L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


LA RIVOLUZIONE PARIGINA DEL 1848

I - II

di Henri Félix Emmanuel Philippoteaux

All’inizio del 1848 l’Europa entrò in un periodo burrascoso di rivoluzioni e di moti rivoluzionari, che coinvolsero un vasto territorio da Parigi a Budapest, da Berlino a Palermo.

Differenti per i fini e compiti, questi avvenimenti erano caratterizzati da un’attiva partecipazione di larghe masse popolari, che ne erano la forza motrice principale e che si assumevano il peso fondamentale della lotta.

LE ORIGINI DELLA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA

Il presupposto più importante dei moti rivoluzionari del 1848 era il notevole peggioramento della situazione di ampie masse popolari, dovuto soprattutto alle carestie degli anni 1845-1846 in Francia, Irlanda, in una serie di Stati germanici, in Austria e in molti altri paesi europei.

Nel 1847 si aggiunsero inoltre le conseguenze della crisi commerciale, industriale e finanziaria che aveva gravemente colpito l’economia di tutta l’Europa. Verso la fine del 1847, in Inghilterra, quasi metà degli altiforni rimase spenta. Nell’industria del cotone del Lancashire, nel novembre del 1847, furono chiuse 200 fabbriche su 920: le rimanenti lavoravano 3-4 giorni per settimana.

Anche in Francia la produzione subì una forte diminuzione: solo nella prima metà del 1847, nel dipartimento della Senna, vi furono più di 63 fallimenti.

LE AGITAZIONI POPOLARI

Negli anni pre-rivoluzionari sommosse popolari scoppiarono in quasi tutti i paesi europei. In Francia il 1847 fu contrassegnato da numerose agitazioni popolari scoppiate quasi ovunque, principalmente sotto forma di agitazioni annonarie: i poveri delle città e delle campagne assalivano i depositi di grano e le botteghe degli speculatori. Si ebbe inoltre un ampio movimento di scioperi e il governo prese duri provvedimenti contro coloro che partecipavano ai moti.

In Inghilterra il movimento cartista ebbe un nuovo impulso, e ci furono comizi di massa. Una nuova petizione preparata per essere presentata in Parlamento conteneva un’aspra critica all’esistente sistema sociale e chiedeva che fosse concessa la libertà nazionale all’Irlanda.

In Germania, all’inizio della primavera del 1847, in alcune città si ebbero azioni spontanee delle masse popolari. Particolarmente gravi furono le agitazioni nella capitale della Prussia, Berlino, dove il popolo affamato scese in piazza protestando contro il caroviveri e l’indifferenza delle autorità per i bisogni del popolo. Alcune botteghe furono saccheggiate e furono rotti i vetri del palazzo dell’erede al trono.

Sulla base dell’inasprimento delle contraddizioni di classe si ebbe uno slancio dello spirito rivoluzionario del proletariato. Nello stesso tempo si andava rafforzando l’opposizione della piccola e della media borghesia, e in alcuni paesi, come p. es. la Francia, anche di parte della grande borghesia industriale, scontenta del dominio dell’aristocrazia finanziaria.

L’INASPRIMENTO DELLA SITUAZIONE POLITICA

Nell’estate del 1847 i circoli d'opposizione della borghesia francese dettero inizio alla “campagna dei banchetti”. Nei banchetti vennero tenuti discorsi di critica della politica governativa.

L’iniziativa di questa campagna proveniva dal partito liberale moderato, di “opposizione dinastica”. Questo partito non andava oltre la rivendicazione di una riforma elettorale parziale mediante la quale i liberal-borghesi contavano di rafforzare la posizione scossa della dinastia regnante. Cioè in sostanza volevano le riforme per scongiurare la rivoluzione.

Ma nonostante gli sforzi dell’“opposizione dinastica”, i banchetti per la riforma elettorale cominciarono ad assumere pian piano un carattere più radicale.

LE GIORNATE DI FEBBRAIO A PARIGI

All’inizio del 1848 scoppiò in Francia un moto rivoluzionario. Il 22 febbraio venne fissato a Parigi un banchetto dei partigiani della Riforma parlamentare. Le autorità però proibirono il banchetto, e questo suscitò grande sdegno nelle masse.

La mattina del 22 febbraio regnava per le strade di Parigi l’agitazione. Una colonna di manifestanti, tra cui in prima fila operai e studenti, si diresse verso il palazzo dei Borboni, intenzionati a far dimettere il premier Guizot. Non essendo riusciti ad arrivare sino al palazzo, i manifestanti si sparsero per le strade vicine, e cominciarono a rompere il lastricato, a capovolgere gli omnibus e a erigere barricate. Le truppe inviate dal governo verso sera riuscirono a disperdere i dimostranti e a controllare la situazione; ma il mattino seguente la lotta armata per le strade di Parigi ricominciò.

Spaventato dalla notizia che l’insurrezione diveniva sempre più violenta, e che la Guardia nazionale chiedeva le dimissioni del capo del ministero, il re Luigi Filippo licenziò Guizot e nominò nuovi ministri considerati sostenitori della riforma.

Contrariamente a quanto i circoli dirigenti avevano previsto, queste concessioni non soddisfecero le masse popolari di Parigi. Gli scontri tra il popolo insorto e le truppe regie continuarono, anzi s'intensificarono, specialmente dopo la provocatoria sparatoria contro i dimostranti disarmati la sera del 23 febbraio. Per le strade si erigevano nuove barricate, che raggiunsero il numero di 1500.

