L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


DAL 1848 AL 1871: PANORAMA EUROPEO

I - II

Aspetti politici

Rivoluzioni borghesi ebbero luogo nel 1820 in Italia e in Spagna; in Russia ci fu nel 1825 l’insurrezione dei decabristi; in Grecia si accese nel 1821 la guerra di liberazione contro i turchi. Contemporaneamente nell’America latina alcune colonie spagnole e portoghesi portarono a termine con successo la loro lotta per l’indipendenza. La rivoluzione del luglio 1830 in Francia portò alla cacciata dei Borboni e diede il via a moti rivoluzionari in Polonia, Belgio, Italia e Germania. In Russia, contro lo zarismo, nacque il movimento sociale capitanato da Herzen e Belinskij. Nei paesi capitalistici più avanzati, negli anni '30 e '40, si hanno i primi movimenti di masse proletarie: il Cartismo in Inghilterra, l’insurrezione dei tessitori di Lione in Francia (1831) e l’insurrezione dei tessitori della Slesia in Prussia (1844).

Nelle rivoluzioni del 1848-49, in una serie di Stati europei, in particolare in Francia, il proletariato si presenta già come una forza autonoma. La borghesia europea, impaurita dall’imponenza dei movimenti popolari e dall'avanzata del proletariato, non portò la battaglia contro le forze assolutistico-feudali fino alle estreme conseguenze e preferì tradire gli ideali democratici della rivoluzione.

Dopo il fallimento dei moti democratico-borghesi del 1848-49, nelle mani delle classi reazionarie rimasero molti dei vecchi privilegi. P.es. l’unificazione della Germania (dal 1866 con la creazione della Confederazione Tedesca del Nord, al 1871 con la costituzione dell'Impero tedesco) conservò agli latifondisti (junkers) prussiani, intimamente legati al militarismo, la funzione dirigente.

Fra i più importanti avvenimenti storici di questo periodo vi è la liquidazione della servitù della gleba in Russia (1861), determinata da tutto il corso dello sviluppo economico del paese, dalla sconfitta dello zarismo nella guerra di Crimea (1853-56) e, soprattutto, dalla paura delle classi dirigenti di fronte alla montante rivoluzione contadina.

La rivoluzione del 4 settembre 1870, distruggendo l’impero di Napoleone III, fu l’ultimo anello della catena delle rivoluzioni borghesi in Francia. L’occupazione di Roma da parte degli italiani nel settembre del 1870, e la proclamazione a Versailles, nel gennaio del 1871, del re di Prussia imperatore di Germania, conclusero il processo di unificazione nazionale dell’Italia e della Germania.

Il movimento delle masse popolari europee non si era dimostrato abbastanza forte e la politica della borghesia agì da freno, impedendo che i compiti storici da tempo maturi venissero risolti in una direzione più democratica e più vantaggiosa per le masse.

Nell’Europa centro-orientale le riforme borghesi erano appena iniziate. Dopo la riforma del 1861, realizzata dai feudatari, la Russia si trovò come prima di fronte all’obiettivo della rivoluzione democratico-borghese, per la quale avevano lottato Cernysevskij e i suoi seguaci. Insoddisfatte restavano pure le rivendicazioni nazionali dei popoli oppressi dagli imperi austriaco e ottomano.

Tutti i tentativi, anche delle più modeste riforme, compiuti nei paesi dell’Oriente (Turchia, Persia e Corea), erano completamente falliti, e solo in Giappone i duri scontri di classe portarono, nel 1868, all’inizio delle riforme borghesi.

I dieci anni che separano la prima (1848-49) dalla seconda (1852-61) guerra per l'indipendenza italiana furono anni d'intensa attività per tutte le forze politiche impegnate nella causa dell'unificazione nazionale. L'azione dei mazziniani che si continuavano a muovere secondo un'ipotesi democratico-insurrezionale, l'attività politico-diplomatica dello statista piemontese Camillo Benso di Cavour, i fermenti e le battaglie culturali, offrono un quadro della vita intellettuale e politica degli italiani caratterizzata principalmente dalla crescita di uno spirito collettivo unitario. Le esigenze di indipendenza degli italiani e dei tedeschi riuscirono a portare a compimento il processo di unificazione nazionale grazie anche ad un'accorta politica di alleanze con altri Stati interessati a mettere fine all'egemonia austriaca.

