LA SOFISTICA

TEORIA
Etica Filosofia Antropologia Pedagogia Psicologia Sociologia Ecologia Logica Ateismo...


LA SOFISTICA. ASPETTI INTRODUTTIVI

I filosofi naturalisti, analizzando l'universo, avevano stabilito degli arché sia concreti che astratti. Talete l'acqua, Anassimandro l'apeiron, Anassimene l'aria, Eraclito il fuoco (ma anche il logos e il divenire), Pitagora il numero, Parmenide e Zenone l'essere, Empedocle le quattro radici (aria acqua terra fuoco), Anassagora gli infiniti semi, aggregati dal Nous (la Mente superiore), Democrito e Leucippo gli atomi.

Da tutti questi filosofi l'uomo veniva considerato un ente di natura e, di fronte all'immensità dell'universo, alcuni ammettevano la possibilità dell'esistenza di qualcosa d'immateriale, antecedente alla materia o ad essa coesistente, in grado di conferire a questa il movimento.

Con Leucippo e Democrito, tuttavia, si era giunti alla conclusione che la materia (l'atomo) fosse ingenerata ed eterna, del tutto autosufficiente, capace di produrre da sola i “mondi” per effetto di combinazioni casuali e di leggi necessarie, che avvengono nel vuoto, senza il concorso di forze esterne. Democrito aveva scoperto l'automovimento della materia, di cui l'essere umano era il prodotto più significativo.

Tutte queste filosofie più o meno ateistiche, sviluppatesi nelle colonie mercantili della Ionia e della Magna Grecia, avevano scandalizzato gli aristocratici della madrepatria, abituati a considerare come ideologia dominante la mitologia di Omero ed Esiodo. Ma con la vittoria della Grecia sull'impero persiano, cui soprattutto i ceti mercantili avevano contribuito (essendo stati gli aristocratici più favorevoli al compromesso con l'invasore), era diventato impossibile impedire alla filosofia di accedere nelle grandi città della penisola.

Praticamente dalla vittoria sui Persiani del 478 a.C. sino all'inizio della seconda guerra del Peloponneso (431 a.C.), che vide Atene contro Sparta, l'intero mondo ellenico aveva conosciuto, grazie anche al grande statista Pericle, una notevole trasformazione politica in senso democratico, che rifletteva una netta prevalenza del modello sociale basato su arte e artigianato, edilizia e cantieristica navale, commercio e professioni liberali e scientifiche, rispetto al modello tradizionale basato sull'agricoltura.

Con l'uscita di scena di Pericle (morto di peste nel 429 a.C.) e con la vittoria di Sparta su Atene (grazie all'appoggio persiano), ritorna in auge l'aristocrazia, gestita questa volta dagli spartani (404-371 a.C.), che deciderà, tra le altre cose, la morte del maggior filosofo ateo post-naturalista: Socrate.

* * *

Naturalmente non possiamo considerare la democrazia politica ateniese come la quintessenza della democrazia della storia antica. Questo per una serie di ragioni.

  • Anzitutto dalle assemblee popolari, in cui si esercitava una democrazia diretta, erano esclusi gli schiavi, gli stranieri e persino le donne (ad Atene su una popolazione libera di 150 mila abitanti, gli schiavi erano circa 60-80 mila unità).
  • In secondo luogo ogni polis era lo “Stato del cittadino”, il quale non poteva concepirsi come “persona” al di fuori della polis. Il singolo acquistava un'identità soltanto in quanto “cittadino”, appartenente a un collettivo istituzionale, mediante cui aveva diritto di partecipare all'attività politica.
  • In terzo luogo la religione è statale. La polis è politeistica (benché si riconoscano alcuni dèi più importanti di altri), e l'agnosticismo o l'ateismo vengono ammessi solo a titolo personale e non senza limitazioni, soprattutto quando è in gioco la formazione dei giovani.
  • Durante l'età di Pericle Atene diventa cosmopolitica, cioè aperta a influenze straniere di ogni tipo, ma questo non significa che quella città abbia rinunciato a espandersi in maniera imperialistica nel Mediterraneo.

* * *

Poiché la parola “Sofistica” (l'ideologia dominante del nuovo spirito democratico-borghese), ha subìto col tempo un'accezione negativa (voluta soprattutto da Platone e Aristotele), sarebbe meglio parlare di “filosofia umanistica”, cioè di una teoria avente per oggetto non la natura o la scienza in senso stretto, ma l'uomo e la società.

Ancora oggi usiamo la parola “sofisma” o “sofista” per indicare un ragionamento o un personaggio cavilloso, eticamente ambiguo, spesso capzioso, finalizzato a un interesse di parte o grettamente materiale, quindi falsamente dialettico, tendente a raggirare l'interlocutore. E usiamo la parola “sofisticato” per indicare qualcosa di molto elaborato, complesso, difficile da capire, oppure qualcosa di artificioso, di non naturale.

