827)

UGO FOSCOLO (1778-1827)


Nasce nel 1778 a Zante (Zacinto), allora isola greca in possesso di Venezia, nel mar Ionio (la madre infatti era di origine greca). Mortogli il padre medico, discendente da antica famiglia veneziana, si stabilisce a Venezia con la madre nel 1792, dove vive in ristrettezze e facendo studi irregolari, anche se riesce a frequentare i salotti culturali della città, specie quello della Teotochi Albrizzi, che gli permetterà di conoscere Ippolito Pindemonte, Melchiorre Cesarotti e Saverio Bettinelli, attenti intellettuali ai nuovi fermenti europei.

In politica infatti si proclama subito rivoluzionario e giacobino. A 19 anni compone e rappresenta con grande successo il Tieste, tragedia di contenuto democratico dedicata a Vittorio Alfieri, che all'oligarchia veneziana ovviamente non piace. Anche il Parini esercita su di lui una certa influenza. E deve già ritirarsi sui Colli Euganei per sfuggire ai controlli della polizia.

Quando Napoleone scende in Italia, Foscolo si reca a Bologna, capitale della Repubblica Cispadana, ove si arruola volontario tra i cacciatori a cavallo, ottenendo la nomina a tenente onorario. Scrive un'ode indirizzata A Bonaparte liberatore. Le istituzioni repubblicane di Venezia si fanno da aristocratiche a democratiche e Foscolo ne approfitta per ritornarvi a svolgere l'incarico di segretario della municipalità.

Napoleone, intenzionato a sostituirsi agli austriaci in Italia, dopo essere entrato nel Veneto, violando la neutralità della Repubblica di Venezia, aveva attraversato le Alpi, giungendo fino a pochi km da Vienna. Ma qui la realpolitik lo induce a chiedere agli austriaci di firmare un armistizio. E così col Trattato di Campoformio (1797) l'Austria accetta la pace di Leoben, concede alla Francia il Belgio e la Lombardia, nonché le isole Ionie, i possessi veneziani in Albania e altri territori, mentre in cambio ottiene, a titolo di compenso per le perdute province lombarde, il Veneto, l'Istria e la Dalmazia. La Repubblica di Venezia era stata dunque smembrata e cessava di esistere.

Grande delusione del Foscolo, che emigra da Venezia a Milano, capitale della neonata Repubblica Cisalpina, dove conosce Parini e Vincenzo Monti, che da antirivoluzionario diventa filonapoleonico. Nel 1798 nelle Istruzioni popolari politico-morali Foscolo, insieme a Pietro Custodi e Melchiorre Gioia, scrive di voler lavorare per un progetto politico-ideologico, che si concreta negli interventi sul "Monitore italiano" a favore dell'unificazione nazionale. Nel contempo rinuncia agli ideali giacobini nel suicidio letterario dell'Ortis, suggestionato dal Werther di Goethe.

L'opera però viene stampata ma non pubblicata, poiché il contrattacco austro-russo del Suvarov, nel 1799, approfittando della presenza di Napoleone in Egitto, riaccende la guerra e Foscolo milita come luogotenente della Guardia Nazionale in Romagna e Toscana contro gli austriaci e i contadini insorti a loro favore. Viene anzi catturato da quest'ultimi a Cento, anche se poi liberato dal generale MacDonald, al cui servizio si mette come Ussero cisalpino.

Si distingue nella difesa di Genova assediata, riportando delle ferite. Indirizza dalla città al generale Championnet un Discorso sull'Italia e ristampa l'Ode a Bonaparte. E' ancora convinto che grazie ai francesi si possa realizzare l'unificazione nazionale. Anzi è lui che avanza per primo l'idea dell'indipendenza nazionale, senza però trovare grandi appoggi tra gli intellettuali italiani. Il governo francese non apprezza questo suo entusiasmo.