Nella notte l'insurrezione assunse un carattere più organizzato; guidavano il popolo insorto i soci delle società rivoluzionarie segrete, per la maggior parte operai e piccoli artigiani. La mattina del 24 febbraio quasi tutti i punti strategici della capitale erano stati occupati dagli insorti.

Nel palazzo reale regnava il panico; su consiglio di persone di fiducia, Luigi Filippo abdicò in favore del nipote, il conte di Parigi, e fuggì in Inghilterra, dove si era rifugiato anche Guizot.

L’abdicazione del re non arrestò lo sviluppo della rivoluzione. I combattimenti per le strade di Parigi continuarono; reparti rivoluzionari s'impadronirono del palazzo delle Tuileries; il trono del re fu portato in strada e incendiato in piazza della Bastiglia tra le grida esultanti di migliaia di persone.

LA CREAZIONE DEL GOVERNO PROVVISORIO

L’alta borghesia continuava ad appoggiare la monarchia. Essa era spaventata dalla sola parola “repubblica”, che le ricordava i tempi della dittatura giacobina e del terrore rivoluzionario degli anni 1793-1794. Nel corso di una seduta alla Camera dei Deputati i liberal-borghesi tentarono di mantenere in vita la monarchia. Ma i loro piani furono sventati dai combattenti delle barricate che irruppero nella Sala delle sedute; gli operai armati e la Guardia nazionale chiesero che fosse proclamata la repubblica.

Fu così creato un governo provvisorio. Nel governo entrarono 7 repubblicani borghesi di destra, che si raggruppavano attorno all’influente giornale d’opposizione “Le National”, due repubblicani di sinistra, Ledru-Rollin e Flocon, e anche due socialisti piccolo-borghesi, il pubblicista Louis Blanc e l’operaio Albert. Presidente del governo provvisorio fu eletto l’avvocato Dupont de l’Eure, che nel 1830 aveva partecipato alla rivoluzione. Vecchio e malato, egli non aveva molta influenza. Di fatto capo del governo divenne il ministro degli esteri, il famoso storico e poeta Lamartine, borghese repubblicano di destra, distintosi per il suo talento oratorio e i suoi interventi contro la monarchia di luglio.

In sostanza il governo provvisorio era un compromesso tra le diverse classi che insieme avevano abbattuto il trono di luglio, ma i cui interessi erano opposti o comunque ostili. E tuttavia la supremazia nel governo e l’intero potere appartenevano ai rappresentanti della borghesia.

Nonostante le richieste del popolo, il governo non si affrettava a proclamare la repubblica. Il 25 febbraio una delegazione di operai, guidata da un vecchio rivoluzionario, scienziato eminente (chimico) e medico, Raspail, chiese che fosse proclamata senza esitazioni la repubblica. Raspail dichiarò che se la richiesta non fosse stata accolta entro due ore, egli sarebbe ritornato con 200.000 dimostranti. La minaccia ebbe il suo effetto: ancora prima dello scadere del termine stabilito la repubblica fu proclamata ufficialmente.

LA LOTTA PER LA BANDIERA ROSSA E PER IL “DIRITTO AL LAVORO”

In quello stesso giorno scoppiarono dissensi tra la maggioranza borghese del governo provvisorio e gli operai rivoluzionari di Parigi circa il colore della bandiera dello Stato. Gli operai dimostranti chiedevano che fosse riconosciuta la bandiera rossa, bandiera della rivoluzione e delle riforme socialiste. Ma a ciò si opponevano i circoli borghesi, i quali vedevano nella bandiera tricolore il simbolo del dominio del regime borghese. Il governo provvisorio decise di conservare la bandiera tricolore, ma acconsenti ad attaccare sull’asta una coccarda rossa (che in seguito fu tolta).

Quasi contemporaneamente scoppiò un nuovo conflitto. Una delegazione di operai chiese che fosse immediatamente emanato un decreto sul “diritto al lavoro”. La presenza a Parigi di una enorme massa di disoccupati, aveva reso questa parola d’ordine molto popolare. Dopo molte obiezioni il governo, su richiesta di Louis Blanc, emanò un decreto col quale s’impegnava a “garantire la vita al lavoratore mediante il lavoro” e a “garantire il lavoro a tutti i cittadini”.

Il 28 febbraio, dinanzi all’edificio dove sedeva il governo provvisorio, ebbe luogo una dimostrazione di massa di operai che chiedevano l'“organizzazione del lavoro”, un “ministero del lavoro e del progresso” e l’“abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. La parola d’ordine “organizzazione del lavoro” aveva avuto una vasta propaganda nella letteratura socialista degli anni precedenti, e in sostanza era un’aspirazione a cambiare i rapporti di produzione capitalistici in un’altra organizzazione della produzione fondata su principi socialisti. Dopo lunghe discussioni il governo giunse a una decisione, che era frutto di un compromesso: creare una commissione per la questione operaia con a capo Louis Blanc e Albert.

