BIOGRAFIA DI PUŠKIN


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Aleksàndr Sergéevič Puškin nasce il 26 maggio 1799 a Mosca, da una famiglia di proprietari terrieri. Da parte di padre apparteneva a un antico ceppo aristocratico che, dalla fine del sec. XVII, aveva cominciato a prestare servizio presso la corte degli zar moscoviti.

Sia il padre che lo zio erano appassionati lettori di opere classiche, modesti autori di versi e conoscitori della lingua e letteratura francese. Lo zio era anche un seguace del circolo letterario pietroburghese "Arzamas", che difendeva gli scrittori Karamzin e Žukovskij dagli attacchi di un altro circolo, "Colloqui dei cultori della parola russa", che rappresentava la cultura russa arcaica, dal linguaggio antiquato.

Tropinin, Puskin, 1827

A quei tempi la letteratura era poco più di un piacevole ozio dopo gli affari domestici e sarà proprio Puškin a conferirle una grandissima dignità nazionale.

Secondo il costume in vigore nelle classi agiate, il giovane Puškin ebbe precettori francesi, che gli insegnarono a leggere e scrivere in francese meglio che in russo; questa seconda lingua l'apprese dalla nonna materna, da un precettore di origine tedesca (il tedesco si rifiutò sempre di studiarlo, pentendosene poi in età matura) e successivamente al liceo. Ma soprattutto lo appassionò alla lingua russa la governante Arina Rodionovna, che con le sue storie gli fece conoscere la profonda ricchezza di questa lingua negli ambienti popolari, al punto che alcune delle opere migliori di Puškin provengono proprio, come fonte ispiratrice, dalle favole che ascoltava: p.es. la ballata Lo sposo, ispirata a una leggenda in cui una fanciulla, smarritasi nel bosco, trovò scampo in un rifugio di banditi, assistendo, di nascosta, alle loro imprese e scoprendo che il suo promesso sposo altri non era che il capo della banda).

Tuttavia, più che i suoi avi di origine paterna, Puškin ricorda, nelle sue opere, quelli di origine materna: gli Annibal, una dinastia il cui fondatore fu un abissino colto e intelligente, figlio di un principe e che diverrà un valente ingegnere dello zar Pietro il Grande. L'ambasciatore russo a Costantinopoli - scrisse lo stesso Puškin nella Genealogia dei Puškin e degli Annibal e nel romanzo incompiuto Il negro di Pietro il Grande - era riuscito a sottrarlo al serraglio e a mandarlo allo zar, il quale, nel 1707, lo battezzò dandogli il cognome di Annibal e impedendo al fratello maggiore di riscattarlo.

Annibal ebbe due figli, di cui il maggiore, durante il regno di Caterina II, partecipò con valore alla prima guerra turca, imbarcato sulla flotta di stanza nel Mediterraneo. Il minore invece fu il nonno di Puškin, dal quale questi ereditò i tratti del viso, il colorito bruno e i capelli crespi, connotati che lo stesso Puškin metteva in evidenza in autoritratti e autocaricature.

All'età di 12 anni, il giovanissimo Puškin (1811-1817) entra nel liceo per nobili di Carskoe-Selò, vicino a Michajlovskoe, nel governatorato di Pskoe, dove i Puškin avevano una proprietà. Tuttavia, sia gli studi nella casa paterna che quelli scolastici non furono contrassegnati da particolari successi, a motivo della sua pigrizia e del suo disinteresse per le materie scolastiche, anche se nel corso del periodo liceale si appassionò moltissimo di letteratura francese, specialmente di Molière, che assimilava velocemente grazie alla sua prodigiosa memoria.

Poi gli piaceva la storia universale e cominciò a comporre versi poetici (in russo verso il 1814: la sua prima poesia, All'amico versificatore, fu pubblicata in una rivista di Mosca, dopodiché i suoi versi cominciarono ad attrarre l'attenzione per la freschezza del linguaggio).

Terminato il liceo, Puškin entrò come segretario al Ministero degli Esteri, a Pietroburgo, dove durante quegli anni scolastici i suoi genitori si erano trasferiti, passando però l'estate a Michajlovskoe.

A Pietroburgo aderisce all'associazione culturale "Arzamas" e nel 1819 scrive il primo dei suoi grandi poemi: Ruslan e Ljudmila, che per la straordinaria leggerezza del verso e la bellezza della lingua, lo rese immediatamente famoso. La storia che vi si racconta parla dell'antico eroe russo Ruslan, che cerca la sua promessa sposa Ljudmila, rapita dal mago Černomor. Nel complesso domina una limpida ironia di tipo volterriano. Ma non dimentichiamo ch'egli aveva studiato assiduamente anche Byron, Shakespeare e Goethe.