Dopo la vittoria francese a Marengo, nel 1800, che salva Genova allo stremo, Foscolo, col grado di capitano aggiunto di stato maggiore, svolge numerose missioni in Lombardia, Emilia e Toscana e compone l'ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo sulla riviera di Sestri. Intreccia varie relazioni amorose (a Firenze Isabella Roncioni, a Milano Antonietta Fagnani Arese, che gli traduce il Werther: è lei l'amica risanata dell'ode omonima) e contrae debiti di gioco. Dedica un sonetto al fratello Giovanni, morto suicida nel 1801 per sottrarsi ad un processo militare in cui era imputato sotto l'accusa di furto.

Escono a Pisa varie sue Poesie e finalmente l'opera più importante pubblicata in questo periodo: Ultime lettere di Jacopo Ortis (1801-02), un romanzo epistolare che si ispira a un giovane suicida veramente esistito. Il romanzo è ostile ai francesi, in quanto denuncia il tradimento degli ideali di giustizia, libertà, indipendenza (in seguito al Trattato di Campoformio). In questa critica l'Ortis non ha precedenti in Italia. Il protagonista cerca nell'amore di una ragazza, Teresa, il conforto per la sua disperazione politica, ma il padre di lei l'ha destinata a un altro, più conformista e benestante. Il romanzo si chiude coll'apologia del suicidio (visto come atto di protesta). La cosa suscitò effetti deleteri sulla gioventù di allora, tanto che il Foscolo, più tardi, si pentì d'aver scritto quell'opera, che pur conobbe quattro edizioni, dal 1798 al 1817.

L'Ortis contiene, in sintesi, tutti i temi fondamentali della sua poesia più matura: l'eroismo, la gloria, il patriottismo, il culto delle tombe (p.es. Dante viene pianto a Ravenna), l'ammirazione per la natura e per l'ideale di bellezza, l'angoscia per una vita considerata senza senso, ecc. La storia ricalca lo stile di vita dell'eroe alfieriano, che lotta solo contro tutti i tiranni e contro le ipocrisie del costume borghese e aristocratico, e trova la liberazione nella morte. L'Ortis, infine, pur presentando una prosa viziata dall'enfasi e dalla retorica, esprime per la prima volta in Italia una nuova arte narrativa: il romanzo (qui di tipo "epistolare", che però in Francia e in Inghilterra aveva già due secoli di vita. La novità sta nel fatto che ragioni etico-politiche di vita s'intersecano con uno stile romantico, dettato da sentimenti interiori.

Per incarico del Comitato di Governo della Cisalpina redige nel 1802 l'Orazione a Bonaparte per i Comizi di Lione, una disincantata meditazione sui progressi del regime napoleonico. L'anno dopo pubblica la Chioma di Berenice, poema di Callimaco, dove sfodera un eruditissimo apparato critico.

All'età di 26 anni ottiene di far parte, in qualità di capitano della Divisione italiana (nell'esercito francese) e di storiografo della spedizione che Bonaparte intende fare contro la Gran Bretagna: tentativo poi impedito dalle vicende europee (invasione francese di Portogallo, Spagna e Stato Pontificio, che si rifiutavano di applicare il Blocco continentale contro l'Inghilterra; in Spagna la guerriglia provocò circa 300.000 morti ai francesi).

Quindi negli anni 1804-1806, in attesa di questa fantomatica invasione, frequenta gli inglesi confinati a Valenciennes, apprende la lingua e traduce il Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia, di L. Sterne, che dopo mille rifacimenti decide di pubblicare nel 1813. Ha pura una storia d'amore con una confinata inglese, da cui ha una figlia, Floriana, che lascia però alla madre per tornare in Italia. Nel viaggio di ritorno a Parigi s'incontra col Manzoni.

A Venezia rivede la madre e gli intellettuali di un tempo, tra i quali Pindemonte, che lo ispira a scrivere qualcosa, nel 1807, contro l'Editto napoleonico di Saint-Cloud del 1804, che Foscolo temeva potesse estendersi anche all'Italia. I Sepolcri, la sua opera più celebre nasce così. L'editto vietava, per motivi igienici, la sepoltura dei morti nei pressi delle chiese urbane e autorizzava solo quella nei cimiteri extraurbani; inoltre vietava, per motivi democratico-ugualitari, lapidi funebri più grandi di altre e iscrizioni non sottoposte a controllo (gli epitaffi dovevano essere messi sul muro di cinta del cimitero e non sulla lapide della tomba). Foscolo invece sostiene che tra i morti e i vivi vi può essere una "corrispondenza d'amorosi sensi", se gli uomini, quand'erano, in vita, avevano avuto grandi ideali. Per cui il culto delle tombe subirebbe un danno dall'applicazione dell'Editto.

