FILOSOFIA E LETTERATURA IN RUSSIA

PROSA DELL'ESSERE, ESSERE DELLA PROSA
FILOSOFIA E LETTERATURA IN RUSSIA

I - II - III - IV


Premessa

Una caratteristica davvero peculiare della letteratura russa è sempre stato il fatto che attraverso di essa gli intellettuali hanno potuto svolgere un ruolo filosofico e, per certi versi, anche politico. Forse ancora oggi sarebbe così se gli intellettuali sapessero trovare un'alternativa al socialismo da caserma e insieme al capitalismo selvaggio.

In Russia non è mai esistita una filosofia idealistica paragonabile a quella tedesca. Come non è mai esistita una battaglia religiosa paragonabile alla riforma protestante. In questo immenso paese filosofia e teologia non sono mai state considerate - come invece in Germania - le forme più elevate del pensiero umano. La filosofia russa è sempre state una filosofia di vita, una concezione etica, ontologica della vita, la quale, quando s'intrecciava con questioni di tipo politico, poteva trasformarsi in una ideologia vera e propria (anarchismo, populismo, socialismo ecc.).

Nella migliore letteratura russa non esiste un'ideologia in senso stretto, bensì una filosofia di vita sui problemi generali dell'umanità, mediata da un lirismo e da una poeticità di altissimo livello. I migliori romanzieri russi non sono mai stati dei cattedratici, dei docenti universitari, non hanno mai fatto prediche moraleggianti, né voli pindarici verso le astrazioni metafisiche, proprio perché, quando vogliono trasmettere un messaggio impegnativo, non amano usare i toni diretti, da pedanti: preferiscono usare invece lo strumento dell'arte, della bellezza, dell'immagine che commuove. La loro pittura, in tal senso, è l'equivalente visivo della loro scrittura. I russi sono convinti che i concetti si possono comprendere meglio se ci si mette di mezzo il cuore, e in questo la loro letteratura assomiglia a quella orientale, cinese soprattutto.

L'emozione, la commozione, avvalendosi delle immagini, è più capace d'integrare gli opposti. Viceversa il pensiero concettuale e analitico dell'occidente tende a differenziare gli elementi, approfondendoli in maniera separata. Quando mai nella storia della letteratura russa un intellettuale è diventato un grande scrittore perché frequentava assiduamente una scuola accademica di studi letterari? Quale grande scrittore russo ha mai avvertito come dannosa per la sua professione la non conoscenza dell'esistenza di brillanti scuole letterarie, come p.es. quella di A. Veselovskij, di Tichonravov, di Pypin o di Potebnja?

L'ideologia smaccata del marxismo-leninismo venne accettata solo perché con essa il partito comunista prometteva di realizzare una rivoluzione epocale a favore degli oppressi. Ma l'ideologia, in sé e per sé, non è mai stato uno strumento tipico della migliore tradizione letteraria russa, proprio perché con essa si tende a impoverire la creatività dell'arte. La cultura è sempre più vasta e più profonda dell'ideologia, e non tutte le sue componenti sono di "classe".

In un certo senso i russi sono stati indotti a privilegiare l'ideologia quando si resero conto che con la letteratura non si riusciva ad abbattere quell'anacronismo storico chiamato autocrazia zarista. Solo che con lo stalinismo prima e la stagnazione dopo si fece dell'ideologia uno strumento coercitivo, un'assurda forzatura con cui dividere schematicamente la società in eretici e allineati. Sessant'anni di comunismo da caserma hanno costretto gli intellettuali a esprimere la loro creatività in forme del tutto clandestine oppure seguendo scrupolosamente il criterio dell'autocensura. E questo fino al punto in cui la società civile ha compreso che la libertà di espressione non era un vezzo degli intellettuali ma un'esigenza naturale dell'uomo, che nessun potere può soffocare ad libitum.

Certo, si può pensare che per capire questo semplice abc, sessant'anni sono stati davvero tanti, ma non dobbiamo dimenticare che la resistenza al nazifascismo è stata ampiamente strumentalizzata dallo stalinismo e successivamente dalla stagnazione post-kruscioviana proprio per far credere in un ruolo mondiale della Russia assolutamente insostituibile. I miti sono stati una componente fondamentale nella costruzione del "socialismo reale". Tantissima parte della letteratura russa poté per così dire trovare uno sbocco alla propria creatività limitandosi a descrivere le immagini di quelle inumane sofferenze causate dal proditorio attacco delle armate hitleriane.

