STORIA ROMANA


L'IMPERO E IL CRISTIANESIMO

1. I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)

A. Introduzione

I cento anni che vanno dalla fine del regno di Alessandro alla fine di quello di Costantino, segnano la sconfitta definitiva dell'idea di Impero quale era stata concepita da Ottaviano Augusto e dai suoi successori (compresi Traiano e Adriano), idea che già aveva iniziato a vacillare con l'esasperata militarizzazione iniziata sotto la reggenza di Settimio Severo.

Teschio coi simboli della vita e della morte (Museo Archeologico Nazionale di Napoli)

Tale idea si basava infatti sul presupposto che l'Impero dovesse fondarsi sulla collaborazione tra il princeps (capo supremo) e le varie forze politico-economiche interne (sia su quelle locali - come mostra l'estensione delle cariche a tutti i provinciali - sia, in generale, sui ceti più ricchi e influenti: ovvero i nobili e gli equestri). Ciò ovviamente al fine di migliorare la loro condizione - e assieme a essa, quella dell'Impero - sul piano politico e economico.

L'esercito, d'altra parte, non era che uno degli strumenti (per quanto assolutamente essenziale) per l'ottenimento di tale fine, quello preposto alla sicurezza interna e soprattutto all'espansione e al mantenimento dei confini.

Ma ora, invece, che le frontiere sono sempre più sovente minacciate da popolazioni barbariche o da altri nemici, che la ricchezza e la produttività interne (per vari ordini di ragioni) conoscono una drastica diminuzione, e che praticamente tutte le energie dello Stato vengono indirizzate - al fine di mantenere integri i confini - al sostentamento e al potenziamento delle milizie, sono queste ultime inevitabilmente a dettare legge anche sul piano istituzionale.

Così i ceti alti, ossia i tradizionali ceti di governo - nobiliari, latifondistici, finanziari, ecc. - vengono lentamente espropriati della loro preminenza politica e istituzionale mentre Roma diventa sempre di più un Impero essenzialmente militare, quasi interamente monopolizzato, anche a livello di alte cariche, dalle proprie legioni: in altri termini dai suoi soldati!

Da un'idea 'democratica' d'Impero (seppur in un senso oligarchico e plutocratico) si passa così a un'idea militaristica, per la quale le forze produttive e economiche debbono rimanere ai margini della vita politica, peraltro oramai divenuta fondamentalmente militare.

Tale trasformazione decreterà inoltre il trionfo di una concezione dello Stato assolutistica e di stampo orientale, all'interno della quale quest'ultimo, ponendosi al di sopra degli interessi particolaristici, finisce anche per agire indipendentemente da essi!

Negli anni trattati in questo articolo - e in special modo nel cinquantennio dell'anarchia militare - la preminenza degli eserciti non sarà mai nemmeno messa in discussione.

Il Senato, ad esempio, ricoprirà sempre di più in essi un ruolo politico secondario, e con lui le classi più ricche e economicamente influenti.

Sono le legioni ad esempio a decidere di solito quale debba essere l'Imperatore di turno e con ciò, implicitamente, le operazioni militari da portare avanti, in quanto 'interessanti' per le loro ambizioni (ambizioni soprattutto economiche: la guerra infatti porta sempre bottini...).

E sono le divisioni interne agli eserciti locali (occidentali, illirici, orientali…) a costituire, assieme alle invasioni barbariche, il principale elemento di destabilizzazione dell'unità dell'Impero.

Ciò che cambierà, da un cinquantennio all'altro, saranno invece le istituzioni: ancora legate a antichi schemi e quindi anche più fallibili e imperfette nel primo, rivedute e più efficienti nel secondo.

Certo, le novità introdotte da Costantino e soprattutto da Diocleziano conoscono delle 'avvisaglie' nelle scelte di alcuni degli imperatori precedenti - quali Valeriano, Gallieno o Aureliano -, ma trovano la loro sistemazione definitiva solo con i primi due.

Possiamo perciò classificare il cinquantennio di anarchia militare come un momento di transizione, tanto più tumultuoso e drammatico in quanto profondamente drammatiche sono in esso le condizioni dell'Impero.

Un altro fenomeno tipico di questi anni, suggellato poi nella divisione dell'Impero (la Tetrarchia) in quattro regioni messa in atto da Diocleziano, è la tendenza al separatismo di alcune zone, dovuta chiaramente all'incapacità del potere centrale di costituire un valido strumento di difesa per i loro confini.

