Natura innaturale

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NATURA INNATURALE

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Se vivessimo in una civiltà naturale e non del tutto artificiale come la nostra, segnata, espressamente, dall’antagonismo sociale, forse potremmo anche dire che le produzioni umane sono tutte naturali, essendo l'uomo "un ente di natura".

Oggi però siamo costretti a sostenere il contrario, e cioè che nelle civiltà antagonistiche non vi è nulla di naturale, in "alcuna" produzione umana. Infatti siamo talmente abituati all’"artificiale" che non riusciamo neppure a capire che cosa sia il "naturale".

E’ assurdo pensare che la natura non abbia il diritto di sentirsi del tutto indipendente dall’uomo solo perché l'uomo ne rappresenta l'autoconsapevolezza. La natura ha leggi che non abbiamo creato noi, anche se noi riusciamo a comprenderle sempre meglio e persino riprodurle. L'uomo vi si dovrebbe attenere assai scrupolosamente, proprio perché una qualunque loro violazione si ritorcerebbe anche contro di sé.

Le leggi della natura non sono "simbolizzazioni di relazioni", ma fenomeni reali e oggettivi, per cui, stante un certo contesto di spazio e tempo, la mela continuerà a caderci sulla testa per omnia saecula saeculorum.

Che l’uomo non sia solo un ente di natura ma un qualcosa di più, non significa affatto ch'egli non debba non mettere in pratica le leggi della natura. Proprio perché siamo qualcosa di più, dovrebbe esserci più facile rispettarle. Purtroppo invece siamo l’unico ente di natura che non vuole farlo. Le abbiamo rispettate per milioni di anni, ma da quando sono nate le civiltà antagonistiche (a partire da quella schiavistica) abbiamo smesso di comportarci in maniera naturale e quindi umana, e i danni che ciò ci procura, essendo aumentata progressivamente l’efficienza dei nostri mezzi produttivi, sono sempre più alti, tanto che appaiono in molti casi irreversibili (p.es. le desertificazioni provocate dai disboscamenti o i disastri nucleari o chimici).

Quando parliamo di natura dobbiamo intendere quella del nostro pianeta, in cui al momento dobbiamo necessariamente vivere, in quanto una nostra esistenza in un altro contesto dell’universo, al momento, è impensabile. Se ragioniamo in astratto sul concetto di natura, arriveremo alla fine a considerare del tutto naturale trapiantare un embrione umano nel ventre d’un maiale o d’una scimmia, visto che hanno il Dna quasi simile al nostro, nella convinzione che il nascituro avrebbe sicuramente caratteristiche del tutto umane.

E in ogni caso, il fatto che esista un universo infinitamente più grande del nostro pianeta non ci autorizza a usare il nostro pianeta come un mero oggetto da sfruttare e da buttare quando non ci servirà più. Anche perché se non saremo in grado di rispettare le leggi della natura su questo pianeta, di sicuro non sapremo farlo, in futuro, su nessun altro pianeta, per cui, stante l'attuale situazione e dando per scontata un'impossibile inversione di rotta, forse sarebbe meglio che la nostra specie scomparisse definitivamente dalla faccia della Terra e di tutto l’universo. Già adesso abbiamo trasformato in una vergognosa spazzatura lo spazio che circonda il nostro pianeta (coi satelliti dismessi). Ci stiamo comportando peggio di una mina vagante.

Il limite delle azioni umane non sta, positivisticamente, nelle loro capacità, ma nell’intelligenza di sapersi porre dei limiti invalicabili, oltre i quali non vi è più nulla né di umano né di naturale. Dovevamo per forza scindere l’atomo? E per produrre cosa? Un’energia dagli effetti incontrollabili e dalle conseguenze irreparabili? Ne avevamo assolutamente bisogno per vivere meglio? Gli scienziati possono forse trincerarsi dietro l’apparente neutralità delle loro ricerche, senza doversi mai chiedere in che modo esse potranno essere applicate?

Non credere nelle leggi oggettive della natura significa permettere all’uomo di compiere qualunque cosa, nell’ingenua convinzione ch’egli non arriverà mai a distruggere se stesso. Quando un’azione umana sbagliata viene compensata da un’altra azione che ne limita gli effetti negativi, ciò accade proprio perché esistono delle leggi di natura che ci spingono a correggerci, a cercare di recuperare gli equilibri perduti, poiché, se dipendesse esclusivamente da noi, probabilmente a quest’ora ci saremmo già autodistrutti (le rovine delle passate civiltà antagonistiche sono lì a dimostrarlo).

Le leggi della natura possono essere vissute in due modi: istintivamente e consapevolmente. Gli animali lo fanno, o meglio, vorrebbero farlo istintivamente, ma ne sono impediti dagli uomini, che con la loro "consapevolezza" rendono impossibile anche ciò che dovrebbe essere considerato semplicemente "naturale".

