STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


FRA DOLCINO E I DOLCINIANI

"Or dì a fra Dolcin dunque che s'armi,
tu che forse vedra' il sole in breve,
s'ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch'altrimenti acquistar non sarìa leve".

"O tu, che presto vedrai il sole,
di' a fra Dolcino, se non vuole seguirmi quaggiù,
che si munisca bene di vettovaglie,
onde, bloccato dalla neve,
non debba arrendersi per fame ai novaresi,
che altrimenti avrebbero un bel da fare a prenderlo".

Dante Alighieri, Divina Commedia - Inferno, Canto 28, Versi 54 - 60
(è la frase che Maometto dice a Dante)

Gastaldi, Fra Dolcino (ritratto di fantasia), Torino 1847

Premessa storica

Con la nascita dei Comuni si sviluppa in Italia un movimento ereticale che ambisce a contestare il compromesso di economia mercantile e di potere ecclesiastico, rivendicando le priorità comunitarie e pauperistiche del cristianesimo primitivo, facendo anzi della povertà il discrimen della retta fede, al punto che si veniva a negare la forma "istituzionale" dell'esperienza cristiana.

Il fallimento delle istanze democraticistiche nell'ambito del cattolicesimo-romano, che la base sociale, urbana e rurale, cercherà di portare avanti per almeno cinque secoli, determinerà la nascita della riforma luterana, cioè la rottura definitiva dell'unità nella cristianità occidentale.

La repressione organizzata dal papato, con l'aiuto del braccio secolare, sarà sempre durissima, dall'inizio alla fine, cioè dai catari messi sul rogo già nel 1028, sino alle sanguinosissime e interminabili guerre contro i protestanti.

Cronistoria

I

I gioachimiti erano convinti che dopo la morte dell'imperatore Federico II di Svevia (1250) sarebbe iniziata l'era dello spirito santo, cioè della chiesa carismatica, non istituzionale, libera dai compromessi col potere. Le processioni dei flagellanti per tutta Italia dovevano servire per preparare gli animi all'evento apocalittico.

Ma dieci anni dopo quella morte non era successo ancora nulla. E fu proprio dalla crisi dei seguaci di Gioacchino da Fiore che, grazie a Gherardo Segarelli da Parma, nacquero gli apostolici, che volevano seguire le orme di Francesco d'Assisi in maniera coerente al suo messaggio, cioè evitando soluzioni conventuali, in cui facilmente all'assenza di proprietà individuale si suppliva, grazie ai lasciti testamentari e alle donazioni, con ingenti proprietà collettive dell'ordine. Per non parlare del fatto che i due principali ordini medievali, approvati dalla chiesa, il francescano e il domenicano, svolgevano un'opera di controllo sociale e ideologico, a ciò preposti dagli stessi poteri dominanti.

D'altra parte erano già così tanti quelli che volevano entrare nei due ordini regolari (al punto che sin dal 1215 il concilio Laterano aveva proibito la formazione di nuovi ordini), che per dirsi davvero "francescano" (dirsi "davvero" domenicano era ormai diventato ridicolo, viste le loro funzioni inquisitoriali) non restava che accettare la soluzione eremitica e della povertà assoluta, quella appunto del fondatore d'Assisi, per la quale lui stesso aveva rischiato la scomunica.

Segarelli infatti vendette tutto e diede il ricavato ai poveri, limitandosi a chiedere elemosine alimentari, a pregare, cantare, predicare e soprattutto assistere i malati.

Quando fu riconfermato, nel 1274, al concilio di Lione, il divieto di istituire nuovi ordini religiosi, il papato, vedendo gli apostolici indifferenti al decreto, cominciò a scrivere ai vescovi insistendo sulla necessità di farli entrare in un ordine riconosciuto, oppure di punirli severamente.

Tuttavia, nonostante le minacce di papa Onorio IV e di Nicola IV, i "minimi" (così si facevano chiamare gli apostolici) riscuotevano molto successo tra la gente semplice, la quale ovviamente proteggeva i religiosi di estrazione sociale simile alla propria.

Le persecuzioni cominciarono a farsi pesanti sotto il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), e l'inquisizione a carico degli apostolici venne affidata proprio ai domenicani.

Si iniziò nelle due città di Bologna e di Modena, finché nel 1300, dopo 40 anni di attività religiosa del tutto pacifica, Gherardino Segarelli fu messo al rogo.

