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LAVORO PRODUTTIVO E IMPRODUTTIVO
(K. Marx, Lavoro produttivo e improduttivo, Editori Riuniti, Roma 1992)
Nelle sue analisi (antecedenti al Capitale, nel caso del libro in
questione) sul lavoro produttivo e improduttivo, Marx ha messo in evidenza cose
di straordinaria importanza, a riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, che per
la costruzione del futuro socialismo democratico bisogna cercarne qui le
premesse materiali fondamentali.
- Anzitutto egli ribadisce continuamente, a chiare lettere, che in presenza
della proprietà privata dei mezzi produttivi non è possibile una vera
democrazia sociale, basata su una equità di tipo produttivo, in quanto non è
possibile eliminare lo sfruttamento del lavoro. Altrove Marx ed Engels
diranno, e Lenin s'incaricherà di verificarlo concretamente, che se lo
sfruttamento può essere ridotto in virtù della contrattazione sindacale, è
solo con la rivoluzione politica che si può eliminarlo, quella rivoluzione in
grado di realizzare la proprietà sociale dei mezzi produttivi.
- Se il denaro si presenta in maniera indipendente, al cospetto del
lavoratore, come un potere la cui oggettività appare in tutta la sua
estraneità, la trasformazione del lavoratore in operaio salariato è
inevitabile, a meno che il lavoratore non disponga di mezzi produttivi adeguati (o
comunque di risorse adeguate) per diventare capitalista. Tale trasformazione è
specifica del capitalismo, in quanto solo in questa sistema sociale il lavoratore
è da un lato salariato, cioè sottoposto alla volontà del capitale, e
dall'altro cittadino giuridicamente o formalmente libero.
- Marx non si pone la domanda se la trasformazione del denaro in capitale va
considerata come un processo storico inevitabile: la dà per scontata ("il
denaro è destinato a funzionare come capitale", dice a p. 23). E più
estesamente: "sebbene il denaro che si trova in possesso del compratore di
capacità lavorativa... diventi capitale solo mediante questo processo
[capitalistico]... tuttavia è capitale in sé [cioè in fieri, in
potenza]: per la forma indipendente in cui sta di fronte alla capacità
lavorativa... fin da principio il denaro ha di fronte agli operai la
determinatezza sociale che lo rende capitale e gli dà il comando sul
lavoro"(ib.).
E' noto che Marx non è mai riuscito a chiarire l'origine storico-culturale di
questa contrapposizione di capitale e lavoro, in quanto le sue analisi
economiche e storico-economiche non si sono mai intrecciate, se non en
passant, con quelle che avrebbe dovuto fare sulla teologia, specie quella
cattolico-romana, che ha in sostanza posto le basi della "cosificazione della
persona", poi sviluppate dal protestantesimo sino all'elaborazione dell'altro,
decisivo, aspetto del feticismo borghese, che porterà alla nascita del
capitalismo: la "personalizzazione delle cose" (vedi il punto 7 in
questo elenco).
- Un lavoratore indipendente, in quanto padrone dei propri mezzi produttivi,
cioè un artigiano o un agricoltore, da un lato è capitalista e dall'altro è un
salariato di se stesso, ma egli è comunque destinato, nel sistema capitalistico
(specie quello in cui è sviluppato il macchinismo), a
trasformarsi in un piccolo capitalista che sfrutta lavoro altrui, oppure in
operaio salariato, indotto a ciò dalla concorrenza dei capitalisti più forti
(p. 43). Tertium non datur. Proprio perché mentre l'unione tra capacità
lavorativa e proprietà dei mezzi produttivi appare sotto il capitalismo come
accidentale, la separazione tra i due elementi è invece la regola (p. 42).
- Il vero lavoro produttivo per il capitale è unicamente quello che produce
plusvalore, immediatamente, per cui essere "produttivi", nel sistema
capitalistico, non è per il lavoratore una fortuna bensì una disgrazia, per
quanto l'essere "salariato" sia, per chi è privo di proprietà, un'esigenza di
sopravvivenza.
Portando le cose all'estremo non sarebbe azzardato sostenere che un'azienda
capitalistica può decidere di chiudere anche se il suo bilancio non è passivo,
proprio perché il criterio di produttività è relativo al plusvalore accumulato
e non tanto al fatturato complessivo.
- Al capitale, la cui personificazione è il capitalista, interessa ciò che
lo valorizza, non gli interessa il soddisfacimento di bisogni immediati, né il
lavoro come prestazione di servizi, né una semplice circolazione di denaro che
serve per acquistare merci. Tutto ciò gli può interessare solo nella misura in
cui, indirettamente, contribuisce alla realizzazione di plusvalore, che è una
parte di lavoro non pagata, cioè la differenza tra il salario pattuito e la
capacità creativa del lavoro, in grado di aggiungere un surplus al valore alla
merce. L'imprenditore non paga il lavoro, ma la forza-lavoro, cioè la capacità
di lavorare in maniera creativa, aggiungendo valore alle merci, oltre il tempo
sufficiente a riprodurre la stessa forza-lavoro.
- Nelle pagine dedicate al lavoro produttivo di questo volumetto antologico,
a volte s'incontrano riferimenti alla teoria del feticismo, che Marx
svilupperà in maniera magistrale nel Capitale, secondo cui "ciò che
distingue [il capitalismo] da tutte le forme precedenti, è il fatto che il
capitalista non esercita il suo dominio sull'operaio grazie a qualche qualità
personale, ma solo in quanto egli è "capitale""(p. 13). Si ha quindi un
capovolgimento di ruoli: una "personificazione della cosa" (il capitale che
impiega lavoro) e una "cosificazione della persona" (l'operaio come mezzo per
produrre plusvalore). E' il "lavoro oggettivato" (capitali, materiali,
mezzi...) che prevale sul "lavoro vivo" del lavoratore (l'impiego della
forza-lavoro). Quindi in definitiva tutto si contrappone all'operaio:
cooperazione, manifattura, fabbrica, ivi inclusa la scienza e la tecnica che
stanno dietro ai diversi processi produttivi.
