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Credere di credere
Risposta a Michele Turrisi
I - II
1. Con il lungo articolo «Credere
di credere». Genesi e significato di una conversione debole
(che riprende i contenuti della sua tesi di laurea), Michele Turrisi
ha avviato un dibattito di alto livello sulla conversione —
ma sarebbe meglio dire “riconversione” — religiosa
di Vattimo al cristianesimo. (Uso la parola “cristianesimo”
sensu lato, poiché è difficile pensare
che una posizione come la sua possa essere accettata nell’ambito
della Chiesa romana; al massimo, se vogliamo, nell’ambito
di quella protestante la quale, in nome del “libero esame”,
può autorizzare interpretazioni eterogenee del Nuovo Testamento,
per quanto persino una qualunque confessione ultra-liberale non
possa permettersi il lusso di accettare l'idea che una fede possa
essere coerentemente vissuta senza una comunità di riferimento.
Sono comunque note le simpatie di Vattimo per la chiesa valdese
e, se vogliamo, anche quelle dello stesso Turrisi). “Riconversione”
in quanto il filosofo torinese una quindicina d'anni fa ebbe un
improvviso ripensamento del suo itinerario intellettuale (laico-esistenzialistico
e di militanza nella sinistra), approdando a una soluzione di
tipo mistico, ancorché non-confessionale, per riempire
il vuoto di valori causato dal fallimento di quegli ideali del
socialismo europeo in cui egli, a modo suo, si riconosceva. Da
allora la questione religiosa è diventata una delle sue
preferite, benché non abbia mai trascurato l’impegno
politico (dal 2009 è parlamentare europeo nell’IdV
di Di Pietro).
Conoscendo il valore laicista del mio sito, Turrisi mi ha chiesto di produrre una riflessione sull’argomento
in oggetto, ben sapendo che non avrei potuto condividere pienamente
le sue idee che, per quanto “progressiste” possano
essere in ambito religioso (specie in rapporto al cattolicesimo-romano,
che con gli ultimi due pontefici ha raggiunto vertici di notevole
conservatorismo), restano pur sempre relative a un mondo che il
sottoscritto non può considerare alternativo a uno di tipo
laico. Di ciò comunque gli rendo merito, poiché
se negli anni Sessanta e Settanta un confronto del genere era
possibile grazie alle sollecitazioni teorico-pratiche poste dal
socialismo (utopico o scientifico che fosse), oggi, pur in assenza
di riferimenti a questa ideologia, i credenti avvertono comunque
la necessità di confrontarsi con posizioni diverse dalla
loro, evitando di pensare che la “partita” tra le
due Weltanschauungen sia definitivamente chiusa con il
crollo del muro di Berlino. È indubbio infatti che il socialismo,
pur essendo fallito come sistema amministrato dall’alto,
ha contribuito sul piano culturale a sviluppare un’idea
di laicismo che inevitabilmente ha condizionato non solo la cultura
borghese del nostro tempo ma anche quella religiosa.
Lo stesso Vattimo ha avvertito l’esigenza di militare
nella sinistra (anche da cattolico, nel periodo giovanile), rendendosi
conto che il proprio esistenzialismo non avrebbe potuto trovare
nella religione le risposte politiche che cercava. In tal senso
ci si può chiedere, visto che in area socialcomunista politica
e laicità non dovrebbero marciare separate, se il suo ritorno
alla fede non possa essere visto come una conseguenza dell’incapacità
che hanno molti "intellettuali di sinistra" di tenere
uniti i due elementi suddetti, e se addirittura l’intenzione
di attenersi alla “sola laicità” non comporti,
prima o poi, il rischio di una involuzione verso posizioni religiose.
Ciò senza nulla togliere al coraggio che un intellettuale
deve avere di rimettere continuamente in gioco le proprie certezze,
come ha giustamente asserito Costanzo Preve. Parlo di “involuzione”
ovviamente a prescindere da tutto: atteggiamenti personali, scelte
di valore, posizioni politiche… Mille volte i laici hanno
sostenuto che esistono credenti migliori delle religioni cui appartengono
e religioni migliori dei propri credenti; questo tuttavia non
toglie che la religione in sé resti per il sottoscritto
una risposta precaria, se non illusoria o comunque molto limitata,
alle domande di senso del nostro tempo. Cosa che d’altra
parte sosteneva lo stesso teologo Sergio Quinzio — forse
il trait-d’union tra Vattimo e Turrisi —
il quale ovviamente vedeva la limitatezza non nella fede in sé
ma nella sua espressione istituzionale.