Il suo successore fu Dolcino, ch'era vissuto tra il Novarese e Vercelli, e che poi, in seguito a un furto, dovette riparare in Lombardia, finché, preso dalla conversione, approdò a Trento, cominciando a predicare: qui incontrerà Margherita, la compagna che gli resterà fedele sino all'ultimo giorno.

La sua ideologia religiosa era molto semplice e radicale:

  1. la congregazione non era legata da vincoli di obbedienza esteriore ma solo interiore;
  2. Dolcino si definiva "un capo eletto di Dio", direttamente, senza autorizzazioni di tipo "ecclesiastico". Dio gli aveva rivelato il futuro tramite visioni;
  3. gli avversari da combattere erano i chierici secolari, gli ordini religiosi istituzionalizzati, i possidenti di beni immobili e le autorità che li rappresentavano;
  4. lo scontro doveva essere soprattutto di tipo militare, in quanto non vi erano margini per alcuna intesa.

In generale l'interpretazione che Dolcino dava della storia della chiesa si riduceva a pochi fondamentali concetti: la povertà era stata vissuta dalla chiesa sino ai tempi di Costantino e di papa Silvestro, poi era subentrata la corruzione, cui si cercò di porre rimedio con la regola benedettina, ma anche questa, ad un certo punto, portò al lassismo della fede, che è d'altra parte inevitabile quando, in virtù delle proprietà, subentrano gli agi e le comodità.

La medicina offerta da Francesco d'Assisi e da Domenico di Guzman, che si privarono di ogni bene, fu - secondo Dolcino - più efficace di quella di Benedetto da Norcia. Solo che gli ordini da loro creati, Frati Minori e Predicatori, tradirono molto velocemente la causa. E col loro tradimento era finita praticamente l'ultima epoca negativa della chiesa.

La prima "era positiva" (quella dello spirito santo, secondo la terminologia di Gioacchino) era nata appunto con Gherardino Segarelli e stava proseguendo coi dolciniani. Questa nuova epoca avrebbe potuto trionfare solo dopo che tutta la chiesa, secolare e regolare, fosse stata abbattuta.

Il nemico principale da combattere era dunque l'avidità. Umiltà, castità, pazienza ecc. andavano tutte subordinate, come importanza, alla povertà assoluta.

Dolcino era convinto che con la defenestrazione di papa Celestino V, cui era subentrato il guerrafondaio Bonifacio VIII, lo scontro con la chiesa non poteva che essere durissimo, senza esclusione di colpi.

In questa lotta armata egli sperava di avere dalla sua l'imperatore Federico d'Aragona, fratello di re Giacomo II d'Aragona. Federico era stato incoronato dai siciliani re della loro isola nel 1296, contro gli aragonesi, gli angioini e il papato. Quest'ultimo però, con Bonifacio VIII (che voleva prendersi la Sicilia), imbastì contro di lui una crociata, con l'aiuto degli angioini di Carlo II, re di Napoli.

Federico era nipote di Manfredi, erede degli Hohenstaufen, il cui ultimo rappresentante maschile, Corradino di Svevia, era stato fatto decapitare da Carlo d'Angiò. Federico però fu sconfitto nel 1300, e con lui morirono le speranze di Dolcino di avere i principi tedeschi ghibellini dalla sua parte.

Infatti, anche quando Federico si riprese dalla sconfitta e impose agli avversari la pace di Caltabellotta (1302), conservando per sé la Sicilia, egli non volle più intraprendere iniziative militari contro la chiesa.

Quanto ai successori di Bonifacio VIII, il destino avrebbe riservato amare sorprese ai dolciniani, smentendo tutte le profezie del loro capo: Benedetto XI, eletto all'unanimità da 17 cardinali, i quali ebbero, per questo, un premio di 46.000 fiorini d'oro, era stato generale dell'ordine domenicano; Clemente V, che sposterà la sede pontificia da Roma ad Avignone, scriverà proprio da qui le bolle di scomunica contro i dolciniani, lanciando la crociata definitiva nel 1306.

II

L'esperienza di fra Dolcino e del movimento degli apostolici-dolciniani può essere considerata una delle più radicali e la sua conclusione una delle più tragiche di tutta la storia del Medioevo italiano ed europeo.

La sua origine va fatta risalire all'ordine francescano che, alla morte del suo fondatore (1226) si divise in due correnti contrapposte: i conventuali, che, mitigando di molto la severità della regola originaria, accettavano donazioni d'ogni sorta e la vita in convento; e gli spirituali, che invece tendevano a rifarsi alle profezie di Gioacchino da Fiore, morto nel 1202, vivendo in povertà e senza fissa dimora.