Praticamente con i Sepolcri inizia la poesia risorgimentale italiana, in quanto attraverso il vincolo tra vivi e morti sorge il senso dell'eroico e la rigenerazione della patria, contro austriaci e francesi. I Sepolcri preludono anche al Romanticismo imminente, con il loro forte senso della tradizione storica degli ideali, il senso del mistico, del malinconico-nostalgico, ecc.

Nel 1809 ottiene la cattedra di eloquenza all'Università di Pavia, già del Monti, ma nella prolusione rifiuta di fare un elogio a Napoleone, per cui questi, dopo poche lezioni accademiche, lo sospende dall'insegnamento. Oltre all'orazione inaugurale Dell'origine e dell'ufficio della letteratura, Foscolo riuscì a tenere cinque lezioni sulla Letteratura e lingua italiana e sulla Morale letteraria: per la prima volta viene individuato nel ceto intellettuale un gruppo specifico e organizzato della società civile, con funzione mediatrice tra i vari gruppi sociali.

Rientrato a Milano, pubblica l'articolo Intorno alla traduzione del Pindemonte dei due primi Canti dell'Odissea, suscitando molte polemiche. Infatti negli anni 1810-11 se la prende moltissimo, tramite vari articoli, con gli intellettuali, giudicati pavidi, ciarlatani, pedanti. Il saggio su Gregorio VII viene proibito dalla censura. Di questo periodo è clamorosa anche la rottura col poeta Vincenzo Monti, che era geloso della sua popolarità e mal sopportava le sue idee repubblicane. La stessa rappresentazione della tragedia Aiace, nel 1811, fu un fiasco solenne. Peraltro le autorità francesi, giudicandola polemica, seppure in maniera allusiva, nei riguardi di Napoleone, decisero di vietarla.

Il Foscolo, invitato ad allontanarsi da Milano, si trasferisce a Firenze, iniziando a lavorare alle Grazie, dedicate al Canova. Le idee pessimiste sul piano politico e fataliste su quello filosofico dominano in questi anni: la sua poetica infatti tende a rifugiarsi nella mitologia classica. Il poema, di complessa allegoria e di gusto neoclassico, resterà incompiuta e sarà pubblicata postuma. Qui frequenta il salotto della contessa d'Albany, compagna dell'Alfieri, e conosce Quirina Mocenni Magiotti che lo sosterrà, seppur lontana, sino alla morte.

Nel 1813 lavora alla tragedia Ricciarda, che verrà vietata a Milano dalla censura. Pubblica anche una sorta di autobiografia anti-Ortis, Notizia intorno a Didimo Chierico.

Ritorna a Milano quando, dopo la disfatta di Napoleone a Lipsia, gli austriaci invadono la Lombardia. Riammesso nei ranghi dell'esercito, combatte nelle file dei francesi, sperando che si costituisca al più presto un regno italiano. Ma la caduta di Napoleone gli fa vivere gli anni 1814-16 con molta incertezza. Un tumulto popolare della città aveva portato all'eccidio del ministro napoleonico Prina. Foscolo sperò di compiere un pronunciamento militare autonomista, ma viene fermato dal generale d'Eckhard a Bologna.

Gli austriaci occupano di nuovo Milano, promettendo "liberi istituti". Il maresciallo imperialregio Bellegarde e il conte di Ficquelmont gli propongono la direzione d'un nuovo giornale letterario a sfondo politico, fondato su principi liberali, ma poiché si rende conto che le autorità tentano di fare di lui uno strumento del nuovo regime (la condizione infatti è quella di dover prestare giuramento all'Austria), egli decide di fuggire senza passaporto da Milano, dandosi a volontario esilio in Svizzera (1815). Cattaneo dirà che in tal modo diede all'Italia una nuova istituzione: l'esilio volontario.

