L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


ALESSANDRO I ROMANOV
TRA SANTA ALLEANZA E DECABRISTI

Alessandro I Romanov

DA NAPOLEONE ALLA GRECIA

Dal 1801 al 1825 l'impero russo ebbe come zar Alessandro I Romanov, il principale artefice della disfatta dell'impero napoleonico, colui che dopo la caduta di Napoleone divenne il più potente sovrano d'Europa.

Il suo nome rimane strettamente legato a un'iniziativa presa subito dopo la fine dei lavori del Congresso di Vienna (1814-15) e che segna una sorta di spartiacque tra due distinte fasi della sua vita: la prima contrassegnata da un certo spirito liberale, in cui dominavano promesse, mai mantenute, di mutamenti sociali favorevoli alla borghesia; la seconda caratterizzata invece dal conservatorismo più bieco, secondo appunto i principi della Restaurazione post-napoleonica.

L'iniziativa di cui egli si fece promotore è notoriamente chiamata col nome di "Santa Alleanza".

Molti storici sono propensi ad attribuire questo "voltafaccia" alla natura contraddittoria della sua personalità, formatasi in ambienti che nello stesso tempo erano favorevoli e contrari alla rivoluzione francese (dal tutore svizzero Federic Cesar de Laharpe, seguace di Rousseau, al suo istruttore militare, Generale Soltikov, che lo introdusse alle tradizioni dell'autocrazia russa). Questa ambiguità di carattere portò Napoleone a considerarlo alla stregua di uno "scaltro bizantino", mentre il Metternich lo riteneva addirittura un "pazzo da assecondare".

In realtà lo zar rifletteva nella sua personalità le contraddizioni di un intero paese, che mentre da un lato (proprietari terrieri, militari di alto rango, funzionari statali, clero) era convinto di poter continuare ancora per molto tempo sulla strada dell'autocrazia feudale, dall'altro invece (intellettuali illuminati, borghesia, militari di rango inferiore) non poteva fare a meno di constatare i grandi progressi economici di molti Stati europei che da tempo avevano imboccato la strada del capitalismo. Senza poi considerare che la stragrande maggioranza dei lavoratori - i contadini - non riusciva più a sopportare le angherie del servaggio.

Prima della guerra contro Napoleone, Alessandro I aveva sostenuto due guerre vittoriose contro i turchi (1806-12) e contro i persiani (1804-13).

Grazie all'aiuto militare russo, i serbi furono i primi tra i popoli della penisola balcanica ad acquisire l'indipendenza dal dominio turco (l'insurrezione era scoppiata nel 1804). I turchi dichiararono guerra alla Russia nel 1806, sotto pressione della Francia napoleonica, che voleva indebolire le posizioni dello zar nel Vicino Oriente.

In quel frangente cercò di approfittarne l'Inghilterra, alleata della Russia, con l'obiettivo di conquistare gli stretti del Bosforo, strategici per il commercio con l'Asia. Gli inglesi tuttavia ne uscirono sconfitti, mentre la Russia riuscì invece a conquistare la Bessarabia (1812), e probabilmente avrebbe liberato anche la Moldavia e la Valacchia dal giogo turco, se Napoleone non avesse deciso di attaccarla.

Molto più semplice fu la guerra contro la Persia, in quanto furono le stesse popolazioni della Transcaucasia che, ridotte allo stremo dallo sfruttamento inumano dei feudatari turchi e persiani, a chiedere l'intervento della Russia.

A dir il vero nella fase iniziale della guerra, la situazione fu complicata dal fatto che la Persia era riuscita ad ottenere l'appoggio di Francia e Inghilterra, ma fu proprio la rivalità che opponeva queste due grandi potenze a permettere ai russi di avere la meglio sui persiani, i quali dovettero loro riconoscere l'esclusivo diritto di tenere nel Mar Caspio una flotta da guerra.

L'errore più grave di Alessandro I fu quello di non aver aiutato la Grecia, nel momento decisivo, a liberarsi dei turchi. Infatti lo sviluppo delle idee di liberazione nazionale in questo paese era stato stimolato proprio da due avvenimenti in cui la Russia aveva giocato un ruolo decisivo: la creazione di una Repubblica di sette isole nel Mar Ionio (il primo Stato costituzionale con popolazione greca), e la lotta scatenatasi in Serbia per l'indipendenza dal giogo turco.