Questa situazione ambigua cominciò a schiarirsi solo nel maggio 1954, un anno dopo la morte di Stalin, quando fu pubblicata su una rivista la prima parte del romanzo Il disgelo di Il'ja Erenburg, il cui titolo diventò l'emblema del graduale processo di liberalizzazione che caratterizzerà il periodo successivo. Nel 1955 vennero riabilitati gran parte degli scrittori coinvolti nelle purghe staliniane: tra i prosatori S. P. Zalygin, V. P. Aksjonov, E. G. Kazakevic, J. P. Kazakov, B. S. Okudzava, Č. Ajtmatov, A. Rybakov, e lo stesso J. V. Trifonov, che in una serie di racconti e romanzi aveva messo a fuoco i problemi delle generazioni post-staliniste. Tra i poeti E. Evtusenko, A. Voznesenskij, B. Achmadulina... Finché nel 1962 la pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovic di A. Solzenicyn ruppe clamorosamente il silenzio sulla realtà dei lager staliniani, inducendo il regime a fare retromarcia, sostituendo cioè Krusciov con Breznev.

La società civile, nel suo complesso, era così dipendente dal mito dello Stato invincibile, in grado di liberare addirittura la parte occidentale dell'Europa dal peggior fardello ch'essa avesse mai subito, che la critica letteraria ufficiale aveva assunto un ruolo assiologico enorme. Il pubblico si metteva a leggere le opere artistiche solo dopo averne letto la critica. Atteggiamento, questo, che d'altra parte trovava le sue origini nella concezione stessa della letteratura maturata nel XIX secolo, in cui le più grandi teorie estetiche e filosofiche erano state formulate proprio nell'ambito della critica letteraria (Belinskij, Černyševskij, Herzen, Dobroljubov, A. P. Grigor'ev...). La letteratura - diceva Černyševskij - veniva intesa dai critici come "la più possente delle forze che agiscono sullo sviluppo della vita sociale russa".

L'enorme importanza della critica letteraria, con cui si poteva influire anche sulla vita sociale, durò praticamente sino a quando la comparsa di quel fenomeno chiamato samizdat non fece comprendere che la migliore letteratura non era quella benedetta dai crismi della critica, ma quella del tutto illegale. Il pubblico aveva finalmente capito che il giudizio del critico era del tutto parziale e che, per questa ragione, andava recuperato un rapporto diretto con l'artista.

Letteratura e filosofia

In maniera opposta rispetto alla Germania, dove l'estetica filosofica di Lessing, Winkelmann, Wolf, Kant era stata travasata nelle opere di Goethe, Schiller, Hölderlin e i Romantici, il rapporto tra letteratura e filosofia è sempre stato così stretto in Russia che, generalmente, la prima viene considerata una "fonte" della seconda. Questo già Puškin l'aveva chiaramente notato. Proprio perché il "sentire" di un popolo così "filosofico" come quello russo non sopporta di dover partire dalle grandi astrazioni prima di dover cercare delle mediazioni concrete per risolvere i problemi della vita, si preferisce fare l'operazione inversa, chiedendo cioè agli intellettuali di "predigerire", per così dire, le grandi questioni dell'umanità in maniera prosastica o poetica (le quali spesso nella letteratura russa hanno origine nella migliore filosofia tedesca, tant'è che senza questa sarebbero stati impensabili i circoli di Venevitinov e Stankevič, di Belinskij ed Herzen, di Kireevskij e Chomjakov, di Tjutčev e Dostoevskij), per lasciare poi al lettore il compito di estrapolare quei contenuti pratici e teorici che possono aiutarlo ad affrontare meglio i problemi esistenziali della vita quotidiana, i destini del proprio paese, che nel cittadino russo facilmente vengono a coincidere.

Sotto questo aspetto non si sarebbe potuta considerare possibile né la svolta di Krusciov né quella di Gorbaciov senza l'apporto fondamentale della letteratura anti-totalitaria.

