STUDI SULL'ATEISMO SCIENTIFICO


Credere di credere
L'involuzione religiosa dell'esistenzialista Vattimo

I - II

Se si digita in Google "conversione religiosa di Vattimo", appaiono, dopo la solita Wikipedia, due importanti contributi del sito www.aifr.it ("Giornale di filosofia della religione"). Quello di Michele Turrisi è senz'altro più pertinente e, per questa ragione, merita un commento specifico.

Come noto Vattimo una quindicina d'anni fa ebbe un improvviso ripensamento del suo itinerario intellettuale (laico-esistenzialistico), approdando verso una soluzione di tipo religioso, seppur non in maniera strettamente confessionale. Da allora (basta guardare la bibliografia in calce) la questione religiosa è diventata la sua preferita.

Qui non si vogliono ripercorrere tutti i passaggi della sua "conversione" ma semplicemente replicare al testo di Turrisi, facendo le seguenti sintetiche osservazioni.

I

Se proprio Vattimo desiderava ricadere nell'alienazione della religione, visto e considerato che non è uno sprovveduto, avrebbe almeno potuto mettersi in relazione non col cattolicesimo-romano bensì con l'ortodossia greca (successivamente ereditata dal mondo slavo), che del cristianesimo in generale costituisce la versione più originaria, più vicina al contenuto dei vangeli.

II

Viceversa, sembra che Vattimo, da intellettuale qual è, abbia accettato un tipo di fede pascaliana, in cui si scommette sull'esistenza di dio perché tanto, in ultima istanza, si ha solo da guadagnarci. Come quando i comunisti dicevano, mandando i loro figli a catechismo: "non gli farà bene ma non gli farà neppure male".

III

Cosa può spingere un intellettuale che in fondo dalla vita ha già ottenuto tutto (carriera universitaria, successo editoriale...), un ripiego del genere? La solitudine? Il bisogno di stare sulla cresta dell'onda stupendo il suo pubblico? L'incapacità di formulare nuove idee originali? Oppure questo esito è implicito nella filosofia del "pensiero debole"? Ha forse preferito suicidarsi con la fede piuttosto che con una pistola?

Si può capire un filosofo empirista o scettico del Settecento, deista per aver meno noie possibili dalla chiesa di stato, che dissimulava la propria miscredenza evitando di spingersi troppo nelle questioni religiose o quanto meno ammettendo genericamente l'esistenza di un dio supremo. Ma oggi, che senso ha? Perché rinnegare i tanti sforzi che il libero pensiero ha compiuto per emanciparsi da questo fardello di ignoranza e di superstizione che da millenni affligge l'umanità? Che seguaci credenti può avere, oltre a qualche filosofo della religione come lui? Non lo sa che un vero credente non si pone mai troppe domande, ovvero che un intellettuale credente che si pone troppe domande non è apprezzato dalla chiesa romana? E allora perché legarsi le mani in un'esperienza che al giorno d'oggi serve soltanto - che il credente lo sappia o meno - a tenere in piedi un potere oscurantista e per molti versi reazionario?

Se ha avvertito che il suo "pensiero debole" rischiava di finire in un vicolo cieco, davvero era così "debole" da doverlo indurre ad abbracciare una soluzione peggiore del rischio? E che bisogno c'era di comunicare al suo pubblico una svolta del genere? Non ha pensato alle conseguenze? Non si vergogna di dire, in quanto "neocredente", che non si lascia "scandalizzare dalle Crociate o dall’Inquisizione"? Non avrebbe fatto meglio a studiare più "storia" e meno "filosofia"?

O forse la sua involuzione è una conseguenza della filosofia in sé, cioè di quel modo di pensare tipicamente astratto, che quando si misura con la vita prende spesso delle cantonate incredibili? Che bisogno c'era di dire che chi affronta il tema della fede religiosa non vuole assumersi "il rischio di un impegno diretto e personale verso le esperienze e i contenuti di cui parla"? Davvero per poter esprimere un giudizio obiettivo sulla religione bisogna prima aver la fede? E i credenti come fanno a esprimere giudizi obiettivi sul socialismo, sulla laicità, rifiutando nella pratica sia l'una che l'altro?