Come l'Italia, la Germania si trovava ancora frazionata in una serie di piccoli Stati indipendenti sotto la soggezione politica dell'Impero austriaco. Il regno di Prussia, il più forte militarmente ed economicamente tra gli Stati tedeschi, aveva assunto una posizione di rilievo già nel 1848. I liberali tedeschi videro nel sovrano di Prussia (Federico Guglielmo IV, in carica dal 1840 al 1861) il possibile artefice dell'unità nazionale, così come i liberali italiani avevano fatto con il re Savoia di Sardegna (Vittorio Emanuele II, in carica dal 1849 al 1861; prima di lui vi era stato Carlo Albero, in carica dal 1831 al 1849).

Aspetti economici

Fra il 1850 e il 1870 il processo di formazione di un mercato mondiale capitalista era compiuto nelle sue linee generali. Il sistema produttivo capitalistico europeo, in piena fase espansiva, compì un ulteriore salto in avanti con la costruzione delle ferrovie e con lo sviluppo delle industrie metallurgiche. Le ferrovie, nel periodo che va dal 1850 al 1870, passarono da 38.568 chilometri a 190.000 chilometri, la produzione di carbone e ferro risultò triplicata.

Nel secolo precedente, durante il periodo dell’“accumulazione primitiva”, i colonialisti europei avevano cercato soprattutto di creare punti d’appoggio lungo i litorali, esercitato la “tratta dei negri”, asportato metalli preziosi, spezie e prodotti dell’artigianato locale (ad esempio i tessuti indiani).

Alla fine del XVIII secolo, e in particolare durante il XIX, la politica colonialista delle potenze capitalistiche adotta nuovi metodi e persegue nuovi obiettivi. I colonialisti tentano, sfruttando la loro enorme superiorità economica, di trasformare tutti i paesi e i continenti in mercati di sbocco dei loro prodotti industriali e in fonti di materie prime.

Molti settori dell’industria locale furono così barbaramente distrutti, milioni di artigiani furono condannati a una esistenza di stenti e alla estinzione, nell’agricoltura furono introdotte con violenza le monocolture, le materie prime furono sottratte a prezzi irrisori e la cultura originale dell’Oriente fu distrutta in modo spietato.

Distruggendo i secolari fondamenti economico-sociali della vita di questi paesi, i colonialisti non desideravano affatto accelerare la formazione di nuove classi e di nuovi rapporti sociali; al contrario essi volevano ostacolare in tutti i modi lo sviluppo industriale delle colonie, votandole al ruolo di appendici agrarie delle metropoli capitalistiche.

Dell’ordinamento politico e sociale delle terre conquistate, essi distrussero soltanto ciò che impediva lo sfruttamento dei popoli delle colonie. Perciò lo sfruttamento capitalistico s’identificò con le più odiose forme di oppressione e con i metodi più spietati di asservimento. Includendo le colonie nell’orbita del mercato mondiale, il capitalismo ne ostacolò in pari tempo lo sviluppo economico, conferendogli un carattere deforme e unilaterale.

Non pago delle colonie, il capitalismo europeo e americano tentò di sottomettere al suo dominio economico e in parte anche politico, altri paesi che formalmente mantenevano ancora la propria indipendenza, ma che, per la loro debolezza militare ed economica, non erano in grado di difendere i propri interessi. Era questa la situazione di quasi tutti i paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina, che si invischiavano sempre più nei debiti, nelle concessioni ferroviarie, in trattati ineguali, cominciando a diventare semi-colonie delle potenze capitalistiche.

Basandosi sulla loro enorme superiorità economica e tecnico-militare, i capitalisti dell’Europa e degli Usa riuscirono abbastanza facilmente a sottomettere i popoli deboli dell’Oriente. Tuttavia, la resistenza dell’Algeria diretta da Abd el-Kader, il movimento dei "babisti" nella Persia, l’insurrezione di liberazione in India e il potente movimento dei "Taiping" in Cina stanno a testimoniare il grande sdegno e la protesta provocati dall’invasione del capitalismo europeo e dalle nuove forme di sfruttamento coloniale.

LE RIVOLUZIONI EUROPEE DEL 1848-49

I moti liberali e costituzionali del 1820-21 del 1830-31 non erano stati capaci di coinvolgere vaste masse popolari; anzi, se si escludono quello greco, finalizzato a una vera e propria liberazione dal giogo turco, e quello del Belgio separatista, insofferente all'egemonia olandese, erano sempre stati facilmente repressi dagli eserciti della Santa Alleanza, e persino puntualmente traditi da quei sovrani che, in un primo momento, si erano dichiarati favorevoli a concedere la Costituzione.