Come noto, la rivolta scoppiò nel 1821, nei principati danubiani di Moldavia e Valacchia. Era guidata da una società segreta, "Eteria", formatasi nel 1814 a Odessa: il suo leader era un generale al servizio dell'esercito russo, Alexandros Ypsilanti.

Ebbene lo zar, temendo ripercussioni a causa degli impegni presi in seguito al trattato della Santa Alleanza, il quale prevedeva l'obbligo di soffocare, ovunque si manifestassero, i tentativi insurrezionali (non a caso il Metternich aveva minacciato di porsi dalla parte dei turchi), non diede alcun aiuto militare alla causa dei greci. Così i turchi ne approfittarono reprimendo con grande crudeltà la rivolta.

Tuttavia dopo pochi mesi essa scoppiò di nuovo, sia in Grecia che nella Morea, al punto che nel 1822 la Grecia volle proclamarsi indipendente.

Ma il governo turco reagì in maniera ancora più spietata: nell'isola di Chio, ove risiedevano 100.000 abitanti, ne rimasero solo duemila; a Costantinopoli fu impiccato il patriarca ortodosso Gregorio V, e solo quando la flotta turca si apprestava ad attaccare le coste greche si fece strada la protesta negli ambienti intellettuali europei più illuminati.

In aiuto della Grecia accorsero volontari da vari paesi: Germania, Francia, Inghilterra, Italia... Byron e Santorre di Santarosa diedero la loro vita.

Nonostante che i turchi avessero ottenuto l'appoggio bellico del potente vassallo egiziano, non avrebbero vinto se all'interno della neonata repubblica greca non fossero scoppiati gravi disordini tra i sostenitori di un governo borghese-aristocratico e quelli di un governo popolare-contadino.

La guerra civile indebolì le forze greche che si videro ben presto sconfitte in Morea e con la città di Missolungi completamente distrutta.

Il governo russo cominciò a intervenire solo nel 1825, dopo la morte dello zar Alessandro, e solo nel 1827 Russia, Inghilterra e Francia si decisero a firmare una convenzione con la quale chiedere ai turchi di ritirarsi, riconoscendo alla Grecia, se non l'indipendenza, almeno l'autonomia.

Il governo turco respinse la proposta e prese ad attaccare le ultime isole rimaste in mano greca. Significativamente, nonostante la flotta turco-egiziana venisse completamente sconfitta da quella degli alleati, Francia e Inghilterra non volevano fare pressione sui turchi, temendo di dover agevolare la Russia, la cui presenza nel Mediterraneo veniva considerata particolarmente sgradita.

Poiché dunque le trattative per la resa si protraevano per le lunghe, ruppe gli indugi lo zar Nicola I, che mal sopportava le restrizioni turche al commercio del proprio paese, nonché il rifiuto da parte del sultano di riconoscere l'autonomia a serbi, moldavi e valacchi. La guerra fu dichiarata nel 1828 e nel 1830, nonostante l'appoggio esplicito dell'Austria a favore dei turchi, la Grecia poté finalmente, pur senza alcuni territori (parte dell'Epiro, Tessaglia, Creta, isole Ioniche...), avere la propria indipendenza.

Dopo lunghe trattative tra Inghilterra, Francia e Russia, si decise che la Grecia sarebbe stata governata da un principe tedesco, mentre l'economia e la finanza sarebbe state gestite dagli inglesi. Il peso maggiore delle operazioni belliche era stato sostenuto dai russi, ma i veri vincitori furono gli inglesi. E pensare che gli affari dell'impero ottomano, su richiesta dello zar Alessandro, erano stati esclusi dalle deliberazioni del Congresso di Vienna, in quanto -diceva lo zar- "affari interni alle questioni domestiche russe".

LA RIVOLTA DECABRISTA

La guerra patriottica del 1812 aveva prodotto danni enormi alle forze produttive del paese. Dal 1812 al 1817 la popolazione russa era diminuita di circa il 10% (da 45 a 41 milioni di abitanti). Centinaia di migliaia di famiglie contadine era state completamente rovinate dalla campagna napoleonica.