A Zurigo pubblica i Discorsi sulla servitù d'Italia, una storia del sonetto italiano e l'Hypercalypsis, una parodia polemica contro i letterati milanesi. Perseguitato dalla polizia austriaca, ripara a Londra nel 1816, dove viene accolto con interesse. Collabora come critico letterario a varie riviste e giornali (solo di recente si è scoperta la sua grandezza in questo settore letterario: notevoli infatti restano i saggi su Dante, Petrarca e sulla Letteratura italiana).

Nel 1822 ritrova la figlia Floriana, orfana e sola, e ne consuma avventatamente l'eredità di tremila sterline per ristrutturare il Digamma cottage sul Regent's Canal, e il Green cottage, che viene affidato al suo primo biografo, Giuseppe Pecchio, e al profugo Santorre di Santarosa. S'indebita per presto in maniera smisurata e, dopo aver composto le ultime opere su Dante e Boccaccio, muore in assoluta miseria nel 1827, assistito dalla figlia. Le sue ossa vengono traslate nel 1871 nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

IDEOLOGIA E POETICA

Sul piano politico, Foscolo mira a realizzare in Italia gli ideali di libertà, giustizia, uguaglianza della Rivoluzione francese. La delusione causata dal Trattato di Campoformio e l'atteggiamento autoritario dei francesi in Italia, lo portano a un cupo pessimismo ma anche alla convinzione che gli italiani devono realizzare una loro indipendenza politica. Rifiuta infatti di collaborare con gli austriaci, creando per così dire l'istituzione dell'esilio per motivi politici.

Sul piano filosofico, Foscolo aderisce alle idee del sensismo materialistico francese e ai valori laico-razionali dell'Illuminismo (di cui ad es. condivide l'ateismo). In lui tuttavia vi sono delle contraddizioni. La ragione ad es. lo porta a credere che la morte sia la fine di tutto, ma il movimento della materia che tutto trasforma lo angoscia: a questo preferisce opporre la sua "religione delle illusioni". L'illusione è quella componente irrazionale della natura umana che si ostina a credere in quei valori o ideali che non trovano alcuna realizzazione nella vita quotidiana. Ad es. i morti non rivivono, ma l'illusione della loro immortalità può ispirare i vivi a compiere grandi imprese.

La Poesia viene considerata come lo strumento migliore per esprimere queste illusioni. Nel Sepolcri l'illusione è l'elemento che permette all'uomo di continuare a vivere una vita che altrimenti sarebbe priva di significato. Nelle Grazie (che si ispirano al gruppo marmoreo dello scultore Antonio Canova), l'illusione si trasforma in mito e in contemplazione della bellezza (Venere), dell'ingegno (Vesta) e della virtù (Pallade) come fonte di civiltà.

Nei Sepolcri, che sono un carme, il verso è sciolto e la rima (non ovviamente la musicalità) è stata soppressa.

IL CARME DEI SEPOLCRI

A Londra il Foscolo indicò il motivo occasionale dei Sepolcri: la notizia che sarebbe stato esteso anche al Regno Italico l'editto napoleonico di Saint-Cloud, emanato nel 1804. Sulla base di princìpi igienici ed egualitari, esso vietava le sepolture nelle chiese e in città, prescrivendo che fossero collocate in appositi cimiteri extraurbani e che tutte avessero lapidi di uguale grandezza con brevi epigrafi sottoposte al controllo di una commissione di magistrati locali. L'editto (che correggeva, in parte, la normativa giacobina sulle fosse comuni) fu esteso all'Italia nel 1806, quando i Sepolcri erano ormai conclusi.

Il Foscolo aveva discusso l'editto a Venezia con I. Pindemonte, il quale, con scrupolo religioso, difendeva il culto cristiano delle tombe. Foscolo invece aveva assunto l'atteggiamento del filosofo indifferente. Ma poi pensò che il decreto negasse la funzione civile delle tombe, i sacri diritti dei morti e una fonte sicura d'ispirazione alla poesia.