Tuttavia i moti di quel periodo furono in un certo senso l'anticamera di quel generale sommovimento europeo che passò alla storia col nome di "Quarantotto". I tempi sembravano sufficientemente maturi per far capire alle monarchie assolutistiche che dovevano democratizzarsi istituendo dei Parlamenti in grado di legiferare e adottando delle Costituzioni.

Già le rivoluzioni del 1830-31 non erano scoppiate, come quelle del decennio precedente, in aree marginali dell'Europa, ma al suo centro, per lo più industrializzato, come Francia e Belgio. La Restaurazione restava salda soltanto dove la rivoluzione industriale era stata poco significativa, come Austria, Russia e Prussia (i tre imperi che crolleranno durante la prima guerra mondiale).

Nel 1848 la richiesta di democrazia è anche più esplicita per un altro motivo: lo sviluppo dell'industria ha fatto nascere una classe operaia che rivendica diritti contro la grande borghesia. Cioè mentre i moti del 1820-21 e 1830-31 altro non erano stati che rivendicazioni della borghesia medio-alta nei confronti dell'assolutismo, che rappresentava gli interessi della nobiltà; ora invece vediamo lottare, a fianco degli operai e dei contadini, una borghesia medio-piccola, che rivendica maggiore democrazia anche nei confronti della grande borghesia, la quale, in sostanza, si era limitata a realizzare alcuni compromessi con la nobiltà.

Il 1848 coinvolgerà varie nazioni europee, ad eccezione di Russia e Regno Unito, per motivi opposti, in quanto nella prima la rivoluzione industriale era ancora molto primitiva e la classe borghese pochissimo sviluppata, mentre nella seconda tutto il contrario.

Purtroppo in tutte le rivoluzioni di questo periodo si rivelerà ben presto un'insanabile spaccatura tra borghesia e proletariato, nel senso che, mentre nella fase iniziale il proletariato è disposto a lottare a favore della democrazia borghese, viceversa, nella fase successiva al conseguimento di questo risultato, la borghesia non è disposta a lottare a favore delle idee del socialismo.

La rivoluzione del 1848 scoppia dopo la grave crisi economica del 1846-47, che determinò una forte carestia (soprattutto in Irlanda, dove dal 1845 al 1852 morirono un milione di contadini per una malattia della patata, e circa 1,7 milioni emigrò negli Stati Uniti), il conseguente rincaro dei generi alimentari, una recessione industriale, vari fallimenti bancari e di imprese, crac finanziari dovuti a bolle speculative inerenti al settore ferroviario, licenziamenti di massa ecc. (1)

La svolta più significativa venne data a Parigi, dopo che il sovrano Luigi Filippo I e il premier F. Guizot si erano rifiutati di allargare il suffragio, ancora fermo a 240.000 elettori e 56.000 eleggibili su 27 milioni di abitanti. Bastarono due giorni di protesta popolare per indurre il sovrano alla fuga. Fu instaurato un governo provvisorio che proclamò la Repubblica, la seconda dopo quella giacobina del 1792.

Il governo, composto da elementi liberal-moderati, radical-repubblicani e socialisti, introdusse subito la libertà di stampa, di associazione, di riunione, il suffragio universale maschile, l'imposta progressiva sul reddito, la riduzione della giornata lavorativa nelle fabbriche a 10 ore, l'abolizione della pena di morte e della schiavitù nelle colonie, l'istruzione elementare gratuita ecc.

Il diritto al lavoro non fu possibile inserirlo, perché l'ala moderata riteneva che se fosse stato accettato come un diritto giuridico, lo Stato avrebbe dovuto sentirsi in obbligo di rispettarlo. Sicché essa disse che, al massimo, poteva essere considerato un diritto morale, che poteva essere soddisfatto da qualche forma di assistenzialismo statale.

Di qui la grande polemica sulla creazione di fabbriche nazionali appartenenti allo Stato, il cui scopo avrebbe dovuto essere quello di contenere la disoccupazione, ma che, alla prova dei fatti, si rivelarono soltanto come una forma di assistenza pubblica, fornita in cambio di lavori di scarsa utilità. I salari pagati in queste fabbriche fecero aumentare il debito pubblico e le imposte, per cui i loro lavoratori risultarono subito impopolari (la piccola-borghesia arrivò addirittura ad accusare di parassitismo il proletariato urbano).