L'industria era quasi inesistente o comunque con un basso livello di sviluppo. Nella seconda metà degli anni Venti si contavano circa 1.800 manifatture, che davano lavoro a circa 340.000 operai. I prodotti industriali erano troppo cari per poter competere con quelli stranieri e la domanda interna restava molto limitata.

Il servaggio si era addirittura intensificato, in quanto erano aumentati i prezzi del frumento e delle materie prime agricole nell'Europa post-napoleonica. E ai grandi proprietari terrieri tornava comodo approfittare dell'occasione sfruttando al massimo i contadini.

La miopia del governo zarista fu assoluta in questo periodo. Nel 1816-20 si registrarono, soprattutto nel bacino del Don, ben 87 rivolte contadine: tutte furono spietatamente represse dal generale Arakčeev, un premier feudatario con poteri praticamente illimitati.

Alessandro I non solo aveva ripristinato il diritto feudale di esiliare i servi della gleba in Siberia, senza processo, ma aveva anche insediato nel paese le cosiddette "colonie militari", un corpo armato speciale di 375.000 uomini, dislocati dalle rive del Baltico al mar Nero, uomini che altri non erano che contadini obbligati a lavorare e contemporaneamente a prestare servizio militare, fornendo alle colonie cibo e foraggi. Se si considera che la vita di questi coloni era completamente militarizzata, il governo era in grado di disporre di un enorme esercito regolare senza dover aumentare le spese per il suo mantenimento.

Le rivolte naturalmente aumentarono, ma avevano carattere spontaneistico e venivano tutte brutalmente represse. La borghesia era troppo debole per appoggiarle.

Sul piano culturale la monumentale Storia dello Stato russo di N. M. Karamzin negava completamente il ruolo delle masse nei processi storici; si usava la religione come strumento ideologico di oppressione, al punto che nel 1817 il Ministero dell'Istruzione fu trasformato in Ministero degli Affari Spirituali e dell'Istruzione popolare; il grande scrittore A. Puskin fu minacciato di esilio in Siberia (nel 1820 gli fu sostituita la pena con l'esilio in Bessarabia).

La prima associazione rivoluzionaria fu chiamata "Lega della salvezza" (1816), poiché la gioventù aristocratica d'avanguardia, che aveva combattuto all'estero, al tempo delle campagne antinapoleoniche (1813-14), era convinta fosse giunta l'ora di "salvare" la Russia, liquidandone il servaggio feudale e l'assoluta autocrazia.

Questi giovani, che pur dicevano d'ispirarsi ai club francesi rivoluzionari, non volevano abbattere lo zarismo con la forza, ma semplicemente chiedere la promulgazione della Costituzione, e avevano pensato di farlo subito dopo la morte naturale dello zar. Nel frattempo lo scopo principale era di trovare ampi consensi nell'ambito dell'apparato statale.

Tuttavia dopo due anni gli iscritti erano solo una trentina. Dalle ceneri di questa associazione nacque nel 1818 "L'unione della prosperità", questa volta aperta a tutti e con lo scopo di compiere un colpo di stato. Ora si puntava sulla propaganda delle idee rivoluzionarie presso i circoli letterari e sociali. In tre anni gli iscritti salirono a 200 e nel 1820 si arrivò a ipotizzare il passaggio dalla monarchia alla repubblica.

La tensione intanto stava salendo negli ambienti militari: dal 1816 al 1825 si verificarono 15 ribellioni o ammutinamenti contro il regime di Arakčeev. Le dure repressioni e le prime defezioni portarono nel 1821 a sospendere l'attività pubblica dell'Unione, e a rifondarla in maniera del tutto clandestina, con un'accurata selezione dei soci.

La nuova organizzazione si sdoppiò in due tronconi: quella con sede a Pietroburgo si chiamava "Associazione del nord", quella con sede a Kiev, in Ucraina, si chiamava "Associazione del sud", capeggiata da Pavel Pestel. Il programma era repubblicano, da realizzare mediante insurrezione militare. All'inizio del 1823 si presero contatti con un'associazione polacca patriottica.