La poesia, infatti, per il Foscolo ha anche una funzione civile, secondo la lezione di Dante, del Petrarca delle canzoni patriottiche, del Parini e dell'Alfieri. La poesia deve cantare i fatti gloriosi degli eroi, suscitando sentimenti di grandezza e di valori negli uomini.

Lo stesso Foscolo considerò i sepolcri politicamente: gli italiani dovevano essere indotti a seguire l'esempio delle nazioni che onorano la memoria degli uomini illustri (in primis l'Inghilterra). Quindi il culto delle tombe doveva doveva dar vita al risorgimento politico della patria.

SCHEMA LOGICO

  • Le tombe non giovano ai morti, perché non restituiscono la vita. L'aldilà non esiste. (vv. 1-22)
  • Le tombe sono utili ai vivi, perché alimentano la consolante illusione che anche dopo la loro morte potranno comunicare con chi avrà raccolto l'eredità dei loro affetti (Corrispondenza d'amorosi sensi. Religione delle illusioni). La tomba è necessaria alla coscienza collettiva. Non se ne cura solo chi non merita d'essere ricordato. (vv. 23-50)
  • Prescrivendo il livellamento delle sepolture, il decreto offende il senso comune della giustizia, che vuole distinti, anche dopo la morte, le persone di valore da quelle comuni. Per l'iniquità di quel decreto, il Parini non aveva un proprio sepolcro. (vv. 51-90)
  • La religione del sepolcro è stata praticata da tutti i popoli civili. Gli inglesi hanno ripreso l'antica tradizione di collocare i morti in cimiteri-giardini per agevolare il contatto coi vivi. Naturalmente ciò è possibile solo in quelle nazioni sensibili agli ideali della vita civile. Il Foscolo chiedeva di avere una propria tomba adeguata. (vv. 91-150)
  • Naturalmente i monumenti funebri dei grandi personaggi suscitano sentimenti profondi solo a chi si sente degno di loro. Gli italiani, in questo senso, dovrebbero andare a meditare sulle tombe di Machiavelli, Michelangelo, Galilei e Alfieri, in Santa Croce a Firenze, per trovare la forza di far rinascere la patria. Così come gli antichi eroi greci dell'Iliade poterono ispirare alla vittoria i greci contro i persiani. (vv. 151-212)
  • La tomba può anche promuovere azioni riparatrici a favore dei morti che in vita patirono ingiustizie (come p.es. Aiace, che, essendo il più valoroso, avrebbe dovuto ereditare le armi di Achille, ma che Ulisse con l'astuzia gli sottrasse. Secondo il mito, quelle armi il mare le tolse alla nave di Ulisse e le riportò sulla tomba di Aiace). In ogni caso la funzione principale della tomba è quella di ispirare la poesia (p.es. sul sepolcro di Ilo, fondatore di Troia, Omero trasse l'ispirazione dell'Iliade, con cui saranno per sempre ricordati il coraggio dei soldati greci e l'eroismo del troiano Ettore, caduto per la sua patria).

Messaggio civile dei Sepolcri

Questo carme è conforme ai modelli dei grandi lirici greci (in primis Omero). I valori morali e civili ch'esso esprime sono i seguenti:

  • Amicizia, verso Pindemonte (amore comune per la poesia), verso i morti (corrispondenza d'amorosi sensi), verso la natura (alberi, fiori, stelle che tengono compagnia al morto).
  • Amore, nel voto supremo di Elettra a Giove, nella donna innamorata che prega sulla tomba, nello spirito animatore del canto di Petrarca.
  • Bellezza, nella natura, nei cimiteri-giardini del rito pagano e inglese, nel paesaggio di Firenze, nel mare, nella donna (Elettra).
  • Affetti familiari, nelle urne confortate di pianto, nelle fanciulle inglesi che visitano la tomba della madre, in Cassandra che guida i giovani nipoti alle tombe degli avi e predice al fratello Ettore la morte sul campo e la gloria eterna.
  • Onestà civile, nel desiderio di compiere egregie cose (come il Parini) e nel rifiutare l'atteggiamento dei ricchi borghesi e nobili del Regno Italico (specie quelli di Milano).
  • Culto delle grandi memorie: a partire dal 150° verso i sepolcri hanno un valore oggettivo, in quanto garanzia delle tradizioni della patria. Fino al 150° verso le tombe erano viste solo come valore soggettivo di sostegno all'illusione del singolo di poter sopravvivere alla morte nel ricordo di parenti e amici.
  • Patriottismo. Il Foscolo associa alla religione della patria quella dell'eroismo sublimato nel sacrificio. Qui non c'è l'odio nazionale dell'Alfieri. Ettore, che muore per salvare la patria (anche se non vi riesce) non è meno valoroso degli eroi greci che la conquistarono.
  • Poesia. E' l'illusione per eccellenza, poiché solo con essa si può affermare l'eternità sulla morte del sepolcro. Senza la poesia, la voce della tomba non uscirebbe dall'ambito degli affetti privati.

P.S. Il carme è romantico nel contenuto (perché legato all'umanità dell'Ortis e dei Sonetti (a differenza delle Grazie) e classico nel linguaggio, benché l'endecasillabo sciolto superi qui quello tradizionale usato dal neoclassicismo.

La crisi politica del Foscolo

C'è una contraddizione insanabile nel Foscolo, tra poesia e politica. I sonetti maggiori rappresentano la maturità esistenziale e stilistica, ma anche la profonda crisi degli ideali politici.

In questi sonetti i temi dominanti sono il nonsenso della vita, il desiderio della morte, la nostalgia del passato, l'oblio... Il tutto come frutto dell'accentuato individualismo del poeta. Egli infatti, come politico, tende a riporre più fiducia nei sovrani illuminati o nella figura di Napoleone che non nelle masse e negli intellettuali italiani.

Il Foscolo entra in crisi esistenziale quando gli ideali politico-democratici subiscono lo smacco del Trattato di Campoformio, con cui Napoleone cede il Veneto all'Austria. L'esilio lo angoscia profondamente.

Da questa situazione egli si risolleva attenuando l'esigenza politica. Tuttavia, la riflessione autocritica viene fatta nell'ambito della mera soggettività, coll'intenzione di rinunciare a quegli ideali o per lo meno alla loro realizzazione nel breve periodo.

I sonetti maggiori, in questo senso, sembrano non avere speranze per il futuro. Essi non solo chiudono un capitolo dell'impegno politico del Foscolo (quello soggetto alle illusioni riformatrici dall'alto), ma non lasciano spazio alcuno a una possibile ripresa, più realista e disincantata, di quell'impegno. La delusione cioè viene avvertita in maniera così traumatica che nella produzione letteraria successiva ai Sonetti, il Foscolo, sul piano tematico, e nel migliore dei casi, non farà che ripetersi.

IL FOSCOLO E IL TEMA DEL SUICIDIO

I Sonetti sono stati scritti dal Foscolo quasi nello stesso periodo dell'Ortis (1798-1802), anche se questo fu dato alle stampe in tre versioni diverse (la prima nel 1798, rimasta interrotta alla lettera XLV; la seconda nel 1801, fatta completare dallo stampatore Marsigli a un certo A. Sassoli, a insaputa del Foscolo, che infatti andò su tutte le furie, pretendendo una nuova edizione nel 1802. Curiosamente, pur sapendo l'effetto deleterio che l'opera aveva sulla gioventù italiana, l'autore provvide ad altre ristampe nel 1816 a Zurigo e l'anno dopo a Londra); quelli invece (i 12 Sonetti) furono editi nel 1803 e il loro tema dominante resta sempre il suicidio, come nell'Ortis, con la differenza che qui la passione amorosa s'intreccia con quella politica, mentre nei Sonetti quella politica è intrisa di elementi esistenziali.