Anche qui, emerge la profonda crisi della macchina statale, la quale - nonostante punti tutto sugli eserciti - non è in grado comunque di gestire le proprie enormi (ma insufficienti) risorse belliche al fine di difendere l'integrità dei suoi territori.

B. Il cinquantennio dell'anarchia militare

a) Piano degli imperatori (in grassetto quelli più importanti):

C. Giulio Massimino
[235-238]

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imperatori senatorii : [238]
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Gordiano I (e Gordiano II)
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M. Clodio Pupieno Massimo e D. Clelio Balbino

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Gordiano III (e il prefetto del pretorio Temesiteo)
[238-244]
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M. Giunio Filippo
[245-249]
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C. Messio Decio
[249-251]

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C. Treboniano Gallo
[251-253]
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M. Emiliano Emilio
[253]
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P. Licinio Valeriano [253-260] e suo figlio P. Licinio Egnazio Gallieno [253-268]
[253-268]
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Imperatori autoproclamatisi
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Ingenuo
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Regiliano
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VARI SEPARATISMI LOCALI
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Macriano [Oriente]
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Postumo [Occidente]

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M. Aurelio Claudio
[268-270]

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L. Domizio Aureliano
[270-275]
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M. Claudio Tacito
[275-276]
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M. Aurelio Probo
[276-282]
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M. Aurelio Caro (e i figli Carino e Numeriano)
[283-283]
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DIOCLEZIANO
[dal 284]

b) Principali eventi del cinquantennio di anarchia militare

Massimino e le rivolte anti-imperiali

Primo imperatore dopo la morte di Alessandro (236) è Massimino, soldato di umilissime origini proveniente dalla Tracia (si crede addirittura che egli provenisse da una famiglia 'dediticia', di quelle cioè cui pur dopo l'editto di Caracalla del 212 non era stata riconosciuta la cittadinanza romana).

Il fatto che un uomo non nobile, la cui carriera è interamente legata all'esercito (avendo egli con ogni probabilità iniziato dai ranghi più bassi), abbia potuto divenire il capo supremo dell'Impero, la dice lunga su quali siano in esso le nuove tendenze politiche: è oramai chiaro infatti che il potere reale è detenuto sempre di più dai sodati, anziché dai nobili senatori o dai ricchi finanzieri (come, per lo più, è avvenuto fino al tempo di Traiano e Antonio Pio).

Anche il regno di Massimino avrà - come molti tra quelli che l'hanno preceduto e che lo seguiranno - breve durata, giusto il tempo di portare a termine la guerra, proditoriamente interrotta dal suo predecessore, contro i popoli Germanici sul fronte danubiano.

Gli anni del suo principato si distinguono inoltre per alcuni episodi di ribellione interna, segno delle tendenze disgregatrici dell'Impero: nel 238 le province africane (da sempre un "feudo" dei nobili e dei senatori) in rivolta contro la politica fiscale di Massimino, volta in massima parte a compiacere l'esercito, ma per loro estremamente penalizzante, eleggono a nuovo imperatore Gordiano I (cui questi associa il figlio, Gordiano II).

E dopo che questi, dopo soli pochi mesi, viene sconfitto e ucciso da uomini fedeli a Massimino, il Senato a sua volta eleggerà altri due imperatori (due, come i consoli), Pupieno e Balbino, con l'appoggio per altro dell'esercito del pretorio. Sarà quest'ultimo a affrontare e sconfiggere Massimino e a instaurare un nuovo princeps: Gordiano III.

Gli anni dei tradimenti

Poco dopo essere stato eletto imperatore con l'approvazione del Senato dall'esercito dei pretoriani (238), il giovanissimo Gordiano III - al quale si affianca come tutore e consigliere il prefetto del pretorio Temesiteo - decide di affrontare l'Impero Neo-persiano (ovvero l'antico Regno dei Parti, ora rinato sotto una nuova dinastia, quella Sasanide) alla cui testa si pone Sapore I.

Nel corso dell'impresa tuttavia, Temesiteo verrà a morte e sarà perciò sostituito da un nuovo prefetto, M. Giunio Filippo (che passerà alla storia come Filippo l'Arabo), il quale tradirà il principe e ne prenderà il posto (244).

Filippo stripulerà una pace con i Persiani, affrettandosi a raggiungere poi i confini settentrionali della Dacia, per combattere i tentativi di invasione dei Carpi.

Anche lui verrà tradito e ucciso (249) da colui che ne diverrà il successore, ovvero da C. Messio Decio, il comandante delle legioni stanziate in Pannonia.