Per le sedute di questa commissione, di cui facevano parte i rappresentanti delegati degli operai, imprenditori e alcuni importanti economisti, fu scelto il palazzo del Lussemburgo. Ma alla commissione del Lussemburgo non fu dato in realtà alcun vero potere né alcun mezzo finanziario. La commissione venne utilizzata dalla borghesia solo per illudere le masse e, addormentando la loro vigilanza, guadagnar tempo per acquistare forze.

Louis Blanc ebbe in tutto questo affare una parte di scarsa importanza. Egli esortava gli operai ad attendere pazientemente la convocazione dell’Assemblea costituente, che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi sociali; nelle sedute della commissione e fuori egli sosteneva il suo progetto di associazioni operaie di produzione sovvenzionate dallo Stato. L’attività di Louis Blanc rispondeva in pieno ai piani della borghesia, la quale frattanto raccoglieva tutte le sue forze per passare all’offensiva contro le conquiste della rivoluzione. Louis Blanc si considerava il capo della democrazia del lavoro o della democrazia socialista, ma in realtà era un’appendice della borghesia.

LE CONQUISTE DEMOCRATICHE DELLA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO

Una delle poche conquiste della classe operaia nella rivoluzione di febbraio fu la riduzione della giornata lavorativa. A Parigi e in provincia la giornata lavorativa superava a quei tempi le 11-12 ore. Un decreto del 2 marzo 1848 stabilì che la giornata lavorativa sarebbe stata a Parigi di 10 ore e in provincia di 11. Ma molti imprenditori non si assoggettarono a questo decreto e costrinsero gli operai a lavorare un numero maggiore di ore, oppure chiusero le proprie aziende. Il decreto, d’altra parte, non soddisfaceva nemmeno gli operai, che chiedevano una giornata lavorativa di 9 ore.

Un’altra conquista dei lavoratori francesi fu l’introduzione del suffragio universale (per gli uomini che avessero raggiunto il ventunesimo anno).

L’abolizione della tassa obbligatoria sulla stampa favorì l’uscita di un gran numero di giornali di indirizzo democratico.

La rivoluzione di febbraio garantì la libertà di riunione e portò al sorgere di molti circoli politici sia a Parigi che in provincia. Tra i circoli rivoluzionari del 1848 aveva maggiore influenza la “Società dei diritti dell’uomo”, nelle cui sezioni si riunivano i gruppi progressisti della democrazia piccolo-borghese. Vicino ideologicamente a questa organizzazione era il “Circolo della rivoluzione”, il cui presidente era A. Barbes, rivoluzionario piccolo-borghese. Tra i circoli proletari rivoluzionari emergeva per la sua importanza l’“Associazione centrale repubblicana”, il cui fondatore e presidente era A. Blanqui. Egli denunciava la tattica della borghesia ed esortava il popolo a non credere nel governo provvisorio. All’inizio di marzo questo circolo chiese che fossero abolite tutte le leggi contro gli scioperi, che fosse consentito l’armamento generale e che entrassero immediatamente a far parte della Guardia nazionale tutti gli operai e i disoccupati.

Una conquista particolarmente importante della rivoluzione di febbraio fu il decreto che il governo provvisorio emanò il 27 aprile del 1848, che aboliva la schiavitù dei negri nelle colonie francesi.

Gli strati progressisti della classe operaia e delle altre frazioni democratiche della popolazione si battevano per una decisa democratizzazione del sistema sociale e statale francese. Ma il governo provvisorio era contrario a questa democratizzazione: esso conservava in maniera quasi immutata la polizia e l’apparato burocratico esistenti prima della rivoluzione di febbraio, mentre nell’esercito erano rimasti ai posti direttivi i generali monarchici.

LA POLITICA INTERNA DEL GOVERNO PROVVISORIO

Per combattere la disoccupazione, che poteva provocare nuove agitazioni, il governo provvisorio organizzò all’inizio di marzo a Parigi e in seguito in altre città lavori pubblici sotto il nome di “opifici nazionali” (ateliers nationaux). Verso la metà di maggio vi lavoravano 113 mila uomini.

I lavoratori degli opifici nazionali erano di diverse professioni, e venivano impiegati principalmente come sterratori per la costruzione di strade e di canali, per piantare alberi ecc. Creando questi opifici nazionali i loro organizzatori, i repubblicani borghesi di destra, contavano di distogliere i lavoratori dalla lotta rivoluzionaria.

Infatti già nella notte del 25 febbraio, su iniziativa della destra del governo, fu emanato un decreto per organizzare battaglioni della Guardia mobile con effettivi di circa 24 mila uomini; essi erano arruolati per la maggior parte tra giovani del sottoproletariato, instabile sia da un punto di vista morale che politico. Questi battaglioni vennero posti in una situazione privilegiata: i loro uomini avevano una divisa particolare e ricevevano uno stipendio maggiorato; il comando era affidato a ufficiali reazionari.

Furono presi provvedimenti, a livello finanziario, per salvare la Banca di Francia, che in seguito alla crisi minacciava di fallire, e fu stabilito il costo forzoso dei biglietti di questa banca. Ma nello stesso tempo il governo caricò di nuovi oneri finanziari la piccola borghesia e i contadini; fu limitato il ritiro dei depositi dalle casse di risparmio; il governo conservò inoltre tutte le tasse precedenti e introdusse una tassa aggiuntiva di 45 centesimi su ogni franco delle quattro imposte dirette pagate dai proprietari terrieri e dagli affittuari, vale a dire principalmente dai contadini.

