Medio Evo. Storia delle piante medicinali

HERBIS NON VERBIS
STORIA DELLE PIANTE MEDICINALI


MEDIO EVO

Con la caduta dell'impero romano e le invasioni barbariche, le conoscenze scientifiche vengono conservate nei monasteri (codici di Cassino, Scuola di Tours, ecc.) o sviluppate dal mondo arabo, oppure ci si limita a far circolare i testi "pagani" più utili a un'operatività concreta, includente la manualità e che meglio si prestano alla diffusione di un sapere collettivo.

San Benedetto (480-543), nel fondare l'abbazia di Montecassino, stabilisce nelle sue regole che particolare riguardo andava dato agli studi dei farmaci. Più tardi Cassiodoro, nel cenobio di Scillace in Calabria, ordinava ai suoi monaci lo studio dei medicamenti. E nel 681 un vescovo di Milano, Benedetto Crispus, scrisse il Commentarium Medicinale.

Significativi, di questo periodo, sono il Libro degli alimenti e dei rimedi semplici di Isacco Giudeo (850-950 circa), in cui vengono descritti gli aspetti pratici e applicativi dei medicamenti e dei veleni conosciuti, nonché il famoso Canone (Quanun) di Avicenna (980-1037), che sicuramente influì sulla Scuola salernitana, la maggiore d'Europa..

Lo spirito di solidarietà dei gruppi, laici e religiosi, fa nascere tutta una rete assistenziale - case per pellegrini, ospedali, ospizi - dove si uniscono svariate funzioni più o meno legali di esperti in vari campi, che la popolazione accetta senza molti problemi.

A causa delle affinità linguistiche col greco, l'Italia meridionale è la prima ad essere interessata dal movimento di recupero e ritraduzione in termini d'uso degli scritti antichi. La stessa Scuola salernitana, ove le traduzioni dal greco e dall'arabo, grazie soprattutto a Costantino Africano, acquisirono un'importanza eccezionale, nacque in una città che sino all'arrivo dei Normanni ruotava attorno a un'area bizantina.

Nata come Accademia di medici, essa si ufficializzerà come Università nel 1050, dopo aver costituito, fra il VII e il IX sec., il tramite più vivo del suddetto movimento. Non fu l'unica, poiché altre scuole si trovano a Sangallo, Bobbio, Fulda, Lorsch, Reichenau...

Col Regimen sanitatis, raccolto dal catalano Arnoldo di Villanova, la Scuola, che diede il meglio di sé fino al XII secolo, divenne il maggior centro laico europeo di fusione delle culture greco-romana ed ebraico-araba. La leggenda narra che fu fondata da quattro maestri: l'ebreo Helinus, il greco Pontus, l'arabo Adela e il latino Salernus.

Ispirata dall'insegnamento di Ippocrate, fece proprio il principio olistico dell'armonia psico-fisica: "è bene guidare i sani", puntando quindi soprattutto su prevenzione e profilassi; il che voleva dire: evitare luoghi malsani, con aria impura, fare attenzione ai fattori climatici e igienici, svolgere attività fisica; in una parola: "mente allegra, riposo, una dieta moderata".

I medici salernitani potevano essere chirurghi a tutti gli effetti, tant'è che erano in grado di operare il cranio, e a loro si devono le prime suture di vasi sanguigni con filo di seta. Rilevante, in questa scuola, almeno agli inizi, l'importanza delle donne in fitoterapia, ginecologia, ostetrica, igiene e cosmesi, anche perché tutte le scuole medievali di medicina e le università ne escludevano la presenza. Sono note la principessa Stefania, di cui s'innamorò Ottone III, e soprattutto Trotula (1050), moglie del medico Giovanni Plateario: sua opera più conosciuta il De passionibus Mulierum Curandarum (Sulle malattie delle donne), divenuto successivamente famoso col nome di Trotula Major, quando venne pubblicato insieme al De Ornatu Mulierum (Sui cosmetici), un trattato sulle malattie della pelle e sulla loro cura, detto Trotula Minor (nel XIX secolo alcuni storici, tra cui il tedesco Karl Sudhoff, negarono la possibilità che una donna avesse potuto scrivere un'opera così importante e cancellarono la presenza di Trotula dalla storia della medicina. La sua esistenza fu però recuperata, con gli studi di fine Ottocento, dagli storici italiani per i quali l'autorità di Trotula e l'autenticità delle Mulieres Salernitanae sono sempre state incontestabili).