Quello di Decio sarà un regno particolarmente breve (di soli due anni), e tuttavia significativo: si distinguerà infatti per persecuzioni contro i cristiani particolarmente severe e spietate. Le ragioni di tale scelta sono fondamentalmente di due tipi: da una parte vi è l'ormai cronica deficienza di fondi dello Stato; dall'altra, invece, vi è una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore, collante fondamentale (almeno nelle intenzioni di Decio) di un Impero che mostra sempre più chiari segni di disfacimento.

Col tempo infatti le comunità cristiane si sono fatte sempre più potenti (sia socialmente che economicamente). Come tali esse costituiscono un problema con cui lo Stato deve fare i conti: per tale ragione i decenni immediatamente precedenti alla definitiva riappacificazione tra Stato e Chiesa, sono anche quelli in cui, se da un lato l'autorità adotta spesso un atteggiamento molto tollerante verso di esse, dall'altro e in altri casi si assiste a delle vere e proprie recrudescenze di intolleranza, anche più violente di quelle che si sono avute nei periodi precedenti.

Di questa seconda tendenza è espressione l'editto promulgato da Decio nel 250, che costringe tutti i capi famiglia a dichiarare la propria fede religiosa e, soprattutto, ad attestare l'avvenuto adempimento dei sacrifici agli dei della tradizione pagana (tra i quali compare ora anche la divinità imperiale). Le pene per i trasgressori sono, chiaramente, molto severe (tra di esse vi sono la morte e la confisca dei beni), ciò che crea un grande sconcerto e un notevole sbandamento all'interno delle comunità cristiane - contro le quali peraltro è in realtà indirizzato tale editto.

Si tratta insomma, di un vero e proprio "braccio di ferro" tra Stato e Chiesa che, come si è detto, prelude alla loro riunificazione nei decenni seguenti!

La morte di Decio si colloca nell'anno successivo, il 251, e avviene mentre questi combatte contro i Goti in Mesia, a causa del tradimento del comandante in carica delle truppe di quella regione, Treboniano Gallo, suo successore.

Anche questi poi morirà (solo due anni dopo), mentre combatte in quelle zone, per un analogo tradimento da parte del suo luogotenete, Emiliano, il quale resterà in carica però solo per tre mesi, al termine dei quali l'esercito porrà fine al suo mandato.

Valeriano e Gallieno

Nel 253 giunge al potere P. Licio Valeriano, l'uomo a cui Decio aveva affidato la gestione finanziaria dell'Impero (vir consularis), al fine molto probabilmente di potersi occupare più intensamente delle questioni difensive e militari.

Senatore, particolarmente legato perciò agli antichi valori della tradizione patria (anche lui difatti, come Decio, porterà avanti soprattutto negli ultimi anni del proprio principato una politica piuttosto rigida nei confronti delle comunità cristiane), Valeriano dimostra di essere sinceramente preoccupato per le sorti dell'Impero, e seriamente intenzionato a ristabilire l'ordine.

Il suo passerà alla storia come il primo principato romano in cui, da implicita, la scelta di dividere l'Impero in due regioni indipendenti è divenuta esplicita.

Appena giunto a Roma difatti, Valeriano affida al figlio Gallieno il titolo di Augusto (in pratica la coreggenza) assieme alla parte occidentale dell'Impero, spingendosi invece lui in oriente, funestato in quegli anni sia dalle invasioni dei Goti in Asia minore, che dagli attacchi del Re neopersiano Sapore nell'estremo est.

E' chiaro come tale scelta 'bi-regionale' trovi le sue ragioni nell'impossibilità, oramai evidente, di gestire un territorio tanto vasto come quello di Roma - e i cui confini per di più sono bersaglio da tutte le parti delle incursioni di popoli ostili - attraverso un capo unico. [Come attestano anche le molteplici spinte separatiste e indipendentiste, sia nelle regioni asiatiche che in quelle occidentali].

Dopo aver sconfitto i Goti, Valeriano inizierà così una guerra contro il regno Persiano, nel corso della quale cadrà prigioniero del re Sapore, trovando la morte lo stesso anno (260), e lasciando così a suo figlio la reggenza di tutto l'Impero.

Negli anni precedenti la cattura di suo padre, Gallieno ha dovuto affrontare e sconfiggere non solo gli Alamanni e i Franchi (rispettivamente nelle zone danubiane e in quelle retiche) ma anche arginare le incursioni di un nuovo popolo, quello Sassone, e reprimere i tentativi di insurrezione di due aspiranti al titolo imperiale, Ingenuo e Regiliano.

