MARX: PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA

I - II - III

Questo libro è la prima esposizione sistematica della concezione materialistica della storia e della teoria economica di Marx. Vi sono due punti chiave in questa opera (comprese la sua prefazione e introduzione): il rapporto tra valore e moneta e il concetto di produzione.

Purtroppo il testo risente ancora di una certa dispersività. Solo nel Capitale Marx dimostrerà non solo di saper maneggiare con compiuta maestria la storia del pensiero economico (già evidenziata qui) e le connessioni organiche tra le diverse categorie del modo di produzione borghese, ma di saper esporre la materia con chiarezza e rigore.

Marx ha già in mente la teoria del valore, la teoria dei prezzi, il ruolo della scuola classica e così via, ma l’esposizione manca di organicità. Non a caso, otto anni dopo Marx ricomincerà tutto da capo. Il capitale non sarà la seconda parte di questo libro, ripartirà dal principio.

Prefazione

Nella prefazione, come prima cosa Marx spiega perché ha lasciato perdere l’introduzione:

“Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà decidere a salire dal particolare al generale.”

Dunque l’Introduzione del ’57 era troppo astratta, troppo puramente epistemologica, di metodo, per trovare posto qui. Essa condensava la concezione materialistica della storia senza dimostrarla e dunque “disturbava”. Marx fornisce una lezione basilare di metodo: si parte dal particolare (astratto) e si giunge al generale (concreto). E' un’ulteriore prova che gli scritti “di metodo” sono un terreno scivoloso per il marxismo. Non a caso, Marx non pubblicò l’Ideologia tedesca, né pubblico mai l’Introduzione.

Subito dopo questo accenno, Marx fa la storia di quindici anni di studi che sintetizza nel passo celeberrimo che commenteremo sotto. Ora, si può obiettare che anche qui Marx anticipa risultati da dimostrare. Che cosa c’è dunque di diverso? Il livello di astrazione. Qui si sintetizza il corso della storia, non se ne traggono indicazioni di metodo.

Subito prima del brano, Marx spiega: “il risultato generale al quale arrivai e che, una volta, acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi”. Dunque, la concezione materialistica della storia avrebbe effettivamente preceduto le principali scoperte teoriche di Marx in campo economico. Prima di commentare il brano occorre osservare che subito prima di esso Marx parla di Hegel, e immediatamente dopo cita Engels.

Nella produzione sociale della loro esistenza Abbiamo a che fare con la produzione. Ma la produzione di che cosa? Dell’esistenza degli uomini. La produzione non è dunque produzione solo o tanto di beni ma di rapporti. La produzione sociale è la riproduzione sociale del modo di produzione dominante
gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. I rapporti tra gli uomini dipendono dal livello di sviluppo delle forze produttive, vi “corrispondono”. La volontà dell’uomo non può decidere degli uni e delle altre, ne è invece determinata. Ciò che l’uomo è dipende dai rapporti che instaura con gli altri uomini, ovvero, in ultima analisi, dal livello raggiunto dalle forze produttive.
L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Qui Marx introduce la divisione tra struttura (l’insieme dei rapporti di produzione) e sovrastruttura. Essa si “eleva” a partire da quella base materiale, ovvero si sviluppa in accordo con essa, ed è formata dai rapporti giuridici, politici e ideologici (le forme della coscienza sociale). Marx non parla di subordinazione di queste forme alla struttura economica, ma spiega che tale struttura fornisce la base, la fonte di queste forme.
Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Di nuovo, appare chiaro che per Marx il modo di produzione non attiene tanto alla tecnologia, ma ai rapporti tra gli uomini; è il modo di produrre la vita materiale, sono i rapporti tra le classi. Questi rapporti determinano “in generale” (Marx stempera l’apoditticità del brano) le forme ideologiche prevalenti.
Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Questo è il cuore della concezione materialistica della storia. Ciò che gli uomini sono, o pensano di essere, è determinato dal loro ruolo sociale. Si noti che negando la visione idealista (l’essere determinato dalla coscienza), Marx modifica il termine: non più l’essere, ma l’essere sociale. L’individuo isolato non esiste.
A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi si erano mosse. Qui Marx equipara direttamente rapporti di proprietà e rapporti di produzione. Si pone allora il problema di comprendere che cosa siano i rapporti di proprietà. Torneremo su questo punto analizzando l’Introduzione. Qui Marx considera i rapporti di proprietà solo in quanto espressione giuridica del dominio di una classe (non dunque proprietà privata tout court, ma proprietà borghese).
Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con questa osservazione Marx fornisce una chiave di lettura decisiva per l’analisi storica. Le rivoluzioni sono processi obiettivi radicati nella struttura produttiva della società. La relazione dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione è il cuore della storia umana. Nel Manifesto Marx ed Engels dicono che la storia esistita sin qui è la storia della lotta di classe. La lotta di classe è l’aspetto soggettivo di questa relazione. Ora Marx descrive l’aspetto obiettivo, economico, di questa asserzione.
Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Sebbene presentato in modo un po’ meccanico, questo è il modo con cui procede la storia. D’altra parte, la crudezza deterministica era necessaria, dovendo esporre per la prima volta queste tesi.
Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. L’analisi storica, soprattutto dei processi rivoluzionari, deve partire dall’assunto che le ideologie sono strumenti della lotta di classe. Esse permettono alle diverse parti di farsi una ragione del conflitto stesso e di trovarvi il proprio posto. Occorre dunque studiare tutte queste forme (dalla filosofia, all’arte alla politica) in connessione con il conflitto medesimo. Ciò dimostra anche che le ideologie sono necessarie al conflitto di classe. Sorgono inevitabilmente da esso per la necessità delle classi di spiegarselo. Finché esiste lotta di classe esiste un’ideologia.
Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Abbiamo dunque tre livelli di comprensione del processo storico. Il livello fondamentale è quello dello sviluppo delle forze produttive, che a un dato momento entra in contrasto con i rapporti di produzione (e dunque, anche con i rapporti giuridici, politici, le forme ideologiche). L’espressione sociale di questa crisi è la lotta di classe. L’espressione politica della crisi, ovvero il fatto che le classi prendano coscienza della propria funzione storica, è la battaglia ideologica. Dietro lo scontro delle idee sta il ruolo delle classi quali rappresentanti di diversi gradi di sviluppo delle forze produttive.
Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. La rivoluzione giunge dunque a sancire la crisi di un modo di produzione, l’incapacità di espandere ulteriormente le forze produttive.

