LA STORIA ANTICA
dal comunismo primitivo alla fine dello schiavismo


LA RIVOLUZIONE URBANA

I - II

Statua di Ebih-il della città di Mari, funzionario del Tempio (Museo del Louvre, Parigi)

Quando nei manuali di storia s'incontra il capitolo intitolato "La rivoluzione urbana", vien subito da pensare che se non fosse stata scoperta l'agricoltura, le città non sarebbero mai nate, e quindi non avremmo avuto alcuna "civiltà storica" ma solo "preistorica" e ci saremmo risparmiati tanti disastri umani e ambientali.

Il periodo più calmo e sereno dell'umanità è stato soltanto quello in cui si viveva di caccia e di pesca e di raccolta di frutti e radici. Sembra che l'essere umano non riesca ad essere se stesso se non vivendo in una forma che oggi, abituati a tante comodità, giudicheremmo sicuramente molto precaria. Ogniqualvolta cerchiamo di renderci la vita più facile e più comoda, subentrano conflitti a non finire.

Oggi i medici dicono che la sedentarietà è causa di varie malattie, eppure, se ci pensiamo, sono millenni che cerchiamo di essere sedentari al massimo, e lo strumento principale che ci ha aiutato a realizzare questo nostro malsano desiderio, è stata proprio l'agricoltura.

Forse avremmo dovuto fermarci all'allevamento, poiché gli animali sono sufficienti per avere latte, formaggio, carne, indumenti e strumenti di lavoro. Tuttavia, non avrebbe avuto alcun senso spostare un'intera tribù nel momento in cui una mandria avesse finito l'erba da brucare. Gli indiani del Nordamerica si spostavano seguendo dei bisonti liberi, non allevati.

L'idea di allevare animali utili alla riproduzione umana poteva venire in mente solo in concomitanza allo sviluppo dell'agricoltura, poiché, se è vero che l'allevamento ha meno bisogno della stanzialità, è pur vero che non può essere praticato da un intero villaggio che fa la transumanza.

Un allevatore deve sempre avere una base d'appoggio cui fare sicuro riferimento. Sarebbe stato molto più logico vivere come quelle popolazioni che, non praticando l'agricoltura, potevano sfamarsi, oltre che ovviamente con la caccia e l'economia di prelievo, seguendo gli itinerari periodici delle mandrie selvatiche.

Gli unici animali che si potevano allevare senza particolari problemi, nei millenni passati, erano quelli di piccola taglia, la cui alimentazione non richiedeva ingenti risorse naturali. Paradossalmente il primo animale addomesticato non è stato neppure un animale utile all'alimentazione: il lupo, nel 10000 a.C. Solo 2000 anni dopo si parla di pecore, capre e maiali. Quindi il lupo non fu addomesticato per difendere le greggi, ma per difendere il villaggio, probabilmente da altri animali feroci, inclusi gli stessi lupi.

Son dovuti passare 4000 anni prima che si arrivasse ad addomesticare un bue, dopo averlo fatto col lupo. E soltanto nel 4000 a.C. si arriva a domare il cavallo, che evidentemente non serviva per l'alimentazione, ma per la guerra o per la caccia o i trasporti sulle lunghe distanze.

Certo, non ha senso pensare che la pratica in sé dell'agricoltura o dell'allevamento abbia generato la formazione di classi sociali contrapposte. Quando gli storici e gli archeologi parlano di "rivoluzione urbana" intendono una cosa che, fino a prova contraria, non esisteva al tempo della "rivoluzione agricola": il fatto che la città pretendesse d'essere sfamata dalla campagna.

Fino al tempo dell'esistenza dei villaggi, tutti facevano tutto, poi subentrò la divisione del lavoro, la specializzazione dei saperi e, naturalmente, la giustificazione ideologica dei poteri. Tutte cose che sanciscono la nascita della "civiltà" vera e propria, quella da cui anche la nostra dipende.

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Per quali motivi si sono formate le città? Se dicessimo per trasformare l'agricoltura da "secca" a "irrigua" (cosa che avvenne effettivamente in Mesopotamia), non riusciremmo a spiegarci l'esistenza di Gerico  e di Çatal-Hüyük, che sono precedenti di alcuni millenni rispetto a Uruk.

Dal Neolitico alle prime civiltà urbane è avvenuta una transizione che ha richiesto un salto di qualità. Oggi diciamo che non c'è capitalismo senza mercato, ma diciamo anche che ci può essere mercato senza capitalismo.

