L'OBIETTIVO TEORICO DI HAWKING

LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE


L'OBIETTIVO TEORICO DI HAWKING

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NASA StarChild image of Stephen Hawking

I

Se nell'universo non vi è nulla di statico, la scrittura, che è statica per definizione, non serve a nulla. Lo scorrere del tempo non può essere fissato da una definizione, tanto meno le scelte della libertà di coscienza. La scrittura è il tentativo illusorio (pretenzioso) di usare uno spazio limitato per circoscrivere astrattamente qualcosa di illimitato.

La scrittura può servire soltanto per denunciare una pretesa illusoria. Noi sappiamo p.es. che i vangeli sono falsi perché mistificano il messaggio del Cristo, ma lo sarebbero stati anche se non l'avessero mistificato. La scrittura infatti è la morte della dialettica, è la negazione del "qui ed ora", dell'attualismo.

Dalla scrittura non può nascere nulla di sicuro, nulla di definitivo, nulla di universalmente valido. Dopo aver scritto le sue famose tre Critiche, che lo videro impegnato quasi tutta la sua vita, nella convinzione d'aver prodotto qualcosa di assolutamente epocale, Kant fu smontato da Hegel in quattro e quattr'otto, al punto che qualunque ritorno al kantismo fu sempre giudicato dal marxismo come un'involuzione. Ma anche il più grande filosofo di tutti i tempi, Hegel appunto, venne fatto a pezzi dal giovane Marx. E Lenin non dimostrò forse di essere superiore a Marx sul piano politico?

Dunque nel migliore dei casi la scrittura può agire solo in negativo, denunciando le sue stesse contraddizioni, le sue stesse assurde pretese di esaustività. Dopodiché bisogna arrivare a un punto in cui è meglio dire "basta", come quando lo stesso Lenin disse che è meglio fare la rivoluzione che scriverci sopra, e lo disse nella consapevolezza dei gravi rischi che correva.

II

Quando S. Hawking scriveva, nel suo famosissimo libro, Dal big bang ai buchi neri (Rcs Milano 2006), che "una buona teoria scientifica deve soddisfare due richieste: descrivere con precisione una grande classe di osservazioni sulla base di un modello contenente solo qualche elemento arbitrario, e fare predizioni ben definite sui risultati di future osservazioni"(p. 23), inevitabilmente attribuiva molta più importanza alla teoria che non alla pratica.

Tuttavia la pratica non può mai essere circoscritta all'interno di definizioni teoriche. La cosa è così vera che gli elementi arbitrari possono avere più importanza di quelli convenzionali, tant'è che questo ha determinato il fiorire illimitato delle scoperte scientifiche. Il che però non sta affatto a significare che l'elemento arbitrario sia di per sé più significativo di quello convenzionale, unanimemente condiviso.

E' sciocco pensare di dover distruggere l'acquisito solo perché è emerso un fattore in controtendenza. Il metodo giusto è quello di esaminarlo in maniera obiettiva (onesta), senza pre-giudizi di sorta, senza voler difendere a tutti i costi il già dato. Le teorie, le scoperte, le invenzioni... bisogna metterle alla prova, verificarle con attenzione e molta pazienza. Vi è sempre un certo margine di rischio in cui la libertà ha diritto di mettersi in gioco.

In tal senso se davvero "il fine ultimo della scienza - come dice Hawking - è quello di fornire una singola teoria in grado di descrivere l'intero universo"(p. 24), bisogna anche aggiungere che una teoria del genere, se fosse messa per iscritto, sarebbe poverissima rispetto alla complessità dell'universo.

Una "teoria del tutto" avrebbe possibilità di sussistere solo se formulata in negativo, per dire cioè che cosa il tutto non è; oppure, se formulata in positivo, dovrebbe limitarsi a dire quali aspetti (pratici e cognitivi) e in quali modi possono contribuire a darci una percezione integrale del tutto, senza aver la preteso di definirlo. E' strano che uno scienziato come Hawking, che ha pretese metafisiche, non si sia reso conto che una qualunque definizione è anche una negazione.