Quali sono le condizioni materiali dell’esistenza dei nuovi rapporti di produzione in seno alla vecchia società? Marx utilizza un’espressione ampia perché c’è una differenza fondamentale tra l’esistenza di queste condizioni prima del capitalismo e nel capitalismo. Nei precedenti modi di produzione, le condizioni materiali erano i nuovi rapporti di produzione che si sviluppavano accanto ai vecchi (il colonato accanto ai latifondi della Roma imperiale, la produzione mercantile accanto all’agricoltura di sussistenza asiatica, l’agricoltura capitalistica accanto alle forme feudali). Proprio lo sviluppo dei nuovi rapporti di produzione rende lo sviluppo delle forze produttive incompatibile con i vecchi.

Non così nel capitalismo. Qui le condizioni materiali si limitano all’impasse nello sviluppo delle forze produttive, nell’organizzazione soggettiva della classe operaia. Questa differenza deriva dal fatto che i modi di produzione che vanno dallo schiavismo al capitalismo condividono il modo di appropriazione (privato) pur nel differente grado raggiunto dalle forze produttive.

Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. La coscienza del problema sorge quando si intravedono le modalità della sua soluzione. Il pensiero socialista, prima dell’organizzazione storica della classe operaia, rimaneva una aspirazione religiosa.
A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale... con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana. Questo passaggio ha dato luogo a interpretazioni meccaniche. Marx in realtà enumera i modi di produzione a partire dal più antico, non specifica una sequenza logica obbligata. Prima del modo di produzione asiatico non si poteva propriamente parlare di rapporti di produzione perché non c’era una appropriazione individuale, ma solo collettiva tribale, della natura. Si aveva dunque possesso ma non proprietà. Il capitalismo è la fine di questo processo.

La summa della concezione materialistica della storia è mirabile. In poche frasi Marx delinea le leggi di movimento della storia in tutte le sue componenti: la struttura sociale, lo scontro politico, le forme ideologiche. Allo stesso tempo, nella sua cruda sintesi, questo brano è indubbiamente deterministico oltre il necessario. Ma, come detto, se pensiamo a ciò che si considerava storia (o filosofia della scienza) all’epoca, ciò era inevitabile per chiarire la nuova visione. Il necessario equilibrio viene dalla lettura complessiva dell’opera dei fondatori della concezione materialistica della storia ed è esplicitata in diverse lettere di Engels.

Dopo questo brano, Marx descrive la sua produzione scientifica. Spiega che lui ed Engels lasciarono volentieri “alla rodente critica dei topi” l’Ideologia tedesca perché l’avevano scritta soprattutto per chiarirsi le idee. Di nuovo, Marx sottolinea lo scarso peso che attribuisce a opere “ideologiche”, di metodo.

