MARX e ENGELS: Manifesto del partito comunista

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


IL MANIFESTO

(Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Ed. Riuniti, Roma 1973)

Il concetto di "rivoluzione", attribuito dal marxismo alla borghesia, va rivisto, poiché non è più accettabile l'idea che una rivoluzione della vita socioeconomica (dal punto di vista materiale, tecnico e produttivo), comporti di per sé un progresso significativo sul piano dei valori umani universali. Di quale "rivoluzione" si può parlare laddove esiste il peggior sfruttamento dell'uomo e della natura che mai la storia abbia conosciuto?

Certo, la borghesia è stata progressista rispetto alla classe feudale, parassitaria quanto mai, ma i difetti del sistema borghese sono infinitamente superiori ai suoi pregi, e di questo era possibile accorgersi anche prima che la borghesia acquisisse il potere politico.

Probabilmente nell'Europa occidentale la borghesia è andata al potere perché la società feudale, pur accorgendosi dei limiti dell'attività economica borghese, non aveva saputo trovare valide alternative al servaggio e al clericalismo. La lotta del mondo contadino contro le illusioni religiose e la soggezione feudale non riuscì a darsi gli strumenti per superare il servaggio senza cadere nel lavoro salariato.

Riconoscere una funzione rivoluzionaria alla borghesia, non può implicare, neppure indirettamente, una qualche sottovalutazione delle capacità di resistenza politica e sociale della classe contadina nei confronti non solo dell'emancipazione borghese, ma anche dello sfruttamento nobiliare. Anche perché si finirebbe col negare alla società feudale un valore socioeconomico positivo (si pensi ad es. all'autoconsumo, alla valorizzazione delle risorse locali, al primato del valore dell'uso su quello di scambio, ecc.). Non dobbiamo dimenticare che la società feudale del Basso Medioevo si è imbarbarita anche in risposta all'emergere della borghesia. Il feudalesimo ha perso la sua battaglia contro il capitalismo semplicemente perché si era limitato a difendere ad ogni costo i privilegi acquisiti.

D'altra parte l'emergere della prassi borghese, in Europa occidentale, è dipeso anche dalle contraddizioni interne alla società feudale: se il servaggio non fosse stato così radicale e se la chiesa che lo difendeva non fosse stata così lontana dagli interessi delle classi popolari, probabilmente il capitalismo non sarebbe nato, o sarebbe nato con meno violenza o con più ritardo, oppure avrebbe incontrato -come nell'Europa dell'est- una resistenza diversa, basata non sulla difesa del passato (vedi ad es. il populismo) ma sulla ricerca di nuove soluzioni (socialismo scientifico).

Nel Manifesto Marx afferma che la differenza tra lo sfruttamento feudale e quello borghese stava semplicemente nel fatto che il primo era "velato da illusioni religiose e politiche", mentre il secondo è "aperto, senza pudori, diretto e arido". Il motivo di ciò va ovviamente ricercato nella progressiva emancipazione dalla religione cattolica: di essa la borghesia conservò il carattere autoritario e oppressivo, ma si liberò delle forme più clericali ed ecclesiastiche. Essendo più libera di agire, la borghesia poté sviluppare il proprio atteggiamento ateistico perfezionando i mezzi produttivi sino al punto da rivoluzionare tutta la società. La vera rivoluzione della borghesia è stata quella industriale, poiché è da questa che dipende tutto il resto.

Oggi stiamo costatando che lo sfruttamento borghese delle risorse naturali e umane comporta delle conseguenze molto più tragiche di quello feudale. Ecco perché non è più possibile pensare, neanche come "storici", che lo sfruttamento borghese è, nonostante tutto, da preferire a quello feudale. La scelta di superare il feudalesimo col capitalismo è stata senza dubbio molto lenta, ed è stata fatta, probabilmente, non solo nella consapevolezza di non avere valide alternative, ma anche nella speranza di poter ottenere un futuro migliore.

Tuttavia, oggi possiamo volgere lo sguardo indietro e chiederci se la scelta compiuta sia stata la migliore, ovvero se le cose potevano andare diversamente. Il Manifesto non è in grado di rispondere a questa domanda. Non è neppure in grado di rispondere alla domanda -che Lenin stesso si poneva- relativa ai mezzi e modi concreti per superare la società borghese senza ricadere in quella feudale. Esso offre solo delle indicazioni molto generali.

Di una cosa comunque occorre essere certi: il fatto che l'uomo della società borghese sia giuridicamente "libero", mentre quello della società feudale era soggetto a vincoli di carattere personale, non deve farci credere che, in ultima istanza, lo sfruttamento borghese sia più sopportabile di quello feudale. Marx ha detto che lo sfruttamento borghese è "senza veli": in realtà esso ne conserva uno analogo a quello che la chiesa applicava al servaggio. La chiesa garantiva la libertà nell'aldilà, la borghesia invece la garantisce da subito, ma solo per se stessa.

La borghesia non è che una forma laicizzata (giuridica) dell'illusione, della mistificazione compiuta dalla chiesa sul terreno religioso. La borghesia fece un notevole progresso in direzione dell'ateismo, ma restando all'interno della logica dello sfruttamento economico, vanificò i risultati della sua emancipazione ideologica. La borghesia infatti è costretta ad ammettere lo stesso dualismo di teoria e prassi della chiesa cattolica.