Queste fabbriche, che occupavano circa 113.000 operai, la borghesia fu costretta ad accettarle, in quanto nel governo provvisorio erano presenti degli elementi radicali. Ma quando vi furono le elezioni per l'Assemblea Costituente, vinte dai moderati e dai conservatori, le fabbriche nazionali furono abolite subito, in quanto ritenute un onere eccessivo. Fu abolita anche la legge sulla riduzione dell'orario di lavoro. Il proletariato parigino reagì con una violenta insurrezione, che però venne repressa brutalmente dall'esercito, comportando migliaia di vittime.

L'Assemblea Costituente varò poi una Costituzione molto moderata, che prevedeva l'elezione diretta del presidente della Repubblica, ma anche il divieto di associazione e la soppressione della libertà di stampa. Il nuovo presidente divenne Carlo Luigi Napoleone Bonaparte (1852-70), politicamente conservatore (era un nipote di Napoleone): aveva ottenuto il 75% dei voti, provenienti non solo dai ceti moderati e conservatori, ma anche dal mondo cattolico.

Il governo belga, preoccupato di questa svolta, procedette immediatamente ad arrestare quanti propugnavano la Repubblica e la mobilitazione della classe operaia, anche se accettò l'idea di allargare il diritto di voto. Tra gli arrestati vi fu anche Karl Marx, che si era stabilito in Belgio nel 1845; egli tornò a Parigi, da dove partì per la Germania, quando qui scoppiò il moto rivoluzionario.

Vediamo ora la situazione tedesca. Di tutta la Confederazione germanica, la regione economicamente più dinamica era la Prussia, sia nell'industria che nell'agricoltura. L'intenzione del governo prussiano era quella di ampliare il mercato, unificando i territori, eliminando le barriere doganali e favorendo il protezionismo contro le merci straniere.

Nel 1834 la Prussia era riuscita a istituire lo Zollverein, una sorta di unione doganale che riuniva 18 Stati tedeschi su 39. L'Austria non vi aderì, temendo la concorrenza prussiana.

Nel marzo del 1848 insorse anche Berlino, alla notizia della rivoluzione viennese, chiedendo la convocazione di un'Assemblea Costituente, che il re prussiano Federico Guglielmo IV (1840-58) concesse, assicurando la libertà di stampa, di associazione, l'indipendenza della magistratura, il diritto di voto a tutti i maschi di oltre 24 anni e la liberazione dei contadini dei vincoli feudali.

Siccome occorreva anche una unità federale tedesca, si riunì a Francoforte un Parlamento, eletto a suffragio universale maschile, che riuniva rappresentanti dei 39 Stati tedeschi.

La presidenza della Confederazione germanica era però tenuta dall'Austria sin dai tempi del Congresso di Vienna e la politica di Mettermich influenzava notevolmente sia quella del re prussiano che quella del Parlamento. Sicché, ad un certo punto, visto che la rivoluzione si era diffusa in tutta la Germania, si decise di trasformare il Parlamento in un'Assemblea Nazionale Costituente, del tutto libera dall'influenza austriaca.

Tuttavia l'Assemblea restò per circa un anno paralizzata dalla discussione su quale forma avrebbe dovuto prendere il futuro Stato tedesco: se una grande Germania comprendente anche l'Austria come principale esponente, oppure una piccola Germania senza l'Austria, ma con la Prussia avente un ruolo guida.

Quando ci si decise a favore della seconda soluzione, offrendo a Federico Guglielmo IV la corona, questi la rifiutò, poiché non voleva inimicarsi Vienna e continuava a credere nella monarchia per diritto divino.

Purtroppo l'Assemblea, invece di reagire con maggiore decisione democratica, allargando il consenso popolare, si trovò a non sapere cosa fare, cosicché il sovrano prussiano la sciolse con la forza nel giugno 1849.

L'insurrezione scoppiata a Vienna nel marzo 1848 aveva costretto l'imperatore Ferdinando I (1835-48) a licenziare Metternich (che riparò in Gran Bretagna). Poiché gli studenti e i lavoratori chiedevano la Costituzione, l'imperatore fu costretto a concedere la convocazione di un'Assemblea Costituente eletta a suffragio universale. Concesse anche la liberazione dei contadini dai vincoli feudali.