Per la critica dell’economia politica

Marx parte dalla merce. La struttura cellulare del mondo borghese è fatta di merci. Ogni merce ha una duplice natura è valore d’uso per le sue caratteristiche qualitative (soggettive, diverse per persone diverse) ed è valore di scambio come porzione del lavoro sociale erogato complessivamente. Il valore d’uso di una merce non ha una connessione necessaria con le caratteristiche sociali della produzione. Il grano è lo stesso sia falciato dagli schiavi che da operai salariati, mentre come merce esso esprime un rapporto di produzione. Nel capitalismo il valore di scambio rappresenta una quantità di lavoro sociale oggettivato. Si tratta di lavoro astrattamente generale, che astrae dalle caratteristiche peculiari del singolo produttore per poter permettere lo scambio. Sulla bilancia, venti chili d’oro, di gomma o di piombo si equivalgono.

E' il peso che uguaglia questi differenti oggetti. Allo stesso modo il tempo di lavoro astratto uguaglia le diverse merci, “le merci non sono che misure di tempo di lavoro coagulato”. Ovviamente, nella realtà i lavori sono differenti. Essi vengono ridotti non nella mente dell’economista ma nella realtà a lavoro uguale. La riduzione è dunque “un’astrazione che nel processo sociale della produzione si compie ogni giorno”. Anche se storicamente il capitalismo distrugge il lavoro qualificato, incorporandone il sapere nel lavoro morto, nelle macchine, in ogni momento vi è lavoro di diverso valore.

Come merci di diverso peso specifico che occupano uno stesso volume hanno un diverso peso, il lavoro qualificato è “lavoro semplice a potenza più elevata”. Anche questa riduzione ha luogo, attraverso la legge del valore. Il lavoro ha un carattere sociale in ogni società. ma nel capitalismo questo carattere è riconosciuto ex post, perché la produzione è individuale. Solo nel confronto del mercato il lavoro singolo è riconosciuto quale lavoro sociale e dunque ha titolo a parte del prodotto sociale nella misura di una porzione dell’equivalente generale.

Proprio per la natura non immediatamente sociale del lavoro nel capitalismo, i rapporti tra gli uomini sono cristallizzati in merci, cioè in cose, dunque il valore di scambio, che rappresenta la divisione sociale del lavoro, un rapporto tra individui è “celato sotto il velo delle cose”.

Marx spiega che il valore di scambio rappresenta questo rapporto tra i lavori dei singoli individui, li parifica. È dunque tautologico dire che il lavoro è l’unica fonte del valore di scambio, perchè è in realtà l’unica cosa che deve regolare. È solo in quanto rientra nella sfera del lavoro umano che la materia entra nel computo dei valori di scambio. Marx critica chi prova a difendere la teoria del valore-lavoro per via concreta: se prendo una pagnotta e gli tolgo tutti i lavori singoli (fornaio, mugnaio, falciatore, ecc.) mi rimane un ciuffo d’erba.

Non è questo il punto perché qui abbiamo a che fare con il lavoro che produce valori d’uso. Se la pagnotta cadesse dal cielo, dice Marx, avrebbe lo stesso valore d’uso, ma non dovendola produrre, perderebbe valore di scambio. È dunque errato dire che il lavoro è l’unica fonte di ricchezza. Senza la natura, senza la materia non vi sarebbe lavoro. Il lavoro è l’unico strumento che muove le forze produttive.

Il tempo totale del lavoro sociale si divide nelle merci prodotte dalla società. La grandezza di valore di una merce è la parte aliquota di questo tempo. Dunque in astratto, senza considerare il funzionamento specifico del capitalismo, parti aliquote uguali hanno lo stesso valore. Questa regola generale è corretta, a questo livello dell’analisi. Ma il capitalismo non funziona così. Vale la remunerazione uniforme del capitale e dunque la regola generale vige in un’altra forma.

Quando la merce, in quanto è di utilità a qualcuno, viene venduta, dimostra di essere parte della produzione sociale e riceve il suo corrispettivo in equivalente generale. Il valore d’uso è dunque un presupposto per il valore di scambio. Finché il lavoro sociale rimane chiuso nelle merci, esso è latente. Diviene reale all’atto dello scambio e le condizioni dello scambio possono alterarne ex post la quantità. Il lavoro sociale non è perciò un presupposto ma un risultato dello sviluppo sociale.