Quella volta fu, in un certo senso, la stessa cosa: poteva esserci un'agricoltura organizzata razionalmente senza città, ma non poteva esserci la città senza un'agricoltura alle sue dipendenze. E' la presenza stessa della città che implica un rapporto di subordinazione, di servaggio e persino di schiavismo che la comunità originaria di villaggio deve subire.

Con la nascita della città s'impone uno stile di vita autoritario, mistificato dall'ideologia religiosa, che ha avuto il compito di legittimarlo sotto tutti gli aspetti. Se non è chiara questa premessa ermeneutica, qualunque interpretazione a favore dell'urbanizzazione rischia d'essere non meno mistificante della stessa religione che fece da supporto a quella transizione.

Pur di giustificare l'evoluzione dal villaggio alla città, gli storici, se sono onesti, ammettono che l'agricoltura dipendesse in toto dalle attività urbane (politica, commerciale, artigianale, amministrativa, militare e religiosa). Tuttavia non hanno dubbi nel sostenere che anche la campagna fruisse di particolari condizioni di favore da parte della città, come p.es. la difesa del territorio, l'amministrazione del culto e della giustizia, le opere pubbliche per la regolazione delle acque. Tutte cose però che o dovevano fare gli stessi contadini, o tornavano comodo, in ultima istanza, alla stessa città, che doveva tenere la campagna al suo servizio esclusivo.

La cosiddetta "democraticità" nella crescente divisione del lavoro è un altro di quei miti utilizzati per far credere necessaria la transizione allo schiavismo. E' assurdo difendere la divisione del lavoro quando è notorio che da essa scaturì la negazione di ogni forma di democrazia, partendo dalla gerarchia sociale tra gli stessi membri della comunità.

Noi occidentali, che siamo urbanizzati al 100%, non riusciremo mai a dare un'interpretazione obiettiva delle civiltà pre-schiavistiche. E' forse un caso che gli storici, parlando dell'antica "rivoluzione urbana", siano costretti ad ammettere la presenza di schiavi, senza però riuscire a spiegarsi come si fosse formata una categoria del genere in assenza di guerre con altre città?

Quando nei testi legislativi s'incontra la norma secondo cui un cittadino poteva diventare schiavo se debitore insolvente, è evidente che la categoria dello "schiavo" doveva già essere stata formulata in precedenza, anche se praticamente poco usata.

Forse si potrebbe addirittura sostenere che i primi schiavi non siano nati né per debiti né perché catturati in una guerra. Se guerra ci fu, probabilmente fu intestina, fratricida, p.es. tra clan che svolgevano lavori diversi, tra agricoltori e allevatori, tra agricoltori e artigiani, tra nomadi e stanziali, o forse più semplicemente tra uomo e donna, un conflitto dove la "forza fisica" (supportata da strumenti ideologici) ha avuto la meglio. L'uso della forza come strumento di dominio nei confronti della parte più debole del collettivo, è probabilmente all'origine di tutte le civiltà urbanizzate.

Tra i manuali scolastici sempre più spesso si evita di dire che nella civiltà egizia vi fossero degli schiavi, contraddicendo quindi il resoconto biblico. Tuttavia, chiunque si rende conto che costruzioni imponenti come quelle egizie (e lo stesso si potrebbe dire di quelle sumere, assire, babilonesi, ecc.), che non riguardavano direttamente le esigenze vitali della popolazione, ma solo la rappresentazione simbolica del potere, sarebbe stato impossibile costruirle senza un rapporto di sudditanza servile nei confronti delle istituzioni. Anche il servaggio medievale non viene definito come "schiavismo", ma questo non significa che si sia in presenza di un rapporto produttivo libero.

Il fatto che un regno voglia ridurre al minimo i conflitti interni non sta di per sé a significare che sia democratico. L'Egitto fu governato per tremila anni da dinastie autocratiche ed ereditarie, i cui faraoni venivano considerati delle divinità, per le quali si edificavano enormi santuari propagandistici, offrendo l'illusione della loro immortalità, con tanto di imbalsamazione e tutto l'occorrente per vivere nell'aldilà, inclusi i propri servi ammazzati prima di chiudere e nascondere la porta dell'ingresso, che però veniva immancabilmente ritrovata per saccheggiarne gli interni.

Probabilmente la maggiore attenzione a non esasperare i conflitti interni, potenziando al massimo le illusioni religiose, dipese anche dal fatto che il territorio in cui si volle costruire quella civiltà, non era facile da gestire. Di qui anche i tentativi di non scindere le attività agricole da quelle dell'allevamento e di non relegare ai margini della società la figura femminile.

