L’impeto di André Malraux

L’impeto di André Malraux

L’arte non è una sottomissione ma una conquista

I - II

Dario Lodi


La frase sopra riportata rivela il temperamento di André Malraux (1901-1976). Come ministro gollista della Cultura, Malraux diede ampio spazio alle arti figurative, contribuendo alla canonizzazione definitiva di Picasso, Matisse, Braque, Giacometti, Masson e molti altri. Era il 1969, si respirava ancora l’aria rivoluzionaria del ‘’68. I comuni francesi furono investiti dall’impeto artistico di Malraux e vi si adeguarono: non si sa con quale entusiasmo, ma certo si diedero da fare.

Ci si chiederà come mai il nostro personaggio, come ministro non favorì la letteratura, ma si corre troppo. Malraux aveva preparato un vasto programma nel quale la cultura avrebbe avuto finalmente una parte importante nel sistema. Più semplice partire prima con le arti figurative perché più comprensibili al grande pubblico. Malizia vuole, però, che tale scelta sia sta dettata anche dalla volontà di apparire. E’ innegabile, infatti, che Malraux fosse molto ambizioso e avesse una grande considerazione di se stesso. Guarda caso, una copia del suo punto massimo di riferimento, il generale De Gaulle.

Alla letteratura Malraux non ha dato moltissimo. Fra i titoli, due sembrano l’inizio e la fine del suo pensiero, ma a ruoli scambiati. La spiegazione sta nel condizionamento storico, un po’ grossolanamente metaforizzato. Uno, La condizione umana, ha un titolo molto indovinato. Porta la data del 1933 (premio Goncourt) e si riferisce a un tentativo rivoluzionario a Shangai: fallirà e la morte avrà ragione di tutti. Malraux pretende di ammettere, qui, che il destino umano è irrimediabilmente oscuro.

La pretesa dello scrittore francese funziona perché è esposta in un modo che non ammette repliche. E’ come imposta. La metafora viene usata con notevole abilità dialettica, e regge, pur se si tratta di una tenuta garantita da qualcosa di fisico che a parole ben si adatta all’operazione. La teoria di Malraux riesce affascinante, ma dà l’impressione di contenere qualcosa di forzato, di voluto che alla fine non va a favore di questa filosofia che vuole l’uomo soccombere sempre e comunque. Il nichilismo non cerca agganci forti.

Malraux non era sicuramente un nichilista. La filosofia pesantemente adombrata nel suo romanzo più famoso viene ribaltata nella susseguente opera, del 1937, intitolata “La speranza”. Essa, ambientata in Spagna nel corso della Guerra civile, si appoggia a un’idea di palingenesi (Malraux era contro Franco, contro la dittatura) per cui l’uomo, pur in una situazione disperata, può sperare in una salvezza se fa capo alle proprie risorse fisiche e mentali.

I due romanzi capitali dello scrittore francese si contraddicono. Malraux non va oltre la superficie delle cose: è una sua scelta, dettata dall’emotività del momento. E un’emotività molto ben rappresentata e molto ben argomentata che fa di Malraux un autore interessante, suggestivo, accattivante. La sua prosa è determinata, va subito al sodo, non ammette repliche.

Il Nostro era uomo d’azione, ovvero di azioni. Il principio dirigistico gli veniva da un attivismo non comune e talvolta disinvolto. Da giovane aveva avuto problemi con la giustizia in quanto, essendo in Cambogia, aveva tentato di rubare reperti archeologici, estraendoli dal tempio Banteay Srei di Angkor Wat, per rivenderli. Fu condannato a tre anni di prigione, in parte condonati grazie alle pressioni d’intellettuali francesi, Mauriac, Gide, Breton ecc..

Più sensibile alle questioni civili pratiche, Malraux fu partigiano nel 1943, nel 1944 fu ferito e catturato dai tedeschi, quindi liberato dagli americani a Tolosa. Nella resistenza, approfondì il concetto di fratellanza e umanità, concetto che divenne il suo cavallo di battaglia sino alla fine dei suoi giorni.

Impegnato in politica, riuscì a farsi valere anche con personalità quali De Gaulle e Pompidou. Sognava una Francia egemone in campo artistico e culturale e quindi un’umanità unita sotto la guida dell’intelletto. La sua opera letteraria va vista come proposito costruttivo un’umanità nuova: sotto sotto, Malraux indica la via della solidarietà fra gli uomini quale autentico rimedio alla difficoltà di vivere. Non era adatto, lo scrittore francese, alle sofisticherie intellettuali che gli vengono spesso attribuite. Era contrario alle elaborazioni filosofiche (per quanto si sentisse tagliato ad affrontarle), preferiva “menare le mani”, trasformare le esigenze dello spirito in concretezze da manipolare secondo un’intelligenza, per così dire, fisica che intuiva piuttosto efficiente.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019