A Parigi e in altre città vi furono dimostrazioni organizzate da operai, scioperi, assalti ai negozi dei commercianti di grano, alle case degli usurai, agli uffici per la raccolta dei dazi sui generi alimentari introdotti dalle campagne.

Folle di contadini espellevano gli ispettori forestali, abbattevano gli alberi delle foreste demaniali, chiedevano ai grandi proprietari terrieri che fossero restituite loro le terre della comunità di cui si erano impadroniti, costringevano gli usurai a consegnar loro le ricevute dei debiti.

Una grave reazione contro le autorità provocò l’imposta fondiaria supplementare del 45%, che aveva suscitato un grande malcontento tra i contadini. I nemici della repubblica scaricarono la responsabilità sugli operai e i socialisti, i quali erano accusati di aver creato gli opifici nazionali che avevano richiesto grandi fondi. Gli elementi controrivoluzionari tentarono così con la loro propaganda di minare la fiducia dei contadini nel sistema repubblicano, facendoli insorgere contro la classe operaia.

LE RIPERCUSSIONI INTERNAZIONALI DELLA RIVOLUZIONE

La rivoluzione di febbraio incontrò una grande solidarietà nei circoli progressisti di tutta Europa. Ma i repubblicani borghesi di destra, ch'erano al potere, temevano che una guerra contro la coalizione delle potenze monarchiche avrebbe provocato un maggiore inasprimento della rivoluzione in Francia. Il governo provvisorio tentò in tutti i modi di evitare complicazioni internazionali.

Il principale nemico del sistema repubblicano instauratosi in Francia dopo la rivoluzione di febbraio era lo zarismo. L’atteggiamento di Nicola I nei confronti degli avvenimenti rivoluzionari di Francia era estremamente ostile, tanto che lo zar decise di rompere ogni rapporto diplomatico con quest’ultima e iniziare trattative coi governi di Austria e Prussia, proponendo loro di organizzare un comune intervento armato contro la Francia, allo scopo di instaurarvi di nuovo un regime monarchico. Ma le rivoluzioni che poco dopo scoppiarono in Austria, in Prussia e in altri paesi europei, cambiarono radicalmente la situazione internazionale. Nicola I permise al suo ambasciatore, P. D. Kiselev, di rimanere a Parigi e di condurre colloqui ufficiosi con Lamartine, ma indugiava a riconoscere ufficialmente la repubblica francese, riconoscimento che ebbe luogo solo dopo la vittoria della reazione in Francia.

LE ELEZIONI DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE

Per il 9 aprile furono indette le elezioni dell’Assemblea costituente. Le organizzazioni democratiche rivoluzionarie e socialiste chiesero un rinvio delle elezioni per prepararsi meglio, condurre un lavoro di delucidazione nelle campagne e in tal modo assicurare la vittoria dei repubblicani di sinistra e dei socialisti. I repubblicani borghesi di destra invece, e tutti i nemici della democrazia erano contrari a un rinvio della convocazione dell’Assemblea costituente, considerando che quanto prima vi fossero state le elezioni, tanto maggiori sarebbero state le possibilità di vittoria delle forze reazionarie.

Il 17 marzo i circoli rivoluzionari di Parigi organizzarono una grande dimostrazione popolare, chiedendo che le elezioni dell’Assemblea costituente fossero rimandate al 31 maggio. Ma il governo respinse questa richiesta e le elezioni si svolsero il 23 aprile.

Sebbene formalmente le elezioni avvenissero in base al suffragio universale maschile, esse erano in effetti molto lontane dall’essere tali. Molte persone furono arbitrariamente private del voto; le autorità esercitarono una brutale pressione sugli elettori di tendenze democratiche, sciolsero le loro riunioni, distrussero i loro manifesti elettorali.

Le elezioni furono vinte dai repubblicani borghesi di destra, che ottennero 500 seggi su 880. I monarchici orléanisti (sostenitori della dinastia degli Orléans) e i legittimisti (sostenitori dei Borboni) ne ottennero insieme circa 300. Un numero minimo, due in tutto, fu ottenuto dai bonapartisti (sostenitori della dinastia dei Bonaparte). I democratici della piccola-borghesia e i socialisti ottennero 80 seggi. In tutta l’Assemblea vi erano solo 18 operai. Gran parte della piccola-borghesia e dei contadini era stata ingannata dalla propaganda antisocialista e ciò aveva determinato l’esito delle votazioni.

In alcune città industriali, durante il periodo delle elezioni, vi erano stati accaniti scontri di piazza, che assunsero un carattere particolarmente burrascoso a Rouen, dove per due giorni, il 27 e il 28 aprile, gli operai insorti furono impegnati in aspri combattimenti sulle barricate contro le truppe governative.

IL RAFFORZAMENTO DELLA REAZIONE. LA DIMOSTRAZIONE DEL 15 MAGGIO

In questa atmosfera di tensione ebbero inizio il 4 maggio le sedute dell’Assemblea costituente. Le forze reazionarie che avevano riportato la vittoria nelle elezioni, scatenarono un’aperta offensiva contro le libertà politiche e le conquiste sociali che i lavoratori avevano ottenuto con la rivoluzione di febbraio. Al posto del governo provvisorio fu creata una Commissione esecutiva, della quale non faceva parte nemmeno un socialista, e dove invece avevano un ruolo decisivo i repubblicani di destra, strettamente legati all’alta borghesia.