E' stato solo agli inizi del Novecento che s'è cominciato a capire che la Sofistica poteva essere anche un'altra cosa (di sicuro nella sua prima fase) e che, con questa parola, bisognerebbe semplicemente intendere la saggezza in senso lato, globalmente intesa, di carattere enciclopedico, cioè non un sapere tecnico-scientifico specialistico.

* * *

Più propriamente parlando, che cos'è la Sofistica? In origine “sofista” voleva semplicemente dire “sapiente”, come lo erano stati i Sette Savi, vissuti tra il 620 a.C. circa e il 550 a.C. (di cui i primi quattro, nelle varie liste pervenuteci, sono sempre gli stessi: Talete di Mileto, Solone da Atene, Biante di Priene, Pittaco da Mitilene).

Tuttavia nelle colonie greche il sofista era diventato lo scienziato o il filosofo ateo e naturalista, critico della mitologia. Al tempo di Pericle il sofista è colui che offre una conoscenza utile a raggiungere un determinato risultato, generalmente nell'ambito delle assemblee politiche, ma anche nei tribunali o nelle transazioni commerciali; ed è una conoscenza basata su una tecnica persuasiva chiamata retorica, cioè l'arte di scrivere in maniera professionale e soprattutto l'arte del parlare in pubblico in modo persuasivo, eloquente, al fine di ottenere un consenso. Non bastava più saper leggere o scrivere in maniera corretta o citare a memoria dei versi poetici: bisognava essere convincenti nelle situazioni più significative della propria vita, quelle che avrebbero deciso il proprio futuro.

Il sofista dunque è un professionista della parola, scritta e soprattutto orale, la cui tecnica viene trasmessa dietro compenso in denaro, quindi soltanto a coloro che se lo potevano permettere. Questa tecnica era già in uso presso gli avvocati delle colonie greche e il primo ad associarla all'insegnamento della filosofia era stato Empedocle.

Ai sofisti non interessava disquisire sulla natura dell'arché, ma risolvere problemi contingenti; non interessava neppure la natura, ma solo l'uomo. Per loro era possibile conoscere solo i fenomeni, per cui la metafisica, considerata al pari di una religione, viene abbandonata. Sul piano religioso essi professano l'agnosticismo se non addirittura l'ateismo, mentre su quello filosofico dei valori esistenziali, essi sono relativisti, cioè non credono che possa esistere una verità assoluta e universale. I valori sono tutti di origine umana, contestuali a determinate popolazioni e culture, soggetti al variare dei tempi e dei luoghi, per lo più legati a specifici interessi.

Generalmente i sofisti pongono l'utile come criterio della verità, nel senso che il valore di un'azione sta nelle conseguenze che determina, quindi può essere deciso solo a posteriori.

In ogni caso chi apprende l'arte della retorica e dell'eloquenza deve imparare a saper destreggiarsi tra opposte posizioni, deve saper contrapporre a ogni tesi una rispettiva antitesi (secondo il metodo antilogico), proprio per dimostrare che la verità sta nel mezzo (o per far credere che sia così). L'arte di battagliare con le parole viene detta eristica, il cui principale strumento è la reductio ad absurdum, cioè costringere il proprio interlocutore, mediante un ragionamento logico apparentemente valido, ad affermare il contrario di ciò che precedentemente aveva sostenuto.

Quando si formerà la filosofia aristocratica e idealistica di Platone e Aristotele, si condannerà tutta la Sofistica dicendo:

  • che chi offre la propria filosofia solo a pagamento, vende un sapere ingannevole;
  • che chi non professa alcuna religione è immorale;
  • che lo è anche chi professa l’assoluto relativismo e pone l’utile come scopo della conoscenza.

In tal modo si trascurò del tutto il fatto che i sofisti:

  • avevano sviluppato l'ateismo o agnosticismo umanistico come mai prima di loro i filosofi naturalistici erano riusciti a fare;
  • avevano fatto della conoscenza un sapere a disposizione non solo dei ceti aristocratici (come prima era nella madrepatria), ma anche di quelli borghesi, a prescindere dalla propria origine sociale;
  • avevano divulgato la conoscenza in tutta la società, facendola uscire dal perimetro delle ristrette comunità filosofiche, in cui il maestro era considerato quasi una divinità;
  • avevano trasmesso un sapere enciclopedico, riguardante materie scientifiche, letterarie e artistiche, basato sulla cultura generale, specializzata nel modo di presentarsi a un pubblico, ma senza essere specialistica nei contenuti, poiché si poneva come obiettivo la formazione globale del cittadino;
  • avevano sviluppato enormemente tutte le discipline linguistiche inerenti all'esposizione orale e scritta.