Si badi però che se si volesse circoscrivere l’ultima
ontologia di Vattimo alla mera questione religiosa si rischierebbe
di compiere un grossolano errore. Egli non ha mai rinnegato il
suo background marxista, e anzi gli ultimi sviluppi del suo pensiero
paiono orientati a recuperare i temi fondamentali del filosofo
di Treviri, previa debita epurazione degli elementi più
dogmatici della sua ideologia. È sufficiente leggersi Ecce
Comu. Come si ri-diventa ciò che si era (Fazi 2007),
in cui egli propone una sorta di comunismo libertario, all’insegna
di un progetto di “sovversivismo democratico”. Nel
più recente Addio alla verità (Meltemi
2009), filosofia e politica si ricongiungono per costruire un’idea
di verità nel confronto sociale e interculturale.
2. Detto questo, non si vogliono qui ripercorrere tutti i passaggi
della "conversione" di Vattimo (l’ha già
fatto Turrisi con molta chiarezza) ma semplicemente approfittare
del testo di quest’ultimo per sviluppare delle osservazioni
di carattere più generale, riguardanti non solo la filosofia
ma anche la politica. Turrisi plaude alla “conversione”
di Vattimo, poiché la giudica interessante sul piano della
“filosofia religiosa”. Ma se guardiamo i temi religiosi
trattati da questo “pensiero debole”, essi rientrano
tutti nella categoria dell’esistenzialismo religioso, sebbene
talune categorie (per es. quella di kenosis) vengano
prese dalla teologia cristiana vera e propria e ripensate in chiave
laica. Se andiamo a leggerci le opere di L. Chestov, N. Berdjaev,
S. Kierkegaard, K. Barth, H.-G. Gadamer, L. Pareyson (quest’ultimi
due maestri riconosciuti dallo stesso Vattimo), si ritrovano argomenti
analoghi, con la sola differenza che Vattimo filtra tutto attraverso
le sue interpretazioni di Nietzsche e di Heidegger, che lo portano
a essere più un “ontologista” che un “esistenzialista”.
In tal senso la “conversione” può essere ritenuta
come un passo indietro sul piano teoretico, anche se può
apparire come un passo avanti sul piano pratico — che è
poi quello che a Turrisi è piaciuto di più —
essendo quello del travaglio interiore, della sofferenza psicologica,
del mettersi a nudo autobiografico.
Vattimo tuttavia vuole restare un filosofo illuminato euro-occidentale,
per il quale una qualunque riscoperta della fede non può
e non vuole andare oltre le acquisizioni laiciste maturate nell’ultimo
mezzo millennio (anzi se consideriamo il contributo dato dalla
Scolastica alla riscoperta dell’aristotelismo, dovremmo
dire nell’ultimo millennio, poiché se è vero
che il protestantesimo — sulla scia di M. Weber —
può essere considerato “organico” al capitalismo,
è anche vero che è stato il cattolicesimo-romano
a permettere il sorgere della mentalità borghese in ambito
comunale). È lontanissima da lui l’idea di vivere
un’esperienza della fede secondo i criteri di una qualunque
chiesa istituzionale. Se davvero il discorso religioso gli interessasse
sul piano pratico, se davvero avesse voluto fare studi teologici
approfonditi, cercando una modalità ecclesiale più
coerente all’ideale evangelico, non sarebbe tornato a parlare
di fede in senso cattolico o in senso protestante, ma ne avrebbe
parlato in senso ortodosso, in quanto l’esperienza di origine
greca o slava della fede resta infinitamente superiore, sul piano
spirituale (ontoteologico), rispetto a qualunque altra esperienza
cristiana. L’attesta la pervicace resistenza che gli ortodossi
hanno saputo dimostrare di fronte ai condizionamenti islamici,
stalinisti e cattolico-romani.