Il testo principale di questa scuola, scritta in versi leonini per facilitarne la memorizzazione, fu il De simplici medicina (Circa Instans), la più importante opera di botanica medicinale del Medioevo, scritta da Matteo Plateario. La versione più nota dell'opera è il rifacimento in francese ad opera di Robinet Testard (fine XV sec.).

E' una farmacopea descrittiva, priva di illustrazioni, che tratta singolarmente i rimedi di base, animali, minerali e soprattutto vegetali, con indicazioni relative all'origine geografica e alle proprietà farmacologiche. Le sue fonti sono il Dioscoride e il De Gradibus di Costantino l'Africano, a sua volta diventerà fonte per le grandi enciclopedie di Alberto Magno, Tommaso da Cantimpré e Vincenzo di Beauvais, al punto che nel 1422 la facoltà di Medicina di Parigi l'adottò come trattato ufficiale di erboristeria. La sua versione illustrata più antica è conservata nella British Library di Londra: per la prima volta, dalla fine dell'antichità, essa ripropone immagini botaniche ricche di osservazioni naturalistiche.

Alla Scuola salernitana, ove si realizzò il primo giardino botanico del mondo ad opera di Matteo Silvatico, si attribuiscono la scoperta di importanti erbe, nonché la ricerca di farmaci basati sulle virtù curative delle erbe. Esponenti più importanti: Gariopontus (Passionarius), l'arcivescovo Alfano I (De quator humoribus ex quibus constat humanum corpus), Nicolò Salernitano (Antidotarium), Matteo Plateario (Liber de simplici medicina), Cofone (Ars medendi).

Le Ordinationes di Federico II (1191-1250), emanate nel 1231-41, riprendendo e ampliando notevolmente precedenti disposizioni del sovrano normanno Ruggero II d'Altavilla, elevarono la Scuola al rango di Università, stabilirono un ruolo nettamente distinto per i due mestieri di medico e speziale, e inaugurarono sostanzialmente l'organizzazione farmaceutica in Europa.

Per evitare forme di ciarlataneria si pretese la figura di un medico laureato, il cui sapere scientifico doveva essere codificato e certificato, da potersi esercitare ovunque. Viene fissato l'ordine degli studi: un triennio di logica, affinché i medici imparino a ragionare prima che a curare, e un quinquennio di studi teorico-pratici di patologia, diagnostica, dietetica ecc., basati soprattutto su Ippocrate e Galeno. Federico II sancisce inoltre che la chirurgia, essendo parte della medicina, non può essere appresa senza la dissezione dei cadaveri.

L'aspirante medico doveva essere moralmente irreprensibile, vestire una tuta rossa con berretto nero, essere allievo di un medico anziano; quando era in grado di percepire l'onorario dai suoi pazienti, doveva stare molto attento a non compiere gravi errori, poiché poteva anche andare incontro a punizioni corporali.

Il farmacista doveva limitarsi a preparare le medicine secondo le regole stabilite in presenza del medico, senza frodi e sofisticazioni, e gli era del tutto proibita la vendita dei veleni. Il medico dettava a voce le ricette al farmacista, poi di persona portava i medicinali agli infermi.

La corporazione dei medici-speziali si separò quindi in due, le farmacie diventavano in un certo senso "statali" (con tanto di licenza, di regolamenti per l'apertura, la chiusura, i prezzi), e le loro complicate preparazioni, certamente non economiche, venivano vendute in tutta Europa.

Nell'ambito di questa Scuola, che rimase attiva sino al decreto di chiusura di Gioacchino Murat, nel 1811, Nicolao Preposito, nel 1240, elaborò, basandosi largamente sulla medicina araba, l'Antidotarium, la prima farmacopea ufficiale, ove si elencano i complessi metodi di preparazione dei medicamenti. L'aveva pretesa Federico II come codice per i medici e i farmacisti, che in un certo senso erano tenuti a prestare una sorta di "giuramento ippocratico". Abbozzi di farmacopea esistevano già in antichità: furono soprattutto gli arabi ad avvertire la necessità di trattati che fissassero i metodi per preparare medicamenti complicati.

L'apparato concettuale degli studi medievali restava comunque quello dei tempi di Galeno, nei cui confronti neppure il maggiore scienziato, Alberto Magno (1200-80), riuscì mai a fare significativi progressi, nonostante la passione per la farmacia lo portasse a scrivere ben tre trattati.