Quando la letteratura è vera e sentita, è sempre rivolta attivamente verso i bisogni della vita. In Russia persino gli scrittori che si dedicano alla storia lo fanno per capire meglio i problemi contemporanei e, all'opposto, quando l'oggetto dei loro interessi è la vita contemporanea, non possono fare a meno di pensare per mezzo di categorie storiche. Fino a qualche tempo fa era difficile incontrare una letteratura d'evasione in Russia: anche le più semplici Bilyne contengono infinita saggezza. Forse è per questa ragione che un buon romanzo russo è destinato ad essere letto almeno un paio di volte.

Se anche il pensiero filosofico o politico non è espresso esplicitamente, nel romanzo o nella novella o nella poesia, lo si ritrova, nascosto, nel contesto generale dell'opera, nella struttura figurativa, nel carattere dell'elaborazione psicologico-sociale, nella problematica che interessa lo scrittore, in una parola nella profondità della comprensione dei complessi processi della vita. P.es. Il placido Don di M. A. Šolochov, pur non potendo essere annoverato nel genere della "prosa filosofica", non è meno esistenziali della trilogia di F. A. Abramov, Prjasliny e del suo romanzo Dom, o dei romanzi di J. Bondarev, Bereg e Vybor, o delle novelle di Č. Ajtmatov. Anche la poesia di E. Meželajtis, A. Mežurov, V. Korotič contiene molta lirica filosofica.

Purtroppo l'eccessiva ideologizzazione dell'arte ha portato la critica letteraria a compiere scelte arbitrarie nella valorizzazione della letteratura russa del passato: p.es. fino a vent'anni fa si riteneva decisivo il passaggio dalla critica democratico-rivoluzionaria a quella marxista, cioè la linea Radiščev - Dekabristi - Belinskij - Černyševskij - Gor'kij, e si trascurava del tutto quella opposta che andava da Avvakum a Bunin, passando per gli Slavofili, Dostoevskij e Tjutčev.

Forse però è bene precisare che quando si parla del rapporto tra letteratura e filosofia russe, non s'intende tanto qualcosa di peculiare a questo paese, quanto il fatto che qui si è riusciti a trovare una formula assai efficace, con cui si sono potuti miscelare livelli molto alti di riflessione filosofica (ovviamente non paragonabili a quelli greci o tedeschi) con livelli altissimi di espressione artistica letteraria. Lo stesso non si può dire della letteratura tedesca, dove opere di Goethe, come Le affinità elettive e Wilhelm Meister, o di Hölderlin, Hyperion, o di Novalis, Discepoli di Sais sono soffocate dalla cappa della filosofia. Anche Hugo von Hofmannsthal diceva che nei capolavori classici della letteratura tedesca vi erano soltanto i rudimenti della vera arte della parola.

Un'eccessiva razionalità fa perdere all'arte il gusto estetico. Ne sanno qualcosa persino grandi scrittori russi, come M. Bulgakov (Il Maestro e Margherita) o M. Gor'kij (Vita di Klim Samgin) o E. Evtušenko (Il posto delle bacche) o lo stesso Ajtmatov (Il patibolo), dove la filosofia di distacca dalla plastica figurativa e la sintesi letteraria diventa artificiosa.

Sotto questo aspetto è difficile incontrare, nel mondo letterario, un equivalente di Tolstoj o di Dostoevskij, per i quali i giochi di astrazione intellettuale sarebbero stati impensabili, avendo essi a cuore le passioni dell'anima, la potenza estatica delle parole, la sofferenza purificante. L'apporto di questi due geni artistici dell'umanità è stato decisivo nella produzione letteraria di Thomas Mann, di Herman Hesse, di Alfred Döblin, di Hans H. Jann, degli austriaci Robert Musil, Herman Broch, Haimito von Doderer, ma anche dei francesi Camus e Sartre, senza dimenticare l'Eliot del periodo di Quattro quartetti, e W. Goldin, autore de Il Signore delle mosche.