Si noti questo semplice fatto: la base dell’evoluzione degli animali non è l’antagonismo all’interno di una medesima specie, ma tra specie diverse. Ebbene il ghepardo sta scomparendo, ma nessun leone ha mai cacciato il ghepardo. Chiediamoci dunque: sul destino di questo animale quanto ha influito il nostro comportamento?

Anche la base dell’evoluzione umana non è mai stata l’antagonismo, almeno fino a quando non si sono formate le cosiddette "civiltà", cioè circa seimila anni fa, che è un nulla rispetto al periodo del comunismo primitivo. La base positiva dell’evoluzione umana è stata semmai la "contraddizione", cioè la necessità di adeguare il proprio stile di vita a esigenze ambientali che mutano di continuo. Ma quando questa necessità gli uomini se la vedono imporre da altri uomini, allora si sono già introdotti elementi di grave conflitto. La natura comincia a diventare "matrigna" per l’uomo quando già vige il principio homo homini lupus.

Laddove vige questo principio, tutte le civiltà vanno considerate "artificiali", cioè non conformi a natura, e lo si capisce da fenomeni assurdi come l’urbanizzazione massiva (che spersonalizza), l’automazione del lavoro (che toglie la creatività), la burocratizzazione amministrativa (che fagocita e deresponsabilizza), la militarizzazione dell’ordine pubblico (che mina la libertà personale), l’ideologizzazione degli Stati (che viola la libertà di coscienza), la separazione del lavoratore dai mezzi di lavoro (che schiavizza), ecc.

Il genere umano ha potuto continuare con questo trend innaturale proprio perché davanti a sé ha avuto la fortuna d’aver un pianeta immenso. Ma adesso i nodi stanno venendo al pettine. E cercare di difendersi da questo destino in maniera superficiale non servirà a nulla. Oggi per es. nei paesi occidentali si parla di "riciclare" per non "inquinare". Ma qualunque riutilizzo di materiali artificiali (chimico-fisici) non andrà mai esente dall’inquinamento. Possiamo anche comprare una pila ricaricabile, ma quando essa non lo sarà più, poiché ogni cosa ha un inizio e una fine, noi avremo comunque lasciato all’ambiente un oggetto altamente inquinabile.

Per essere sicuri al 100% di non produrre inquinamento, noi dovremmo utilizzare ciò che la natura stessa ci mette a disposizione: pietra, legno, fibre vegetali, piante, fiori, frutta, radici, bacche, tuberi, alghe, pesci e animali d’ogni genere.

Forse pochi sanno come si pianta un albicocco. Bisogna innestarlo in un’altra pianta, detta "mirabolano", affinché cresca in fretta e stia basso di statura per favorire la raccolta. Quanto tempo dura un albicocco del genere rispetto a uno normale? Tre-quattro volte di meno e produce anche molto meno. Ma le esigenze del mercato vogliono questo. Poi quando il mercato preferisce le albicocche della Spagna o del Maghreb perché costano meno, l’agricoltore è costretto a piantare kiwi, poi quando tutti gli agricoltori piantano kiwi, il prezzo si abbassa spaventosamente, e allora si buttano giù tutti i frutteti e si produce erba spagna, che dà pochissimo reddito, ma non richiede quasi nessuna lavorazione. Questo per dire che in occidente non solo non esiste più la natura e l’autoconsumo, ma neppure l’agricoltura capitalistica è davvero vantaggiosa.

Indubbiamente il nostro impatto sulla natura è inevitabile, ma il segreto per non violarla sta appunto nel rispettarne le leggi, la prima delle quali è l’autoconservazione, ovvero la possibilità di riprodursi agevolmente. Noi dovremmo essere i "custodi" della natura: invece ne siamo i "carnefici". Ma chi si farà più male quando le calotte polari si scioglieranno in seguito all’effetto serra: noi o la natura? La natura ha davvero bisogno di noi o può farne tranquillamente a meno? Quanti anni ha il nostro pianeta e quanti ne abbiamo noi umani?

Ormai, a causa nostra, l'unico problema sembra essere diventato questo: la natura riuscirà un giorno a trovare in sé sufficiente forza per sbarazzarsi di un fardello insopportabile come il genere umano, prima che questo le impedisca definitivamente di reagire alla violenza che le viene arrecata? Oppure dobbiamo pensare che quando l’uomo impedirà alla natura di compiere qualunque reazione ai disastri ch’egli avrà procurato, quello sarà il segnale che al genere umano resterà ancora poco tempo per continuare a esistere? Oppure quando arriveremo a questo punto non esisterà neppure la natura?

La natura non è una madre che ci permette di usare i balocchi finché ci pare. Quando smettiamo di usarli, ci chiede dove li abbiamo messi.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018