Quando lo sviluppo degli scambi raggiunge un’ampiezza sufficiente, sorge dal mondo delle merci l’equivalente generale, una merce che si pone come peso fisso su un piatto della bilancia. Infatti, posso sempre mettere due oggetti a caso su due piatti di una bilancia. Ma poi, per facilitare i calcoli, posso lasciarne uno fisso e cambiare l’oggetto sull’altro braccio. L’oggetto fisso diviene l’equivalente generale. Questo processo fa sì che il peso diverrà un attributo dell’oggetto fisso. Poniamo di usare come oggetto fisso dei cubi di ferro. Un oggetto peserà due cubi di ferro, quattro cubi di ferro.

Quando confronto il peso di due oggetti, confronterò il rapporto delle loro rispettive misurazioni in cubi di ferro (uno pesa 2 cubi, l’altro 4 cubi, dunque uno pesa la metà dell’altro). I cubi di ferro divengono dunque l’oggettivazione del peso di tutti gli oggetti, il peso “in sé” per così dire. Ogni oggetto, nel suo peso, non è che un certo quantitativo di cubi di ferro. I cubi di ferro acquisiscono come valore d’uso quello di servire alla misurazione del peso (cioè, mutatis mutandis, del valore di scambio) altrui. Questa merce particolare è il denaro. In esso si cristallizzano i valori di scambio delle merci. Per le loro caratteristiche fisiche e chimiche, i metalli preziosi hanno assunto normalmente questo ruolo.

Storicamente, lo scambio nasce ai margini della comunità ed acquisisce via via un peso crescente, distruggendo l’agricoltura e l’artigianato di sussistenza. Il mercantilismo, con la sua ossessione per il tesoreggiamento dell’oro, riflette la fase dell’accumulazione primitiva del capitalismo, quando il capitalista non era ancora signore della produzione ma piuttosto si arricchiva nel commercio, negli imbrogli, nelle scorrerie.

Marx affronta la storia dell’analisi della merce e sottolinea come il primo a esporre chiaramente il rapporto tra lavoro e denaro quale quanto di lavoro sociale è Benjamin Franklin nel 1720, anche se la connessione che istituisce tra lavoro e denaro è ancora estrinseca. In quanto la base del capitalismo è l’alienazione del lavoro (cioè il rapporto tra capitale e lavoro salariato), la base ideologica del sistema è l’alienazione.

I classici, soprattutto Smith e Ricardo, descrivono con attenzione la grandezza di valore, anche se ne estendono la qualificazione alle società “preadamitiche” come dice Marx con una deliziosa battuta, “sembra che i primi pescatori e i primi cacciatori... consultino le tabelle degli interessi correnti per la Borsa di Londra”. Con Ricardo si ha l’apogeo dell’economia politica classica. Le critiche mosse da Sismondi e altri a Ricardo, servono a Marx come spunti per completare la teoria del valore (rendita fondiaria, concorrenza, circolazione del capitale), ma nel complesso Marx accetta la teoria della grandezza di valore di Ricardo.

“Il prezzo è la forma mutata nella quale appare il valore di scambio delle merci in seno al processo di circolazione” (47)

La circolazione delle merci impone lo sviluppo di un equivalente generale, il denaro. Con il denaro si comparano i valori di scambio nella circolazione. Ma in quanto tali valori appaiono come prezzi, essi non esistono più come valori per la società. La legge del valore si esprime attraverso i prezzi.

Nel libro Marx si occupa a lungo della teoria quantitativa della moneta. Che cosa rappresenta questa teoria? Essa fornisce al denaro un ruolo indipendente, originario. Le variazioni del denaro producono i cambiamenti nella ricchezza di una nazione. Il denaro non è più un equivalente, ma sono le merci a dipendere dal suo valore. Questa teoria è dunque l’espressione massima del feticismo delle merci, della reificazione cui sottostà la mente dell’intellettuale borghese. Nel processo di scambio le merci sono solo quantità di denaro. Qui si fa un altro passo: ciò che le merci sono dipende dal denaro.

Tra i primi a sviluppare questa teoria vi fu Berkeley. Non a caso. Idealista in filosofia, monetarista in economia. Il denaro è un rappresentante ideale, solo un nome. Questa era anche una reazione contro il mercantilismo. Marx fa un’osservazione che forse può essere compresa ancor meglio oggi: “I prezzi non sono quindi alti o bassi perché circola più o meno denaro, bensì circola più o meno denaro perché i prezzi sono alti o bassi.” (86). Questa è l’unico merito della scuola post-ricardiana, spiega il Moro.

