Augusto Del Noce

TEORICI
Politici Economisti Filosofi Teologi Antropologi Pedagogisti Psicologi Sociologi...


IL CATTOLICESIMO INTEGRALISTA DI AUGUSTO DEL NOCE

I - II

I

Un qualunque filosofo cattolico integralista1, dovendo scegliere tra ateismo e capitalismo, sceglierà sempre il capitalismo. Augusto Del Noce (1910-89) non si sottraeva a questa regola di comportamento. Dovendo cioè scegliere tra una cosa esplicitamente antitetica alla fede religiosa e un'altra che lo è praticamente ma non teoricamente, in quanto il capitalismo non si esprime mai direttamente a favore dell'ateismo, il cattolico fondamentalista farà sempre una scelta di tipo ideologico. E la farà pur sapendo bene che il capitalismo è un sistema sociale iniquo, ingiusto, lesivo degli interessi di tutti cittadini, siano essi atei o credenti.

Quindi davanti alla possibilità di realizzare un'alternativa al capitalismo, cioè un vero socialismo democratico, rispettoso dei diritti umani e civili, il cattolico integralista inevitabilmente si chiederà, in via preliminare, se davvero questa alternativa gli permetterà di usare la propria religione in maniera politica, e siccome sa benissimo che il regime socialista di separazione tra chiesa e stato, non glielo permetterà, in quanto, pur essendoci state, sino adesso, delle caricature di socialismo, su questo punto è difficile pensare che si possa transigere, altrettanto inevitabilmente si sentirà costretto a impedire che tale alternativa si realizzi.

Dunque, che cos'è che dà maggiormente fastidio al cattolico integralista? In realtà non è tanto l'ateismo in sé, quanto un sistema sociale di vita che non permetta alla fede religiosa d'avere una rilevanza politica. Perché il cattolico, che pur, in quanto «cattolico», dovrebbe avvertire il socialismo come dottrina più conforme allo spirito collettivistico della propria religione, si trova ad essere il suo nemico più irriducibile? Il motivo è molto semplice: in Europa occidentale il cattolicesimo è sempre stato vissuto come religione politicizzata. Per tutto il Medioevo questa religione ha fatto politicamente gli interessi dei detentori della proprietà privata, ch'era fondamentalmente agraria, quella che garantiva una rendita. Finito il Medioevo, questa religione, soprattutto nella sua variante protestantica, ha difeso la proprietà mobiliare, proveniente dal profitto imprenditoriale, spesso anche contro quella immobiliare.

La politica è servita al cristianesimo, sia esso cattolico o protestantico, per difendere un interesse di tipo privato, in contraddizione con le istanze collettivistiche e proto-comunistiche del cristianesimo primitivo. La fede religiosa è stata usata, e ancora oggi è così, per uno scopo che non era il suo. Questa cosa s'è imposta, in Europa occidentale, sin da quando s'è formato lo «Stato della chiesa», il quale, col tempo, a motivo di una crescente secolarizzazione, s'è trasformato in «chiesa di stato» o in chiesa privilegiata, come può esserlo una chiesa largamente maggioritaria nella società civile o una chiesa legata alle tradizioni storiche di una determinata nazione.2

Tuttavia siamo forse legittimati a dire che il cattolicesimo latino sia stato in Europa occidentale sempre e soltanto integralistico? Assolutamente no. Tutti i più significativi fenomeni cosiddetti «ereticali» in quest'area geografica o hanno cercato di riportare il cristianesimo ai suoi ideali «collettivistici» originari, oppure han fatto in modo di laicizzarlo, opponendosi alle pretese teocratiche del papato. È stato solo nelle eresie, soprattutto in quelle pauperistiche, che s'è potuto riscontrare un nesso tra fede religiosa e istanze di tipo democratico e comunistico. La principale eresia anti-cattolica che s'è formata in Europa occidentale è stata – come noto – quella protestantica, la quale però s'è limitata a «laicizzare» il cattolicesimo, lasciando perdere del tutto ogni riferimento a istanze di tipo collettivistico.