E anche se ufficialmente, dopo la scomparsa di Valeriano, egli rimane il solo reggente della compagine imperiale (tornando così quest'ultima alla situazione precedente la divisione tra Occidente e Oriente) la sua è, in realtà, una supremazia più teorica che reale, dal momento che tanto a ovest quanto a est si sono formati dei regni che dichiarano la propria indipendenza da Roma.

Nelle zone occidentali è nato difatti quello che si autodefinisce il "Regnum Gallicum", alla cui testa si pone un certo Postumo (e la cui esistenza peraltro si prolungherà ben oltre il principato di Gallieno); in quelle orientali invece - dopo la scomparsa del reggente ufficiale - un certo Macriano, ufficiale dell'esercito di Valeriano che si è posto alla giuda delle truppe superstiti, ha preso in mano la situazione.

Entrambe queste manifestazioni di indipendentismo derivano, in massima parte, dalla sensazione di lontananza del potere centrale e dall'esigenza quindi di provvedere con mezzi propri alla difesa. (Non a caso, il Regnum Gallicum sarà un eccellente baluardo nei confronti dei tentativi di penetrazione dei popoli barbari nell'area occidentale.)

Per arginare le spinte autonomiste delle zone orientali, Gallieno cerca allora l'alleanza di Odenato, un nobile di Palmira, città carovaniera estremamente ricca e potente (punto di snodo per i traffici tra l'Impero e le zone interne dell'Asia) dotata di un forte esercito. Per ottenere l'alleanza di Odenato Gallieno promette a quest'ultimo vari privilegi, ad esempio una specie di sovranità sulle zone orientali (egli verrà così eletto Dux Orientis) e la riscossione di dazi doganali sulle merci in transito nei suoi territori.

Tale compromesso avrà buon esito, ma favorirà anche la nascita (seppure non ufficiale) di una potenza autonoma rispetto al dominio di Roma, la quale finirà per creare all'Impero problemi analoghi a quelli creati da Macriano.

Gallieno tuttavia non dimostra la propria indefessa volontà di tutelare l'integrità dell'Impero soltanto con imprese militari di grande respiro, ma anche attraverso alcune innovazioni apportate agli apparati militari e istituzionali dello Stato, innovazioni per altro in gran parte riprese dai suoi successori.

Certo, nei suoi anni l'Impero conosce - sia a est che a ovest - un frazionamento fino ad allora sconosciuto, ma ciò è dovuto soprattutto all'esplosione degli attacchi dei diversi nemici su tutti i confini, attacchi così serrati da sembrare addirittura frutto di una concertazione.

Come si è detto, le innovazioni di Gallieno riguardano principalmente l'organizzazione dell'esercito e quella delle cariche amministrative nelle province.

Quanto alle milizie, egli istituisce dei reparti mobili, non legati cioè a insediamenti fissi, ma capaci di muoversi liberamente attraverso l'Impero, laddove vi sia bisogno di difese. [L'Imperatore stesso, del resto, è sempre meno legato anche fisicamente alla capitale e sempre più occupato a viaggiare attraverso i suoi territori.]

In merito all'amministrazione delle province invece, decide di reclutarne i prefetti militari non più solo tra i senatori (cui tradizionalmente esse erano affidate), ma anche tra i centurioni - in altre parole, anche tra uomini di origini umili che abbiano seguito la carriera militare.

Uomo di ampie vedute, legato in amicizia al filosofo Plotino, egli abbandona la pratica delle persecuzioni contro le comunità cristiane, tornando a assumere un atteggiamento tollerante nei confronti di queste ultime.

Morirà nel 268 per una congiura militare ordita da alcuni ufficiali illirici (tra cui compaiono i due futuri imperatori: Claudio e Aureliano). Con lui Roma perderà non solo un grande generale, ma anche un grande imperatore.

Il periodo di Claudio e Aureliano

Dopo la morte di Gallieno (268), sale di nuovo al potere un militare, M. Aurelio Claudio, proveniente dalle zone illiriche.

Questi si impegna da subito nell'arginare le incursioni gotiche nei territori balcanici, in cui tali popoli scorrazzano liberamente, alla ricerca di una sistemazione stabile. Sono queste ultime, delle guerre sanguinosissime che si concludono con la vittoria dell'esercito romano, ma anche con l'inserimento dei Goti superstiti sul suolo imperiale (secondo la pratica, oramai sempre più diffusa, di integrazione delle popolazioni barbariche, sia negli eserciti che sul territorio). Dopo questa impresa, Claudio verrà ricordato inoltre come il 'Gotico'.

