Il fair use vale più del copyright

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FAIR USE NO COPYRIGHT


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Il fair use vale più del copyright

La notizia non piacerà a RIAA, MPAA e a quanti da sempre si battono per il rigido rispetto delle più obsolete stringenti leggi sul copyright, ma sembra proprio che il Fair Use, l'eccezione al diritto d'autore che punta a consentire un "equo utilizzo" delle opere, valga per l'economia americana più di quanto non contribuiscano i profitti derivanti dalle tutele sui lavori dell'ingegno.

A sostenerlo è un report della Computer and Communications Industry Association (CCIA), organizzazione che conta al suo interno membri del calibro di Yahoo!, Google e Microsoft.

Ed Black, presidente di CCIA, non usa mezzi termini, sostenendo che "molta della crescita economica senza precedenti degli ultimi 10 anni va pienamente attribuita alla dottrina dei fair use, poiché l'intera Internet dipende dalla possibilità di usare i contenuti in maniera limitata ma senza la necessità di autorizzazione preventiva".

Il "valore aggiunto" costituito dall'equo utilizzo vale il 70% in più di quanto economicamente prodotto dal carrozzone del copyright: quest'ultimo è "responsabile", secondo stime recenti, di 1,3 trilioni di dollari, mentre per lo studio il fair use surclassa questa cifra raggiungendo 2,2 trilioni. Le attività e le industrie che dipendono dal fair use costituiscono un sesto dell'intero prodotto interno lordo degli Stati Uniti ed hanno finora generato 11 milioni di posti di lavoro, sostiene CCIA.

Al contrario di quanto fin qui propagandato come verità di fede dalle associazioni dell'industria dei contenuti, sarebbe dunque la capacità di riutilizzo piuttosto che i rigidi vincoli alla fruizione, all'ascolto, alla rielaborazione e alla copia il vero motore del progresso economico. In questo contesto, il copyright perderebbe la propria centralità, il che costringerebbe governi e operatori di settore a rivalutare profondamente le attuali regolamentazioni in materia.

Le quattro eccezioni per cui il materiale protetto da copyright può ricadere sotto la disciplina del fair use negli States le elenca lo U.S. Copyright Office: la natura del riutilizzo, ovvero la sua natura commerciale o le motivazioni educative e non profit; la natura del lavoro protetto dal copyright; la porzione o la quantità del lavoro usata rispetto al suo totale (come ad esempio una clip video estratta da un lungometraggio); l'effetto dell'uso sul potenziale mercato del lavoro originario.

Eccezioni che per stessa ammissione dell'organizzazione governativa possono non essere sufficienti, in taluni casi, per stabilire in maniera inequivocabile la differenza tra fair use e valore del copyright. Lo scopo del rapporto, sostiene Ed Black, è ad ogni modo quello di sensibilizzare tutti sulla perdurante importanza dell'equo utilizzo rispetto al copyright in un settore, quello dell'industria e dei produttori di contenuti, in cui è sempre forte la spinta a difendere l'uno a discapito dell'altro.

Lo studio, dice Black, rende chiaro che "quando ci si focalizza soltanto su una parte nella modifica delle pratiche di utilizzo e non lo si riconosce, si ottiene un impatto collaterale sull'altra". "Il copyright è stato creato come un tool funzionale per promuovere la creatività, l'innovazione e l'attività economica", conclude il CEO di CCIA, e pertanto "esso dovrebbe venire valutato secondo gli standard, non certo partendo da presunti diritti morali o misure astratte di diritti di proprietà".

Alfonso Maruccia - 14 settembre 2007

fonte http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2064217 


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Diritto
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Aggiornamento: 22/04/2015