ERACLITO POLITICO

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ERACLITO POLITICO

I - II

Eraclito, olio su tavola di Hendrick ter Brugghen, 1628, Rijksmuseum (Amsterdam)

All'inizio del VI sec. a.C., al potere della stirpe reale dei Basilidi (da cui discendeva Eraclito), violentemente abbattuto, successero alcuni tiranni, fra cui Pindaro e Pitagora (non il filosofo-matematico). Durante il periodo di attività politica di Eraclito dominava ad Efeso il tiranno Melancoma.

Eletti generalmente per un periodo di un anno, i "tiranni" del periodo greco classico - come noto - rappresentavano la democrazia contro l'aristocrazia; quest'ultima, peraltro, che, per quieto vivere, aveva accettato la dominazione persiana in Asia Minore, era ancora più invisa, e infatti ne uscì inevitabilmente sconfitta, mentre i nuovi partiti democratici al potere cercavano d'impedire, con l'aiuto di Atene, che l'impero persiano entrasse in Grecia e occupasse il Mediterraneo.

Nel 546 a.C. praticamente tutte le città ioniche erano state sottomesse dalla Persia e i nuovi "tiranni" erano soltanto dei fantocci in mano ai nuovi padroni, che imponevano pesanti tributi.

La prima rivolta antipersiana scoppiò a Mileto nel 500-499, con l'appoggio di altre città ioniche (Sardi, Efeso...), ed ebbe la peggio, in quanto Atene, da sola, non era in grado di assicurare il necessario appoggio militare per aiutare quelle città a ricacciare gli invasori. Efeso divenne addirittura uno dei maggiori centri persiani del commercio degli schiavi. Ora la Persia era nelle condizioni di minacciare tutta l'Ellade e solo l'unità di Atene e Sparta, de sempre rivali tra loro, sarebbe stata capace di opporvisi.

Le vicende sono note: grazie all'alleanza delle due maggiori città-stato della Grecia, si ottennero vittorie così clamorose sugli eserciti e sulle flotte persiane (Maratona nel 490, Salamina nel 480, Platea nel 479 ecc.), che si poterono liberare tutte le città greche dell'Asia Minore entro il 478 a.C. Quello fu uno degli avvenimenti più importanti della storia mondiale di allora.

Purtroppo di Eraclito non conosciamo né la data di nascita (va dal 535 al 544) né quella di morte (va dal 475 al 484). Indubbia è solo l'appartenenza alla stirpe reale, benché egli cedette il titolo al fratello in segno di protesta contro il trionfo della democrazia efesina.

Egli era un aristocratico che sperava di mandare al potere un proprio candidato, un certo Ermodoro, al fine d'indurre i Persiani a risparmiare la città. Tuttavia i democratici non ne vollero sapere, anzi Ermodoro fu espulso da Efeso nel 478.

Eraclito ne fu così deluso che prese a inveire contro tutti i suoi concittadini, ad eccezione di Biante, un saggio di Priene, che aveva proposto agli ionici di trasferirsi in Sardegna per fondare una nuova polis.

Nessuno oggi sostiene che Eraclito fosse un filo-persiano, e tuttavia egli cercava dei compromessi che i democratici consideravano poco onorevoli, sicché non gli venne mai risparmiata l'accusa (che persiste ancora oggi) d'essere comunque un "reazionario": cosa confermata dal fatto che dopo l'abbandono dell'arena politica, egli rifiutò la proposta degli efesini di collaborare alla stesura delle nuove leggi fondamentali della città.

D'altra parte i suoi pochi frammenti politici che ci sono giunti non lasciano spazio a molti dubbi: alla maggioranza che non comprende l'oggettività e la necessità universale del "logos", che tutto regge e governa, come una sorta di provvidenza cristiana ante-litteram, egli anteponeva, con fare aristocratico, i pochi eletti, i "migliori", non di nascita, beninteso, ma di cultura.