Gli apostolici, fondati nel 1260 da Gherardino Segarelli, nel Parmense, si sentivano eredi dei gioachimiti, e nelle accese diatribe tra i guelfi clericali e i laici ghibellini, tendevano a parteggiare per quest'ultimi.

La prima scomunica li colpì nel 1286, da parte di papa Onorio IV, e i primi apostolici furono messi sul rogo nel 1294, subito dopo l'abdicazione di papa Celestino V (l'unico papa riconosciuto dai dolciniani), poi imprigionato da Bonifacio VIII, suo successore.

Quando Gherardino fu messo al rogo nel 1300, un suo giovane discepolo, Dolcino, ebbe la forza di diventare capo carismatico del movimento, proseguendone in maniera decisa l'orientamento eversivo.

Da Parma egli passò nel Bolognese e, per sfuggire ai processi e ai roghi, da qui finì nel Trentino, dove, unendosi ad altri gruppi locali di contestazione, predicava contro la corruzione del clero, per un cristianesimo fuori dalle istituzioni e senza obbedienze gerarchiche.

Il vescovo di Trento avviò la repressione, costringendo i dolciniani a fuggire verso la Lombardia e il Piemonte, diventando una sorta di "comune nomade", con tanto di donne e bambini al seguito.

Il movimento si diffuse sulle montagne di Brescia, Bergamo, Como, Milano e soprattutto della Valsesia. Era una compagine di estrazione rurale-artigianale, che aveva trovato molti seguaci negli ambienti delle comunità montane, profondamente avverse agli strapoteri feudali degli aristocratici laici ed ecclesiastici. In tutta la Valsesia medievale si combatteva contro il pagamento delle imposte inique e delle decime, cercando di riscattare le terre in enfiteusi o in usufrutto. Era inoltre una resistenza delle comunità montane contro i modelli culturali sempre più borghesi che s'andavano imponendo nella pianura.

I dolciniani, tra militanti e simpatizzanti, si aggiravano sulle 3.000 unità. Si spostavano continuamente tra Piemonte e Lombardia (1304-1306), respingendo efficacemente i "crociati" cattolici. Per sostenersi scendevano nelle valli derubando quanto potevano nelle chiese e nelle case dei più facoltosi.

Il vescovo di Vercelli ottenne da papa Clemente V il bando di una crociata che si voleva risolutiva, con l'appoggio armato dei signori feudali di parte guelfa.

L'estrema resistenza dei dolciniani, dopo due anni di guerriglia, è travolta nel Biellese, sul monte Zebello (detto poi Rubello, da "ribelli") nel 1307: i ribelli vengono massacrati. Dolcino e altri suoi luogotenenti, tra cui la moglie Margherita, furono orribilmente torturati e arsi vivi.

Condanne sinodali, processi inquisitoriali e repressioni d'ogni sorta contro gli apostolici, i dolciniani (l'utlima condanna sinodale contro quest'ultimi risale al 1374), i francescani spirituali (fraticelli e radicali), i giovannali, i tuchini proseguono in Italia almeno sino al rogo di Michele Berti da Calci a Firenze nel 1389. Il tuchinaggio in Piemonte sarà domato solo verso la metà del XVI secolo.

Successivamente la repressione si volgerà verso eresie di tipo protestantico (in primis i valdesi, che raccoglieranno i superstiti dolciniani), sino agli inizi del '700.

Nella seconda metà del XIX secolo Dolcino viene considerato come una sorta di "apostolo del Gesù socialista".

Nel 1907 viene inaugurato sul monte Massaro un obelisco con la scritta "A fra Dolcino rivendicato. Il popolo 1307-1907". I fascisti, nel 1927, lo abbatteranno. Tuttavia nel 1974 l'obelisco, alla presenza di Dario Fo, verrà ripristinato, con fattezze simili a quello che a Montségur, nei Pirenei occitani, ricorda il martirio dei catari saliti sul rogo il 1244.

Per il 700° anniversario il Comune di Varallo Sesia gli ha dedicato una lapide e un'altra all'ultima strega trucidata in Italia, la cosiddetta "Stria Gatina", vedova poverissima che nel 1828, a Cervarolo di Varallo fu accusata di aver lanciato un maleficio a due uomini mentre tagliavano un noce, un tempo di sua proprietà. Fu massacrata di botte.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015