3. Quindi più che parlare di Vattimo sarebbe meglio parlare
di Turrisi, vale a dire della sua operazione di recupero che forse
risente di qualche esagerazione rispetto a quella dello stesso
Vattimo (nel senso che Turrisi appare essere molto più
“religioso” di lui, uno cioè che davvero pensa
di poter dare un contributo alla valorizzazione dell’esistente
partendo da presupposti religiosi). Per Vattimo si è trattato
invece assai probabilmente di una delle tante riflessioni esistenziali
ch’egli ha fatto nella sua vita, in cui la contraddittorietà
tra una tesi e l’altra del suo notevole corpus
filosofico non viene considerata un limite bensì un valore
— come d’altra parte è giusto che sia per un
filosofo che ha fatto dell’ermeneutica la sua ragion d’essere,
cioè della continua ricerca una battaglia contro tutti
i dogmi, laici e religiosi.
Non a caso la lettura che Turrisi ha prodotto di Vattimo è
subito piaciuta a chi, come lui, crede ancora che la fede abbia
qualcosa da spendere in questa valle di lacrime. Certo, se si
guarda all’incredibile revival della chiesa ortodossa
nei paesi ex-comunisti (in Russia persino le autorità governative
si atteggiano a credenti), vien da pensare che forse anche nei
paesi di democrazia formale come i nostri, dove i valori del mercato
ci stanno portando a una crescente alienazione, la fede religiosa
possa tornare a avere il seguito di un tempo. Ma davvero è
possibile pensare che la Chiesa romana, abituata da almeno un
millennio a gestire il potere politico e economico, vittima qual
è di continui scandali (che di recente l’hanno colpita
anche negli aspetti della sfera sessuale) possa assomigliare anche
solo lontanamente a una qualunque chiesa ortodossa, che in virtù
della diarchia politica non ha mai gestito alcun potere e che
ha potuto rinascere grazie esclusivamente alla propria spiritualità?
Oppure quella di Turrisi vuole essere un’operazione di largo
respiro, da giovane intellettuale filo-protestante che cerca un
dialogo con gli uomini e le donne “di buona volontà”
sui temi forti dell’umano vivere e credere? Se è
così sarebbe meglio aprire subito un dibattito, tra credenti
e non, sulla principale emergenza del nostro Paese — quella
“morale” — dove la corruzione sembra porsi “a
sistema” e dove quindi non può che essere ben accolto
un contributo umanamente significativo come il suo. Un dibattito
del genere dovrebbe però avere come presupposto l’idea
che l’etica sociale non è in crisi perché
sempre meno religiosa. L’etica, sia essa laica o religiosa,
è sempre un riflesso della società, ed è
sui fondamenti di quest’ultima che sarebbe necessario discutere.
Anche perché se oggi non siamo così schematici da
ritenere che la sovrastruttura sia un mero rispecchiamento della
struttura, è anche vero che se i cittadini, laici e credenti,
non decidono insieme quali basi porre per la società dei
prossimi decenni, non sarà possibile trovare dei valori
comuni da far valere per mutare il sistema. I credenti infatti
in quanto “credenti” sentono di avere il compito di
riformare le loro chiese di appartenenza; ma in quanto “cittadini”
devono trovare con credenti diversi da loro e con i non-credenti
un terreno comune in virtù del quale sia possibile debellare
la principale malattia che ha inaugurato il XXI secolo: la corruzione;
corruzione di fronte alla quale non può bastare né
una riforma di tipo religioso né una di tipo laico, in
quanto è proprio il concetto di democrazia che va ripensato.
Oggi dovremmo sviluppare una democrazia più diretta che
delegata, localmente autogestita, dove la concessione dei poteri
vada considerata temporanea e limitata a un obiettivo specifico,
dove gli eletti debbano rendere periodicamente conto del loro
operato agli elettori, dove tutto sia sottoposto al controllo
dei cittadini, dagli aspetti politici a quelli sociali e culturali,
dove i bisogni siano il criterio per formulare qualunque legge
(maggiori i bisogni, più alti i diritti), dove si possa
riscoprire la memoria del valore d’uso d’ogni cosa
(che non necessariamente coincide col suo valore di scambio) e
dove il bisogno principale, la libertà di coscienza, sia
la legge suprema di ogni decisione, dove nessuna decisione venga
considerata irrevocabile (poiché non è l’uomo
a essere fatto per il “sabato” ma il contrario), dove
nessuno si consideri insostituibile o infallibile (neppure un
organo collettivo, poiché nessun ruolo o funzione può
essere eterno o ereditario), dove far valere il classico principio:
“a ognuno secondo il bisogno, da ognuno secondo le capacità”,
dove la necessità di tutelare la natura sia parte costitutiva
della riproduzione della specie umana, e questi son soltanto dei
principi elementari, dei “minima moralia” direbbe
Adorno.