I sofisti minori e la valutazione delle leggi

Il dibattito sul significato e l'utilità delle leggi, condotto dai cosiddetti di "sofisti minori" circa 2400 anni fa, resta sempre incredibilmente interessante. Da notare anzitutto che dei quattro più noti: Antifonte, Ippia, Trasimaco e Crizia, il secondo e il quarto di sicuro vennero uccisi.

Protagora, a proposito delle leggi, aveva già detto ch'esse nulla hanno di divino, essendo del tutto convenzionali, creazioni di maggioranze politiche che si alternano di continuo. In direzione dell'umanismo, queste sue affermazioni relativistiche erano già state un progresso enorme, soprattutto nei confronti del grande legislatore Licurgo, che diceva d'essere ispirato da dio.

Tuttavia Protagora aveva aggiunto che una società senza leggi scritte sarebbe ricaduta subito nella barbarie delle origini, in quello stato ferino dell'umanità da cui ci si era emancipati creando appunto le città-stato.

Tale evidente ingenuità non mancarono di sottolinearla appunto i suddetti sofisti, che la critica si ostina a considerare "minori", pur essendo, su questo specifico aspetto, assai più perspicaci.

Antifonte e Ippia infatti arrivarono ad affermare il contrario, anticipando, in questo, le teorie del "buon selvaggio" elaborate in epoca illuministica, soprattutto in Francia.

E' vero cioè - essi sostenevano - che le leggi sono convenzionali, ma è anche vero che di tale convenzione si fanno promotori solo specifici gruppi di potere, i quali, proprio dietro il paravento pseudo-democratico delle leggi, sponsorizzano l'arbitrio di pochi, i quali così si pongono in antitesi all'uguaglianza originaria delle comunità primitive.

Insomma le leggi non favoriscono l'uguaglianza ma, al contrario, la negano: basta vedere - dicevano - la distinzione che si opera tra i cittadini delle diverse poleis, per non parlare della discriminazione tra "greco" e "barbaro". Loro si sentivano cosmopoliti, cittadini del mondo, non di una polis in particolare.

A mettere il dito ancor più nella piaga della democrazia ateniese furono però altri due sofisti, non citati nell'elenco di prima: Licofrone e un allievo di Gorgia, Alcidamante, i quali dissero che la democrazia non esisteva neppure all'interno di una stessa polis, in quanto era sufficiente vedere la differenza tra libero e schiavo. Ebbero un bel coraggio nel sostenere che più libero dell'ateniese era l'uomo primitivo! Secondo una testimonianza di Aristotele, un certo Falea di Calcedonia arrivò persino a proporre un'eguale distribuzione della terra.

Tutti i sofisti minori avevano chiaramente capito che l'uguaglianza sociale, quella relativa ai bisogni primari da soddisfare, era superiore all'uguaglianza giuridica o politica, proprio perché questa rifletteva rapporti già disuguali, per cui era sostanzialmente formale.

E qui fanno un esempio che per un moderno ecologista sarebbe impossibile non far proprio. Chi viola la legge, senza essere visto, è come se non la violasse; chi invece danneggia la natura, inevitabilmente danneggia se stesso. Oggi diremmo che in entrambi i casi si nuoce a se stessi, anche se nel primo caso non così immediatamente come quando per esempio si inquina una falda acquifera o si rende pestifera l'aria. Quella volta il modo peggiore per violentare la natura, era di tagliare i boschi per fare le flotte commerciali o militari.

Ippia diceva che una legge è tanto più umana quanto più rispecchia le esigenze della natura e quindi quanto meno riflette gli interessi dei ceti sociali al potere. Poneva - come si può vedere - un'alternativa radicale al sistema, come poche volte si è potuto riscontrare nella storia del pensiero filosofico occidentale.

Non meno interessante è il fatto che i sofisti minori (soprattutto Crizia e Prodico) collegassero strettamente la disuguaglianza sociale, mistificata dalla pseudo-uguaglianza delle leggi, con lo sviluppo delle religioni. Nel suo dramma Sisifo Crizia afferma, a chiare lettere, che la religione è stata inventata da chi, detenendo le leve del potere, vuole soggiogare i sudditi usando lo strumento emotivo della paura.

E anche qui viene presentato un esempio che ogni ateo o agnostico non avrebbe alcuna difficoltà a sottoscrivere. Cioè, mentre la legge è in grado d'imporre un comportamento soltanto quando qualcuno può denunciare la violazione di qualche articolo, la religione invece è sempre efficace, perché e in grado d'intimorire le coscienze in ogni momento.

Gli dèi, dunque, non sono altro che il prodotto della divinizzazione di cose utili per l'uomo o di uomini che hanno scoperto cose utili per tutti. Un prodotto alienato, in quanto viene trasferito in cielo ciò di cui non si può liberamente disporre su questa terra e che quando si pretende d'averlo, si deve subito affrontare la minaccia d'un castigo divino.

Filosofia greca


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018