Il "logos" universale veniva da lui paragonato al "fuoco", che primeggia su tutto, benché non negasse una certa uguaglianza o equivalenza delle cose: "tutte le cose sono uno scambio del fuoco, e il fuoco uno scambio di tutte le cose, come le merci sono uno scambio dell'oro e l'oro uno scambio delle merci", dice un suo aforisma.

In effetti Eraclito non era contrario alle leggi di Aristarco, discepolo di Solone, emanate ad Efeso nel VI secolo; anzi auspicava, in quanto aristocratico moderato, che fossero esse a dirigere il governo della città. Aveva un culto delle leggi tipicamente filosofico.

Le fonti storiche ci dicono che Solone nel 594 sveva stabilito i diritti politici in rapporto alle dimensioni della proprietà, aveva sostituito al privilegio della nascita quello della funzione sociale, e rafforzato il ruolo dell'assemblea popolare creando due nuovi organismi: il consiglio dei 400 e il tribunale dei giurati (l'organo supremo della giustizia ateniese).

Ma Solone era stato soltanto un democratico molto moderato: non aveva che ridimensionato il potere politico degli aristocratici (che conservavano le maggiori magistrature), lasciandolo intatto sul piano economico. Non era questa la democrazia che volevano i democratici efesini.

Più volte Eraclito fece capire ai suoi concittadini che non temeva soltanto la tirannide persiana ma anche l'arbitrio di quei greci che non volevano sottostare al potere delle leggi, senza specificare però se le leggi in questione fossero giuste o ingiuste. Predicava un rispetto astratto, fine a se stesso, della legalità.

Di sicuro considerava superato il tempo in cui l'interpretazione del diritto tradizionale era patrimonio esclusivo della classe gentilizia. Avendo avuto origini ed educazioni aristocratiche, difficilmente avrebbe potuto diventare un vero democratico. Non avrebbe mai accettato l'idea che una società potesse autogovernarsi senza "leggi scritte" o che in ogni caso le leggi dovessero essere considerate meno importanti della volontà dei cittadini. Da Eraclito nascerà Montesquieu non Rousseau.

E' famoso il frammento in cui viene detto che "se tutto è fuoco, allora il dominio del fuoco nel cosmo è un ordine cosmico", cioè una legge universale che esiste autonomamente. Una bella affermazione filosofica, che però, se applicata alla realtà, diventa quanto mai confusa e contraddittoria.

Infatti, pur accettando la caduta del potere dei Basilidi, dopo l'intensa lotta di classe tra popolo e aristocrazia all'inizio del VI secolo, continuò ad assumere una posizione troppo "filosofica" per essere autenticamente "democratica". I filosofi sono astratti e quando scendono sul terreno della politica, tendono ad apparire aristocratici, proprio perché, in virtù delle loro alte conoscenze, si considerano "superiori" e quindi "interclassisti".

L'unica vera differenza tra il suo moderato aristocraticismo e quello netto dei Basilidi stava appunto nel fatto che per aristos ("migliore") egli intendeva qualcuno sul piano intellettuale, etico-politico, e non per origine sociale.

A parte questo, restava alquanto idealistica (oggi avremmo detto "kantiana") la sua concezione delle leggi. Far dipendere le leggi umane da un'unica legge universale (divina), come se questa fosse "chiara e distinta", non aveva davvero alcun senso, se non nella mente appunto di un filosofo.

Chi può essere concretamente in grado di dire che si può stabilire a priori il criterio per distinguere le leggi buone da quelle cattive? Si può forse dire che le leggi migliori non sono quelle decise dalla maggioranza, ma quelle conformi alla legge generale dell'universo (logos)? Chi potrebbe stabilire con sicurezza il criterio di conformità se non il logos stesso? E quando si potrebbe sostenere con certezza che in virtù di questo principio i molti possono anche avere torto rispetto all'uno?