Ora, dove si possono riscontrare, nel mondo contemporaneo, dei nessi abbastanza organici tra fede cattolica e aspirazioni di tipo socialista? Soltanto nei paesi del Terzo mondo, cioè là dove si subiscono di più le conseguenze nefaste del capitalismo, tra cui quella, politica e culturale, di vedere una fede religiosa occidentale collusa coi poteri dominanti. Il nesso tra fede cattolica e socialismo ha ripreso vigore dove più è forte quella fede e dove più è debole il benessere offerto dal capitale.

In Occidente tale nesso non ha più alcun senso. L'ultimo tentativo di associare una fede cattolica integralistica a esigenze di tipo socialistico è stata compiuta, in funzione nettamente anticomunista e sostanzialmente a favore del capitalismo, dalla chiesa polacca, il cui pontificato di Giovanni Paolo II, sostenuto da Comunione e liberazione, ha rappresentato il vertice di quella pretesa, rivelatasi, peraltro, del tutto illusoria, in quanto non esiste alcuna «terza via» tra capitalismo e socialismo, meno che mai un'alternativa di tipo «religioso». L'unico problema da discutere è quale modello di socialismo democratico da realizzare e con quale cultura laico-umanistica.

In Occidente la fede stata laicizzata dallo stesso capitalismo, il quale permette, grazie allo sfruttamento del Terzo mondo, dei redditi relativamente elevati, per cui non ha senso che un credente s'impegni a favore del socialismo: al massimo può impegnarsi contro la secolarizzazione dei costumi, degli stili di vita, dei valori esistenziali che il capitale impone grazie alle dinamiche del profitto, della rendita finanziaria, del consumismo ad oltranza, dello sfruttamento indiscriminato delle risorse umane e naturali. Più di questo, in condizioni normali d'esistenza, cioè in assenza di guerre o di tensioni sociali molto acute, che possono anche portare a rivedere taluni criteri di vita (come, p.es., è accaduto durante gli anni della contestazione operaio-studentesca), il credente occidentale non fa, proprio perché del tutto imborghesito.

Il cattolicesimo integralista occidentale non solo combatte l'ateismo e l'agnosticismo in campo filosofico, le religioni non cristiane o a-cattoliche in campo confessionale, la laicizzazione dello Stato in campo politico, lo sviluppo del pensiero scientifico e razionale in campo culturale, ma combatte anche, con quanta più ideologia possibile, qualunque commistione di fede e socialismo, assumendo, in questo, una posizione particolarmente fanatica, che mai s'è riscontrata neppure nel passato marx-leninismo. Qui infatti, pur sostenendo che agli occhi del partito l'atteggiamento nei confronti della religione non poteva essere considerato un «affare privato» del militante, in quanto il partito doveva comunque perorare le ragioni dell'ateismo-scientifico, si evitava accuratamente di porre l'ateismo come condizione preliminare per la militanza politica. Semplicemente si diceva che, da un lato, poteva verificarsi una «personale contraddizione» tra la coscienza religiosa del militante comunista e gli obiettivi del partito, dall'altro però quest'ultimo non poteva permettere a dei militanti credenti di difendere la causa della religione in contrasto con le finalità dello stesso partito, condizionandone le linee-guida. Il che voleva dire, in altre parole, che la libertà di espressione ha senso solo entro i limiti della libertà di associazione, e se vi sono violazioni alla libertà di religione, occorre opporvisi proprio in quanto tali violazioni rientrano in quelle più generali relative alla libertà di coscienza. L'atteggiamento nei confronti della religione è una questione che appartiene strettamente alla coscienza, per quanto la cultura di un partito socialcomunista debba essere chiaramente favorevole a posizioni di tipo ateistico (cosa che invece non è tenuto a fare uno Stato laico).

Poste queste condizioni, avrebbe mai accettato un cattolico di militare in un partito comunista? Sì, avrebbe potuto farlo, ma solo nella misura in cui egli avesse saputo porre una differenza tra il suo essere credente (in coscienza) e il suo essere pubblicamente militante. Ora, può un cattolico integralista accettare, anche solo ipoteticamente, una distinzione metodologica del genere? Assolutamente no. Per come s'è venuta configurando la fede cattolica nell'Europa occidentale, a partire dalla nascita dello Stato della chiesa, una qualunque separazione tra fede e politica ha senso soltanto nella misura in cui la chiesa è tutelata dallo Stato, cioè solo nella misura in cui esiste uno Stato che fa politicamente gli interessi della fede cattolica, in quanto è uno Stato più o meno «confessionale», esista o no un «concordato» che ne legittimi l'identità istituzionale.