- Non volendo ammettere la natura dello sfruttamento del lavoro da parte del
capitale, la borghesia sostiene che qualunque lavoro che produce valori d'uso
e di scambio è produttivo: col che essa si limita a contemplare lo scambio
degli equivalenti che avviene nella fase immediatamente precedente allo
sfruttamento vero e proprio, che è la fase dello scambio di lavoro (inteso
come merce) contro denaro (inteso come capitale in sé). (cfr pp. 38-39, 61
- Il vero lavoratore produttivo nel capitalismo non è il singolo operaio ma
quello complessivo, manuale e intellettuale, soggetto a una determinata
suddivisione di mansioni, la cui ricomposizione si verifica unicamente nel
prodotto finale: la merce. Per operaio complessivo si deve intendere anche
quello che estrae materie prime, quello che le lavora, quello che le
distribuisce ecc. (p. 51).
La produzione tuttavia non è "sociale" perché l'operaio è "complessivo". Il
realtà il carattere "sociale" appartiene unicamente al capitale, l'operaio
resta un individuo isolato, una rotella dell'ingranaggio, che non ha neppure
piena consapevolezza di ciò che fa. Per organizzare la produzione in maniera
"sociale", dal punto di vista del lavoratore, bisogna prima abolire la
proprietà privata dei mezzi produttivi.
- In genere, precisa Marx, il vero lavoratore produttivo per il capitale è
quello che permette al capitale di separare nettamente il lavoratore dalla
merce prodotta: il che è possibile anzitutto in virtù del macchinismo. I
lavori fruiti come servizi (p.es. un insegnante che tiene corsi)
possono generare plusvalore per l'imprenditore, ma essendo legati alla persona
costituiscono una quota insignificante rispetto agli altri lavori produttivi
(p. 58).
- Per poter sussistere, il capitalismo, essendo basato sull'ingiustizia
sociale dello sfruttamento del lavoro altrui, ha bisogno di dotarsi di tanti
lavoratori improduttivi a scopo ideologico o apologetico (i cosiddetti
servitori del sistema e dello Stato): il che contrasta con la funzione
prioritaria assegnata dalla borghesia al lavoro produttivo. E nel Capitale
verrà detto che lo sfruttamento capitalistico delle macchine non ha diminuito
ma aumentato il numero degli "schiavi domestici moderni" o "classe dei
servitori".
- Marx inoltre sostiene che tutto quanto non viene reinvestito in mezzi
produttivi e di sussistenza, ma consumato come reddito in articoli non
riproduttivi, solo per "soddisfare capricci, desideri ecc.", da parte del
capitale, inevitabilmente frena lo sviluppo della ricchezza (p. 59). La
produzione di oggetti di lusso rientra nel concetto di lavoro produttivo, ma
un eccessivo consumo di questi oggetti è indice di un minor investimento nei
mezzi di sussistenza necessari.
Oltre il concetto di lavoro produttivo
Fatta la rivoluzione politica, cioè dando per scontato che il capitale non
può rinunciare spontaneamente a sfruttare il lavoro, e affermata la proprietà
sociale dei mezzi produttivi (sociale, non statale, altrimenti si
ricade nell'assurdità di un socialismo amministrato dall'alto), come sviluppare
il socialismo democratico in chiave umanistica?
- Posto che la dignità della persona umana non può essere data stricto
sensu dal lavoro, ovvero che la sua identità non può dipendere, ipso
facto, da un'attività che dovrebbe acquisire il suo significato dallo
stesso essere umano, ha ancora senso parlare di "lavoro produttivo" e "lavoro
improduttivo"? Queste categorie borghesi non devono forse essere superate? A
livello etico l'unica differenza ammissibile dovrebbe essere quella tra
"lavorare" e "oziare", nel senso che "chi non lavora non mangia", a meno che
non sia impedito da qualcosa di oggettivo (malattia, handicap, età ecc.).
- A livello economico occorre ribadire la necessità di affermare
l'unità di lavoro intellettuale e manuale.
- Nel socialismo democratico non ha senso distinguere tra "lavoro" e "hobby", tra "tempo di
lavoro" e "tempo libero". Lavorare è una necessità per poter vivere
fisicamente, perché la ricerca di cibo, la fabbricazione di una casa, di
un mezzo di trasporto o di
un abito è comunque "lavoro", ma qualunque attività creativa che aiuti a
vivere spiritualmente, intellettualmente, culturalmente, artisticamente, cioè in maniera
immateriale, ha la stessa dignità del lavoro svolto per la sopravvivenza
materiale e per la riproduzione della specie.
- Una ripartizione del reddito sulla base del lavoro non ha senso nel
socialismo democratico, poiché
non ha senso stabilire dei criteri d'importanza per le mansioni che si
svolgono. Ognuno deve lavorare sulla base delle proprie capacità e possibilità
e, sotto questo aspetto, ogni lavoro è importante ai fini della conservazione
e riproduzione della comunità. Le responsabilità sono di natura etica e per
queste non ci può essere compenso materiale. Quindi il reddito va equamente
distribuito per soddisfare esigenze basilari, materiali e immateriali. Il
resto è surplus. Prima viene il sociale, poi l'individuale. Il sociale deve
poter garantire uno standard vitale per tutti; posto questo, l'individuale può
anche andare alla ricerca di un plus particolare.
cfr K. Marx, Risultati del processo di produzione immediato, Editori
Riuniti, Roma 1984
La questione del lavoro
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