Nel 1803 il Foscolo aveva solo 25 anni e, ci si può chiedere, se davvero possa essere plausibile che volesse farla finita con la propria esistenza, ovvero che sia realistico, come vuole la critica, ch'egli abbia rinunciato al gesto estremo in virtù della cosiddetta "religione delle illusioni". E' difficile infatti credere che il Trattato di Campoformio, che pur era stato un vero e proprio tradimento di Napoleone nei confronti e di Venezia e degli italiani, avesse potuto produrre nell'animo del giovane Foscolo uno sconvolgimento di portata così emotiva da indurlo a perorare la causa "politica" dell'autoimmolazione.

Nel 1803 egli era ancora militare al servizio dell'imperatore francese: era anzi già diventato capitano. Nonostante quel trattato, era rimasto a combattere contro gli austriaci e si apprestava a farlo, partendo dalla Francia, contro gli inglesi. Parlava di suicidio nelle Lettere dell'Ortis e nei Sonetti ma in realtà non aveva alcuna intenzione di farlo e non è certo stata la religione necrofila dei Sepolcri, scritti quattro anni dopo, a distoglierlo da questo. Lui poteva anche addebitare a Napoleone la causa principale della propria depressione, ma la realtà era che avrebbe voluto emergere come intellettuale riconosciuto a livello nazionale e finché restava nell'esercito francese (in cui s'era arruolato per necessità) si sentiva tagliato fuori.

Nelle battaglie che lo videro protagonista, Foscolo forse cercò una morte da eroe per riscattare una vita precaria, certamente non confacente a uno che aveva avuto origini patrizie, ma rimase soltanto ferito varie volte, agli esordi della sua carriera militare.

Quando compose i Sonetti al massimo poteva sentirsi avvilito, poiché, essendo un militare al soldo dei francesi, gli era impossibile rimettere piede a Venezia per rivedere la madre e i fratelli. Ma non poteva certo essere questo un motivo sufficiente per "cantare la morte" nelle sue maggiori opere letterarie. Il tema stesso dell'esilio, ben visibile nel sonetto dedicato al fratello Giovanni (1801), suicidatosi per non dover affrontare il tribunale militare che lo avrebbe espulso dall'esercito per i suoi furti indotti dai debiti di gioco, viene svolto in maniera forzata. Quando scrive i Sonetti, egli non aveva ancora scelto la strada dell'esilio per motivi politici. Semplicemente non poteva entrare a Venezia perché stava combattendo dalla parte dei francesi. Da notare, en passant, che anche l'altro fratello, Giulio, che la madre gli aveva mandato per fargli fare la carriera militare, finirà suicida in Ungheria nel 1838.

E' esagerato parlare di "tema dell'esilio" nei Sonetti: piuttosto è lui che si vuol dare dei temi artificiosi come motivazione all'agire. Anzi, nonostante il tradimento di Campoformio, Foscolo doveva aver capito che non tutto era perduto, proprio perché Napoleone non considerava chiusa la sua partita con gli austriaci. O forse stava scrivendo dei testi in parte antifrancesi (l'Ortis, l'ode a Bonaparte liberatore, il Discorso al generale Championnet, l'Orazione pei Comizi di Lione) proprio per farsi espellere dall'esercito. Già dalla metà del 1801 si lamentava di non ricevere regolarmente la paga militare, e anzi aveva inviato al Ministro una lettera in cui presentava le dimissioni, che però erano state respinte.

Da un lato aveva capito che Napoleone sembrava più disposto a fare dell'Italia una colonia della Francia e non una nazione libera e indipendente, anche se i francesi avevano permesso alla borghesia italiana di svilupparsi grazie alla vendita all'asta dei beni ecclesiastici requisiti. Dall'altro però, probabilmente perché non vedeva serie alternative all'orizzonte, aveva accettato, nel 1804, il grado di capitano di fanteria al servizio della Repubblica Italiana, e aveva quindi ottenuto di seguire l'armata anti-inglese che si radunava a Valenciennes, e nella Francia del nord visse fino al 1806. A Valenciennes conobbe una inglese, Lady Fanny Hamilton, da cui ebbe la figlia Mary (Floriana), che rivedrà dopo molti anni in Inghilterra e che sarà il conforto dei suoi ultimi anni.