Sin dai primi giorni della sua attività, l’Assemblea costituente si attirò l’ostilità di tutti gli ambienti democratici di Parigi, respingendo un progetto di legge sulla formazione di un Ministero del Lavoro e del Progresso, approvando invece una legge che limitava il diritto di presentare petizioni, e pronunciandosi contro i circoli rivoluzionari.

Per influenzare l’Assemblea costituente, il 15 maggio a Parigi i circoli rivoluzionari organizzarono una grande dimostrazione popolare cui parteciparono quasi 150 mila persone, prevalentemente operai. I dimostranti irruppero nel palazzo Borbone dove era riunita l’Assemblea. Raspail dette lettura di una petizione approvata dai circoli, nella quale si chiedeva che fosse prestato aiuto armato ai rivoluzionari polacchi in Posnania e che fossero presi decisi provvedimenti per la lotta contro la disoccupazione e la povertà in Francia. La maggioranza dei deputati abbandonò la sala occupata dai dimostranti.

Dopo lunghe discussioni uno dei capi della dimostrazione dichiarò la Assemblea costituente sciolta, e fu subito proclamato un nuovo governo, di cui facevano parte vari rivoluzionari. Lo scioglimento dell’Assemblea costituente fu un passo falso, intempestivo e impreparato, e gran pane del popolo non l'appoggiò. Si era data alle autorità una giustificazione per perseguitare i rivoluzionari. Infatti truppe governative e distaccamenti della Guardia nazionale borghese dispersero i dimostranti disarmati. Blanqui, Raspail, Barbes, Albert e alcuni altri autorevoli rivoluzionari furono arrestati e rinchiusi in carcere. Così i lavoratori di Parigi furono privati dei loro capi migliori.

Dopo il 15 maggio l’offensiva della controrivoluzione andò intensificandosi sempre più. Il 22 maggio furono chiusi i circoli di Blanqui e di Raspail, il 7 giugno fu emanata una severa legge che proibiva i comizi all’aperto. A Parigi vennero concentrate truppe.

La stampa controrivoluzionaria attaccava violentemente gli opifici nazionali, affermando che la loro esistenza impediva la rinascita degli “affari” e costituiva una minaccia per l’“ordine” della capitale. Il 22 giugno il governo ordinò la soppressione degli opifici nazionali; gli operai con più di 25 anni di età che vi erano impiegati vennero inviati ai lavori di sterro in provincia, gli operai celibi tra i 18 e i 25 anni dovevano essere arruolati nell’esercito.

La politica di provocazione del governo spinse i lavoratori all’insurrezione: il 23 giugno gli operai di Parigi eressero le barricate. L’insurrezione di giugno ebbe un carattere chiaramente proletario. Nei loro manifestini i lavoratori insorti chiedevano che l'Assemblea costituente fosse sciolta; che i suoi membri fossero messi sotto processo; che i membri della Commissione esecutiva fossero arrestati; che le truppe fossero allontanate da Parigi; che fosse concesso al popolo stesso il diritto di redigere la Costituzione; che fossero mantenuti gli opifici nazionali e che fosse garantito il diritto al lavoro.

Per quattro giorni, dal 23 al 26 giugno, si combatté accanitamente per le strade. Da una parte lottavano 40-45 mila operai, dall’altra le truppe governative, la Guardia mobile e distaccamenti della Guardia nazionale, in tutto 250 mila uomini. Dirigevano le operazioni delle forze governative generali che avevano precedentemente combattuto in Algeria. Essi mettevano in pratica l’esperienza acquisita nella repressione del movimento di liberazione del popolo algerino. A capo di tutte le forze governative vi era il ministro della guerra, generale Cavaignac, al quale erano stati conferiti poteri dittatoriali.

La principale base d'appoggio dell’insurrezione era il sobborgo di Saint-Antoine; le barricate erette in questa zona arrivavano al quarto piano delle case ed erano cinte da profondi fossati. La lotta sulle barricate era guidata per la maggior parte dai capi dei club proletari rivoluzionari, dall’operaio comunista Racari, dal socialista Pujol ecc. I combattimenti degli operai insorti erano condotti secondo un piano offensivo ideato da un rivoluzionario, l’ex-ufficiale Kersansie presidente del comitato d’azione della “Società dei diritti dell’uomo”. Amico di Raspail, ardente rivoluzionario, più di una volta perseguitato giudizialmente, Kersansie godeva di grande popolarità negli ambienti democratici di Parigi.

Sfruttando le esperienze delle precedenti insurrezioni, Kersansie prevedeva un’offensiva concentrica contro il palazzo municipale, il palazzo Borbone e quello delle Tuileries con quattro colonne, che avrebbero dovuto appoggiarsi ai sobborghi operai. Ma non fu possibile realizzare questo piano. Gli insorti non poterono creare un unico centro direttivo poiché i vari reparti non erano ben collegati fra di loro. Nonostante l’eroismo dei lavoratori, l’insurrezione proletaria di Parigi fu repressa. Iniziò allora uno spietato terrore bianco. I vincitori davano il colpo di grazia agli insorti feriti; 25 mila fu il numero complessivo degli arrestati. Coloro che avevano partecipato più attivamente alla rivoluzione furono consegnati al tribunale militare; 3.500 persone furono deportate senza processo in lontane colonie. I quartieri operai di Parigi, di Lione e di altre città furono disarmati.