Attratto dalle idee di libertà e di riforma in senso borghese-costituzionale dello Stato, espresse dai decabristi, comincia a scrivere poesie serie e satiriche, che criticano il regime autocratico. In particolare non piacciono gli epigrammi contro lo zar Alessandro I e contro Arakceev, che dirigeva il governo in luogo dello zar, troppo occupato a reprimere i moti rivoluzionari in Europa.

Viene quindi confinato nella lontana Ekaterinoslav (Dnepropetrovsk). Qui contrae una malattia per curare la quale deve usare le acque termali del Caucaso: intanto scrive, suggestionato dalle bellezze della catena montuosa e sotto l'influenza di Byron, allora molto famoso in Europa, Il prigioniero del Caucaso.

Fu ospite della famiglia Raevskij. Seguì poi i Raevskij in un viaggio in Crimea (dove scrive La fontana di Bachčisaraj) e nel Caucaso, ma alla fine del 1820 dovette raggiungere la nuova sede di Kišinëv (Moldavia). Vi restò fino al 1823, quando ottenne il trasferimento a Odessa.

A Kišinëv compone e distrugge l'opera I fratelli masnadieri (è rimasto solo un brano, salvatosi per caso grazie a un suo amico), che si ispirava alla vera fuga di due galeotti incatenati, che riuscirono ad attraversare un fiume.

Della metà del 1822 è il poema Gli zingari, che descrive con particolare acume la vita nomade di questo popolo. Intanto inizia a scrivere l'Eugenio Onegin, che lo terrà impegnato per ben sette anni e che resta il suo principale capolavoro.

Alla fine degli anni '20 può raggiungere un suo amico che organizzava riunioni in una società segreta. Presenta due volte le dimissioni dall'incarico amministrativo che aveva, ma lo zar gliele respinge. Una lettera del 1823, in cui esprimeva idee favorevoli all'ateismo, lo tradisce. Sicché dopo i quattro anni di confino già scontati, per altri due viene esiliato nella sua residenza di Michajlovskoe, in isolamento quasi completo, dopo essere stato licenziato dalla burocrazia imperiale.

Ma la fama di Puškin, nonostante la forzata segregazione, aumentava di continuo: quando poi compone a Michajlovskoe alcuni capitoli dell'Onegin e il Boris Godunov letteralmente esplode. Quest'ultimo, in cui si sente l'influenza di Shakespeare e che viene dedicato a Karamzin, gli dà una fama eccezionale prima ancora d'essere pubblicato (lo sarà solo nel 1831), tanto che nel settembre 1826 gli viene permesso di tornare a Pietroburgo, anche se lo zar in persona vorrà preventivamente sottoporlo a una sorta di "test di fedeltà", obbligandolo a mettere per iscritto ciò che pensava a proposito dell'educazione della gioventù. Non dimentichiamo che quella era l'epoca della condanna a morte di molti decabristi.

A Pietroburgo riprende il suo posto in società, ma con un grado assai inferiore al suo rango. E' riammesso anche al Ministero degli Esteri, ma ogni suo scritto è sottoposto a una doppia censura: quella ufficiale e quella esercitata da un incaricato dello zar. Inevitabilmente l'essere sceso a compromessi con il potere gli aliena l'entusiasmo dei giovani.

Nel 1828, in meno di un mese, scrive il poema Poltava, ispirato alla lotta tra Pietro il Grande e Carlo XII. L'anno prima aveva iniziato il romanzo Il negro di Pietro il Grande, il cui protagonista doveva essere il suo antenato Annibal, ma che rimase incompiuto. Nel frattempo stava cominciando a raccogliere materiali per una storia di Pietro il Grande.

Nel 1829 chiede il permesso di seguire, senza potervisi arruolare, l'esercito russo nella vittoriosa spedizione antiturca contro la Persia: scrive nell'occasione Il viaggio ad Arzerum, città di cui vede la conquista.

Nell'autunno del 1830 conclude il romanzo in versi Evgenij Onegin, ch'era stato pubblicato a capitoli a partire dal 1824. Suscitò un incredibile entusiasmo: nessuno prima di lui aveva descritto così bene i costumi della società russa. Gli argomenti trattati erano così tanti che l'opera fu definita una sorta di "enciclopedia della vita russa".