Gli obiettivi col tempo si erano radicalizzati, ma più nell'Associazione di Kiev che non in quella di Pietroburgo, la quale infatti si limitava a voler la fine del servaggio senza assicurare le terre ai contadini e non disdegnava l'idea di accontentarsi di una monarchia costituzionale; solo successivamente si convinse ad assicurare ai contadini il diritto alla casa, garantendo loro un minimo di terra per sopravvivere.

Viceversa l'Associazione del sud sosteneva che tutto il potere legislativo, giudiziario e amministrativo doveva passare ai rappresentanti eletti dal popolo; i diritti politici dovevano essere concessi a tutti gli uomini che avevano compiuto il ventesimo anno di età; i grandi latifondi andavano confiscati: metà di tutte le terre doveva essere statalizzata e ridistribuita gratuitamente ai contadini, l'altra metà invece poteva essere venduta o affittata.

Tuttavia entrambe le Associazioni confidavano soprattutto nella tattica dell'insurrezione militare e non avevano fiducia nella partecipazione delle masse. Erano anzi convinte che la rivoluzione si sarebbe compiuta senza spargimento di sangue, in maniera analoga a quella spagnola. (1) L'Associazione del sud aveva anche in mente di creare una sorta di repubblica federata panslavista e chiedeva l'indipendenza della Polonia.

L'improvvisa morte dello zar (su cui s'è favoleggiato non poco, in quanto il suo corpo non è mai stato trovato) fece precipitare gli eventi: si decise immediatamente di approfittare della situazione di interregno, occupando il potere a Pietroburgo.

Alessandro infatti aveva lasciato il trono senza eredi diretti, non avendo avuto figli. Ufficialmente avrebbe dovuto succedergli il fratello più anziano, Costantino, che però aveva rinunciato ai suoi diritti, sapendo che Alessandro, segretamente, aveva designato alla successione Nicola, altro suo fratello.

L'incertezza iniziale della successione venne sfruttata per compiere il colpo di stato e proclamare la convocazione di un'assemblea costituente.

La rivolta tuttavia fallì miseramente, in quanto il colonnello S. P. Trubeckoj, cui era stato affidato il comando delle truppe ribelli, che erano oltre 3.000, non si presentò neppure sulla piazza antistante il palazzo d'Inverno, sicché lasciò tutti senza direzione.

Le truppe dello zar (oltre 10.000 uomini) colsero la palla al balzo e con l'artiglieria pesante uccisero e ferirono migliaia di uomini. Ristabilito l'ordine fu poi facile eliminare anche l'Associazione del sud, insorta nel 1826. La repressione di Nicola I fu durissima.

IL RUOLO DELLA RUSSIA IN EUROPA

La rivolta decabrista (da dekabŕ, dicembre) fu sventata dallo zar Nicola I, ma Alessandro avrebbe fatto la stessa cosa. Sul piano politico le differenze tra i due erano minime e sul piano personale stavano unicamente nella maggiore importanza che Alessandro attribuiva alla religione.

Sotto di lui infatti, soprattutto nella prima fase del suo regno, fiorì a corte il misticismo pietistico che, in nome del liberalismo illuminato, ambiva a favorire, in politica interna, la coscienza nazionale-ortodossa, nella speranza che ciò servisse da collante tra le esigenze della società civile e quelle dello Stato autocrate, mentre in politica estera si favoriva il sincretismo tra le tre confessioni cristiane: ortodossa, cattolica e protestante. In tal senso Napoleone veniva considerato, dall'establishment, come una sorta di "anticristo", anche se i giovani ufficiali la pensavano diversamente.

La testimonianza più eloquente della volontà di Alessandro I di convogliare gli interessi e gli ideali dei governi legittimisti, restaurati dal Congresso di Vienna, verso l'obiettivo comune di realizzare un'Europa migliore di quella voluta da Napoleone, fu appunto il patto della Santa Alleanza, in cui il ruolo pacificatore delle diverse confessioni cristiane non avrebbe dovuto essere inferiore a quello degli eserciti nazionali per garantire la sicurezza delle monarchie e l'ordine pubblico.

In realtà la rivoluzione francese aveva trovato in Russia molti sostenitori. Sin dal 1790 avevano cominciato ad essere pubblicate numerose opere dei protagonisti di quella rivoluzione e dell'Enciclopedia, tradotte e vendute illegalmente sotto forma di manoscritti.