LE CAUSE DELLA SCONFITTA DELL’INSURREZIONE DI GIUGNO

Una delle cause più importanti della sconfitta della rivoluzione di giugno del 1848 fu l’isolamento degli operai di Parigi dalla classe operaia del resto della Francia. Contribuirono molto anche le esitazioni della piccola-borghesia delle città e la passività dei contadini, ingannati dalla propaganda controrivoluzionaria.

In alcune città della provincia gli operai progressisti manifestarono la loro solidarietà con gli insorti di giugno. Ma non fu sufficiente. A Louviers e a Digione gli operai organizzarono dimostrazioni di solidarietà con i proletari rivoluzionari di Parigi. A Bordeaux una folla di operai tentò di impadronirsi del palazzo della prefettura. Operai si arruolarono in distaccamenti di volontari per andare a Parigi in aiuto degli insorti. Si tentò d'impedire alle truppe chiamate dai dintorni di entrare nella capitale. Ma questa solidarietà verso gli insorti di Parigi era troppo debole e non poté perciò influire sul corso degli avvenimenti.

La controrivoluzione internazionale approvò la sanguinosa repressione dell’insurrezione di giugno. Nicola I inviò a Cavaignac congratulazioni a questo proposito.

I progressisti di molti paesi europei espressero invece la propria solidarietà con gli operai rivoluzionari di Parigi. Herzen e gli altri democratici rivoluzionari russi furono dolorosamente impressionati dalle feroci repressioni contro gli insorti di giugno. Marx definì l’insurrezione del giugno 1848 di Parigi come “la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna, in una lotta per la conservazione o per la distruzione dell’ordine borghese”. Lenin vide una delle più importanti lezioni dell’insurrezione di giugno nell’avere essa dimostrato l’erroneità della teoria e della tattica di Louis Blanc e degli altri rappresentanti del socialismo utopistico piccolo-borghese e nell’aver liberato il proletariato da molte illusioni dannose.

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 10 DICEMBRE 1848

Il fallimento dell’insurrezione di giugno e il disarmo degli operai parigini segnarono la vittoria della controrivoluzione borghese in Francia. Il 28 giugno Cavaignac fu confermato “capo del potere esecutivo della repubblica francese”.

La soppressione di tutti gli opifici nazionali (sia a Parigi che nella provincia), la chiusura dei circoli rivoluzionari, il ripristino della tassa sugli organi della stampa periodica, l’abolizione del decreto sulla riduzione della giornata lavorativa, furono i provvedimenti controrivoluzionari che prese il governo di Cavaignac subito dopo la sconfitta dell’insurrezione di giugno.

Il 12 novembre fu approvata la Costituzione elaborata dall’Assemblea costituente. Essa ignorava completamente gli interessi e le necessità delle masse lavoratrici e vietava ai lavoratori di organizzare scioperi. La nuova Costituzione poneva a capo della repubblica un presidente eletto per quattro anni con suffragio universale, mentre il potere legislativo veniva esercitato da un’Assemblea legislativa eletta per un periodo di tre anni. Il diritto di voto era stato negato a molti gruppi di lavoratori. Al presidente furono concessi poteri straordinariamente ampi: la nomina e la destituzione di tutti i funzionari e i giudici, il comando dell’esercito, la direzione della politica estera. In questa maniera i repubblicani borghesi contavano di creare un forte potere esecutivo capace di soffocare in breve tempo il movimento rivoluzionario.

Ma, d’altra parte, il fatto che il presidente avesse poteri così ampi rendeva inevitabili i conflitti tra quest’ultimo e l’Assemblea legislativa. Il 10 dicembre 1848 ebbero luogo le elezioni del presidente della repubblica. I candidati erano sei. Gli operai progressisti avanzarono la candidature di Raspail, che a quel tempo si trovava in prigione; il candidato dei repubblicani piccolo-borghesi era l’ex-ministro degli interni Ledru-Rollin. I repubblicani borghesi appoggiavano la candidatura del capo del governo, Cavaignac. Fu eletto invece il candidato dei bonapartisti, il principe Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone I, che ottenne alle elezioni la schiacciante maggioranza dei voti.

Luigi Bonaparte (1808-73), uomo di mediocri capacità e molto ambizioso, aveva già tentato due volte d'impadronirsi del potere in Francia (nel 1836 e nel 1840), ma entrambe le volte il suo tentativo era fallito. Nel 1844, in prigione, egli scrisse un opuscolo La liquidazione della povertà, nel quale demagogicamente si fingeva “amico” dei lavoratori. In realtà egli era strettamente legato ai grandi banchieri, i quali pagavano generosamente i suoi sostenitori e i suoi agenti.

Nel periodo della monarchia di luglio, la cricca bonapartista era formata da un gruppo di avventurieri e non aveva alcuna influenza nel paese. Ora, dopo la sconfitta dell’insurrezione di giugno, la situazione era cambiata. Le forze democratiche si erano indebolite, e i bonapartisti avevano condotto un’intensa campagna propagandistica a favore di Luigi Bonaparte; questa campagna esercitò una grande influenza sui contadini, i quali speravano ch'egli avrebbe migliorato la loro situazione, e che in particolare avrebbe abolito l’odiata tassa del 45%.