In ogni caso l'Egitto, che pur venne attaccato da Hyksos, Assiri, Persiani, Greci e Romani, fu fonte di oppressione di tutte le civiltà limitrofe.

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A proposito di Bibbia, non è raro incontrare storici convinti che Gerico si sia formata, nel 7000 a.C., per difendersi dalle razzie delle popolazioni nomadi o dagli attacchi delle bestie feroci. In questa città sono presenti attività centralizzate e quindi autoritarie, come il culto e la gestione dei magazzini, del tutto incompatibili con la libertà delle comunità di villaggio.

Se vogliamo parlare di una forma ancora "comunistica" di questa antichissima città, bisogna intenderla solo in senso "statalistico", in quanto si voleva far credere che la proprietà fosse di "tutti" solo perché lo era nella forma "statalizzata". Cosa che assomiglia molto da vicino a quel che fece Stalin col cosiddetto "socialismo reale".

In realtà la nascita e lo sviluppo di una città non ha nulla di "naturale", essendo immancabilmente l'esito di acute contraddizioni sociali. Una città non sorge per difendersi da "nemici esterni", ma per trasformare un collettivo libero in una forma di servitù, salvaguardando dello spirito e della pratica comunitaria solo le parvenze, attraverso appunto la religione e l'organizzazione socioeconomica centralizzata.

Il fatto che Gerico, coi suoi duemila abitanti, sia rimasta in vita, nel suo territorio, così tanto tempo è un caso abbastanza anomalo. Nel Vicino oriente sono ovviamente esistite altre "Gerico", ma tutte furono spazzate via da altre città più potenti, sorte altrove, o da agguerrite popolazioni nomadiche, stanche di essere vessate da quelle e in grado di porre sotto assedio mura ben fortificate. Tra queste popolazioni va sicuramente annoverata quella fuoriuscita dall'Egitto al tempo di Mosè e guidata nel deserto da Giosuè.

Quando la tribù di Giosuè attraversò il Giordano per impadronirsi di quasi tutta la Palestina, la prima cosa che fece fu quella di radere al suolo tutte le città esistenti, inclusa Gerico, uccidendone senza pietà tutti gli abitanti. Evidentemente gli israeliti consideravano quelle strutture urbane immeritevoli di sussistere, eticamente pericolose per un giovane popolo come quello ebraico, formatosi nel deserto.

E' molto probabile ch'essi non abbiano visto alcuna sostanziale differenza tra la corruzione delle città egizie e quella delle città palestinesi: il servaggio o lo schiavismo imperava ovunque. La persona più moralmente "sana" che Giosuè trovò a Gerico fa la prostituta Raab, che li aiutò nella loro conquista vittoriosa.

Se si preferisce sostenere che il servaggio è più tipico dei territori afro-asiatici, mentre lo schiavismo caratterizza meglio il bacino del Mediterraneo, bisogna anche ammettere che la sostanza è sempre quella di un rapporto di sudditanza, in cui la comunità originaria ha perso la propria tradizionale autonomia e libertà.

Questo per dire che è privo di senso affermare che esistevano elementi di "comunismo" nelle società proto-urbane e che, nel caso di Gerico, essi andarono perduti proprio in seguito alla distruzione operata da Giosuè. E' esattamente il contrario, e cioè che gli elementi dell'antico comunismo Gerico li acquisì solo dopo essere stata distrutta, tornando cioè a rivivere uno stile di vita pre-urbano, agricolo-pastorale.

Probabilmente all'origine di questa falsata interpretazione delle comunità neolitiche e soprattutto paleolitiche, sta il fatto che oggi viene visto come fumo negli occhi qualunque attività umana basata sull'autoconsumo. La nostra ideologia borghese su questo aspetto è molto chiara e non ama essere smentita: senza eccedenze non c'è sviluppo, e "sviluppo" vuole anzitutto dire smerciare il surplus, poiché questo fa ricchezza e permette di costruire grandi città, allargando progressivamente i loro territori, fino a farle diventare dei veri e propri "regni" e perfino degli "imperi". Viceversa, con l'autoconsumo non può esprimersi adeguatamente la forza, che è anzitutto maschile, politica, militare, commerciale, ideologica...

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Alla necessità di produrre "eccedenze" gli agricoltori e gli allevatori furono "convinti" o "costretti"? Ecco, su questo tema, si potrebbero scrivere fiumi di parole. Si potrebbe addirittura stabilire un criterio storico-interpretativo con cui verificare la durata di una civiltà, la sua efficacia sul piano organizzativo, la sua capacità di assimilare altre civiltà, di diffondere le sue conoscenze ecc.

