STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


STORIA DELL'ITALIA MEDIEVALE PRIMA DELL'ARRIVO DEI NORMANNI

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Leone III incorona imperatore Carlo Magno (miniatura del XV sec.)

In tutto il corso del Medioevo, ogniqualvolta le realtà urbane dell'Italia meridionale manifestavano insofferenza per la dipendenza (che col passar del tempo, invero, era diventata sempre più nominale) nei confronti del dominio bizantino, il papato (che peraltro alimentava i sentimenti anti-bizantini per poter allargare il proprio potere) ne approfittava per imporre a quelle realtà una dipendenza ancora più forte, e lo faceva chiamando in causa l'intervento degli eserciti stranieri, guidati da signori o principi feudali, i quali, pur di conquistare un territorio così importante per il Mediterraneo, come il Mezzogiorno italiano, erano disposti a versare forti tributi alle casse pontificie, sottomettendosi, seppure malvolentieri, a un rapporto di dipendenza personale nei confronti del papato, salvo poi, una volta ottenuta l'investitura politica, comportarsi in maniera tale da strappare alla chiesa ogni autonomia possibile.

Questa, in estrema sintesi, la natura politica dei rapporti tra potere laico e potere religioso che venne imponendosi nell'area occidentale del sacro-romano impero, di cui la zona del Mezzogiorno italiano possedeva un valore paradigmatico, in quanto anticipatrice di controversie che in Europa esploderanno nel corso della riforma protestante e che dureranno sino alla rivoluzione francese e in Italia addirittura sino al momento dell'unificazione nazionale.

Se si esclude la parentesi ostrogota, la chiesa romana fu responsabile di tutte le occupazioni straniere della nostra penisola, a partire da quella longobarda, per la quale si rifiutò di concordare coi bizantini una difesa comune dei confini nord-orientali della penisola. Dietro questa sciagurata decisione vi era una controversia detta "scisma dei tre capitoli", di cui s'è già parlato estesamente (*).

Con papa Gregorio Magno la chiesa cercherà d'impedire in vari modi alle truppe bizantine di riconquistare l'Italia, ovvero di approfittare del fatto che i longobardi, divisi in 35 ducati, non riuscivano a creare uno Stato unitario. Il papato odiava la sede di Costantinopoli sin da quando Costantino aveva voluto trasferire qui la capitale dell'impero. Ecco perché cercò a più riprese di strumentalizzare la presenza longobarda nella penisola per eliminare l'ultima presenza militare di quelli che venivano considerati "cristiani rivali".

E infatti, nonostante i longobardi non fossero ben disposti a dividere il loro potere con la chiesa, anche perché erano di religione ariana, sarà proprio grazie a loro ch'essa riuscì a costituirsi come "Stato politico-territoriale", avente piena autonomia rispetto al dominio bizantino.

L'errata politica iconoclastica degli imperatori levantini fece poi il resto, accelerando il processo di autonomizzazione politica della chiesa romana, che nella prima metà dell'VIII sec. fruirà anche dell'inaspettata alleanza dell'esarcato ravennate, intenzionato a staccarsi da Bisanzio, nell'illusione di poter vivere di vita propria.

Il momento più critico dei rapporti politici tra papato, basileus e longobardi si manifesta proprio in occasione dell'iconoclastia, quando papa Gregorio III (731-41) scomunica tutti gli iconoclasti, mentre il re longobardo Liutprando occupa temporaneamente Ravenna (il cui esarca non aveva capito che se voleva liberarsi del basileus non poteva nello stesso tempo impedire ai longobardi o al papato di approfittarne, non avendo forze sufficienti per impedirlo).

Il basileus, per rappresaglia, tolse nel 733 la Calabria, la Sicilia e l'Illiria alla giurisdizione pontificia. Fu la classica goccia del vaso stracolmo: la chiesa aveva capito che l'unica carta che aveva da giocare contro i bizantini erano i longobardi, i quali però, pur avendole permesso di ampliare notevolmente i propri poteri politici ed economici (in quanto anch'essi s'erano resi conto che senza un appoggio esplicito della chiesa non ce l'avrebbero fatta contro Bisanzio, che nell'Italia meridionale beneficiava di ampi appoggi), non erano così affidabili da assicurarle che quegli stessi poteri, una volta cacciati i bizantini dall'Italia, non glieli avrebbe fortemente ridimensionati. Anche perché i longobardi avevano sin dall'inizio pensato di fare dell'Italia la loro sede principale.

