LA FURBIZIA DI GEORGE BERKELEY

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LA FURBIZIA DI GEORGE BERKELEY

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Nel suo trattato sui Principi della conoscenza umana (1710), George Berkeley arrivò a dire che non esistono cose indipendenti dalla percezione che ne possiamo avere, e tanto meno possono esistere delle idee assolute. La sua sembrava essere una posizione nettamente anti-platonica, cioè anti-idealistica, in contrasto, peraltro, col suo stesso ruolo pubblico di vescovo.

Tuttavia era solo un'apparenza. Di fatto, dicendo esse est percipi, egli non voleva affatto negare la divinità, bensì solo la materia. Cioè, pur partendo da un'istanza empirista: le idee sono tutte concrete e particolari e quelle universali non sono che un insieme di idee particolari, era approdato a una conclusione del tutto soggettivista e metafisica, arrivando a dire che le idee migliori, quelle più conformi a natura, sono prodotte dalla divinità.

Questo modo di ragionare è viziato da un intellettualismo astratto, anche nel caso in cui lo si volesse racchiudere all'interno della teologia. Infatti se uno fosse davvero credente, non partirebbe col negare le idee assolute, anzi, direbbe subito ch'esse appartengono, nella loro pienezza, alla sola divinità e solo parzialmente, in maniera confusa, agli esseri umani, i quali solo se hanno la fede possono ricevere la "grazia" di vedere le cose con maggior luce.

Ma se uno nega la presenza di queste idee e dice che la realtà è solo un complesso di sensazioni e impressioni, dovrebbe essere coerente sino in fondo e negare qualunque entità esterna, quindi non solo la materia ma anche lo spirito. Viceversa, dopo aver detto che, di primo acchito, l'uomo potrebbe anche fare a meno della divinità, Berkeley finisce col farne un'ampia apologia.

Probabilmente egli fece questo giro vizioso per tener testa al materialismo, all'empirismo e allo scetticismo allora imperanti in Inghilterra. Ma difficilmente qualcuno si sarebbe potuto lasciare convincere da argomentazioni pseudo-empiristiche. Berkeley, al massimo, poteva attirare i consensi dei credenti, ma non avrebbe potuto ottenere quelli degli atei o degli agnostici, il cui materialismo, se non vuole sfociare nell'irrazionalismo del mero soggettivismo (o solipsismo), deve per forza ammettere una "cosa in sé", anche se non ovviamente in stile kantiano, dove essa, sul piano pratico, si risolve in un moralismo fine a se stesso (il dovere per il dovere), quanto piuttosto in stile materialistico-dialettico, quello che è sì disposto ad accettare la "cosa in sé", ma a condizione che diventi "cosa per noi", cioè porti l'uomo ad avere una conoscenza sufficientemente obiettiva delle cose.

I sacerdoti che si mettono a fare i filosofi sono non meno pericolosi di quei filosofi che si comportano come dei sacerdoti. Ma la cosa più curiosa è che questo misticismo mascherato è stato fatto proprio, previa l'epurazione del medesimo misticismo, da tutte quelle correnti filosofiche borghesi che si oppongono al socialismo e al materialismo e che sperano di attirare dalla loro parte chi si professa ateo. Si era già accorto di questo Lenin, quando, nel suo Materialismo ed empiriocriticismo, criticava i machisti, i quali, pur dicendo d'essere atei erano nettamente antimaterialisti e anticomunisti.

Testi di Berkeley

La critica


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015