Insomma i Sonetti sono sì stati scritti in un momento di sconforto, di debolezza esistenziale, in cui l'autore sembra desiderare di voler morire, ma si ha l'impressione che si tratti soltanto di un atteggiamento di maniera, che era quello che poteva servirgli per indurre i suoi superiori di grado a liberarsi di lui, mettendolo a riposo, eventualmente con una buonuscita per i servizi resi.

Il vero desiderio che aveva era quello di gloria, di successo personale, nella consapevolezza dei propri meriti letterari: ed era cosa difficile da ottenere continuando a fare il militare. L'occasione finalmente gli venne dal fatto che nel 1806, fallito il progetto di Napoleone dell'invasione inglese, egli poté fare ritorno a Milano (da civile poté addirittura rivedere a Venezia i familiari). Infatti era stato sollevato dagli incarichi militari dal generale e ministro Caffarelli.

Fu così che nel 1807 poté pubblicare i Sepolcri con cui sperava d'ottenere, grazie anche al resto già stampato, una cattedra universitaria. Si candidò a quella di eloquenza dell'Università di Pavia, che si era resa vacante dopo gli incarichi tenuti da Vincenzo Monti e Luigi Cerretti. La ottenne il 18 marzo 1808 dal Governo del Vicerè. Qui pronunciò la sua celebre orazione inaugurale, Dell'origine e dell'ufficio della letteratura, ma tenne poche lezioni, poiché la cattedra venne subito dopo soppressa da Napoleone, ormai divenuto sospettoso di ogni libero pensiero.

Ecco, se a questo si aggiunge la clamorosa rottura col Monti, che gli fece sabotare la rappresentazione dell'Aiace (1811), peraltro vietata dalla censura per le allusioni antifrancesi che conteneva, forse si potrebbe ancora parlare di una qualche vaga tendenza al suicidio, ma in maniera molto relativa, poiché il Foscolo aveva continuamente l'abitudine a farsi compatire, ch'era poi anche la tattica che usava con le tante donne facoltose incontrate nella sua vita e che spesso lo tolsero da guai di tipo economico.

A 34 anni fu costretto ad allontanarsi da Milano, ma l'anno dopo, sconfitto Napoleone a Lipsia (1813), vi fece ritorno, riprendendo il suo grado nell'esercito comandato dal generale francese Beauharnais (ch'egli avrebbe voluto re del regno italico), ma con l'arrivo in città degli austriaci nel 1814 egli si rese conto che la sua speranza di una futura Italia indipendente era vana.

E tuttavia era così lontano dall'idea di suicidarsi che accettò persino di collaborare col nuovo governo austriaco quando il governatore Bellegarde gli offrì di dirigere una rivista letteraria, la futura "Biblioteca italiana". Foscolo stese il programma della rivista e soltanto quando intervenne l'obbligo di giuramento al nuovo regime decise di lasciare l'Italia per la Svizzera (1815), dove pubblicò varie cose prima di recarsi definitivamente a Londra.

Insomma se anche il Foscolo pensò qualche volta al suicidio, lo fece sempre in maniera molto superficiale. Anzi, persino nella capitale inglese volle condurre un'esistenza al disopra delle sue possibilità, dopo aver sottratto alla figlia Floriana, minata da etisia, un gruzzolo di tremila sterline ereditate da una nonna. Con quel denaro egli volle costruirsi un elegante villino, i cui costi però lievitarono così tanto che alla fine si vide costretto a vendere tutto e a finire persino in carcere.

Quando Santorre di Santarosa nel 1824 andò a trovarlo, non riuscì neppure a rintracciarlo, inseguito com'era anche dai creditori di avventate speculazioni finanziarie. Gli ultimi anni della sua vita furono particolarmente penosi, come se lo "spirto guerrier ch'entro di lui ruggiva" non fosse stato altro che una squallida forma di egocentrismo.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019