Marx nel Manifesto lesse il fenomeno dello sviluppo capitalistico con gli occhi del filosofo impegnato politicamente, non con quelli dello storico dell'economia (come invece farà nel Capitale). Il limite del Manifesto sta appunto nella sua impostazione: con una sorta di "filosofia della storia" il giovane Marx aveva la pretesa di sollevare le masse proletarie contro il capitalismo. Il Che fare? di Lenin è impostato in modo molto più operativo.

La conseguenza quale è stata? L'astrattezza, e soprattutto una certa prevalenza dell'elemento ideologico su quello politico-organizzativo. L'importanza della classe contadina Marx la scoprirà come "storico", Lenin come "politico".

Nel Manifesto si ha la netta impressione che Marx apprezzi la superiorità del capitalismo sul feudalesimo, soprattutto perché la borghesia ha saputo emanciparsi ideologicamente dal dominio della religione. Di conseguenza Marx non può mettere in discussione la scelta borghese di puntare il proprio benessere economico sullo sviluppo forzato dell'industrializzazione. L'industria infatti appare al giovane Marx come lo strumento principale per emanciparsi dal feudalesimo. Il proletariato non deve fare altro che togliere questo strumento alla borghesia, che l'ha privatizzato, e costruire una società più umana e socializzata.

Marx non avrebbe mai ammesso che tra lo sfruttamento e l'ateismo borghesi da un lato, e lo sfruttamento e la religiosità medievale dall'altro, probabilmente quest'ultimi erano più "sopportabili" (meno cinici, meno brutali). Nel Manifesto Marx tende a giustificare il superamento del servaggio coll'emancipazione dal clericalismo, ma questa sua posizione è di tipo illuministico. Solo col tempo egli si renderà conto che la religione non costituisce di per sé un fattore più alienante dello sfruttamento economico.

Marx tuttavia non arriverà mai a studiare in quali aspetti la religiosità medievale può essere considerata meno alienante dell'ateismo borghese (la società feudale, pur con tutti i suoi limiti, esprimeva un senso del collettivo superiore a quello della società borghese: ciò non poteva non avere un riflesso sull'ideologia).

E' quindi ingiusto affermare che la borghesia "ha strappato una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rustica" - come si dice nel Manifesto. Come si può sostenere che la borghesia "ha reso dipendenti dai popoli civili quelli barbari e semibarbari, i popoli contadini da quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente"? Cioè, come si può sostenere che il "popolo borghese" sia, solo perché più evoluto tecnologicamente, più "civile" di quello contadino, o che l'Occidente capitalistico e protestante sia più "civile" dell'Oriente feudale e ortodosso? Si può forse far coincidere strettamente "civiltà" e "sviluppo produttivo"? Si può veramente considerare più "evoluta" quella civiltà che in nome del progresso economico, della scienza e della tecnica distrugge l'ambiente, provoca squilibri ecologici, mette in forse la stessa sopravvivenza del genere umano?

Peraltro, siamo veramente sicuri che sia un segno di progresso o di civiltà l'aver creato, da parte della borghesia, "una sola nazione, un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, un solo confine doganale"? Tutto ciò è stato senza dubbio un progresso per la borghesia, ma lo è stato anche per tutte le altre classi? Sarebbe stata possibile tutta questa centralizzazione senza la soggezione della stragrande maggioranza dei lavoratori o senza lo sfruttamento selvaggio delle colonie? E' stato veramente un segno di sicuro progresso l'aver unificato tutto in nome dello sfruttamento capitalistico?

Nessuno mette in dubbio che "i rapporti feudali di proprietà [ad un certo punto] non corrispondevano più alle forze produttive già sviluppate" e che pertanto bisognava spezzare quelle "catene", ma la soluzione scelta dalla borghesia era l'unica possibile? Forse per il fatto che s'è imposta dobbiamo essere indotti a credere che, in ultima istanza, essa fosse la migliore? Nell'accettare l'inesorabilità della scelta capitalistica, Marx non s'è forse lasciato influenzare eccessivamente dalla mentalità protestante?

Bisogna però valutare attentamente questa frase che Engels mise in una nota del Manifesto, che aiutava a spiegare la seguente perentoria affermazione: "La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi".

Scrive Engels nell'edizione inglese del 1888: "Vale a dire, tutta la storia scritta. Nel 1847, la preistoria della società - l'organizzazione sociale esistente prima della storia tramandata per iscritto - era poco meno che sconosciuta. Da allora, Haxthausen scoprì la proprietà comune della terra in Russia, Maurer dimostrò che essa era la base sociale da cui presero avvio tutte le razze teutoniche nella storia, e presto ci si rese conto che le comunità paesane erano, o erano state, dappertutto la forma primitiva della società, dall'India all'Irlanda. L'organizzazione interna di tali società comunistiche primitive venne svelata, nella sua forma tipica, dalla grande scoperta di Morgan della vera natura della gens e della sua relazione con la tribù. Con il dissolvimento di queste comunità primordiali la società iniziò a differenziarsi in classi separate e, successivamente, antagoniste. Ho cercato di ripercorrere questo processo di dissolvimento in Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Stoccarda 1886)".

In realtà dunque non è mai esistito alcun conflitto di classe nel periodo, infinitamente più lungo della storia dell'uomo, chiamato impropriamente "preistoria".

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015