Ma anche i due domini indipendenti, quello gallico e quello palmirense, subiscono in questi anni dei cambiamenti, con la morte di Postumo nel primo e di Odenato nel secondo, e il passaggio dei poteri rispettivamente nelle mani di Pio Tetrico e di Zenobia.

Entrambi questi stati autonomi (per altro perfettamente organizzati, dotati ad esempio di un loro governo, di un loro senato, e anche - a volte - di una propria moneta) costituiscono per l'Impero una vera e propria spina nel fianco, sia dal punto di vista del prestigio che da quello della solidità politica e territoriale. E per tale ragione Aureliano, il successore di Claudio, non tarderà a sbarazzarsene.

Salito al potere nel 270, L. Domizio Aureliano inizia infatti subito un'opera di riorganizzazione dell'Impero, per la quale passerà alla storia come il "Restitutor Orbis" (ovvero come colui che ha ridato al mondo la sua 'giusta forma').

Le sue prime imprese lo portano nelle zone balcaniche e danubiane, nelle quali egli combatte prima contro i Vandali, insediatisi in Pannonia, e in seguito decide - prendendo per altro una decisione storica - il ritiro delle truppe romane dalla Dacia, regione che ormai procura all'Impero molti più guai che vantaggi, non fornendo più a esso un riparo naturale dalle invasioni barbariche.

Al termine di queste campagne egli si sposta nelle zone orientali, con l'obiettivo di riconquistare i territori che il neonato Regno palmirense ha sottratto a Roma (tra essi compare anche l'Egitto). Tra 271 e 273, riuscirà a riconquistare tali territori e a sconfiggere la potenza nemica, coronando la riconquista con la distruzione completa della città di Palmira, e acquisendo così il titolo di "Restitutor Orientis".

Tornato in Occidente, Aureliano si cimenta infine nell'ultima grande guerra, quella contro il Regno gallico, sconfiggendo Pio Tetrico e acquisendo un nuovo titolo onorifico, quello di "Restitutor Orbis".

Ma i meriti di questo imperatore non riguardano soltanto la riconquista di quei territori che erano precedentemente andati perduti. Egli è anche un riformatore religioso, instaura difatti in Roma il culto di Mitra - ovvero il culto solare - proclamando il proprio potere derivante direttamente da tale divinità e dichiarando i senatori semplici ministri di tale religione (è il trionfo insomma, di quella concezione dello Stato di impronta orientale, che vuole emancipare il Princeps da qualsiasi condizionamento politico e da qualsiasi limitazione esterna, compresa quella - più tradizionale - del Senato!)

Ma la sua azione va al di là anche del campo religioso, riguardando tra l'altro la monetazione (egli vara difatti due nuove monete, il nuovo antoniano e il sesterzio, che forniscono soprattutto al popolo nuovo potere d'acquisto, dopo la svalutazione della moneta tradizionale); portando avanti una politica di ricambio dei ceti di governo tradizionali (soprattutto nobili e senatori) in favore dei militari; e trasformando i 'collegia' - ovvero le associazioni di mestiere - da volontarie in obbligatorie, al fine soprattutto di costringere i membri di esse a corveè e a prestazioni di lavoro gratuite in favore della comunità (secondo una modalità, i cui inizi si collocano peraltro sotto il principato di Settimio Severo, che prevede una penetrazione dell'autorità imperiale e statale nelle fibre più profonde della società).

Altra celebre iniziativa di Aureliano è la costruzione delle mura che circondano la città di Roma (mura aureliane), mute testimoni della paura e dell'insicurezza che attanagliano in questi anni anche la capitale.

Dopo la sua morte, il potere passerà - prima dell'elezione di Diocleziano - ad altri tre imperatori: M. Claudio Tacito (il quale si dichiara imparentato alla lontana con il più celebre scrittore e storico), M. Aurelio Probo e M. Aurelio Caro.

Tutti fondamentalmente insignificanti, essi si impegneranno, come del resto i loro predecessori, nell'arginare il dilagare dei nemici alle frontiere, sia quelle occidentali che quelle orientali.


Introduzione
2. L'Impero sotto Diocleziano (284-305)
3. Costantino e la 'conversione' dell'Impero (305-337)
4. La fine dell'unità imperiale
5. Il crollo dell'impero romano
6. Il V sec. in Oriente
cfr La nascita del Cristianesimo e Storia del cristianesimo primitivo
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014