Anche Kierkegaard - che lui cita, come se fosse un punto d'approdo dopo Heidegger - diceva che non si può parlare di religione se non ci si lascia coinvolgere personalmente nei suoi contenuti che più suscitano scandalo, però sappiamo anche come andò a finire: l'unico vero modo per dimostrare d'aver fede era, per il padre dell'esistenzialismo religioso, quello di morire martire per la cristianità. Persino il primate danese Martensen gli disse ch'era pazzo a pensare che "martire" e "testimone della verità" potessero in qualche modo coincidere.

IV

Quando si abbraccia la religione non si può farlo a titolo individuale o come filosofi: persino i protestanti farebbero fatica ad accettare l'idea che una fede possa essere vissuta senza una comunità. Non serve a nulla dire che si accetta una fede ma non i suoi dogmi. Ogni fede li ha e chi pensa di poterne fare a meno, è perché in realtà - almeno così è sempre stato - ha già smesso di credere o comunque ha seri dubbi sulla propria fede. Cosa vuol fare Vattimo nel XXI secolo, trasformarsi da laicista a eretico? Cos'è questa, una crisi di senescenza? Possibile che una persona intelligente come lui creda che possa essere una religione a dare sicurezza alla laicità? O forse sta pensando che la vera ragion d'essere stia unicamente nella fede e che l'ateismo sia una forma d'insopportabile arroganza?

V

Si può capire che uno abbia nostalgia del proprio passato giovanile di militante cattolico e che in età adulta non abbia trovato un equivalente laico altrettanto significativo, si può capire che uno pensi che in gioventù c'erano più ideali di oggi, ma non si può capire che dopo un percorso intellettuale da laico uno approdi al misticismo. Che grande servizio reso alla chiesa romana! Infinitamente più prezioso di quello della conversione al cattolicesimo di un prete anglicano sposato! Aveva proprio ragione Marx quando diceva che la religione è la coscienza di sé dell'uomo che o non ha ancora acquistato o ha subito perduto se stesso.

VI

Senza volerlo ha però reso un servizio anche all'umanesimo laico, che da tempo sospettava un'involuzione irrazionalistica del suo "pensiero debole". Per fortuna che Vattimo non è diventato un becero destrorso (come spesso sono gli ex-comunisti), essendosi limitato a una soluzione più indolore, diciamo più "filosofica", per quanto - è bene dirlo - al giorno d'oggi è un po' patetico pensare di poter riformare una religione mediante un'altra religione, un'interpretazione integralista della fede (come quella degli ultimi due pontefici) attraverso una più laica.

VII

Se Vattimo è favorevole all'aborto, al preservativo e all'omosessualità, non può pensare né di stare dentro la chiesa romana, né di avere dei seguaci davvero credenti e praticanti, né di pretendere di essere ascoltato solo perché anche lui in fondo è un credente. Quando si crede in cose che la chiesa vieta da sempre, semplicemente o si esce dalla chiesa o addirittura si smette di credere. Anzi, se davvero si è laici, occorre trovare delle motivazioni molto più etiche e umane rispetto a quelle che offre, nei casi suddetti, la chiesa romana. Le assurdità di questa chiesa son talmente tante (celibato dei preti, rifiuto del divorzio, infallibilità pontificia ecc.) che solo una persona totalmente sprovveduta o particolarmente ipocrita può credervi.

VIII

Tuttavia, siccome dice che in questa sua riscoperta del tema della religione "c’entra l’esperienza della morte", non avrebbe fatto meglio a togliere alla religione le risposte a questo argomento, proponendone di nuove sul piano laico? Possibile che un laico non possa parlare di infinità della materia, dello spazio, del tempo e quindi di perenne trasformazione delle cose, senza rischiare di cadere in equivoci di tipo religioso? Per quale motivo l'umanesimo deve lasciare alla chiesa il monopolio interpretativo su ciò che ci attende dopo morti? E se tutte le verità della chiesa fossero in realtà delle menzogne? Che farebbe uno come Vattimo se scoprisse che nell'aldilà non c'è nessun dio ma solo esseri umani: si riconvertirebbe un'altra volta?