Per la chiesa romana non solo è inammissibile uno «Stato laico» o un regime di separazione tra chiesa e Stato, ma è anche del tutto sconveniente che una fede religiosa (come fa, p. es., quella ortodossa, di tipo greco o slavo) rinunci a darsi una veste politica. Una fede non politicizzata è destinata, per i cattolici integralisti, a estinguersi: su questo non possono esservi dubbi. Ecco perché un cattolico integralista farà di tutto per combattere non solo l'ateismo e il socialismo, ma anche qualunque altra religione integralista (islam, ebraismo...) e persino qualunque altra religione «dualista» o «diarchica», cioè disposta ad ammettere una certa separazione tra «cittadino» davanti allo Stato e «credente» davanti alla chiesa.

È impossibile far capire a un cattolico integralista che se la separazione di fede e politica, pretesa dal moderno laicismo, ha comportato non solo la fine della presenza pubblica della fede (in senso politico), ma anche quella della fede personale (o pre-politica), ciò non può essere minimamente addebitato al laicismo, il quale, semmai, s'è limitato a prendere atto del fallimento storico del cristianesimo medievale, senza per questo volersi opporre alla fede religiosa in sé e per sé. Il fatto che, dopo la sua estromissione dalla politica, la fede cattolica tenda a subire un collasso anche nella vita privata, dovrebbe indurre il cattolico a chiedersi se la fede politicizzata che aveva ieri era davvero una fede religiosa o non piuttosto un'ideologia politica ammantata, in maniera superficiale, di religiosità. Anzi, se fosse onesto, dovrebbe ringraziare lo sviluppo del laicismo, il quale, separando fede e politica e quindi etica e religione, ha posto le condizioni per un percorso autonomo di entrambe, sicuramente più libero e non necessariamente antitetico, lasciando esclusivamente alla storia il compito di decidere sulla loro significatività.

II

Detto questo, vediamo ora di esaminare nel dettaglio le principali tesi politico-filosofiche di Augusto Del Noce. Nella sua filosofia, che è politica per eccellenza, sono confluite, in maniera alquanto contraddittoria, due correnti cattoliche di vecchia data: quella agostiniano-pascaliana, fortemente pessimista circa la capacità umana di compiere il bene, e quella razionalistica di matrice tomista, che, passando per Rosmini e Gioberti, giunge sino al neo-idealismo italiano.3

Del Noce ha costantemente, anzi tenacemente analizzato tutta la modernità, per condannarla en bloc, rinfacciandole di non tener mai conto del dogma del peccato originale. Cioè egli non ha voluto usare questo dogma per fare del misticismo o della teologia, ma, in un certo senso, ha svolto un'operazione inversa, quella di smontare la filosofia borghese e socialista per affermare proprio il valore di quel dogma.

Così facendo però s'è trovato su posizioni più regressive dello stesso tomismo, poiché, in ultima istanza, non ha mai voluto riconoscere alla ragione una propria autonomia. La ragione è stata usata solo surrettiziamente, avendo essa come obiettivo finale la negazione di se stessa. Sicché l'ossessione nei confronti di questa impotenza umana, ch'egli ritiene strutturale all'esserci, non lo porta affatto a vivere un'esperienza autenticamente o serenamente «religiosa», bensì una sorta d'irrazionalismo ideologico, che lo fa tanto assomigliare a talune personalità travagliate del mondo cristiano, come p.es. Chestov o Kierkegaard.

Del Noce infatti non ha mai voluto limitarsi a fare il semplice «filosofo», ma ha sempre avuto la pretesa di dire qualcosa di «politico», soprattutto ai militanti della Democrazia cristiana, su come essi dovevano comportarsi nella società civile e nello Stato, in primis nei suoi organi di governo. Lui si sentiva un «filosofo della politica», per quanto impegnato politicamente soltanto come docente universitario. Di fatto non apprezzava né la Dc degli anni '50 e '60, a motivo del suo stretto legame con l'ideologia borghese e l'economia capitalistica, né quella degli anni '60 e '70, a causa del suo avvicinarsi alle posizioni socialiste e comuniste in funzione elettorale. Di qui il suo grande isolamento come filosofo cattolico.