Che significa? Che il denaro, quando “i prezzi sono bassi”, ovvero c’è crisi economica, si ritrae dalla circolazione, viene utilizzato in altro modo (all’epoca tesoreggiato come oro, oggi finisce quale capitale fittizio nella finanza). Questa legge viene complicata e oggi ignorata per il ruolo anticiclico delle autorità monetarie. Ma funziona tuttora.

Hume espose la teoria quantitativa della moneta con chiarezza già nel 1777. La teoria della moneta velo di Hume, è in contrasto totale con la sua filosofia anti-induttiva, osserva Marx, dato che generalizza da alcuni fatti osservati unilateralmente. E' Steuart a fare una critica completa della teoria quantitativa per primo, e Smith non lo riconosce, quando se ne serve. Marx osserva anche, criticando James Mill, che il monetarismo fa circolare valori d’uso e non valori di scambio.

John Gray fu il primo, già nel 1831, a proporre la teoria della riduzione diretta del prezzo a lavoro. Perché avere i prezzi quando sappiamo che essi derivano dal lavoro socialmente necessario? Facciamo un esempio pratico. Poniamo che al cinema il biglietto si paghi 5 se si è operai e 10 se si è borghesi. Gli operai acquisterebbero i biglietti e li rivenderebbero fuori dal cinema a 9. La concorrenza spingerebbe gli operai a venderli a 8 poi a 7 e infine a 5 e qualcosa. Perché? Perché i prezzi non sono rappresentanti diretti del lavoro. Le merci hanno un unico prezzo. Non esiste lavoro direttamente associato.

Per diventare sociale il lavoro deve passare dal mercato. Questo significa che ogni distorsione “progressiva” della legge dell’unico prezzo (tassazione diretta, sconti, ecc.) in qualche modo distorce il funzionamento del capitalismo. Ovviamente, per l’epoca, Bray fece osservazioni brillanti. Proudhon le copiò malamente vent’anni dopo. Al giorno d’oggi la saggezza dell’economia borghese si riduce a proporre tasse lump-sum. Il denaro, spiega Marx, è la “forma generale del lavoro borghese”. Non può esservi alcuna altra misura che non sia il denaro. L’oro è “tempo di lavoro oggettivato”, “materializzazione del tempo di lavoro generale”. E ancora, il denaro è “valore di scambio fattosi indipendente”. Questa indipendenza è necessaria al raccordo degli sforzi di lavoratori indipendenti.

Con due semplici forme Marx esprime un cambiamento storico profondo. Prima del capitalismo conta la metamorfosi qualitativa del valore d’uso M-D-M. Nel capitalismo conta l’accumulazione del capitale, cioè di denaro D-M-D’. Non si scambia per consumare, ma si scambia per accumulare denaro. Da dove viene la differenza tra D e D’? Questo la  circolazione delle merci non può dircelo. Perciò non può dircelo la teoria economica borghese. In D-M-D’ abbiamo lo scambio di non equivalenti. Ma come può lo scambio avvenire tra non equivalenti? Non può. Sul mercato si scambiano solo equivalenti.

Il denaro è equivalente generale perché è innanzitutto una merce particolare. Ma non appena arriva a rappresentare i valori di scambio di tutte le merci, tende irresistibilmente a diventare simbolo, a “entrare in conflitto con la sua esistenza reale”. Le esplosioni cicliche delle bolle speculative non sono che l’ultimo prodotto di questo processo. L’astrazione del denaro contiene in nuce la finanziarizzazione del capitalismo, il suo dimenticare la produzione, l’ideale utopico del denaro che produce se stesso.

L’oro già dall’antichità diviene puro simbolo, il cui valore è stabilito dalla legge. Ma nessuno Stato, per quanto potente, ha mai potuto impedire i movimenti dei metalli preziosi. Oggi, che la produzione capitalistica è troppo sviluppata per potersi accontentare dell’oro, al posto dei movimenti dell’oro abbiamo i movimenti dei tassi di cambio, delle borse, degli spread sulle obbligazioni statali. Non appena un simbolo circola quale oro, è posta la possibilità e subito dopo l’inevitabilità del distacco tra simbolo e realtà.

Il potere dello Stato di dare valore al denaro “è semplice parvenza”, come i molteplici processi inflattivi del ventesimo secolo dimostrano bene. La carta moneta incorpora un’ulteriore reificazione. L’oro circola per il suo valore, ma la carta assume valore solo in quanto circola. Sembra così rovesciare le leggi economiche, e alla mente forzosamente fenomenica dell’economista ciò appare come moneta-velo, moneta puro numerario. Le crisi economiche si incaricano di dimostrare che questo “velo” nasconde alla mente apologetica dell’economista il vero funzionamento del modo di produzione borghese.