Sapranno i laici come Vattimo e i credenti come Turrisi trovare
un punto d’accordo intorno a essi per sviluppare poi quelle
che i politici chiamano le “larghe intese”?
Fonte:
www.aifr.it/pagine/notizie/034.html
Testi
- Vattimo Gianni,
Credere di credere. È possibile essere cristiani nonostante la chiesa?,
1999, Garzanti Libri
- Vattimo Gianni,
Addio alla verità, 2009, Meltemi
- Rorty Richard; Vattimo Gianni,
Il futuro della religione. Solidarietà, ironia, carità, 2005, Garzanti
Libri
- Vattimo Gianni; Sequeri Pierangelo; Ruggeri Giovanni,
Interrogazioni sul
cristianesimo. Cosa possiamo ancora attenderci dal vangelo?, 2000, Edizioni
Lavoro
- Girard René; Vattimo Gianni,
Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e relativismo, 2006,
Transeuropa (Massa)
- Vattimo Gianni,
Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, 2002, Garzanti
Libri
- Vattimo Gianni; Zabala Santiago,
Nichilismo e religione. Con DVD, 2005, Casini
- Vattimo Gianni, Dotolo Carmelo,
Dio: la possibilità buona, 2009, Rubbettino
- Vattimo Gianni; Paterlini Piergiorgio,
Non essere Dio, 2009, Aliberti
- Chiurazzi Gaetano; Vattimo Gianni; Salizzoni Roberto,
Trópos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica (2009). Vol. 1,
2009, Aracne
- Vattimo Gianni,
Introduzione a Heidegger, 2008, Laterza
- Vattimo Gianni; Chiaruzzi Gaetano; Bagetto Luca,
Trópos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica (2008). Vol. 1,
2008, Aracne
- Vattimo Gianni,
Opere complete. Vol. 1/2: Ermeneutica, 2008, Meltemi
- Vattimo Gianni,
Oltre l'interpretazione. Il significato dell'ermeneutica per la filosofia,
2002, Laterza
- Vattimo Gianni,
Schleiermacher, filosofo della interpretazione, 1968, Mursia (Gruppo
Editoriale)
- Antiseri Dario; Vattimo Gianni,
Ragione filosofica e fede religiosa nell'era postmoderna, 2008,
Rubbettino
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Atei o credenti? Filosofia, politica, etica, scienza, 2007, Fazi
- Vattimo Gianni,
La cultura del Novecento, 2007, Saletta dell'Uva
- Vattimo Gianni,
I pensatori del Novecento, 2001, Ist. Poligrafico dello Stato
- Vattimo Gianni,
Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, 2003, Garzanti
Libri
- Vattimo Gianni,
Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era, 2007, Fazi
- Vattimo Gianni,
Introduzione a Nietzsche, 2007, Laterza
- Vattimo Gianni,
Dialogo con Nietzsche. Saggi 1961-2000, 2000, Garzanti Libri
- Vattimo Gianni,
Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche e
Heidegger, 2001, Garzanti Libri
- Vattimo Gianni,
Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione,
2003, Bompiani
- Vattimo Gianni,
La vita dell'altro. Bioetica senza metafisica, 2006, Marco
- Vattimo Gianni,
Il socialismo ossia l'Europa, 2004, Trauben
- Vattimo Gianni; Prodi Romano; Veltroni Walter,
L'Europa a sud. Le speranze congiunte di Africa ed Europa, 2003, Trauben
- Vattimo Gianni,
Vocazione e responsabilità del filosofo. Filosofia 2000, 2000, Il Nuovo
Melangolo
- Vattimo Gianni,
La fine della modernità, 1999, Garzanti Libri
- Bobbio Norberto; Bosetti Giancarlo; Vattimo Gianni,
La sinistra nell'era del karaoke, 1995, Donzelli
- Vattimo Gianni,
Essere, storia e linguaggio in Heidegger, 1989, Marietti
- Vattimo Gianni,
Etica dell'interpretazione, 1989, Rosenberg & Sellier
- Vattimo Gianni,
Poesia e ontologia, 1985, Mursia (Gruppo Editoriale)
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