In questo impero il problema fondamentale era l'aspirazione autonomistica dei popoli soggetti al dominio austriaco. Infatti scoppiarono subito altre insurrezioni a Budapest, dove il governo nazionale, ferma restando la sovranità asburgica, dovette essere riconosciuto come autonomo.

I boemi invece volevano formare uno Stato slavo, liberale e cattolico, insieme ai polacchi. A Praga si formò un governo provvisorio. Anche a Zagabria si proclamò l'autonomia della nazione croata, in cui però vi era un certo interesse da parte dell'Austria, poiché in tal modo s'indeboliva la formazione dello Stato ungherese.

L'imperatore seppe sfruttare a proprio vantaggio le rivalità interetniche e nazionali tra le varie popolazioni di origine tedesca, slava e magiara, sicché, grazie all'appoggio dell'esercito, poter ripristinare la propria egemonia.

In cambio di ciò offrì la propria abdicazione a favore del figlio Francesco Giuseppe (1849-1916), il quale emanò nel marzo 1849 una nuova Costituzione, con cui si confermava l'abolizione del servaggio, l'istituzione di un Parlamento eletto con un suffragio molto ristretto e con tutti i poteri accentrati a Vienna, cioè limitando le autonomie locali.

L'Ungheria non ne volle sapere e cercò di fondare una Repubblica indipendente, ma l'Austria chiese aiuto alla Russia, che in poco tempo soffocò ogni ribellione. L'eroe nazionale ungherese, L. Kossuth, fuggì in vari paesi, finché arrivò in Italia, dove nel 1859, su incarico di Cavour, costituì un'armata di volontari ungheresi anti-austriaca, partecipando alla seconda guerra d'indipendenza. Non pochi ufficiali e soldati ungheresi si arruolarono nella spedizione garibaldina dei Mille. Morì a Torino nel 1894.