Non appena il denaro assume un’esistenza indipendente dal suo valore metallico, divenendo l’autorità indipendente delle merci, si origina la possibilità di dividere il momento della vendita e dell’acquisto. Posso acquistare o vendere una merce che ancora non esiste, posso avere una merce senza ancora compratori. Questa spaccatura crea le figure di debitore e creditore ed è la “base naturale del sistema del credito”. In un certo senso il credito nasce dal maturity mismatch degli agenti. La massa dei pagamenti fornisce la base iniziale della massa del denaro circolante, ma l’uso del credito spezza questo rapporto, lo rende flessibile.

Come mezzo di scambio internazionale, l’oro connette società a diverso grado di sviluppo delle forze produttive, dovendo rappresentare il tempo di lavoro universale, così tramite il denaro le società più evolute aspirano il plusvalore delle nazioni arretrate. In questo senso il cardine dei rapporti imperialistici è contenuto già nella forma di denaro. Studiando il denaro si può anticipare lo sviluppo del mercato mondiale. Marx cita uno scritto di Montanari del 1683 (Della Moneta) in cui questo economista parla del mondo come “una sola città, in cui si fa perpetua fiera di ogni mercanzia”.

Ma il denaro incorpora anche la necessaria astrazione che il capitalismo necessita per la circolazione del lavoro sociale. Non esistono due monete fisicamente identiche, o due banconote identiche, ma circolano come equivalenti. Lo scambio dunque si accontenta di uno standard medio, ideale. Per garantire la circolazione, il capitalismo astrae dalle differenze individuali. Questo vale per il denaro perchè vale innanzitutto per il lavoro. Di conseguenza vale per ogni merce (si pensi ai contratti standard dei commodities derivatives). Lavoro, valore, denaro. Questo è il triangolo aureo della valorizzazione del capitale, le coordinate della sua accumulazione.

Introduzione

Marx inizia così: “il nostro tema è innanzitutto la produzione materiale”. E ancora “il punto di partenza è costituito naturalmente dagli individui che producono in società... dalla produzione degli individui socialmente determinata”. Questo ha diverse implicazioni:

  • sottolinea le peculiarità dell’uomo quale animale che produce in società e la società, ovvero che crea le condizioni materiali della propria esistenza
  • evidenzia la necessità di partire dalla produzione materiale, ovvero espone il materialismo come posizione filosofica non astratta o pregiudiziale ma storica, evolutiva, “naturale”
  • spiega che l’individuo isolato non esiste (è una robinsonata, come dice subito dopo) e dunque il rapporto tra società e individuo è quello di una legge generale rispetto a una specificazione concreta.

La produzione è sempre produzione giunta a un certo stadio di sviluppo. Ma le esigenze politiche degli economisti post-ricardiani hanno fatto tornare di moda Robinson.

Tuttavia, sebbene la storia sia divisa in epoche distinte, con proprie leggi, “tutte le epoche della produzione hanno certi caratteri in comune”. Ha dunque senso parlare di produzione in generale. La produzione in generale è un’astrazione che pone in rilievo l’elemento comune e così aiuta lo storico (Marx usa l’understatement un po’ buffo, ma l’Introduzione è solo un abbozzo, del fatto che “ci risparmia una ripetizione”). Vanno dunque isolati questi elementi comuni ma anche non esagerati, se no si torna all’armonicismo piatto dei volgari.

Ma quali siano queste leggi generali è difficile desumerlo. Marx spiega che la caratteristica precipua dell’umanità è la produzione materiale delle proprie risorse. Dunque l’unico elemento comune è l’appropriazione della natura da parte della comunità. L’appropriazione diventa proprietà solo con la disgregazione del modo di produzione asiatico, perché la proprietà comune, forma originaria di ogni produzione, è in effetti una non proprietà. Che Marx non avesse ancora elaborato a pieno il concetto di produzione in generale lo si vede dalla sintesi che da a questa sezione del testo:

“Per riassumere: esistono determinazioni comuni a tutti gli stadi della produzione, che vengono fissate dal pensiero come generali, ma le cosiddette condizioni generali di ogni produzione non sono altro che questi momenti astratti con i quali non viene spiegato alcuno stadio storico concreto della produzione.” (176)

Se Marx non giunge a una conclusione definitiva su questo punto, qualcosa è pero possibile desumerlo dalla sua “produzione generale”, soprattutto dal Capitale e dai Grundrisse. L’unica legge della produzione in generale è la legge tendenziale della riduzione del tempo di lavoro necessario. Come scrive lo stesso Marx, tutta l’economia può ridursi a risparmio di tempo.