Prospettive odierne

Resta il fatto che la situazione oggi è molto cambiata. Oggi non è più sufficiente affermare che la problematica filosofica va espressa in letteratura con mezzi strettamente propri, decisamente artistici, che non possono essere considerati "neutrali" rispetto al contenuto stesso dell'opera. La filosofia russa necessità non solo degli strumenti artistici di conoscenza del mondo, ma anche della generalizzazione dei risultati dello sviluppo scientifico. La filosofia viene costretta dalla scienza a specializzarsi e, proprio per tale ragione, ad agire in maniera cooperativistica, in quanto risultano impensabili geni dell'umanità (come appunto Tolstoj e Dostoevskij) in grado di racchiudere in sé, in un unicum, le figure del filosofo, dell'artista e dello scienziato.

E' vero che va affermato il principio unitario della cultura, superando l'estrema specializzazione di quella occidentale, ma sul piano pratico ciò non è più possibile realizzarlo grazie al talento eccezionale di individui singoli. Il tempo degli artisti-universali, capaci quasi di prendersi cura da soli di tutta la cultura, è finito da un pezzo. In tal senso, forse il miglior modo per denunciare i propri limiti e quindi per aprire una porta alla collaborazione altrui potrebbe esser quello di lasciare alle proprie opere un finale aperto, interlocutorio, suscettibile di interpretazioni differenti.

In ogni caso la tendenza a distinguere la filosofia dalla letteratura, a causa delle pressanti esigenze di tipo scientifico, può essere pericolosa più per la filosofia che per la letteratura, poiché mentre questa continua a interessarsi alla vita degli uomini (benché in questi ultimi tempi non siano state prodotte opere di alto valore, come se l'acquisita libertà d'espressione invece di favorire avesse ostacolato l'arte), la filosofia invece rischia di astrarsi dalla realtà, proprio come avvenne durante lo stalinismo e la stagnazione, cioè quando essa altro non era che l'ideologia marx-leninista, la quale, nei confronti dei problemi classici dell'ontologia in generale, al massimo riusciva a balbettare. I manuali di etica marxista, editi in Russia, dedicavano p.es. al problema della morte una mera paginetta. La morte di Ivan Il'ic di Tolstoj, a confronto, offriva molto di più.

Riassumere il problema della morte individuale nell'idea di immortalità della comunità nazionale o mondiale, oggi non è più considerato sufficiente, anche volendo restare entro i limiti di una rigorosa laicità. Lo dimostra anche il romanzo di Ajtmatov, Burannyj polustanok, che comincia con la morte di uno dei personaggi e finisce coi suoi funerali. Solo che se la letteratura sa ancora porre problemi di questo genere, la critica è rimasta vincolata a schemi del passato. Filosofia e arte hanno un unico oggetto, affrontato con metodi diversi, ma se la diversità diventa occasione di separazione, ci rimetteranno entrambe e soprattutto la filosofia, anche perché non potrà sottrarsi alle lusinghe della scienza. Questa, infatti, il cui processo di differenziazione dalla filosofia e dall'arte è iniziato nella seconda metà del XIX secolo, ha la pretesa di sostenere che le uniche vere concezioni di vita sono soltanto quelle oggettivamente dimostrabili.

Col che si finisce di nuovo col farsi assorbire dai modelli occidentali di pensiero e concezione di vita. Cosa che avviene anche da parte di quei giovani romanzieri russi che, cercando di conciliare l'espressione artistica del loro paese con l'accettazione del passaggio dal socialismo amministrato dall'alto al capitalismo più selvaggio, scrivono senza ottimismo, senza vedere alcun futuro davvero democratico per il loro paese. E. Limonov (Savenko) p.es., oggi ritenuto un "grande", ha condito il suo romanzo Eddy-baby ti amo con molta violenza, alcol ed erotismo, rendendo il suo "giovane Holden" in salsa russa ancora più cattivo del suo omologo americano. Anche Ilja Stogoff, nel suo Boys don't cry, non fa che parlare di sesso e violenza, descrivendo una gioventù senza passato e senza futuro. Forse la cosa migliore, fino ad oggi, è stata prodotta da Elena Svarc, che negli anni Settanta frequentava ambienti letterari clandestini e che con la sua raccolta di poesie San Pietroburgo e l'oscurità soave ha saputo parlare in maniera molto intensa del suo paese, della natura, dell'inquietudine morale che l'affligge. Se aveva ragione Dostoevskij quando diceva che "la bellezza salverà il mondo", forse dalle donne russe dovremo aspettarci soluzioni del tutto inedite ai problemi di questo immenso paese.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019