Note

(1) La crisi della metà dell'800 dipese non solo dalla malattia delle patate (un fungo, la peronospora, colpì la coltivazione nel 1845 distruggendo un terzo circa del raccolto della stagione e l'intero raccolto del 1846; una recrudescenza dell'infezione distrusse gran parte del raccolto del 1848), ma anche dall'estensione all'Irlanda delle "British Corn Laws", ch'erano leggi pensate per proteggere i coltivatori di grano dalla competizione col mercato estero. Esse avevano il duplice scopo di mantenere alto il prezzo del grano e di prevenirne la caduta in annate di grande offerta. Tuttavia i veri beneficiari di questo atteggiamento protezionistico furono i proprietari terrieri inglesi, che molto spesso non si degnavano neppure di visitare i loro possedimenti in Irlanda; tutta la gestione veniva infatti affidata a un affittuario locale, che si occupava di subaffittare piccoli appezzamenti di terreno ai contadini in cambio del loro lavoro e del raccolto di patate necessario alla sussistenza del lavoratore e della sua famiglia. I proprietari terrieri in tal modo si assicuravano che la maggior parte dei loro terreni venisse destinata alla coltivazione intensiva del ben più redditizio grano da esportare in Inghilterra, senza peraltro dover pagare alcun tipo di salario alla forza-lavoro locale. La competizione per la terra portò a un aumento esagerato degli affitti e alla suddivisione delle proprietà in lotti sempre più piccoli, con ovvie difficoltà per i contadini stessi che non potevano vantare nessun genere di diritto sulla terra da loro lavorata o su eventuali miglioramenti apportati al fondo coltivato. Privati di ogni diritto, condannati a una vita stentata non solo dalle condizioni di povertà, ma anche da leggi assurde, come la famigerata "Window Tax", i lavoratori non più capaci di pagare l'affitto venivano sfrattati brutalmente dai loro miseri tuguri: si calcola che negli anni tra il 1842 ed il 1849 vennero allontanati con la forza 58.420 contadini con le loro famiglie.
L'Irlanda di quel periodo era una nazione povera, considerato che il reddito pro-capite era circa la metà di quello percepito nel resto del Regno Unito. La gestione dei terreni e delle coltivazioni da parte degli inglesi contribuì ad aumentare il livello d'indigenza del popolo Irlandese e le diseguaglianze. La pressione demografica (8.2 milioni di abitanti) era solo in parte bilanciata dall'emigrazione: la sola cosa che separava i contadini dalla catastrofe era la possibilità di nutrirsi di patate, un cibo sostanzioso e facile da coltivare, e di potersi scaldare con un combustibile economico come la torba. Ma un'economia così precaria non era certamente in grado di resistere alla malattia delle patate che devastò completamente i raccolti del 1845-1850: già nel 1846 si verificarono numerosi decessi, soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione (bambini e e vecchi). Tra l'inverno del 1846 e la primavera del '47 si raggiunse il picco massimo dei decessi per fame, ma la morte continuò a mietere vittime per almeno altri tre anni, senza contare tutti coloro che perirono sulle "coffin ships", le famigerate navi-bara che trasportavano in condizioni igieniche proibitive gli emigranti già minati dalla malnutrizione e dalle malattie (febbri dissenteriche, tifo, colera, scorbuto).
Ciò che rese veramente drammatica la situazione Irlandese fu la mancanza di azioni concrete da parte del governo britannico, convinto che un robusto piano di aiuti avrebbe avuto come unico effetto l'adagiarsi dei poveri in una condizione di elemosinaggio. Il Primo Ministro inglese Robert Peel tentò di alleviare la miseria dei contadini, inviando in Irlanda alcune forniture di grano acquistato in America a insaputa del suo partito. Purtroppo fu solo una goccia nel mare, che venne presto esaurita: le spedizioni furono sospese e nel 1846 Peel dovette rassegnare le dimissioni.
Il suo successore - Charles Edward Trevelyan - si dimostrò invece assolutamente indifferente alle sorti dell'Irlanda, poiché riteneva che inviare scorte di cibo avrebbe solo contribuito a impigrire i poveri, prevenendone la voglia di lavorare. Non solo, ma proseguì nella follia delle esportazioni dei raccolti di grano prodotti in Irlanda, cosa che produsse disperazione e soprattutto un forte risentimento nei confronti del governo britannico.
In precedenza i più poveri e indigenti potevano recarsi nelle workhouses, edifici di accoglienza istituiti nel 1840 da Peel, con l'intento di risolvere parzialmente il problema della povertà. In queste case le condizioni di vita erano assolutamente proibitive: le famiglie venivano separate, i componenti radunati in base al loro sesso, i poveri erano costretti a indossare una speciale uniforme e costretti poi a lavorare; gli uomini spaccando pietre, costruendo strade e canali, le donne lavorando a maglia. Il sovraffollamento, il cibo scadente, le pessime condizioni igieniche scatenarono ogni genere di malattia, senza contare che le capacità di lavoro di uomini già così debilitati erano veramente scarse.
Alla luce dell'inefficacia delle workhouses, Trevelyan progressivamente abbandonò questo progetto e nel 1847 l'unico aiuto offerto all'Irlanda dal governo britannico fu la distribuzione di pasti agli indigenti, affiancando le organizzazioni caritatevoli cattoliche e quacchere che già da tempo prestavano assistenza in tal senso.
Paradossalmente, questa disastrosa politica di aiuti rovinò non solo la vita dei poveri, ma anche dei proprietari terrieri irlandesi: molti di loro vendettero ogni loro avere per aiutare i contadini; altri fecero bancarotta, sia per la mancanza di affitti da riscuotere, sia per l'aumento delle tasse imposto dall'Inghilterra per fornire denaro da destinarsi alle sovvenzioni.
Dopo la grande carestia la popolazione venne ridotta da 8.2 milioni di persone ai 6 milioni censiti nel 1851. Le stime della mortalità sono tra l'altro solo approssimative, perché non tengono conto dei decessi avvenuti nei paesi verso cui si erano diretti gli emigranti.
La distribuzione degli appezzamenti di terra variò notevolmente, perché le famiglie cessarono di dividere i lotti tra i diversi figli, destinandoli per eredità a vantaggio del maggiore e creando perciò condizioni di povertà per i fratelli.
Un'altra conseguenza drammatica fu l'emigrazione: si parla di circa 1.700.000 persone che cercarono migliori condizioni di vita negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. L'emigrazione irlandese cominciò in realtà ben prima della carestia: tra il 1815 e il 1845 lasciarono l'isola circa 1,5 milioni di persone, dirette prevalentemente verso la Gran Bretagna (circa mezzo milione) e il Nord America. Al 1851 si pensa che la popolazione sia calata fra il 25% e il 30%.
Il terzo effetto della carestia fu la nascita di organizzazioni politiche irlandesi, il cui scopo era di liberarsi con le armi dal giogo dell'Inghilterra, per fondare una repubblica indipendente.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 17/03/2015