Marx si occupa poi dell’analisi dei rapporti organici tra produzione, circolazione, scambio e consumo delle merci. La produzione produce le merci (“un oggetto per il soggetto”) e i bisogni (un soggetto per l’oggetto”). Vi è dunque identità tra produzione e consumo, ma è un’identità dialettica, non lineare. Se no varrebbe la legge di Say. Le leggi della produzione si impongono alla distribuzione. Da qui l’insulsaggine dei riformisti, dice Marx riferendosi a Stuart Mill, che danno per eterne e naturali le leggi della produzione, per storiche e modificabili quelle della distribuzione.

La terza parte della Introduzione è dedicata al “metodo dell’economia politica”. Una definizione un po’ strana se si considera che Marx stava facendo la critica dell’economia politica. Ma chiaramente questa sezione parla del suo metodo. Spiega Marx:

“Sembra corretto cominciare con il reale ed il concreto, con l’effettivo presupposto, quindi per esempio nell’economia con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma ad un più attento esame, ciò si rivela falso. La popolazione è un’astrazione, se tralascio ad esempio le classi da cui essa è composta. A loro volta queste classi sono una parola priva di senso se non conosco gli elementi su cui esse si fondano... Se cominciassi quindi con la popolazione, avrei una rappresentazione caotica dell’insieme e, ad un esame più preciso, perverrei sempre più, analiticamente, a concetti più semplici; dal concreto rappresentato ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici. Da qui si tratterebbe poi, di intraprendere di nuovo il viaggio all’indietro, fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, ma questa volta non come a una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come a una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni. La prima via è quella che ha preso l’economia politica storicamente al suo nascere... non appena questi singoli momenti furono più o meno fissati e astratti, cominciarono i sistemi economici che salgono dal semplice – come lavoro, divisione del lavoro, bisogno, valore di scambio – allo Stato, allo scambio tra le nazioni e al mercato mondiale. Questo ultimo è, chiaramente il metodo scientificamente corretto. Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni ed unità, quindi, del molteplice. Per questo esso appare nel pensiero come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, benché sia l’effettivo punto di partenza e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione. Per la prima via, la rappresentazione piena viene volatilizzata ad astratta determinazione; per la seconda, le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero.” (188-189)

Questo importante brano contiene l’esposizione più ampia del metodo dell’astratto e del concreto lasciataci da Marx. Occorre innanzitutto osservare che il metodo che ha in mente Marx si applica a tutta la scienza. Infatti spiega di servirsi dell’economia solo come esempio. L’alternativa tra partire dal concreto, determinazione molteplice o dall’astratto, ripercorrendo poi il percorso verso il concreto nel cammino del pensiero, c’è in ogni disciplina.

L’essenza del metodo è dunque l’astrazione, il riconoscimento che occorre partire dalle determinazioni astratte, le leggi di movimento del reale, le cause da cui poi muove il processo che conduce al concreto, alla sintesi di tutte queste leggi “l’unità del molteplice”. In tal modo al pensiero è dato di seguire la strada percorsa  dallo sviluppo del reale.

Naturalmente, è sempre la coscienza che astrae. Nulla di più facile, dunque, che concepire il prodotto della coscienza, l’idea, come motore primo: “per la coscienza... la coscienza filosofica... il mondo pensato è la sola realtà”. Da quali categorie partire allora per esporre la scienza? Si sarebbe tentati di dire: dalla categoria più semplice. Ma il rapporto tra denaro e capitale è un esempio di categoria semplice, il denaro, pre-esistente alla categoria più complessa e recente, il capitale, che però adesso la subordina e la determina. La categoria più concreta, dunque, come il capitale, imprime il corso di sviluppo alla categoria più semplice e astratta.

“In questo senso – spiega Marx – il cammino del pensiero astratto che sale dal semplice al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale”. E subito dopo Marx fa l’esempio della categoria del lavoro. Cosa c’è di più immediato e antico del lavoro? Smith compì un enorme progresso, spiega Marx, generalizzando l’attività produttrice di ricchezza, il lavoro. Questo progresso nel pensiero fu il risultato del cammino del reale:

“L’indifferenza verso un lavoro determinato corrisponde a una forma di società in cui gli individui passano con facilità da un lavoro ad un altro e in cui il genere determinato del lavoro è per essi fortuito e quindi indifferente.” (192)