IX

Particolarmente infelice infatti è la sua idea che anche nel caso dovesse accingersi a una reinterpretazione secolarizzata del Nuovo Testamento, non metterebbe assolutamente in discussione il ruolo della chiesa. Si rende conto Vattimo che una posizione del genere è più retriva persino di quei credenti del passato che reinterpretando, sempre in chiave religiosa, i passi biblici, lo facevano proprio per contestare il ruolo della chiesa ufficiale? Dove è vissuto Vattimo fino ad oggi? Anche se ha fatto solo filosofia, non avrebbe dovuto trascurare tutta quella critica biblica che a partire da Reimarus ha spazzato via qualunque esegesi di tipo confessionale. Oggi gli esegeti un minimo onesti con se stessi, dopo due secoli di critica razionalistica, si confrontano solo su interpretazioni bibliche che hanno la laicità come presupposto.

X

Ha un che di patetico voler ripensare in chiave laica i Vangeli per arrivare a un fine neo-religioso: "una nuova chiesa visibile che superi tutte le frontiere e 'accolga nel suo grembo tutte le anime assetate dell’ultraterreno'". Davvero Vattimo pensa di poter creare una "chiesa laica"? Davvero pensa di poter avere dei seguaci? Le vere "chiese laiche" in realtà le abbiamo già avute: erano i vecchi partiti comunisti. Oggi dobbiamo sviluppare la "democrazia laica", senza religioni di sorta, tutta umana e possibilmente orientata verso un socialismo autogestito, alternativo a un sistema borghese dove si è soltanto eterodiretti (da Stati, mercati, borse finanziarie, multinazionali, sistemi mediatici).

Non lo sa Vattimo che la chiesa romana è parte integrante di questo sistema e che se anche il sistema sembra non tener conto delle esigenze di detta chiesa, esso in realtà ha le proprie basi genetiche nel modo di fare autoritario di questa stessa chiesa? La borghesia comunale in Italia ha potuto nascere e soprattutto svilupparsi grazie proprio alle concessioni che le vennero fatte dai vescovi latini, cinquecento anni prima che nascesse la Riforma.

XI

Vattimo, come molti esistenzialisti, ha affrontato il suo rapporto con la chiesa in maniera troppo soggettivistica, troppo legata a questioni di carattere personale (nel suo caso, in primis, la scelta di orientamento omosessuale) e, in questa maniera, non è mai riuscito a recidere il cordone ombelicale in maniera netta. La rottura nei confronti dell'oscurantismo doveva partire da riflessioni più culturali e politiche, obiettivamente analizzate con studi specifici; non basta, per emanciparsi, che una coscienza individuale avverta su di sé il peso di certe ingiustizie. Fare dell'omosessualità "la chiave di lettura di tutte le altre superstizioni della Chiesa e, fuori dalla Chiesa, di tutte le forme di esclusione sociale" è, come minimo, pretenzioso; sostenere poi di trovarsi, in questo, seguace di Pasolini, è assolutamente fuorviante, poiché quando quel grande intellettuale contestava le forme della società borghese partiva da considerazioni che con l'omosessualità non avevano nulla a che fare.

XII

Per quale motivo un intellettuale maturo deve lacerarsi in contraddizioni tra il credere religioso e il non credere laico, che sicuramente caratterizzano di più una mentalità giovanile, quando, al giorno d'oggi, esistono infinite contraddizioni che non avendo trovato, in duemila anni, adeguate risposte religiose, ne attendono, con una certa urgenza, di laiche? Le quali però non potranno certo basarsi semplicemente sulla caritas, di cui egli parla come sopravvivenza legittima della fede.

Nei vangeli la legge dell'amore è stata usata proprio per sostenere che il Cristo non aveva nulla di politico, nulla di rivoluzionario per le sorti della Palestina in lotta contro Roma. Anche oggi si parla di "partito dell'amore" contro quello dell'"odio", ma lo si fa per difendere interessi tutt'altro che generali.


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Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani (sezione Natura/Fiori)

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria - Ateismo
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Aggiornamento: 10/09/2014