Dopo la parentesi politeistica del paganesimo, essi s'erano convertiti al cristianesimo ariano, che prevedeva la sottomissione della chiesa allo Stato. Quando, poco prima d'essere sopraffatti dai franchi, avevano accettato la variante cattolica del cristianesimo, l'avevano fatto per pura convenienza politica. Non avrebbero certo potuto avere un appoggio esplicito da parte del papato restando ariani.

La stessa chiesa romana si rese conto di aver dato di sé, nel proprio rapporto coi longobardi e nella propria contrapposizione a Bisanzio, un'immagine tutt'altro che "religiosa". Di qui l'esigenza di giustificare il proprio comportamento autoritario, provvedendo a elaborare, in qualche monastero, un falso storico, ritenuto incredibilmente vero per almeno un millennio, chiamato Donazione dell'imperatore Costantino, secondo cui quest'ultimo avrebbe designato la chiesa di Roma, nel proprio testamento di morte, a diventare erede di tutti i beni dell'impero romano-cristiano collocati nell'area occidentale.

La rottura del patto coi longobardi avviene quando, dopo l'occupazione dell'Esarcato e della Pentapoli (le attuali Romagna e Marche), quest'ultimi non avevano intenzione di cedere il bottino di guerra alla chiesa, la quale così pensò di rivolgersi ai franchi e certo non per restituire all'Esarcato la propria autonomia.

Il primo approccio coi franchi di Carlo Martello, da parte di papa Gregorio III, è del 741, ma restò senza risultati, poiché franchi e longobardi combattevano insieme contro i saraceni, e poi perché erano tra loro imparentati.

Ma nel secondo incontro, quello del 754, tra papa Stefano II e Pipino il Breve, le cose cambiarono completamente: disceso in Italia, dopo essere stato designato dal papa col titolo di "protettore e reggente d'Italia", Pipino sconfisse i longobardi, imponendo loro di consegnare alla chiesa sia l'Esarcato che la Pentapoli.

La chiesa poteva finalmente avere un proprio Stato nel centro Italia, che avrebbe definitivamente impedito ai longobardi l'unificazione nazionale: questi ovviamente si ribellarono, ma con la discesa di Carlo Magno il loro potere cessò definitivamente.

I franchi avevano capito che se volevano espandersi, era meglio farlo assecondando le pretese politiche della chiesa di Roma, che non a caso in quel momento ne approfittò rivendicando a sé anche i territori di Corsica, Venezia, Istria e quasi tutto il Meridione. Ormai a Bisanzio restava soltanto Puglia, Lucania e Calabria.

Piuttosto che pensare di sottomettere con la forza una realtà religiosa che rivendicava tenacemente un proprio spazio vitale tra i potenti della terra, i franchi accettarono di scendere a trattative, cercando di ottenere quanto più possibile in cambio di un proprio appoggio militare. E ciò, materialmente, nella nostra penisola, voleva dire ottenere tutta la parte settentrionale.

La rottura con l'impero bizantino fu traumatica: Carlo Magno e papa Leone III si giustificavano a vicenda, anzi questi arrivò addirittura a intronizzare l'altro col titolo di imperatore del sacro romano impero (800), che di diritto spettava soltanto al basileus bizantino. Quest'ultimo, nella persona di Michele I, impegnatissimo a combattere i saraceni, non avendo assolutamente le forze per opporsi a un abuso del genere, preferì accettare il dato di fatto (812), chiedendo soltanto, in cambio del riconoscimento del titolo (che ovviamente aveva valore solo nell'area occidentale dell'impero), di poter continuare a gestire, nella parte settentrionale dell'Italia, la città di Venezia, e di conservare i possessi dell'Istria e della Dalmazia.

L'impero bizantino s'era così indebolito nei confronti dei saraceni che non poté neppure impedire la conquista araba della Sicilia, anche questa indirettamente favorita dalla chiesa romana, che non fece nulla per aiutare l'impero d'oriente a combattere questi nemici.

Anzi, proprio nel momento in cui i saraceni facevano le loro incursioni piratesche nel Mezzogiorno (Palermo, Napoli, Ancona, Bari, Montecassino e persino Roma), approfittando delle divisioni territoriali tra bizantini, papato e gli ultimi longobardi di Benevento, il papato si accingeva ad elaborare un altro clamoroso falso (anch'esso ritenuto vero per quasi un millennio): le Decretali di Isidoro di Siviglia (847-52, utilizzate per la prima volta nell'858). Sulla base di esse si pretendeva totale obbedienza alla sede romana non solo da parte di qualunque altra sede ecclesiastica, ma anche da parte del potere laico, ivi incluso lo stesso imperatore, di oriente e di occidente. Era l'inizio di un processo di temporalizzazione della fede che terminerà soltanto un millennio dopo, con la breccia di Porta Pia.