Il successo dei bonapartisti fu favorito anche dall’aureola di Napoleone I e dal ricordo delle sue vittorie militari. Il 20 dicembre Luigi Bonaparte divenne presidente e prestò giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana. Il giorno successivo fu formato un nuovo governo, a capo del quale fu posto il monarchico Odilon Barrot. Il suo primo passo fu quello di espellere dall’apparato statale tutti i repubblicani.

L’ASCESA DEL MOVIMENTO DEMOCRATICO NELLA PRIMAVERA DEL 1849

Nell’inverno 1848-49 la situazione economica della Francia non era migliorata: l’industria e l’agricoltura erano ancora in crisi e la situazione dei lavoratori difficile. L’offensiva del grande capitale contro la classe operaia e la piccola borghesia si era rafforzata.

All’inizio dell’aprile 1849, in vista della elezione dell’Assemblea legislativa, fu pubblicato il programma elettorale del blocco dei democratici piccolo-borghesi e dei socialisti. I suoi sostenitori si consideravano i continuatori del movimento giacobino montagnardo del 1793-94, e si chiamarono la “Nuova Montagna”. Il loro programma, di carattere piccolo-borghese, proponeva un piano di riforme democratiche, chiedeva la riduzione delle tasse, la libertà per i popoli oppressi, ma trascurava problemi come quello della durata della giornata lavorativa, del livello dei salari, della libertà di sciopero e di associazione sindacale.

Il 13 maggio 1849 ebbe luogo l’elezione per la Assemblea legislativa. La sfrenata propaganda controrivoluzionaria e la brutale pressione amministrativa garantirono la maggioranza dei seggi nell’Assemblea legislativa (circa 500) al blocco dei partiti monarchici degli orléanisti, dei legittimisti e dei bonapartisti, che si chiamavano allora “partito dell’ordine”. I repubblicani borghesi di destra ebbero 70 seggi, il blocco dei democratici e dei socialisti 180.

LA DIMOSTRAZIONE DEL 13 GIUGNO 1849 A PARIGI E LA SCONFITTA DEI DEMOCRATICI PICCOLO-BORGHESI

Il 28 maggio l’Assemblea legislativa iniziò la sua attività. Sin dai primi giorni sorsero dissensi su questioni di politica estera, strettamente collegati ai contrasti sulla politica interna. Al centro vi era la cosiddetta questione romana. Già nell’aprile del 1849 il governo francese aveva organizzato una spedizione militare contro la Repubblica Romana sorta nel febbraio del 1849. I repubblicani di sinistra erano contrari a questo intervento controrivoluzionario.

L’11 giugno, durante una seduta dell’Assemblea legislativa, Ledru-Rollin propose di mettere sotto processo il presidente e i ministri per aver brutalmente violato la Costituzione, che vietava l’uso delle forze armate della repubblica francese per soffocare la libertà degli altri popoli.

L’Assemblea legislativa respinse la proposta di Ledru-Rollin. Allora i democratici piccolo-borghesi decisero di organizzare una pacifica dimostrazione di protesta. La dimostrazione ebbe luogo il 13 giugno. Una colonna di alcune migliaia di cittadini inermi si diresse verso palazzo Borbone, dove era riunita l’Assemblea legislativa. Ma le truppe arrestarono il corteo e dispersero i partecipanti con le armi.

Ledru-Rollin e gli altri dirigenti democratici piccolo-borghesi si dimostrarono assolutamente incapaci di condurre una lotta rivoluzionaria. Solo all’ultimo momento essi lanciarono un appello col quale chiamarono il popolo alle armi per difendere la Costituzione. Gruppi di persone risolute (essenzialmente operai e studenti) opposero resistenza armata alle truppe, ma i capi della dimostrazione si nascosero. Verso sera il movimento fu schiacciato.

L’eco degli avvenimenti del 13 giugno 1849 si fece sentire anche in provincia. Nella maggioranza dei casi il fatto si limitò a dimostrazioni sciolte in poco tempo dalle truppe. Una piega più seria presero gli avvenimenti a Lione, dove il 15 giugno scoppiò un insurrezione di operai e di artigiani, organizzata da società segrete. Nel sobborgo operaio della Croix-Rousse - il principale focolaio dell’insurrezione di Lione del 1834 - fu iniziata la costruzione di barricate. Contro gli insorti mossero numerosi reparti di soldati, sostenuti dall’artiglieria. La battaglia durò dalle 5 del mattino alle 11 di sera. Gli insorti difesero con le armi ogni cosa; 150 persone furono uccise o ferite, 700 fatte prigioniere e circa 2 mila arrestate e messe sotto processo.

I minatori di Rive-de-Gier partirono in aiuto degli operai di Lione, ma quando seppero della sconfitta dell’insurrezione, tornarono indietro.

La notte del 15 giugno si riunirono nei sobborghi della città di Montluçon (dipartimento dell’Allier) 700-800 contadini armati di fucili, forche e vanghe, ma, venuti a conoscenza del fallimento della dimostrazione di Parigi, fecero ritorno alle proprie case.