La vera erede di Del Noce non sarà alcuna corrente della Dc, ma Comunione e liberazione, il movimento politico-ecclesiale più integralista di tutti quelli della chiesa romana del XX secolo, che non a caso tra i suoi fondatori vedrà l'allievo universitario preferito di Del Noce: Rocco Buttiglione. L'intesa verrà ufficializzata al Meeting riminese di CL del 1976, ove Del Noce pronunciò un discorso, sintetico di tutto il suo pensiero, sulla Pedagogia della secolarizzazione e il conflitto delle culture, poi pubblicato in AA.VV., Pluralismo culturale. Scuola e società (ed. Massimo, Milano 1977).

A detta dello stesso Buttiglione4, Del Noce pretendeva d'essere l'erede del neo-idealismo italiano: un erede, quindi, che vedeva in Gramsci il massimo oppositore possibile. Infatti le interpretazioni più distorte Del Noce le riserva proprio a Gramsci, soprattutto là dove dice che, criticando Croce, Gramsci ha «incontrato» Gentile, il quale aveva voluto eliminare, nel marxismo, la parte economicistica e deterministica, pensando di poter contrapporre con successo a quella sovrastrutturale una rivoluzione di tipo fascista. Gramsci – secondo Del Noce – non avrebbe fatto altro che ereditare la lezione gentiliana, trasformando il marxismo in una «riforma intellettuale e morale», antecedente a quella socioeconomica vera e propria, e portando il laicismo moderato di Gentile alla versione più estrema dell'ateismo.

Senonché, come Gentile aveva fallito il suo obiettivo fascista di creare uno Stato totalitario, avendo avuto la pretesa di separare la ragione dalla fede, riducendo quest'ultima a un'esperienza politicamente irrilevante, precludendosi così la possibilità di superare veramente il marxismo, così Gramsci, quando lo «incontra», col suo antifascismo ancora più esplicitamente ateo, non farà che portare la ragione gentiliana a una forma ancora più elevata d'irrazionalismo, che non cercherà neppure, come invece fece il fascismo, un compromesso con la religione, per permettere allo Stato etico totalitario di non incontrare opposizioni di sorta.

Del Noce diceva queste cose negli anni Settanta, quando era fortissima la guerra fredda e in Europa occidentale le forze di sinistra avevano raggiunto livelli di grande popolarità. Egli non voleva assolutamente vedere Gramsci come un'alternativa praticabile al neo-idealismo crociano-gentiliano, altrimenti sarebbe stato costretto a vedere il socialismo come un'alternativa praticabile al capitalismo. Poiché dunque, per lui, l'unica alternativa possibile sia al capitalismo che al socialismo era il cattolicesimo-romano, la filosofia gramsciana della prassi andava vista come una semplice continuazione di quella gentiliana, salvo l'aggiunta di un ateismo esplicito, foriero di sciagure storiche ancora maggiori.

Il criterio per giudicare della democraticità di una filosofia politica era, per Del Noce, la vicinanza o la lontananza dalla fede religiosa. Il discrimen per ogni valutazione di merito, di ogni filosofia o ideologia, doveva essere il tasso di laicismo o di agnosticismo o di ateismo ivi incluso. In tal senso egli pensava che il fascismo fosse subentrato al liberalismo proprio perché questo aveva voluto minare le fondamenta del cattolicesimo: Del Noce non vedeva alcun apporto significativo del cattolicesimo alle posizioni fasciste.

A suo parere il fascismo (gentiliano) era nato dallo scacco del liberalismo (crociano), e quest'ultimo, in Croce, s'era reso conto solo nella tarda maturità che la moderna «volontà di potenza», con cui s'era voluta dare del cristianesimo un'interpretazione immanentistica, legata al divenire della storia, avulsa da ogni tradizionale trascendenza, alla fine portava soltanto al nichilismo. Pertanto, nell'interpretazione delnociana, Croce rappresentava il tentativo di sterilizzare il potenziale totalitario dell'attualismo (così come Giolitti aveva cercato di frenare l'estremismo mussoliniano); un tentativo però destinato all'insuccesso, in quanto a Croce mancava la dimensione della trascendenza, e tanto meno riconosceva un valore politico alla fede.