Il primo pensatore rivoluzionario russo era stato A. N. Radisčev, ma era famoso anche l'illuminista N. I. Novikov, entrambi esiliati e incarcerati da Caterina II (1762-1796). E fecero la loro parte anche Puškin e Lermontov, successivamente Belinskij e Herzen.

La Francia rivoluzionaria (anticlericale sul piano religioso) faceva così paura che il primo zar a unirsi alla coalizione antinapoleonica fu Paolo I (1796-1801), che si considerava "il gendarme d'Europa". Siccome però gli inglesi temevano la supremazia russa sui turchi e non volevano assolutamente che la flotta russa entrasse nel Mediterraneo, lo zar aveva deciso di rompere con gli inglesi, preferendo intavolare trattative con gli stessi francesi.

Ciò gli fu fatale, poiché l'Inghilterra era il più importante mercato per l'export dei prodotti agricoli dei grandi latifondisti russi (pomescik). Sicché lo zar fu ucciso da alcuni congiurati aristocratici nel 1801, col pieno appoggio dell'ambasciata inglese di Pietroburgo, e forse anche con quello del figlio maggiore Alessandro, che venne incoronato zar subito dopo.

La Russia aveva mostrato visibilmente tutti i suoi ritardi nello sviluppo industriale soprattutto nel primo trentennio del XIX secolo (nel 1804 le imprese industriali con più di 16 dipendenti erano soltanto 1.200). E nello stesso tempo era lontanissima dal compiere un'autentica riforma agraria a favore dei contadini. Per ottenere la fine del servaggio le masse rurali dal 1801 al 1861 dovranno fare più di duemila manifestazioni. L'inizio della vera rivoluzione industriale avverrà solo alla fine degli anni Trenta.

Tutti i paesi europei guardavano questo immenso paese con un atteggiamento contraddittorio: da un lato infatti se ne servivano quando si dovevano reprimere i moti liberali, dall'altro lo temevano quando lo vedevano battere con relativa facilità le forze turche e persiane (p.es. in Transcaucasia e Asia centrale, tra il 1801 e il 1822), dall'altro ancora ambivano a conquistarne le terre per sfruttarne le immense risorse naturali.

Le truppe napoleoniche non sarebbero potute entrare così facilmente in Russia se non ci fossero state le sanguinose repressioni del governo zarista contro i contadini. Peraltro non era solo la Francia a volere la fine della Russia zarista.

Nel 1788, proprio mentre Caterina II combatteva contro i turchi, si era costituita la triplice alleanza tra Inghilterra, Prussia e Olanda, volta a scalzare le posizioni russe sul Baltico. Contemporaneamente era scoppiata la guerra russo-svedese, con cui la Russia era riuscita ad annettersi la Finlandia (1809). E l'Austria, pur alleata dei russi, venne allora convinta da inglesi e prussiani a non intervenire.

Questi conflitti di fine Settecento, in cui peraltro i generali russi mostrarono di non essere inferiori ai loro rivali europei, si erano improvvisamente attenuati quando le monarchie conservatrici s'erano accorte che il vero nemico da combattere non era la Russia feudale ma la Francia rivoluzionaria.

In nome della coalizione antifrancese la Russia era persino riuscita, insieme alla Prussia e all'Austria, a spartirsi la Polonia, che cessò di esistere come Stato indipendente (1815).

La guerra del 1789-99 contro la Francia, a fianco di Austria, Inghilterra e Turchia, fu condotta dai russi in maniera così efficace che i loro marinai, comandati dall'ammiraglio Ushakov, e le truppe del feldmaresciallo Suvorov erano persino riuscite a liberare Napoli, Roma e l'Italia settentrionale. Erano addirittura pronte a marciare su Parigi se l'Austria, che non voleva un'Italia indipendente, non l'avesse impedito. La coalizione antifrancese di disgregò quando Napoleone accettò di patteggiare coi russi, ai quali fu dato ordine da parte dello zar di fermarsi in Svizzera.

Le potenze europee temevano Napoleone, ma non fecero nulla per impedirgli di attaccare la Russia. Anzi, nel 1801 iniziarono le ostilità tra Russia e Inghilterra per la conquista dell'India.