Va detto tuttavia che nessun filosofo greco si spinse mai a teorizzare la democrazia pura. Di regola questa veniva paragonata all'anarchia. Aristotele addirittura sosteneva che la democrazia radicale era simile alla monarchia del tiranno, in quanto nelle decisioni assembleari la legge poteva anche essere del tutto trascurata.

Non era forse un filosofo astratto Aristotele quando diceva che il popolo non ha il diritto di violare le leggi da esso stesso adottate?

SINTESI

  1. Con Eraclito la filosofia smette d'avere pretese scientifiche in senso matematico o perché basata sulla natura e si concentra sull'uomo e sulla sua principale facoltà: la ragione, che è un di più dell'intelletto. La ragione è logos, cioè legge di natura e legge dell'universo.
  2. Eraclito iniziò a scrivere aforismi dopo essersi ritirato dalla vita politica, a causa della sconfitta delle sue idee aristocratiche, e vivendo nel tempio di Artemide, a Efeso, in maniera isolata. Con lui la biografia del filosofo comincia ad avere un certo peso in relazione ai contenuti della sua produzione teorica.
  3. Scrive in maniera oscura e oracolare perché ritiene che la sapienza sia accessibile solo a pochi eletti (gli "svegli"), che non si lasciano condizionare dalle apparenze percepite coi sensi, ma si affidano alla ragione.
  4. La verità non sta fuori dell'uomo ma dentro, nel logos: non è importante avere una cultura enciclopedica né specialistica.
  5. L'uomo si identifica con l'universo e può constatare che una delle leggi fondamentali dell'universo e quindi della vita umana è quella del divenire incessante: le cose non sono mai uguali a se stesse (non si può entrare due volte nello stesso fiume).
  6. Questa legge è determinata da un'altra legge ancora più importante: quella dell'unità degli opposti, che si attraggono e si respingono. Le cose sono in perenne competizione tra loro, ma devono imparare a coesistere, invece che distruggersi a vicenda.
  7. Ciò che tiene uniti gli opposti, trasformandoli di continuo, è l'archè dell'universo, che Eraclito chiama "fuoco".
  8. Se gli opposti si vogliono distruggere reciprocamente (polemos=guerra), il vincitore si troverà presto di fronte a una nuova opposizione, per cui il ciclo si ripeterà. Ecco perché, pur dando per scontato che gli opposti sono ineludibili, sarebbe meglio capire come tenerli uniti (la molteplicità nell'unità).
  9. L'unità degli opposti è l'obiettivo del logos che deve conformarsi all'esistenza del fuoco, che si anima e si attenua secondo giusta misura.
  10. L'immagine simbolica dell'unità degli opposti è l'arco, la cui corda è in tensione grazie al legno, ma il legno è curvo grazie alla corda.
  11. Occorre trovare un'armonia dinamica, non statica (come quella dei pitagorici, che tendono a escludere un polo dell'opposizione), né bisogna essere pessimisti come Anassimandro, che tendeva a vedere in questa lotta una netta prevalenza della repulsione rispetto all'attrazione (cosa che poi provocava l'inevitabile crollo del sistema).
  12. Secondo Eraclito gli opposti non devono né annullarsi né identificarsi (prevalendo uno sull'altro), ma restare opposti, coesistendo nella loro diversità in maniera paritetica. Questa unità dinamica degli opposti verrà poi detta "dialettica", che è un di più del "divenire", in cui gli opposti vengono continuamente sostituiti con altri opposti.
  13. Il motto che viene attribuito ad Eraclito: "Tutto scorre" (panta rei), in realtà è dei suoi discepoli. Una sua interpretazione possibile sembra essere favorevole all'indifferenza per le cose, proprio a motivo del loro continuo mutamento o divenire.
  14. Resta comunque da chiarire se e come il principio dell'unità degli opposti possa essere applicato all'antagonismo sociale.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015