La vittoria ottenuta nel giugno del 1849 dalla controrivoluzione borghese sulle forze democratiche coincise con un miglioramento della congiuntura economica in Francia e con un’attenuazione della crisi industriale.

IL COLPO DI STATO DEL 2 DICEMBRE 1851. L’INSTAURAZIONE DEL II IMPERO

Nel marzo del 1850 si svolsero a Parigi le elezioni suppletive dell’Assemblea legislativa. Furono eletti il rivoluzionario di giugno De Flotte, l’ex-segretario della commissione del Lussemburgo Vidal e il repubblicano di sinistra H. Carnot, che dopo la rivoluzione di febbraio era stato ministro per l’istruzione popolare. L’esito di queste elezioni dimostrò che l'influenza dei gruppi di sinistra era in aumento e ciò causò grande allarme negli ambienti controrivoluzionari.

Il 31 maggio 1850 l’Assemblea legislativa approvò una nuova legge, la quale per l’esercizio del diritto elettorale stabiliva una residenza di tre anni in un determinato posto e poneva altre limitazioni dirette a colpire gli operai: circa 3 milioni di persone furono private del diritto di voto.

Nei circoli dell’alta borghesia cresceva la delusione nei confronti del sistema parlamentare e andava rafforzandosi il desiderio di un “potere forte” che proteggesse le classi possidenti da nuovi turbamenti rivoluzionari. Nei loro giornali e opuscoli i bonapartisti tenevano vivo questo stato d’animo, spaventando le classi possidenti con la prospettiva di una nuova insurrezione di giugno. I dissidi tra i vari gruppi monarchici indebolivano l’Assemblea legislativa.

La notte del 2 dicembre 1851 i bonapartisti, guidati dal presidente, effettuarono un colpo di stato. Le truppe occuparono tutti i punti strategici di Parigi; l’Assemblea legislativa fu sciolta e gli uomini politici ostili al bonapartismo furono arrestati. Per dissimulare la natura controrivoluzionaria del colpo di stato e per ingannare i circoli democratici della popolazione, Luigi Bonaparte annunciò l’abrogazione della legge del 31 maggio 1850 che limitava il diritto di voto.

La maggioranza dei deputati dell’Assemblea legislativa si limitò a una timida protesta contro la violenza compiuta e si lasciò arrestare senza opporre alcuna resistenza. I repubblicani di sinistra organizzarono un “Comitato di resistenza”: ne faceva pane anche il famoso scrittore Victor Hugo. Il 3 e il 4 dicembre, nei quartieri popolari di Parigi, furono erette le barricate e i difensori opposero una tenace resistenza alle truppe. Ma il numero di questi combattenti, principalmente operai, non superava le 1.200 persone.

Le più vaste masse del proletariato di Parigi non parteciparono attivamente alla lotta contro il colpo di stato, e questo si spiega soprattutto col fatto che l'Assemblea legislativa, con i suoi provvedimenti, si era attirata l’ostilità degli operai, perché li aveva privati di quasi tutte conquiste democratiche ottenute con la rivoluzione di febbraio (diritto al voto, libertà di stampa e di riunione, diritto di associazione ecc). Inoltre la classe operaia di Parigi era stata disarmata nel corso della repressione dell’insurrezione del giugno 1848 e indebolita dagli arresti in massa e dalle deportazioni.

I bonapartisti riuscirono con relativa facilità a spezzare la resistenza dei repubblicani di Parigi. Per affrettare la conclusione e spaventare il popolo, si servirono dell’artiglieria; in questa operazione furono uccisi o feriti duemila cittadini.

Il colpo di stato bonapartista incontrò una seria resistenza in alcune città della provincia e in alcuni villaggi, specialmente nel sud del paese, dove si formarono reparti di partigiani per la lotta contro le truppe governative. Questi drappelli erano formati essenzialmente da operai, piccoli artigiani, commercianti, intellettuali democratici e in parte da contadini. Ma queste insurrezioni avevano un carattere isolato, non avevano una direzione comune e perciò furono presto represse. I gruppi dirigenti dei contadini agiati appoggiarono attivamente le autorità bonapartiste.

Al colpo di stato seguì un periodo di spietato terrore poliziesco. Il governo dichiarò lo stato d’assedio in 32 dipartimenti. Ventimila repubblicani (per la maggior parte operai e artigiani) furono deportati nelle colonie, rinchiusi in carcere o cacciati dalla Francia. Le organizzazioni operaie autonome ancora esistenti furono sciolte, la stampa progressista messa a tacere.

Dopo un anno, il 2 dicembre 1852, Luigi Bonaparte si nominò imperatore col nome di Napoleone III (i bonapartisti consideravano Napoleone II il figlio di Napoleone I, Duca di Reichstadt, morto in gioventù e mai salito al potere).

In Francia venne cosi instaurato un regime di dittatura bonapartista, una particolare forma di dominio degli ambienti più reazionari e aggressivi dell’alta borghesia. Spaventate dall’attività rivoluzionaria della classe operaia, che si era così chiaramente manifestata negli avvenimenti rivoluzionari del 1848, le classi possidenti affidarono la direzione del paese a questo gruppo di avventurieri ambiziosi che si appoggiavano alla cricca militarista reazionaria e a un grande apparato poliziesco e burocratico.

Vedi Napoleone III


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 15/03/2015