La stesura definitiva del romanzo avviene nel villaggio di Boldino (governatorato di Nižnij Novgorod), ove scrive anche importantissime opere come Il cavaliere avaro (sui costumi medievali), Il convitato di pietra (sugli antichi costumi spagnoli), Il festino durante la peste, Mozart e Salieri, Le novelle di Belkin, Scene dei tempi cavallereschi...

Ai primi del '31 gli muore l'amico più caro, sin dai tempi del liceo: Delvig, poeta anche lui. Nel febbraio dello stesso anno sposa, dopo molte esitazioni, Natalja Gončarova, un'aristocratica abituata agli agi e alla vita mondana di corte. Quand'egli la conobbe, era corteggiata da un nobile francese al servizio dello zar, tale barone Dantès, di cui Puškin era geloso.

La gelosia sembrò attenuarsi quando, forse per far cessare le chiacchiere dei salotti, il barone chiese e ottenne la mano della sorella della Gončarova. Intanto nel 1831 nasce la prima di quattro figli.

Nel 1833 Puškin inizia a scrivere La figlia del capitano, altro capolavoro che ci riporta all'epoca della rivolta di Pugaciov. Ma la vendita di questi libri non sono sufficienti per mantenere la posizione economica cui la moglie e lui stesso erano abituati. Chiede allo zar di potersi ritirare in campagna per risparmiare. Il permesso gli viene negato, ma lo zar gli concede un prestito statale, che Puškin cercherà invano di riscattare offrendo, in cambio del denaro, una sua proprietà.

Verso il 1835 ottiene il permesso di recarsi a Kazan, per documentarsi su Pugaciov, e ne approfitta per scrivere il Dubrovskij, in cui descrive il modo di vivere dei proprietari fondiari dei primi dell'Ottocento, L'Ondina, rimasto incompiuto, e Il cavaliere di bronzo, ispirato all'inondazione che colpì Pietroburgo nel 1824 (pubblicato postumo).

Le sue opere sono già abbondantemente diffuse in Polonia e in Boemia, e cominciano ad esserlo anche in Francia e in Inghilterra. La sua influenza si farà successivamente sentire sulla letteratura dell'Azerbajgian, della Georgia, dell'Armenia e dell'Ucraina. Nonostante questo non gli fu mai permesso di recarsi all'estero.

Il poeta sognò sempre di poter vagabondare a sua discrezione, ma non poté farlo al di fuori del suo paese. E' stato comunque calcolato ch'egli percorse, all'interno della Russia, ben 34.750 chilometri: una distanza elevata anche per un viaggiatore di professione, circa la lunghezza dell'equatore.

Nel 1833 fa nascere la rivista "Sovremennik" (Il contemporaneo) e nello stesso anno gli muore la madre. Nell'accompagnare la salma al monastero di Svjatye Gory, s'accorda col padre guardiano perché gli sia preparata una tomba accanto alla madre.

Il tragico epilogo della sua vita fu scatenato da una beffarda lettera anonima sui rapporti tra sua moglie e il barone Dantès. Puškin lo sfida alla pistola il 29 gennaio 1837 e dopo due giorni muore. Per i funerali l'imperatore stanziò 10.000 rubli. Alla vedova fu concessa una pensione vitalizia di 5.000 rubli, e ai figli 6.000. Per la pubblicazione delle sue opere furono assegnati 50.000 rubli.

Per onorare Puškin uno scrittore a lui contemporaneo, Mihail Lermontov, pubblicò un'ode, Sulla morte del poeta, in cui addebitava alla società del suo tempo il sacrificio del poeta e volle riprendere l'appello di Puškin a "infiammare con la parola i cuori degli uomini": per questo fu condannato all'esilio nel Caucaso, ove scrisse il suo romanzo più famoso: Un eroe del nostro tempo, che inaugurò la serie di capolavori del romanzo classico russo del XIX secolo. Anche lui a 27 anni morirà in un duello, in circostanze poco chiare.

Nel 1921 le organizzazioni scientifiche e letterarie di Pietrogrado presero la decisione di onorare ogni anno la memoria di Puškin. Tuttavia il poeta, che in tutta la sua vita aveva lottato contro la censura governativa, fu costretto a subirla anche dopo la sua morte: i suoi profetici versi venivano periodicamente stravolti dalle manipolazioni degli zar. Persino negli anni 1936-1949, allorché si volle pubblicare l'opera omnia in 17 volumi, si decise di omettere il cosiddetto "ciclo Barkov", scritto durante l'adolescenza. Oggi invece in Russia vengono pubblicati ogni anno oltre 300 studi su di lui. Nel 1999 è stato celebrato il bicentenario della sua nascita: la generale venerazione che i russi provano per lui non è eguali in questo paese.

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