Alessandro aveva ristabilito relazioni diplomatiche con gli inglesi e sbagliò completamente la sua politica diplomatica e militare coi francesi.

Lo zar non aveva capito che Napoleone, dopo aver conquistato quasi tutta l'Europa occidentale, avrebbe voluto conquistare anche la Russia. E nel giugno 1812, quando le truppe francesi, senza alcuna dichiarazione di guerra, attraversarono lo Niemen, quelle russe erano del tutte impreparate ad affrontarle. Un tragico errore che la Russia ripeterà nel 1941 nel confronto con la Germania nazista.

Non solo, ma se Alessandro non si fosse deciso a nominare il generale Kutuzov comandante in capo, l'esercito russo, che si trovava in una situazione difficilissima, ne sarebbe uscito sicuramente sconfitto. Erano già state perse battaglie decisive come quella di Austerlitz, Eylau e Friedland, che avevano portato alla pace di Tilsitt (1807).

Invece non solo la Russia fu salva ma anche l'Europa. Infatti l'annientamento della Grande Armata francese (640.000 uomini), nel 1812, fu il segnale per il risveglio dei movimenti di liberazione nazionale contro il dominio napoleonico (Napoleone fu esiliato nell'isola d'Elba nel 1814). Esattamente come la vittoria della Russia bolscevica determinerà la sconfitta del nazismo in tutta Europa.

Alessandro I tuttavia di nuovo non riuscì a comprendere che i movimenti popolari non si sarebbero liberati di Napoleone per tornare all'assolutismo monarchico tardo-feudale dei secoli precedenti. Le idee democratico-repubblicane della rivoluzione francese avevano fatto breccia tra la gente comune e difficilmente avrebbe potuto esserci una "Santa Alleanza" in grado di fermarle.

Patetico, in questo senso, fu il suo tentativo di epurare dall'esercito tutti gli ufficiali cresciuti alla scuola di Suvorov e di Kutuzov, col pretesto che nelle campagne degli anni 1813-15, condotte all'estero, ci si era contaminati da idee francesi.

Ancor più illusorio fu il tentativo di servirsi della religione per ostacolare la diffusione delle idee sovversive, cacciando dalle università i docenti progressisti e imponendo in tutto il paese una soffocante censura sul libero pensiero.

LA SANTA ALLEANZA

Nell'imminenza del Congresso di Vienna la Russia si era presentata come un paese particolarmente conservatore, nettamente agricolo-feudale, fortemente protezionista nel commercio estero, fornitore di derrate alimentari a tutta Europa.

La Santa Alleanza fu voluta dallo zar Alessandro I e immediatamente sottoscritta dall'imperatore austriaco Francesco II e dal re di Prussia Federico Guglielmo III. Il trattato verrà poi firmato da quasi tutti i sovrani europei. L'Inghilterra, rivale della Russia, non aderì ufficialmente ma lo sostenne praticamente.

Si trattava di un'alleanza di sovrani contro i loro stessi popoli. L'obiettivo infatti era quello di prevenire lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari e in ogni caso di distruggerne l'esistenza, ovunque si manifestassero. Nel 1818 vi fu addirittura una sorta di "Quadruplice Alleanza", tra Russia, Prussia, Austria e Inghilterra, per impedire che in Francia avvenisse qualunque forma di cambiamento.

Tuttavia, poiché l'ondata rivoluzionaria iniziò subito dopo il Congresso di Vienna, in Spagna, Portogallo, a Napoli, in Piemonte nel 1820 e nel 1821 in Grecia, la Santa Alleanza fu costretta a riunire i propri congressi a più riprese: nel 1820 a Troppau (Opava), nel 1821 a Laibach (Lubiana), nel 1822 a Verona. Metternich faticava per convincere Russia e Prussia a intervenire congiuntamente contro gli insorti nei territori dell'impero austriaco (troppe erano le spese militari), ma poi alla fine otteneva sempre quello che voleva.