Al massimo la traduzione latina dei testi classici (greci e arabi) permette di fare ottimi commentari, come quello p.es. di Pietro d'Abano (1250-1316) al ricettario di erboristeria medica (Liber de gradibus) di Costantino Africano, il quale, a sua volta, aveva rielaborato altre fonti precedenti, specie quelle di Dioscoride.

Costantino riteneva la medicina la scienza per eccellenza, avente per oggetto gli "eventi naturali", "organicamente coordinati in un ordine stabile", dove "la comprensione di un fenomeno dipende da quella di un altro" (cfr J. Agrimi - C. Crisciani, Malato, medico e medicina nel Medioevo, Loescher, Torino 1980).

I due erbari più diffusi nel Medioevo europeo furono quelli dello Pseudo-Apuleio (di Madaura, chiamato così per distinguerlo dall'autore del celebre Asino d'oro), risalente al IV secolo, molto noto a causa della sua spiccata tendenza a raccogliere le credenze popolari, e soprattutto di Odone di Meung (De viribus herbarum, scritto verso la prima metà dell'XI secolo), che sicuramente influenzò la Scuola salernitana. Noto era anche il trattato di Giacomo Dondi (1298-1360), Aggregator Paduanus (Promptuarium medici), in cui descrive con precisione alcune piante della flora italica e vari rimedi medicinali tratti da fonti greche, latine e arabe.

Il Medioevo, specie nel periodo delle Repubbliche marinare, vede fiorire il mercato delle spezie e delle droghe (Corporazioni degli Speziali): Venezia era diventata il punto di smistamento per tutto il mondo occidentale delle piante officinali. Notevole la quantità di libri di botanica in quella città, soprattutto i trattati di piante curative.

A Firenze diedero vita a una delle sette arti maggiori dell'ordinamento corporativo: l'Ars medicorum et speziariorum (1266), cui aderirono nomi prestigiosi, come Dante (1), Giotto, Brunetto Latini..., che in genere lo facevano per poter accedere agli uffici pubblici.

Andrea Pisano dedicherà una delle formelle scolpite per il campanile del Duomo di Firenze proprio alla figura dello speziale. E tre secoli dopo, i Medici, signori di Firenze, venivano celebrati anche per i loro farmaci.

Decisivo comunque in questo periodo il contributo di quei mercanti (come p.es. Marco Polo) che, viaggiando all'estero, erano in grado di far conoscere in Europa le piante del lontano oriente.

A partire dal XII secolo l'interesse per la medicina cominciò a svilupparsi anche a Chartres, Montpellier, Parigi. Il lavoro di traduzione dei classici si fa intenso in Spagna e nella Francia meridionale. Di rilievo il trattato inglese Rosa Medicinae (o Rosa Anglica) scritta nel 1314 da Giovanni di Gaddesden (1314-17) e il Libro della Natura del tedesco Konrad von Megenberg (1309-74).

Nel XII sec. alcuni erboristi gallesi scrissero un testo con la storia delle loro erbe terapiche, dal titolo I medici del Myddvai (Physician of Myddfai), le cui fonti risalgono alle tradizioni druidiche.

Nel XIII sec. nascono le prime coltivazioni di piante medicinali (Viridarium di Matteo Silvatico e le coltivazioni del medico veneziano Gualtieri).

In Vaticano il primo orto botanico fu creato nel XIII secolo, specializzato in piante medicinali.

L'alchimia prende a svilupparsi, fra Duecento e Trecento, con le opere di Ruggero Bacone, lo pseudo-Lullo, Arnaldo da Villanova, Giovanni di Rupescissa. Ma si tratta ancora di insignificanti approcci sperimentali.


(1) Nella Divina Commedia Dante parla di varie piante: alloro, ortica, belladonna, rosa, garofano, gelso, assenzio, incenso, amomo, nardo, mirra, olivo... e parla persino degli acini d'uva usati per prevenire la cecità senile, come risulta dai canti XII e XXIV del Paradiso; cita anche un'erba psicotropa quando ricorda Glauco nel I canto del Paradiso. Conosceva anche le erbe velenose, poiché quando si trovava a Ravenna, nel 1320, venne invitato a Milano da Galeazzo Visconti per una consulenza sull'uso dell'aconitum napellus con cui Bartolomeo Canolati avrebbe dovuto eliminare papa Giovanni XXII, allora residente ad Avignone. (torna su)

Gli ordini religiosi


Le immagini sono state gentilmente offerte da Davide Fagioli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza
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Aggiornamento: 23/04/2015