E' evidente infatti che è sempre meglio "convincere" che "costringere": il consenso diventa più ampio e duraturo. Ma per ottenere questo risultato occorrono gli intellettuali, cioè un certo livello di acculturazione della classe dirigente. Un popolo sottomesso con l'inganno è più docile di uno sottomesso con la forza.

Qui il ruolo della religione, della filosofia, del diritto, della politica, della scienza, dell'arte... è fondamentale. Per ingannare ci vuole la sovrastruttura ideologica: il serpente tentatore deve far apparire giusta una cosa sbagliata.

Tutte le forme di democrazia che le civiltà urbane si sono date, non hanno mai raggiunto i livelli di serietà e autenticità che avevano avuto nelle civiltà paleolitiche e neolitiche, tant'è che nessuna democrazia urbana ha mai rinunciato all'idea di darsi un "sovrano". La gestione dell'amministrazione di una città, da parte di un Consiglio di Anziani, sarebbe stata impensabile. Là dove esiste "sfruttamento" del lavoro altrui, deve per forza esistere un sovrano che gestisca l'ordine pubblico.

E' vero che sono esistiti dei Senati che hanno cercato di attenuare il potere accentratore dei sovrani, ed è anche vero che la figura del sacerdote poteva apparire come portavoce di esigenze popolari, ma le classi dirigenti delle città e anche quelle delle campagne hanno sempre ritenuto che la presenza di un sovrano sarebbe stata di fondamentale importanza in caso di necessità, cioè in caso di repressione del malcontento dei lavoratori.

La città infatti nasce dall'individualismo delle categorie più forti, nonché dal timore che quelle deboli possono scoprire l'inganno e ribellarvisi. Una figura centralizzata, per quanto formale possa apparire nella quotidianità di chi pratica i propri affari, costituisce sempre una forma di garanzia di ordine pubblico quando gli affari non possono più essere condotti con la tradizionale tranquillità.

Ecco perché la democrazia urbana è autoritaria soltanto quando se ne ha la necessità. Non c'è bisogno di esercitare costantemente l'autoritarismo politico quando già lo si pratica sul piano sociale ed economico. E' questa la principale differenza tra una democrazia formale evoluta e una democrazia formale primitiva.

E' indicativo p.es. il fatto che in origine il potere politico urbano non fosse in mano a un sovrano militare, ma a un sacerdote che svolgeva insieme le funzioni civili, politiche e religiose. Tempio e Palazzo coincidevano. Questo era il modo migliore per ingannare le masse, le quali, offrendo, come tributo, le eccedenze al tempio, era convinte di offrirle agli dèi, per ottenere protezione su se stesse.

Il primo rapporto "mafioso" si realizzò con la nascita delle città: i re-sacerdoti, coi loro guerrieri e funzionari, offrivano "protezione" in cambio di "eccedenze". Garantivano al contadino che non gli sarebbe successo niente se avesse accettato di pagare il "tributo". Certo, la protezione era contro i nemici esterni, in quanto, per le classi dirigenti il lavoro del contadino era un bene da proteggere contro altri intenzionati a sfruttarlo, ma era soprattutto contro i nemici interni, quelli che il contadino si sarebbe potuto fare non pagando il tributo o non pagandolo secondo l'entità prevista. E così il cerchio si chiudeva, la tautologia diventava perfetta.

Che poi il contadino credesse in coscienza nel volere degli dèi delle classi dirigenti, o facesse solo finta di crederci, non faceva molta differenza dal punto di vista della riscossione del tributo.

La successiva separazione del re-sacerdote in due diverse figure avvenne probabilmente quando il regime dello sfruttamento era ben consolidato e si aveva meno bisogno di usare l'ideologia religiosa per ingannare le masse.

Ma può essere sorto anche per una motivazione opposta: a fronte di una crescente insoddisfazione per l'estensione dei tributi, la separazione dei poteri può aver offerto maggiori garanzie ai ceti dominanti e maggiori illusioni ai ceti subalterni: da un lato si aveva un sovrano che poteva agire indisturbato sul piano militare; dall'altro si aveva un sacerdote che aveva la pretesa (irrisoria) di porsi come portavoce degli oppressi.

La terza motivazione è quella che s'incontra nei libri di storia: al progressivo aumentare del potere del re-sacerdote, crescevano le esigenze delle classi dirigenti di suddividere quel potere in parti più eque, ridistribuendo i privilegi.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 01/05/2015