Una delle armi più potenti della reazione europea fu quella del clero cattolico, che pur ufficialmente non aveva visto di buon occhio un'alleanza con lo zar ortodosso e un sovrano protestante. La chiesa s'impadronì dell'istruzione pubblica in molti Stati e diffuse la propria ideologia contro quella laico-scientifica del XVIII secolo.

Feroci nemici della rivoluzione furono gli intellettuali Joseph de Maistre, Louis-Gabriel de Bonald e L. Haller.

Sia il testo uscito dal Congresso di Vienna che il patto della Santa Alleanza aprono con un incipit clericale: "In nome della Santissima e Indivisibile Trinità". Era un richiamo esplicito alla fede religiosa, ritenuta valore comune contro l'anticlericalismo giacobino e napoleonico.

Le sconfitte della rivoluzione francese e dell'avventura napoleonica avevano dimostrato che l'idea di democrazia borghese, quella settaria, quella che non ha bisogno del consenso delle masse per imporsi, quella che si serve della forza meramente militare, non aveva futuro.

Ma l'alternativa qual era? Lo zar era ancora convinto che in nome del cristianesimo si sarebbe potuta creare un'Europa diversa, migliore di quella napoleonica, che col proprio laicismo aveva procurato solo guerre e distruzioni.

In nome di quale "cristianesimo"? Ortodosso, cattolico o protestante? Tre confessioni così radicalmente diverse, lacerate da un passato sanguinoso, si sarebbe trovate improvvisamente unanimi nei confronti del laicismo e del capitalismo?

Lo zar era favorevole a uno Stato confessionale, in cui la religione non fosse di semplice facciata, ma svolgesse un ruolo propositivo, catalizzatore, persino nell'ambito della giustizia sociale, correggendo le storture dovute all'umana debolezza.

Nel testo della Santa Alleanza si ha l'impressione di avere a che fare con uno zar talmente idealista da essere del tutto fuori del suo tempo. Egli infatti sembra non rendersi conto che le sue parole potevano essere facilmente strumentalizzate per difendere interessi tutt'altro che cristiani. Cioè non si rende conto che il cristianesimo era solo una parola vuota, uno strumento ideologico di oppressione, e che i sovrani sedicenti "cristiani" non lo erano affatto per convinzione personale e non avrebbero mai potuto svolgere un'azione di governo più giusta in nome del cristianesimo.

Particolarmente utopica era l'idea di poter fare dell'Europa un'unica nazione cristiana, prescindendo dalle differenze di principi etico-religiosi, dalle rivalità degli interessi politico-economici che tenevano gli Stati in antagonismo tra loro.

Il documento della Santa Alleanza attesta che l'idealismo religioso era in Russia più sviluppato che nell'Europa occidentale, e forse anche questo aveva contribuito al ritardo del paese sul piano dello sviluppo capitalistico.

L'appello paternalista dello zar di considerarsi in Europa come "fratelli e compatrioti", prestandosi "assistenza, aiuto e soccorso" in qualunque occasione e luogo, sembra abbia avuto un valore più per la politica estera del suo paese che per la politica interna.

Alessandro infatti si sentiva talmente impegnato nel reprimere in Europa i moti rivoluzionari che aveva praticamente affidato la guida del paese al conte Arakčeev, un crudele fautore della servitù della gleba. Di tutte le sue idee integraliste e assolutiste lo zar riusciva a sopportare l'intrinseca debolezza più all'estero che in patria.

Era in sostanza convinto che la Russia beneficiasse di una maggiore coerenza tra ideali cristiani e prassi sociale e che, per questa ragione, essa si sentisse in dovere di aiutare i paesi europei a recuperare tale coerenza. Voleva porre rimedio alle deviazioni laiciste e borghesi dell'occidente, al fine di salvaguardare i destini del proprio paese.


(1) Negli anni 1820-23 una rivolta di militari liberali e massoni, guidata dal colonnello Rafael de Riego, che aveva partecipato alla resistenza antinapoleonica, e che si rifiutò di compiere una spedizione militare oltreoceano, contro i coloni ribelli, costrinse il Borbone a ripristinare la Costituzione di Cádice del 1812. I militari spagnoli avevano ottenuto l'appoggio della borghesia cittadina, di molti intellettuali e di alcune frazioni liberali della nobiltà. (torna su)

it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_I_di_Russia


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 02/04/2014