Intanto il papato, invece di aiutare i bizantini a cacciare i saraceni dal Mezzogiorno, polemizzava continuamente con la sede imperiale di Costantinopoli, il cui patriarca Fozio denunciava apertamente tutti gli abusi politici, amministrativi e teologici che la sede romana aveva compiuto e stava continuando a compiere, in un crescendo senza fine. Il più grave, sul piano dottrinale, era l'eresia filioquista.

Bisanzio dunque deve liberare da sola Bari, Benevento e Taranto, anche se non può far nulla per la Sicilia. Dal canto suo il papato, totalmente indifferente alle sorti del Mezzogiorno, si trova molto impegnato a consolidare il proprio potere nell'Italia centrale, contribuendo non poco alla frammentazione del paese, di cui non a caso seppero approfittare gli ungari che, partendo dal nostro settentrione, finirono col devastare l'intera penisola con le loro scorribande.

Un papato completamente politicizzato suscitava forti ambizioni all'interno dell'aristocrazia terriera di Roma: di qui quella lunga serie di omicidi politici di alti prelati, di cui il primo fu proprio quello di papa Giovanni VIII, nell'882, eliminato dai suoi stessi parenti.

Il papato doveva ora lottare contro chi, in Italia, voleva controllare questa importantissima carica politica. E, non potendo più contare sui sovrani franchi, che, dopo aver riconosciuto col Capitolare di Kiersy (877), l'ereditarietà dei feudi ai loro vassalli, s'erano notevolmente indeboliti, finì ad un certo punto col rivolgersi ai sovrani germanici, ch'erano stati costretti a cristianizzarsi in seguito alle crociate di Carlo Magno.

I sassoni di Ottone I approfittarono delle rivalità tra i feudatari italiani, ognuno dei quali ambiva al titolo di "re d'Italia", per ottenere dalla chiesa il consenso di considerare la penisola (escluso ovviamente lo Stato della chiesa) un feudo della corona germanica.

Ovviamente il papato, per poter meglio gestire il proprio Stato, preferiva circondarsi di sovrani deboli, ma, poiché non aveva ancora forze sufficienti sul piano militare per impedire i condizionamenti politici, preferì cercare un'intesa strategica coi sassoni, cui avrebbe concesso i passati confini dell'ex-impero carolingio, in cambio di una completa autonomia di manovra nell'area centro-sud della penisola.

Ma i sassoni, esattamente come i loro predecessori longobardi (che appartenevano tutti, ivi inclusi i franchi, alla famiglia dei germani occidentali continentali), non avevano alcuna intenzione di considerare la chiesa al loro stesso livello, sicché, dopo aver ottenuto la corona di sovrani d'Italia e del sacro romano-germanico impero (962), tradirono i patti e fecero subito deporre papa Giovanni XII, sotto vari pretesti, nominando al suo posto un laico: Leone VIII, che non ebbe difficoltà a riconoscere il privilegio imperiale ad approvare o rifiutare l'elezione papale.

In sostanza il papato si trovava ad essere completamente controllato dagli imperatori tedeschi, nonché dalla casata romana dei conti di Tuscolo, che in Italia svolgevano il ruolo di vassalli imperiali (ponendo le basi del futuro partito ghibellino). Era l'inizio di una lotta politica furibonda che si concluderà soltanto col Concordato di Worms (1122), in cui si stabilisce che Chiesa e Impero sono reciprocamente indipendenti nel distribuire, rispettivamente, le cariche ecclesiastiche e quelle politiche, con la precisazione che mentre l'imperatore non poteva concedere poteri politici in Italia e in Borgogna a un vescovo se prima questi non era stato "ordinato" dal papa, in Germania invece poteva tranquillamente farlo.

L'accettazione del concordato da parte dei sassoni non impedì comunque a costoro di tentare di occupare il Mezzogiorno. Fu a questo punto che la chiesa, per togliersi di torno una presenza così ingombrante, preferì affidarsi ai normanni francesi, nella certezza che questi, dopo aver cacciato gli arabi e i bizantini, avrebbero accettato di porsi al suo servizio. Essendo solo degli avventurieri conquistatori, essi non avrebbero avuta alcuna possibilità di governare il Mezzogiorno senza l'appoggio esplicito della chiesa. E fu così che entrarono in Italia.

Mappa dell'impero di Carlo Magno

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015