III

Il "tutto" dell'universo è l'essere umano, che, come tale, è indefinibile. L'umanità dell'umano può solo essere vissuta, non può essere definita, a meno che appunto non si voglia dire, in negativo, che qualunque definizione è provvisoria, relativa, approssimativa per difetto.

Persino i teologi ortodossi dei primi concili ecumenici, quando combattevano le eresie, si astenevano dal dare definizioni catafatiche relativamente alla natura del Cristo: preferivano formulare enunciati apofatici, cioè in negativo, dicendo quel ch'essa non era, per essere più sicuri di non dire cose improprie, inesatte.

In effetti Hawking ha ragione quando dice che bisogna superare, in una teoria del tutto, la parcellizzazione del sapere scientifico, ma è altrettanto indubbio che il giorno in cui s'otterrà una teoria del genere, di tipo olistico, essa sarà molto diversa dal modo attuale di "fare scienza".

Oggi la teoria scientifica si basa sulla separazione tra teoria e pratica, il che ha comportato una subordinazione della scienza a interessi di mero profitto economico o di potere politico. Se si vuole eliminare la separazione, in nome di una ricomposizione organica del sapere, strumentale all'esserci, alla sua esperienza di vita, inevitabilmente la scientificità del sapere sarà molto diversa da quella attuale.

A noi occorrerà sapere soltanto quel che basta per essere noi stessi, in qualunque dimensione dell'universo si andrà a vivere (terrena o cosmica). Il sovrappiù andrà guardato con sospetto, anche perché per essere se stessi occorre che la natura resti incontaminata, essendo essa parte organica dell'universo.

Se per trasferirsi da un posto all'altro è sufficiente un asino o un cavallo, che sono elementi naturali, non si capisce perché si debba inventare il motore a scoppio. Il vero progresso scientifico deve essere compatibile con le esigenze riproduttive della natura, la quale è l'unica titolata a dettarci le condizioni irrinunciabili del nostro progresso. Per questo una qualunque civiltà basata anzitutto sull'industria è un'anomalia storica. Nell'universo, sul piano naturale, l'energia stellare è più che sufficiente per garantire qualsivoglia forma di vita e di azione.

IV

Hawking si rende conto della difficoltà di elaborare una teoria globale dell'universo, che pur pensa sarà una sintesi tra la relatività generale e la meccanica quantistica, cioè tra l'infinitamente grande (ordinato) e quello piccolo (disordinato).

Tuttavia egli mette la difficoltà unicamente in relazione alla complessità dell'oggetto da esaminare, e qui sbaglia. "Se ogni cosa nell'universo dipende in un modo fondamentale da ogni altra cosa, potrebbe essere impossibile approssimarsi a una soluzione completa investigando isolatamente le diverse parti del problema"(p. 25).

Infatti è proprio questo il punto: partendo dalle singole discipline non si arriverà mai all'insieme, proprio perché ogni branca del sapere s'è posta storicamente coll'intenzione di negare l'esistenza di un tutto.

La scienza moderna è nata negando il tutto teologico, ma con l'acqua sporca ha buttato via anche il bambino. Cioè invece di limitarsi a negare dio sostituendolo con l'uomo, ha frantumato l'uomo stesso, separandolo in tante parti tra loro incompatibili (manuale/intellettuale, possidente/nullatenente, sapiente/ignorante), dopodiché ha scelto quella più forte, allo scopo di dominare non solo quella più debole ma anche l'intera natura.

L'artificiale ha prevalso sul naturale e la devastazione ambientale (saccheggio delle risorse, uso violento dell'ambiente) ha portato la stessa umanità al limite della sopravvivenza.

La separazione dei saperi, che è un riflesso della più generale separazione tra teoria e pratica, a sua volta riflesso della ancora più generale separazione, nella pratica, tra individuo e collettivo, ci porterà inevitabilmente all'autodistruzione, poiché essa non ha alcun fondamento della natura.

Se vogliamo che nel cosmo micro e macro coincidano, dobbiamo sentirci parte di un tutto che ha delle regole da rispettare. Come potremo guardare in faccia le stelle se non sappiamo neppure gestire l'energia che è dentro di noi?

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Linguaggi
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Aggiornamento: 11/12/2018