Dunque il lavoro astratto non è un prodotto della mente dell’economista, ma del capitalismo. Sebbene il lavoro sia una categoria primigenia, nella sua forma moderna è unico, “il prodotto di condizioni storiche” e dunque è valido come categoria solo nella società borghese. Ma l’analisi della categoria moderna di lavoro getta una luce sul suo sviluppo complessivo. E qui giungiamo ad un punto chiave del metodo marxista:

“La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di capire al tempo stesso la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui sopravvivono in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è svolto in tutto il suo significato ecc. L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia.” (193)

Naturalmente, questa visione può essere distorta in senso teleologico e funzionale (la storia come progressiva realizzazione del presente). Ma non è questo il senso. Il punto centrale è che le forme più sviluppate consentono di comprendere meglio le leggi di sviluppo dei processi. Per questo “l’economia borghese fornisce così la chiave per l’economia antica”, ma, si affretta ad aggiungere Marx, “non certamente al modo degli economisti che cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme di società vedono la società borghese”.

Questo ci permette anche di comprendere ancora meglio il concetto di produzione in generale. Si può parlare di produzione in generale proprio a partire dalle forme più sviluppate. Inoltre, questa legge spiega anche da dove partire nell’analisi di una materia. Non già da una mera ripetizione del percorso storico, ma dall’effettiva gerarchia di importanza del presente. Ad esempio, la proprietà fondiaria precede storicamente quella borghese, ma vi è subordinata. Va dunque affrontata in subordine, dopo aver spiegato le leggi fondamentali di sviluppo del capitalismo.

“Sarebbe dunque inopportuno ed erroneo disporre le categorie economiche nell’ordine in cui esse furono storicamente determinanti. La loro successione è invece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella moderna società borghese, e quest’ordine è esattamente l’inverso di quello che sembra essere il loro ordine naturale o di ciò che corrisponde alla successione dello sviluppo storico.” (196)

L’ultimo aspetto trattato da Marx nell’Introduzione è il rapporto tra arte e società. La relazione c’è ma non è affatto diretta. Vi sono periodi di fioritura dell’arte senza rapporto con lo sviluppo della società. Ma se è vero che l’arte greca, l’arte classica per eccellenza, è legata alla mitologia greca, perché suscita ancora in noi godimento estetico? Perché vi riconosciamo per molti aspetti “una norma e un modelli inarrivabili”? Proprio perché essendo la società poco sviluppata, l’arte era libera dalla necessità di comprendere, la natura dominava la coscienza, la tecnologia era subordinata alle forze naturali. Come si può concepire Achille con la polvere da sparo? Dunque l’arte greca è l’arte di un passato che non può tornare, e per questo ci interessa.

Appendici

Nell’appendice sono riportate le recensioni di Engels al libro e il carteggio che lo riguarda. Nella recensione Engels spiega che nella misura in cui gli economisti sono gli interpreti e gli apologeti delle leggi economiche del capitalismo, l’esposizione di queste leggi deve sempre anche essere una storia e una critica dell’economia politica.

In secondo luogo, spiega l’eredità hegeliana della concezione materialistica della storia come un metodo alla cui base stava un enorme senso storico, imbattuto ma caduto in disgrazia, che Marx ed Engels estraggono dalla polvere, sottopongono a critica e utilizzano nella sua parte dialettica. Marx dimostrò che il metodo dialettico è storico e viceversa. Marx stesso conferma in una lettera a Lassalle il primo punto: “il lavoro...è in pari tempo esposizione del sistema e critica dello stesso per mezzo dell’esposizione”. Mentre l’analisi del metodo fatta da Engels è un pò troppo concisa. Engels dice:

“nel modo come incomincia la storia, così deve pure incominciare il corso dei pensieri, e il suo corso ulteriore non sarà altro che il riflesso, in forma astratta e teoricamente conseguente, del corso della storia; un riflesso corretto, ma corretto secondo leggi che il corso stesso della storia fornisce, poiché ogni momento può essere considerato nel punto del suo sviluppo in cui ha raggiunto la sua piena maturità, la sua classicità.” (208)

Confrontiamolo con quello che abbiamo citato dall’Introduzione:

“La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di capire al tempo stesso la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui sopravvivono in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è svolto in tutto il suo significato ecc. L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia... Sarebbe dunque inopportuno ed erroneo disporre le categorie economiche nell’ordine in cui esse furono storicamente determinanti. La loro successione è invece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella moderna società borghese, e quest’ordine è esattamente l’inverso di quello che sembra essere il loro ordine naturale o di ciò che corrisponde alla successione dello sviluppo storico.”

Come si vede, qui l’idea è meno diretta.

a cura di Csepel - Xepel

Cfr il Commento a questa Prefazione


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015