È un'analisi, questa, di una incredibile povertà culturale, in quanto gli aspetti strutturali dell'economia borghese vengono tenuti nettamente separati da quelli sovrastrutturali dell'ideologia. Del Noce non riesce a comprendere minimamente che il fascismo rappresentava una necessità tutta interna al liberalismo, cioè alla sua incapacità di affrontare le contraddizioni sociali del capitalismo, esplose con la prima guerra mondiale, e non risolte minimamente in Europa occidentale, mentre in quella orientale si era tentata la strada del comunismo bolscevico.

Il fascismo non era esploso in Italia in conseguenza dell'accentuato razionalismo del liberalismo borghese, come fosse una sua logica conseguenza; ma era sorto proprio perché il razionalismo borghese non era più in grado di affrontare le proprie contraddizioni economiche nella maniera parlamentare. La riprova di questo è il fatto che il fascismo fu, sul piano sovrastrutturale, più «cattolico» del liberalismo, proprio perché volle riconoscere al papato il privilegio di poter disporre, giuridicamente, di uno Stato politico separato da quello nazionale.

Fa un po' sorridere Del Noce quando ritiene che uno sviluppo conseguente del pensiero di Rosmini e Gioberti (ereditato da Sturzo) avrebbe potuto portare a una sconfitta non solo del liberalismo borghese, ma anche dell'attualismo fascista. Sembra non rendersi conto che questo pensiero cattolico incontrava forti resistenze persino all'interno della stessa chiesa romana e soprattutto del papato, ancora legato ai privilegi del passato Stato della chiesa, ostilissimo da sempre all'unificazione nazionale e pervicacemente intenzionato a non transigere su pretese politiche di tipo teocratico e su pretese ideologiche di infallibilità, non soggette ad alcun consenso ecclesiale. Il fatto ch'egli considerasse Leone XIII il maggior filosofo cristiano del XIX secolo e uno dei più grandi di tutti i tempi, non significa nulla; anzi, con un minimo di onestà intellettuale avrebbe dovuto ammettere che il meglio della Rerum Novarum era tutto di matrice socialista.

È davvero singolare che un grande studioso come Del Noce, dalla cultura vastissima, non si sia mai accorto che il cattolicesimo-romano costituiva, nel Medioevo, una variante ereticale dell'ortodossia greco-bizantina; e non si sia mai accorto che le riflessioni teologiche maturate in ambito protestante avevano favorito una lettura molto laicizzata dei vangeli e della figura di Gesù Cristo, in grado di inaugurare un corso del tutto inedito di studi, di cui saranno costretti a tener conto gli stessi esegeti cattolici.

L'idea che la forma più elevata di cristianesimo fosse quella cattolico-romana e che quindi l'Italia dovesse considerarsi la nazione culturalmente più significativa del mondo, era solo la pretesa di un'incredibile provincialismo, sia nei confronti della tradizione ortodossa, rimasta più fedele di quella cattolica ai principi dei primi sette concili ecumenici5, sia nei confronti della tradizione protestantica, senza la quale il moderno ateismo neppure esisterebbe.

Vien da chiedersi se il fascismo avesse vinto, quale sarebbe stata la riflessione delnociana. Sicuramente egli avrebbe parlato molto meno di nichilismo implicito nel razionalismo e avrebbe cercato di allargare il più possibile gli spazi di manovra concessi alla chiesa romana dal Concordato e dai Patti Lateranensi, proprio perché avrebbe considerato imprescindibile per i cattolici un impegno politico «in quanto cattolici». Un cattolico integralista come lui, sempre così preoccupato di associare fede e politica, sempre così pessimista circa le capacità umane di compiere il bene, difficilmente avrebbe continuato a dire che la fede non è cosa che possa essere imposta con la forza. Anzi, probabilmente avrebbe detto – come anche Buttiglione ha fatto – che il Concordato servì alla chiesa romana come arma di difesa, in quanto le permise, unica in Italia, di opporsi efficacemente alla dittatura.

Uno Stato fascista trionfatore del comunismo e una chiesa cattolica, sottomessa soltanto per motivi bellici, avrebbero potuto trovare, in tempo di pace, una felice intesa intorno all'obiettivo comune dell'anticomunismo e dell'antiateismo, così come oggi CL ha potuto fare, corrompendosi quanto mai, con la destra berlusconiana e leghista, che di religioso han meno di un guscio vuoto.

Del Noce va dunque visto come uno degli ultimi anelli filosofici di quella lunga catena di fanatismo clericale che, partendo dalla teocrazia di Gregorio VII, è passata per tutta la fase controriformistica e antiunitaria (a livello nazionale), trovando nei due pontificati di Wojtyla e Ratzinger (e naturalmente in CL) le sue conclusioni più retrive.

Note

1 Da notare che per i cattolici integralisti questo aggettivo viene inteso soltanto in riferimento a quei credenti che presumono di trovare nella Bibbia le indicazioni per l'agire politico nel presente, mentre per noi è applicabile a quei credenti che pensano di trovare soltanto nella loro fede i motivi ispiratori del loro agire politico. Sono appunto questi credenti, tra cui molti cattolici, che considerano il secolarismo qua talis, cioè a prescindere dalle sue pratiche realizzazioni, come antitetico alla religiosità in sé e non invece a quella sola religiosità compromessa col potere (che è poi il clericalismo). Politicizzare la fede porta automaticamente a escludere che possano esistere maniere diverse, ugualmente legittime, di risolvere problemi comuni, soprattutto quelli «eticamente sensibili». Una qualunque etica umanistica è, per il credente integralista o fondamentalista, un prodotto derivato della fede religiosa, al punto che se essa non riconoscesse tale debito, smetterebbe, ipso facto, d'essere democratica.
2 La chiesa ortodossa, p. es., ama considerarsi una chiesa «nazionale», protetta dal proprio Stato di riferimento o d'appartenenza, anche a motivo delle lotte, sostenute nel passato, contro la chiesa romana e, per questa ragione, vede sempre in maniera ostile il fatto che il papato si serva del diritto alla libertà di coscienza per diffondere, soprattutto in Europa orientale, il proprio credo, ovviamente contro gli stessi ortodossi, che qui sono maggioritari e che, nonostante non siano meno «cristiani» dei cattolici, vengono considerati, a motivo dello scisma del 1054, mai più ricomposto, degli avversari irriducibili alle ambizioni egemoniche mondiali del Vaticano. D'altra parte gli ortodossi non amano sfruttare lo stesso diritto per diffondersi nei paesi tradizionalmente cattolici, proprio perché non hanno sufficiente aggressività proselitistica: si accontentano d'essere considerati una chiesa tradizionalmente «nazionale».
3 Del Noce studiò molto anche i filosofi cattolici francesi: Blondel, Maritain, Gilson, Laberthonnière, Marcel, Laporte, Gouhier…, sino al punto in cui fece la tesi di laurea su Malebranche, in cui egli scorgeva il primo tentativo moderno di filosofia cristiana.
4 Cfr. la sua introduzione al libro di A. Del Noce, I cattolici e il progressismo, ed. Leonardo, Milano 1994, ma si legga anche dello stesso Buttiglione, Del Noce filosofo della politica italiana, in «Il Nuovo Areopago», n. 1/1990.
5 Da notare che gli ortodossi, convinti che l'uomo sia capace di bene, nonostante i condizionamenti del peccato originale, non hanno mai rivendicato una partecipazione politica «in quanto ortodossi», mostrandosi anzi relativamente favorevoli alla diarchia bizantina e alla separazione giuspolitica dei regimi comunisti; viceversa, i cattolici impegnati politicamente han sempre cercato, a partire dalla riforma gregoriana, di sottomettere il potere imperiale e, a partire dalle crociate, di occupare tutta l'Europa orientale.

Pubblicato su SCHEGGE DI FILOSOFIA MODERNA V (a cura di Ivan Pozzoni) - deComporre Edizioni

Testi di A. del Noce

Testi su A. del Noce

Download


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 26-04-2015